IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  932/1986
 proposto dal sig. D'Avack Alessandro rappresentato e difeso dall'avv.
 Giovanni  C. Sciacca ed elettivamente domiciliato presso lo stesso in
 Roma, via G.B.  Vico  n.  29,  contro  il  Ministero  della  pubblica
 istruzione  (attualmente  Ministero  dell'universita' e della ricerca
 scientifica e tecnologica),  in  persona  del  Ministro  pro-tempore,
 costituitosi  in  giudizio,  rappresentato  e  difeso dell'Avvocatura
 generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia in Roma, via  dei
 Portoghesi  n.  12,  per  l'annullamento  del  giudizio  negativo  di
 idoneita'  a  professore   associato   (seconda   tornata)   per   il
 raggruppamento   di   discipline   n.   10  (diritto  ecclesiastico),
 comunicato con nota 31 gennaio 1986, prot. n. 14/010-315, nonche'  di
 ogni  atto  comunque  connesso  e in particolare del provvedimento di
 approvazione degli atti della commissione giudicatrice;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  dell'amminstrazione
 intimata;
    Viste  le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito alla pubblica udienza del 21 novembre  1990  il  consigliere
 Giancarlo  Tavarnelli  e  uditi,  altresi',  l'avv.  Sciacca  per  il
 ricorrente  e  l'avv.  dello  Stato   Arena   per   l'amministrazione
 resistente;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue;
                               F A T T O
    L'avv.  Alessandro  D'Avack  ha  impugnato  il  giudizio  negativo
 espresso nei suoi confronti nella  seconda  tornata  dei  giudizi  di
 idoneita'  a professore associato per il raggruppamento di discipline
 n. 10 (diritto ecclesiastico).
    A  sostegno  del  ricorso  vengono  dedotti  i  seguenti   motivi:
 violazione  dell'art.  51  del d.P.R. n. 382/1980. Falsa applicazione
 dell'art. 41 del medesimo decreto. Difetto di istruttoria. Difetto  e
 contraddittorieta'    della   motivazione.   Manifesta   ingiustizia,
 contraddittorieta' dell'azione amministrativa, in quanto:
      1) la commissione avrebbe privilegiato  l'attivita'  scientifica
 rispetto a quella didattica;
      2) la commissione avrebbe richiesto e valutato nei candidati non
 la  "idoneita'  scientifica"  ad  assumere  le funzioni di professore
 associato (art. 51, quarto comma, del  d.P.R.  n.  382/1980)  ma  "la
 piena  maturita'  scientifica"  richiesta  per l'accesso al ruolo dei
 professori ordinari (art. 41, ibidem);
      3)  i  motivi  di  riprovazione della produzione scientifica del
 candidato sarebbero individuati in definitiva nella  mancanza  di  un
 organico  ed  adeguato  disegno monografico, mentre tale elemento non
 sarebbe richiesto per dimostrare l'idoneita' scientifica;
    Con atto successivo il ricorrente ha proposto il  seguento  motivo
 aggiunto:  il  d.m.  8 maggio 1984, con il quale e' stata nominata la
 commissione  giudicatrice   del   raggruppamento   n.   10,   sarebbe
 illegittimo  perche'  la  commissione stessa sarebbe stata formata in
 violazione dell'art. 13, primo comma, del d.P.R. n. 382/1980 e  succ.
 mod.,  avendo  l'amministrazione  inserito  nel  tabulato concernente
 l'elettorato passivo del predetto  raggruppamento  il  prof.  Luciano
 Guerzoni   (sorteggiato),  collocato  d'ufficio  in  aspettativa  per
 mandato parlamentare.
    Tale indebita inclusione avrebbe alterato il corretto  svolgimento
 delle successive elezioni, donde la illegittimita' della composizione
 dell'anzidetta    commissione,    che   travolgerebbe   il   giudizio
 successivamente espresso nei confronti del ricorrente.
    Con successiva  memoria  il  ricorrente  ha  ribadito  le  proprie
 argomentazioni e conclusioni.
    Si  e'  costituita  in  giudizio  l'avvocatura dello Stato, che ha
 controdedotto alle censure proposte con il ricorso  e  con  i  motivi
 aggiunti.
                             D I R I T T O
    Il  giudizio  ha  per  oggetto  il  giudizio  di  non  idoneita' a
 professore associato per il raggruppamento 10 (diritto ecclesiastico)
 formulato nella seconda tornata nei confronti del ricorrente.
