ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  20,  ultimo
 comma,  della legge 24 marzo 1989, n. 122 (Disposizioni in materia di
 parcheggi,  programma  triennale  per  le  aree  urbane  maggiormente
 popolate, nonche' modificazioni di alcune norme del testo unico sulla
 disciplina  della circolazione stradale, approvato con il decreto del
 Presidente della Repubblica 15 giugno 1959,  n.  393),  promosso  con
 ordinanza  emessa  il  4  dicembre  1990 dal Pretore di La Spezia nei
 procedimenti civili vertenti tra Piotto  Raffaello  ed  altri  ed  il
 Prefetto della Provincia di La Spezia, iscritta al n. 52 del registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1991;
     Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del Consiglio dei
 ministri;
     Udito nella camera di consiglio del  20  marzo  1991  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
     Ritenuto  che  il  Pretore  di  La  Spezia,  con  ordinanza del 4
 dicembre 1990, ha sollevato,  in  riferimento  all'art.  25,  secondo
 comma,  della  Costituzione  questione  di legittimita' dell'art. 20,
 ultimo comma, della legge 24 marzo 1989, n. 122, sul presupposto  che
 la  disposizione  denunciata,  nonostante  la sua apparente natura di
 norma interpretativa, va intesa  o  come  abrogazione  dell'art.  11,
 quarto  comma,  della  legge 14 febbraio 1974, n. 62, o come parziale
 abrogazione dell'art. 16 della legge 24 novembre 1981, n. 689, con la
 conseguenza  di  determinare  in  ogni   caso   retroattivamente   un
 trattamento  sanzionatorio  sfavorevole  (nella  specie, applicazione
 della oblazione nella misura prevista dall'art. 138 del  testo  unico
 delle  norme  sulla  circolazione stradale approvato con il d.P.R. 15
 giugno 1959, n. 393, con gli aumenti operati dagli articoli 113 e 114
 della legge n. 689 del 1981, in luogo  del  pagamento  in  via  breve
 della  minor  somma  di  lire  5.000) che contrasta con il divieto di
 retroattivita'   sancito   dall'art.   25,   secondo   comma,   della
 Costituzione,  stante la relativa applicabilita' "non solo alle norme
 penali, bensi', piu' in generale, a qualunque norma sanzionatoria,  e
 dunque anche a quelle in materia di sanzioni amministrative";
       che  e'  intervenuto  il Presidente del Consiglio dei ministri,
 rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, la quale
 ha chiesto che la questione sia dichiarata non fondata, assumendo che
 l'art. 16 della legge n. 689 del 1981, col fare salva  la  disciplina
 dell'art.  138  del  codice  della strada "con le modifiche apportate
 dall'art. 11" della legge n. 62 del 1974, ha inteso conservare valore
 al meccanismo per "scaglioni" di oblazione  tipico  della  disciplina
 della   circolazione   stradale,   con  esclusione,  peraltro,  delle
 previsioni che - come quella del quarto comma dello stesso art. 11
 -  stabilivano  una  disciplina  specifica  derogante   alla   regola
 generale, sicche' quest'ultima disposizione doveva ritenersi abrogata
 per  incompatibilita', a norma dell'art. 42 della stessa legge n. 689
 del 1981; donde - afferma l'Avvocatura  -  la  natura  interpretativa
 della  norma  denunciata,  avendo  il  legislatore  inteso unicamente
 dirimere le incertezze alimentate da talune  oscillanti  pronunce  di
 giudici  di  merito, pur se resterebbe comunque assorbente il rilievo
 che  il  principio  di  irretroattivita' e' costituzionalizzato nella
 stretta materia penale;
     Considerato che questa Corte ha da tempo (cfr.  sentenza  n.  118
 del  1957)  avuto modo di affermare l'ammissibilita' sotto un aspetto
 generale delle leggi interpretative, puntualizzando,  peraltro,  come
 una simile qualificazione giuridica spetti soltanto alle leggi o alle
 disposizioni  che,  riferendosi  e  saldandosi con altre disposizioni
 (quelle interpretate), intervengono  esclusivamente  sul  significato
 normativo  di  queste ultime (senza, percio', intaccarne o integrarne
 il  dato  testuale),  chiarendone  o  esplicitandone  il  senso  (ove
 ritenuto  oscuro)  ovvero  escludendone  o enucleandone uno dei sensi
 ritenuti possibili, al fine, in ogni caso, di imporre  all'interprete
 un  determinato significato normativo della disposizione interpretata
 (cfr. sentenze nn. 155 e 380 del 1990 e nn. 123 e 233 del 1988);
       che la norma denunciata manifestamente soddisfa tali caratteri,
 per essersi il legislatore limitato ad  assegnare  valore  cogente  a
 quel  significato  delle  disposizioni  interpretate  che, solo fra i
 diversi  possibili,  rispondesse  ai  reali   obiettivi   perseguiti,
 sanando,  per questa via, un deprecabile stato di incertezza generato
 dal non perspicuo stratificarsi delle fonti normative succedutesi nel
 tempo per disciplinare il pagamento in misura  ridotta  nei  casi  di
 violazione del testo unico delle norme sulla circolazione stradale;
       che,  risultando assente qualsiasi funzione innovativa, si deve
 riconoscere  alla  disposizione  censurata  il  carattere  formale  e
 sostanziale  di norma interpretativa, del che fra l'altro costituisce
 un affidabile "indice di riconoscimento" (cfr. sentenza  n.  123  del
 1988)  il  contrasto  interpretativo  insorto in sede di applicazione
 giurisprudenziale, ove le opposte tesi si sono misurate sulla base di
 egualmente  solide  argomentazioni  di  ordine  testuale,  logico   e
 sistematico;
       che,  in  conseguenza  delle  sovraesposte  considerazioni,  la
 questione proposta va dichiarata manifestamente infondata;
     Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;