LA CORTE DI CASSAZIONE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza sul ricorso proposto da De
 Angelis Guerrino nato il 25 dicembre  1919,  avverso  l'ordinanza  23
 marzo 1990 del tribunale di Velletri;
    Sentita la relazione fatta dal consigliere G. Lumia;
    Lette  le  conclusioni  del  p.m.  con le quali chiede che, previa
 declaratoria di manifesta infondatezza della  proposta  questione  di
 illegittimita' costituzionale, la Corte rigetti il ricorso e condanni
 il ricorrente alle spese processuali;
                            P R E M E T T E
    Con  ordinanza  23  marzo 1990 il tribunale di Velletri, rigettava
 l'istanza avanzata da De  Angelis  Guerrino,  volta  ad  ottenere  un
 certificato  generale  del  casellario  senza  le  annotazioni  della
 dichiarazione  di  fallimento  e   della   successiva   sentenza   di
 riabilitazione.
    Ricorre  per  cassazione  il  difensore  del De Angelis, deducendo
 violazione ed erronea applicazione degli articoli 689  del  c.p.p.  e
 198  delle  disp.  att.,  e  in  subordine  sollevando  questione  di
 illegittimita' costituzionale del primo comma,
 lett. a) del predetto art. 198, per  contrasto  con  l'art.  3  della
 costituzione,  sul rilievo che, mentre il condannato riabilitato puo'
 ottenere  un  certificato  generale  senza  la  iscrizione  di   tali
 provvedimenti, la stessa possibilita' non e' riconosciuta al fallito,
 benche' riabilitato.
    Cio' posto,
                             O S S E R V A
    Dal  combinato  disposto  dell'art. 689 del c.p.p. e dell'art. 198
 delle disp. att. approvate con d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272, risulta
 che l'ufficio del casellario giudiziario puo' rilasciare, a richiesta
 dei privati, tre specie di certificati:
      1) il certificato penale  previsto  dall'art.  689  del  c.p.p.,
 contenente tutte le annotazioni iscritte nel casellario, ad eccezione
 di  quelle menzionate nel comma secondo dello stesso articolo. Tra le
 annotazioni escluse, per il richiamo  di  cui  alla  lett.  h),  sono
 compresi i provvedimenti indicati nell'art. 686, primo comma, lettere
 b  )  e c), ossia i provvedimenti in materia civile e amministrativa.
 Pertanto,  di  detti  provvedimenti  non  deve  farsi  menzione   nei
 certificati penali;
      2)  il  certificato  civile, previsto dall'art. 198 primo comma,
 lett.  b),  delle  disp.  att.,  nel  quale  sono  annotati  solo   i
 provvedimenti  indicati  nell'art.  686 primo comma, lettere b ) e c)
 del c.p.p., ossia, come si e' detto, quelli  riguardanti  la  materia
 civile e amministrativa;
      3) il certificato generale, previsto dall'art. 198, primo comma,
 lett.  a)  delle  disp.  att.,  nel  quale  sono  riportate  tutte le
 iscrizioni esistenti nel  casellario,  escluse  quelle  elencate  nel
 secondo  comma,  dalla lettera a), alla lettera g), dell'art. 689 del
 c.p.p.
    Tali  esclusioni  non  comprendono  i   provvedimenti   civili   e
 amministrativi,  dato  che  manca il richiamo alla lett. h) dell'art.
 689, che, rimandando  alle  lettere  b  )  e  c)  dell'art.  686,  fa
 riferimento appunto ai detti provvedimenti.
    Poiche'   l'odierno   ricorrente  aveva  chiesto  il  "certificato
 generale"  del  casellario,  correttamente  questo   gli   e'   stato
 rilasciato  con  le  annotazioni  della  sentenza  di fallimento e di
 quella con cui era stata pronunciata la riabilitazione civile.
    Tuttavia,  non  appare  a  questa  corte  manifestamente infondata
 l'eccezione  di  incostituzionalita',  sollevata  dalla  difesa   del
 ricorrente,  della  normativa sopra richiamata che, mentre prevede la
 non-menzione nel certificato generale rilasciato,  dal  casellario  a
 richiesta   dei  privati,  delle  sentenze  penali  delle  quali  sia
 intervenuta  riabilitazione,  e  della  stessa  sentenza   che   tale
 riabilitazione   abbia   pronunciato,   non   prevede  che  in  detto
 certificato non figurino  le  sentenze  dichiarative  di  fallimento,
 anche  se  sia  intervenuta  la  riabilitazione  civile,  nonche'  le
 sentenze medesime che tale riabilitazione abbiano pronunciato.
    In siffatta disparita' di trattamento e' possibile  ravvisare  una
 violazione  del  fondamentale principio di eguaglianza che ha trovato
 consacrazione nell'art. 3 della Costituzione, e che  risulta  violato
 quando  situazione  sostanzialmente  analoghe ricevono un trattamento
 diverso.
    Ora, di tutta evidenza appaiono  le  analogie  che  legano  i  due
 istituti  della riabilitazione civile e di quella penale. Comuni sono
 infatti il presupposto (la buona condotta protratta  per  un  congruo
 periodo  di  tempo che lasci presumere un ravvedimento del soggetto),
 la funzione (la rimozione delle incapacita' nascenti  rispettivamente
 dalla dichiarazione di fallimento e dalla condanna penale) e la ratio
 (sottrarre  il soggetto, che si sia ravveduto, a quegli effetti della
 sua pregressa condotta che  possono  pregiudicarne  il  reinserimento
 sociale).
    Di   contro,   la   differenza  tra  i  due  istituti  non  paiono
 giustificare, su un piano di ragionevolezza, il  diverso  trattamento
 agli  stessi  riservato  dalla legge per quanto attiene alla menzione
 degli atti che li riguardano nei certificati del casellario.
    Attesa la rilevanza della  questione  ai  fini  del  decidere  (il
 ricorso  non  puo,'  infatti, essere definito indipendentemente dalla
 sua  soluzione),  gli  atti  devono  essere  trasmessi   alla   Corte
 costituzionale, previa sospensione del giudizio.