    Ha carattere pregiudiziale il motivo aggiunto inteso a  contestare
 la  legittimita'  del  d.m.  8  maggio  1984,  con  il quale e' stata
 nominata la commissione giudicatrice.
    Sostiene il ricorrente che l'ammissione all'elettorato passivo del
 prof.  Luciano  Guerzoni,   allora   in   aspettativa   per   mandato
 parlamentare,  e'  avvenuta  in contrasto con l'art. 13, primo comma,
 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.
    In concreto l'indebita inclusione del prof. Guerzoni nel  tabulato
 ministeriale  del 28 febbraio 1984 relativo al cit. raggruppamento n.
 10 (diritto ecclesiastico) avrebbe alterato il  corretto  svolgimento
 delle  successive elezioni, donde l'illegittimita' della composizione
 della  commissione  giudicatrice,  che  travolgerebbe   il   giudizio
 successivamente espresso nei confronti del ricorrente.
    L'avvocatura  dello  Stato  oppone che la censura risulta superata
 dall'art. 1 della legge 5 agosto 1988, n. 341,  il  quale,  sotto  il
 titolo  "interpretazione  autentica",  ha disposto che: "I professori
 universitari collocati in aspettativa obbligatoria ai sensi dell'art.
 13 del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, conservano l'elettorato  attivo
 e  passivo  per  la  formazione  delle commissioni giudicatrici per i
 giudizi di idoneita'  a  professore  associato  e  delle  commissioni
 giudicatrici  dei  concorsi  per professore universitario o associato
 nei casi in cui le operazioni per  la  formazione  della  commissione
 siano iniziate prima dell'entrata in vigore dell'art. 5 della legge 9
 dicembre  1985,  n.  705,  anche  se  la conclusione delle operazioni
 anzidette   e   la   nomina   della   commissione   siano    avvenute
 successivamente".
    L'assunto  dell'avvocatura  va  condiviso  poiche' nella specie il
 procedimento di nomina, avendo preso avvio il 1› marzo 1984,  con  il
 sorteggio  dei  docenti eleggibili, rientra nella sfera di previsione
 dell'intervento di interpretazione autentica.
    Tuttavia il citato art.  1  della  legge  n.  341/1988  appare  al
 collegio  di  dubbia legittimita' costituzionale con riferimento agli
 artt. 3, 24, 102, 104 e 108 della Costituzione.
    La questione e' rilevante poiche', se la norma  venisse  caducata,
 la  censura,  alla  luce  del disposto dell'art. 13, primo comma, del
 d.P.R. n. 382/1980, risulterebbe fondata, come la  giurisprudenza  ha
 ripetutamente   ritenuto  (Consiglio  di  Stato,  sezione  sesta,  10
 febbraio 1988, n. 178; t.a.r. Lazio, sezione prima, 11 dicembre 1987,
 n. 1960; 9 febbraio 1987, n. 268).
    E' determinante,  in  tal  senso,  il  rilievo  che  l'aspettativa
 comporta  la  sospensione  di tutte le funzioni connesse all'ufficio,
 fatta  eccezione  per  quelle  espressamente  consentite  e  fra   le
 attivita' indicate nel cit. art. 13 non figura la partecipazione alle
 commissioni giudicatrici.
    D'altronde,  il  collocamento in aspettativa obbligatoria disposta
 dallo stesso art. 13 tende, con  chiara  evidenza,  a  consentire  al
 docente  il  pieno  adempimento  dei  compiti  relativi  all'incarico
 extrauniversitario e ad evitare che, per  l'onerosita'  dell'impegno,
 si     producano     riflessi    negativi    sul    buon    andamento
 dell'amministrazione universitaria.
    L'esclusione dell'elettorato passivo trova dunque  conferma  anche
 in  ragioni  di  intrinseca coerenza con la ratio legis, atteso che i
 lavori  delle   commissioni   giudicatrici   sono,   per   durata   e
 complessita', particolarmente gravosi.
    Significativo  e'  poi  che  l'art.  5  della  successiva  legge 9
 dicembre 1985, n. 705, abbia previsto che i  professori  universitari
 in aspettativa obbligatoria "mantengono il solo elettorato attivo..."
 cosi'  avvalorando  le  anzidette  considerazioni, dal momento che il
 termine "mantengono" si  riferisce,  come  e'  stato  rilevato  dalla
 giurisprudenza dianzi citata, non gia' alla disciplina precedente, ma
 alla posizione del docente, che pur collocato in aspettativa conserva
 il diritto di voto.
