IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento civile
 iscritto al r.g.l. n. 12076/89 promosso da  Vinella  ing.  Costantino
 assistito   dall'avv.  Massimo  Andreis  contro  la  Cassa  nazionale
 previdenza ed assistenza ingegneri ed architetti assistita  dall'avv.
 Emanuele Albertengo di Monasterolo;
    Sciogliendo la riserva formulata all'udienza del 7 febbraio 1991;
    Tenuto   conto  dell'eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
 sollevata dalla parte ricorrente nei confronti dell'art.  25,  decimo
 comma,  della legge 3 gennaio 1981, n. 6, in riferimento agli artt. 3
 e 38, primo e secondo comma, della Costituzione, nella parte  in  cui
 prevede  una  soglia  minima  della  pensione  di vecchiaia inferiore
 all'importo della pensione sociale calcolato ai sensi  dell'art.  26,
 secondo comma, della legge 30 aprile 1969, n. 153;
                             O S S E R V A
    1.  -  E'  ormai  pacifico  in  causa  che  al  ricorrente Vinella
 Costantino compete il minimo  della  pensione  di  vecchiaia  erogata
 dalla  Cassa  nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  ingegneri ed
 architetti,  pari  a  L.  3.000.000  annui.  Lamenta  il   ricorrente
 l'inadeguatezza  di  tale  misura minima, ai sensi dell'art. 38 della
 Costituzione,  paragonando  l'importo  di cui trattasi a quello della
 pensione sociale erogata dall'I.N.P.S.
    2. - Con la sentenza n.  31/1986  codesta  Corte  aveva  rigettato
 alcune  questioni  di  illegittimita'  costituzionale,  formulando le
 seguenti  osservazioni:   "Non   sono   fondate   le   questioni   di
 leggittimita'  costituzionale  degli artt. 2 e 9 della legge 3 giugno
 1975,  n.  160  ('norme  per   il   miglioramento   dei   trattamenti
 pensionistici  e per il collegamento alla dinamica salariale'), sotto
 il profilo che essi (prevedendo  un  diverso  trattamento  minimo  di
 pensione per i lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori dipendenti,
 e  diversamente  disciplinandone la relativa perequazione automatica)
 determinerebbero un'ingiustificata discriminazione, non  consentendo,
 per   i   lavoratori   autonomi,   il   raggiungimento   del   minimo
 indispensabile  per  vivere  come  quantificato  per   i   lavoratori
 dipendenti.
    Invero,  l'art.  38  della  Costituzione nel riferirsi all'idea di
 'sicurezza sociale' cui e' ispirato, ne ipotizza due  modelli  tipici
 strutturalmente   e   qualitativamente   distinti:   l'uno   (fondato
 unicamente sulla solidarieta' collettiva) finalizzato a garantire  ai
 'cittadini',   ove   ad   alcuni  eventi  si  accompagnino  accertate
 situazioni di bisogno, i 'mezzi  necessari  per  vivere'  (cosiddetto
 minimo   esistenziale);  l'altro  (suscettivo  di  essere  realizzato
 mediante gli strumenti mutualistico-assicurativi) che ai 'lavoratori'
 attribuisce   in   situazioni   particolarmente   significative,    e
 prescindendo  dallo  stato  di  bisogno,  la  diversa  e piu' elevata
 garanzia del diritto a 'mezzi adeguati alle loro  esigenze  di  vita'
 (atti  cioe'  a  soddisfare non soltanto i bisogni alimentari, bensi'
 anche le ulteriori esigenze connesse al raggiunto tenore di vita).
    Cio' comporta che per  la  pensione  sociale  (che  unicamente  ai
 bisogni  vitali  e'  intesa  a sopperire) la fissazione, da parte del
 legislatore,  di  un'unica  indifferenziata  misura   per   tutti   i
 'cittadini'  esattamente interpreta il primo comma dell'art. 38 della
 Costituzione; viceversa l'oggetto della valutazione  che  conduce  al
 giudizio  di  adeguatezza  dei  mezzi  alle esigenze di vita (potendo
 riguardare  anche  la  posizione  economico-sociale   delle   diverse
 categorie  di lavoratori, i rischi volontariamente assunti o comunque
 incombenti, i redditi conseguiti durante l'attivita' lavorativa ecc.)
 puo' ben condurre a  determinazioni  quantitativamente  diversificate
 delle  prestazioni previdenziali di cui al secondo comma dell'art. 38
 della Costituzione.
