IL TRIBUNALE Riunito in camera di consiglio per pronunziare sentenza nel procedimento penale n. 5169/1989 nei confronti di Panizzi Gabriele ed altri; O S S E R V A Gli imputati sono stati chiamati a rispondere, quali componenti della giunta regionale del Lazio, di due distinti reati di peculato per distrazione - ai sensi del previgente art. 314 del c.p. - per avere, con varie delibere, destinato fondi non alla creazione delle strutture pubbliche di assistenza psichiatrica previste dalle leggi 13 maggio 1978, n. 180 e 23 dicembre 1978, n. 833, bensi' al pagamento delle diarie di degenza per i ricoverati in 6 istituti psichiatrici privati (reato al capo A) e in 16 case di cura private "esclusivamente psichiatriche" (tali l'accusa considera, in conformita' al giudizio espresso dai periti, le case di cura "neuropsichiatriche" indicate al capo b). La condotta e' stata ritenuta delittuosa perche' in contrasto con il disposto degli art. 64 secondo comma della legge 833/1978 e 3 del d.-l. 30 aprile 1981, n. 168 convertito in legge 27 giugno 1981, n. 331, in forza dei quali le convenzioni tra enti pubblici ed istituti di cura privati svolgenti esclusivamente attivita' psichiatrica, dovevano improrogabilmente risolversi entro il 31 dicembre 1981. Il Tribunale, decidendo su istanza di proscioglimento immediato ex art. 152 del c.p.p. del 1930, ha ritenuto, con ordinanza del 16 giugno 1990, che la fattispecie astratta del peculato per distrazione e' confluita in quella dell'art. 323 del c.p. nella attuale formulazione. E' indispensabile, pertanto, accertare se le citate delibere abbiano costituito o meno un abuso e se le convenzioni con gli istituti psichiatrici privati e con le case di cura fossero vietate, ai sensi della normativa statale citata e di cui ai capi di imputazione, o fossero invece consentite, come sostiene la difesa, in forza delle leggi della regione Lazio, 3 febbraio 1982, n. 7 e 14 luglio 1983, n. 49. Invero l'art. 1 della citata legge regionale 7/1982 stabilisce che i 6 istituti psichiatrici privati, in essa specificamente elencati (cioe' quelli indicati al capo A), continuano ad assicurare l'assistenza ai ricoverati presenti alla data del 31 dicembre 1981, alle condizioni in atto e fino alla approvazione del progetto regionale per i servizi di salute mentale. A sua volta la legge regionale n. 49/1983, all'art. 14 stabilisce un graduale superamento non soltanto per gli ospedali psichiatrici, ma anche per i 6 gia' menzionati istituti psichiatrici privati, per i quali il penultimo comma dello stesso articolo sancisce l'applicazione delle norme dettate per gli ospedali psichiatrici. In particolare tale legge con l'art. 5, secondo comma lettera a) affida al progetto previsto dal precedente comma un piano di "utilizzazione di strutture private convenzionate di cui alla deliberazione della Giunta regionale n. 931, del 24 febbraio 1981, che non svolgano esclusivamente attivita' psichiatrica ai sensi dell'art. 64 della legge 23 dicembre 1978 n. 833"; all'art. 11, secondo comma consente ricoveri volontari nelle strutture private convenzionate di cui all'art. 5, secondo comma lettera a); all'art. 12 stabilisce che "l'utilizzazione delle strutture private convenzionate e' effettuata con le modalita' e nei termini previsti nel progetto degli interventi di cui al precedente art. 5" e che "fino alla approvazione del predetto progetto restano ferme le disposizioni impartite in materia dalla Regione". Le leggi della regione Lazio 3 febbraio 1982, n. 7 e 14 luglio 1983, n. 49 sono state interpretate ed applicate nella prassi amministrativa, e, quindi, nel "diritto vivente", come vera e propria deroga alla legge nazionale tanto che, nel territorio della regione, istituti privati, con certa o discussa struttura manicomiale, sono sopravvissuti, in base a queste leggi, non soltanto dopo il 31 dicembre 1981, ma fino ai nostri giorni. Anche secondo l'interpretazione datane dalla difesa degli imputati, la legge regionale 49/1983 indurrebbe a ritenere che e' consentita, fino all'approvazione del progetto, la prosecuzione delle convenzioni sia con i 6 istituti psichiatrici privati, sia con le 16 case di cura neuropsichiatriche private indicate nelle imputazioni, poiche' esse sono nominativamente elencate nella delibera della giunta regionale n. 931/1981, richiamata nella legge 49/83. Parimenti, l'art. 1 della legge regionale n. 7/1982 consentirebbe la prosecuzione delle convenzioni con i 6 istituti. Se la predetta interpretazione e' corretta, le leggi regionali n. 7 del 1982 e n. 49 del 1983 si pongono in pieno contrasto con la normativa statale. Essa, invero, con il combinato disposto degli articoli 64 secondo comma della legge 833/1978 e 3 del d.-l. 168/1981, convertito in legge n. 331/1981, disponeva la risoluzione delle convenzioni con istituti di cura privati entro la data non prorogabile del 31 dicembre 1981. Si pone quindi, di ufficio, il problema della legittimita' costituzionale della predetta normativa regionale, per superamento del limite dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato. La questione appare rilevante, anche se una eventuale dichiarazione di illegittimita' della normativa regionale da parte della Corte costituzionale non potrebbe determinare una condanna degli imputati, ai sensi dell'art. 2, primo comma del c.p. e 25 del secondo comma della Costituzione. In proposito la Corte costituzionale, con sentenza n. 148 del 1983, ha osservato che se si negasse rilevanza alle questioni di costituzionalita' di norme penali di favore si impedirebbe il sindacato della Corte su norme ritenute dal giudice di dubbia