    Cosi'  accertata, con l'impiego delle consuete regole ermeneutiche
 ed  in  conformita'  ad  una  giurisprudenza  concorde,  la   portata
 dell'art.  13  del d.P.R. n. 382/1980, ne consegue che l'art. 1 della
 legge n. 341/1988 ha in realta' innovato, contrariamente a quanto  si
 evince dal titolo, la disciplina previgente.
    Di  cio'  era  consapevole  il  relatore,  senatore  De Rosa, che,
 nell'illustrare il disegno di legge, ebbe ad affermare che l'art.  13
 del  d.P.R.  n.  382/1980  "non prevede la conservazione da parte dei
 professori predetti dell'elettorato attivo e passivo  ai  fini  della
 formazione  delle  commissioni  di  concorso" (atti della commissione
 istruzione del Senato, seduta del 28 aprile 1988, pag. 26).
    Orbene, la Corte costituzionale di recente,  pur  riaffermando  in
 linea di principio l'ammissibilita' delle leggi interpretative, ne ha
 censurato  l'utilizzazione  ove  siano dirette non a dichiarare, ma a
 modificare  il  significato   della   norma   "interpretata"   (Corte
 costituzionale 4 aprile 1990, n. 155).
    La  stessa  distorsione della funzione tipica dell'interpretazione
 autentica si verifica, per quanto si e' osservato, nel caso in esame,
 donde il sospetto della violazine dell'art. 3 della Costituzione  per
 vizio di razionalita'.
    Si  aggiunga che nella fattispecie l'intervento del legislatore si
 inserisce in un contesto caratterizzato dal  fatto  che  "sono  stati
 presentati..  .. .. da parte di candidati non vincitori, ed in alcuni
 casi gia' accolti in primo grado,  numerosi  ricorsi  che  sostengono
 l'illegittimita'    dell'operato   del   Ministero   della   pubblica
 istruzione" (relazione al Senato del  disegno  di  legge  n.  795,  X
 legislatura).
    Sicche' e' evidente l'intento di interferire sui giudizi in corso,
 vincolandone  la definizione in senso contrario a quello prevedibile,
 tenuto conto dell'indirizzo del giudice di primo  grado,  confermato,
 prima  dell'approvazione  della  legge,  dal Consiglio di Stato (cit.
 sezione sesta, 10 febbraio 1988, n. 178).
    Da qui  nascono  ulteriori  ragioni  di  dubbio  sul  piano  della
 costituzionalita', con riguardo all'art. 24, che garantisce la tutela
 giurisdizionale  dei  diritti  e degli interessi legittimi e sancisce
 l'inviolabilita' del diritto di difesa; dell'art. 102, che riserva ai
 magistrati l'esercizio della funzione  giurisdizionale;  degli  artt.
 104, primo comma, e 108, secondo comma, che assicurano l'indipendenza
 della magistratura.
    E',  infine,  da rilevare che l'art. 1 della legge n. 341/1988 in-
 troduce  una  nuova  disciplina  in  materia  di   formazione   delle
 commissioni     giudicatrici    con    effetto    retroattivo,    pur
 indipendentemente   dalla    qualificazione    della    norma    come
 interpretazione  autentica, dovendosi ritenere che i provvedimenti di
 nomina avviati prima dell'entrata in vigore della  legge  9  dicembre
 1985, n. 705, fossero nel frattempo tutti pervenuti a conclusione.
    La   Corte   costituzionale   ha   ripetutamente   affermato   che
 l'irretroattivita', stabilita dalla Costituzione per le leggi penali,
 costituisce pur sempre  un  principio  generale  dell'ordinamento  al
 quale,  salva  la  presenza  di  una  oggettiva  giustificazione,  il
 legislatore  deve  attenersi  (da  ultimo  Corte  costituzionale   n.
 155/1990).
    Una  volta  esclusa  la  validita' dei presupposti e delle ragioni
 desumibili dai lavori preparatori, non  si  rinvengono  nella  specie
 elementi idonei a dare razionale fondamento alla retroattivita' della
 previsione,  tanto  piu'  che  essa  non  si  inquadra in un generale
 ripensamento del legislatore,  ma,  con  riferimento  ad  un  periodo
 pregresso e limitato, apporta una deroga alla disciplina vigente alla
 data della sua adozione e tuttora in vigore.
    Anche  sotto questo profilo sussiste il dubbio di contrasto con il
 principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Per le considerazioni esposte le delineate questioni vanno rimesse
 alla Corte costituzionale, restando sospeso il giudizio, con  riserva
 di   ogni   ulteriore   statuizione,   all'esito   della  risoluzione
 dell'incidente di costituzionalita'.