   Appunto  a  tale  norma  -  dalla  cui   logica   mutualistica   e'
 parzialmente  svincolato, ma della quale compiutamente attua la ratio
 -  va  ricondotto   (alla   luce   della   evoluzione   normativa   e
 giurisprudenzialee  per  effetto anche degli interventi della Corte -
 cfr. sentenze nn. 230/1974, 263/1976, 34/1981 e 314/1985)  l'istituto
 del  trattamento  minimo  pensionistico,  inteso  a  garantire che la
 prestazione  pensionistica  abbia,  nei  confronti  dei   lavoratori,
 comunque  un  livello minimo adeguato 'alle loro esigenze di vita', e
 non soltanto ai bisogni alimentari. Non puo' pertanto affermarsi  che
 il  trattamento  minimo  previsto  per  i  lavoratori  autonomi debba
 automaticamente  ritenersi  inadeguato,  sol   perche'   la   diversa
 categoria dei lavoratori dipendenti gode in concreto d'un trattamento
 minimo  superiore,  essendo presumibile che per qeust'ultma categoria
 il legislatore abbia discrezionalmente  valutato  differentemente  le
 'esigenze  di  vita'  da  tutelare, tenendo eventualmente anche conto
 della maggiore  massa  contributiva  riflettente  la  maggiore  massa
 retributiva, senza con cio' esorbitare dai limiti di regionevolezza.
    Ne'  puo' dirsi irrazionale la scelta del legislatore di mantenere
 fermo, per  i  lavoratori  autonomi,  mancando  una  retribuzione  di
 riferimento,  un  criterio  di  perequazione  automatica  dei  minimi
 pensionistici ancorato alle variazioni del costo della vita, anziche'
 estendere quello introdotto per i  lavoratori  dipendenti,  che  tien
 conto della dinamica salariale".
    3.  -  Ritiene  il  pretore,  alla  luce di principi esposti nella
 decisione citata, che la questione posta  nel  presente  procedimento
 debba considerarsi "non fondata", soprattutto ove si tenga conto che,
 quale  che  sia  il  tetto minimo della pensione di vecchiaia erogata
 dalla Cassa nazionale  di  previdenza  ed  assistenza  architetti  ed
 ingegneri,  il  sussistere  eventuale  delle  condizioni previste per
 l'erogazione della pensione sociale non toglierebbe al ricorrente  il
 diritto   di  godere  di  tale  ultima  pensione,  secondo  l'importo
 legislativamente stabilito.
    4. - La questione, ancorche' infondata,  non  lo  e'  tuttavia  in
 maniera  manifesta,  tenuto  conto  che  con  la sentenza n. 243/1990
 codesta Corte ha dichiarato l'incostituzionalita' degli artt. 4  e  5
 della  legge  20  ottobre 1982, n. 773, nella parte in cui, rinviando
 all'art. 2, quinto comma, della stessa legge, essi prevedono  che  le
 pensioni  di  inabilita'  ed  invalidita' a favore dei geometri siano
 calcolate in proporzione ai redditi  professionali,  escludendo  ogni
 intervento di solidarieta' che valga a garantire il minimo vitale.
    Sembra  quindi emergere un diverso orientamento giurisprudenziale,
 che modifica il  precedente  principio  di  non  paragonabilita'  fra
 sistemi  previdenziali,  e che induce quindi il pretore a ritenere la
 questione infondata (dovendosi giudicare piu' coerenti ed equilibrate
 le considerazioni formulate nelle  precedenti  decisioni  di  codesta
 Corte),  ma  evidentemente  in maniera non manifesta (tenuto conto di
 quanto statuito con la citata sentenza del  1990,  e  considerato  il
 riferimento ad un indeterminato ("minimo vitale").
    5.  - Per dovere di completezza si osserva che la legge 11 ottobre
 1990, n. 290, sembra modificare il meccanismo di calcolo  del  minimo
 pensionistico  da  doversi  riconoscere  al Vinella, tenuto conto che
 l'art. 21, secondo comma, prevede che: "le pensioni maturate in  data
 anteriore  alla  data  di  entrata in vigore della presente legge, ad
 esclusione dei trattamenti previdenziali degli ultimi due commi della
 legge n. 6/1981, sono adeguati, se inferiori, alle corrispondenti  ed
 analoghe  pensioni  minime previste dagli artt. 2, 3 e 4 della citata
 legge n.  6/1981  come  modificata  dalla  presente  legge".  Ora,  a
 prescindere  dal  fatto  che  le  parti  non  sono  state in grado di
 precisare se, con questo nuovo meccanismo di calcolo sia superato  il
 valore  attuale  della pensione sociale (che costituisce il parametro
 di riferimento invocato dal ricorrente per sollevare  l'eccezione  di
 incostituzionalita'  de  qua), e' comunque indiscutibile che il terzo
 comma del citato art. 21 prevede che il ricalcolo e l'adeguamento  di
 cui  al precedente secondo comma abbiano effetto dal primo giorno del
 mese successivo alla data di entrata in vigore della legge stessa; ne
 consegue che le pretese attoree per il periodo anteriore  all'entrata
 in vigore della citata legge n. 290/1990, non potrebbero, in ipotesi,
 trovare   accoglimento,   se  non  a  seguito  di  una  pronuncia  di
 incostituzionalita' da parte di codesta Corte.