legittimita' costituzionale, con la conseguenza del loro irrimediabile permanere nell'ordinamento giuridico, anche se realmente in contrasto con la Costituzione. Ha osservato, ancora, che da un lato l'eventuale accoglimento dell'impugnativa verrebbe ad incidere sulle formule di proscioglimento o, quantomeno, sui dispositivi delle sentenze penali, i quali dovrebbero imperniarsi, per effetto della pronuncia emessa dalla Corte, sul primo comma dell'art. 2 del c.p.; dall'altro che una sentenza interpretativa di rigetto potrebbe incidere sugli esiti del giudizio penale pendente. Le predette considerazioni valgono anche nella fattispecie concreta poiche' le leggi regionali in esame potrebbero essere ritenute derogative della disciplina statale tanto da ampliare la sfera di liceita' nella attivita' dei pubblici ufficiali. Anche nel caso di specie, in conclusione, l'esito del giudizio della Corte appare rilevante perche' idoneo a influire sulla decisione del processo, pur se unitamente al giudizio sulla sussistenza di tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati in esame. La questione di legittimita' costituzionale appare anche non manifestamente infondata poiche' le norme statali, rispetto alle quali quelle regionali si sono poste in contrasto, contengono principi fondamentali. Le disposizioni della legge 23 dicembre 1978, n. 833 sono state ripetutamente qualificate dalla Corte costituzionale come principi fondamentali della riforma sanitaria (sentenze n. 245/1984, n. 107/1987, n. 274/1988) e costituenti, in quanto tali, limite alla autonomia legislativa delle regioni ai sensi dell'art. 117 della Costituzione. Tale natura non puo' certamente essere negata agli artt. 33, 34, 35, 64 della legge 833 che recepiscono integralmente le disposizioni della legge 13 maggio 1978, n. 180. La legge 180, come e' noto, volle affermare, con decisione, il definitivo abbandono dell'approccio "custodiale" della malattia mentale, contenuto nella legge 14 febbraio 1904, n. 36, stabilendo che il trattamento sanitario, anche se obbligatorio, fosse praticato con degenze in ospedali generali e soltanto in casi eccezionali (artt. 1, 2, 6 ripresi dalla legge n. 833, negli artt. 34, 35, 36). In attuazione di tale riforma le due leggi stabilirono: a) per il futuro, il definitivo abbandono della struttura manicomiale (art. 64, terzo comma della legge n. 833); b) il proseguimento, con particolari garanzie, dei ricoveri in atto al 16 maggio 1978 nei soli manicomi pubblici (art. 8 della legge n. 180); c) possibilita' di "rientro", nei soli manicomi pubblici, per i ricoverati prima del 16 maggio 1978, fino al 31 dicembre 1980 (art. 64 primo comma della legge n. 833) con proroga al 31 dicembre 1981 (d.-l. 30 aprile 1981, n. 168 e legge 27 giugno 1981, n. 331); d) obbligo di risolvere le convenzioni con istituti privati entro il 31 dicembre 1980 (art. 64 terzo comma della legge n. 833) con proroga al 31 dicembre 1981 (legge n. 331/1981); Anche tali norme, ancorche' transitorie, sono da ritenere principi fondamentali in quanto evidentemente strumentali alla concreta realizzazione della riforma (Corte costituzionale n. 274/1988). In particolare, la risoluzione delle convenzioni costituiva l'unico strumento capace di indurre i privati ad adeguarsi alla nuova normativa, e a trasformare i loro manicomi in strutture alternative; nel contempo si garantiva che ingenti risorse finanziarie non fossero impegnate per il mantenimento di strutture superate. Il legislatore statale si e' fatto carico di stabilire, con la disciplina transitoria, che mentre per i manicomi pubblici doveva attuarsi un superamento "graduale", ma senza termini, per contro per gli istituti privati le convenzioni dovevano risolversi entro il 31 dicembre 1981. Lo Stato, volendo garantire la scomparsa delle vechie strutture psichiatriche e neuropsichiatriche, ha dettato una disciplina differenziata per il settore pubblico e per il settore privato, da un lato assicurando per i manicomi pubblici un blocco dei ricoveri e un "graduale" superamento, dall'altro imponendo, entro un certo termine, la inutilizzabilita' delle strutture private analoghe a quelle pubbliche da superare, ben sapendo che il mantenimento di tali strutture private non soltanto era contrario allo spirito della riforma, ma avrebbe finito per compromettere l'attuazione della riforma stessa, cioe' l'eliminazione delle vecchie strutture di assistenza e la realizzazione di quelle di nuova concezione. La suddetta interpretazione appare confermata dalla lettera delle norme. Invero il legislatore statale e' stato tanto consapevole della necessita' di risolvere le convenzioni con gli istituti di cura privati, al fine di far decollare la riforma, da fissare un termine espressamente definito "improrogabile" proprio per imporre un limite insuperabile per il legislatore regionale. Quando, poi, il legislatore statale ha ritenuto indispensabile prolungare il detto termine, e' intervenuto direttamente, con l'art. 3 del d.-l. n. 168/1981. Inoltre, pur consentendo una ulteriore proroga, da un lato l'ha riservata allo Stato, su richiesta della regione "corredata dal programma dei presidi e dei servizi di assistenza psichiatrica e di salute mentale con indicazione dei relativi tempi di realizzazione e di attivazione", e dall'altro ha stabilito che tale proroga non poteva "in ogni caso" superare il 31 dicembre 1981. Gli art. 64 della legge n. 833/1978 e 3 d.-l. 168/1981 hanno, quindi, natura di norme fondamentali, in quanto strumenti necessari per l'attuazione della riforma, e come tali idonee a costituire un limite alla competenza regionale concorrente.