Ricorso per conflitto di attribuzione della regione Marche, in persona del presidente della giunta regionale Rodolfo Giampaoli, autorizzato con deliberazione della giunta regionale n. 1419 del 25 marzo 1991, rappresentato e difeso dall'avv. prof. Valerio Onida ed elettivamente domiciliato presso l'avv. Gualtiero Rueca in Roma, largo della Gancia, 1, come da delega a margine del presente atto, contro il Presidente del Consiglio dei Ministri pro-tempore in relazione al telegramma del commissario del Governo presso la regione Marche in data 16 marzo 1991, prot. n. 262/204/4AB.91, nonche' alla deliberazione del Governo ivi comunicata, relativi al rinvio a nuovo esame del consiglio regionale della legge regionale concernente "Trattamento di fine servizio del personale degli istituti autonomi per le case popolari (IACP)", riapprovata senza modificazioni dal consiglio regionale nella seduta del 26 febbraio 1991, n. 16, con la maggioranza assoluta ai sensi dell'art. 127 della costituzione. F A T T O Nella seduta del 6 febbraio 1990, n. 210, il consiglio regionale delle Marche approvava una legge regionale concernente "modifiche ed integrazioni all'art. 69 della l.r. 4 novembre 1988, n. 42, concernente il trattamento previdenziale e di quiescenza del personale della regione e degli enti pubblici non economici da esso dipendenti". La legge constava di due articoli, il primo relativo al trattamento previdenziale e di fine servizio del personale di vari enti dipendenti dalla regione; l'art. 2 enunciava una particolare previsione relativa ai dipendenti degli istituti autonomi case popolari in servizio alla data del 31 dicembre 1988 (doc. 1). Con telegramma 10 marzo 1990, prot. n. 153/75/4AB.90 (doc. 2) il commissario del Governo comunicava che il Governo aveva rinviato la legge a nuovo esame, ritenendo le norme degli artt. 1 e 2, relative al personale degli I.A.C.P., in contrasto "con generali principi di uguaglianza et buona amministrazione cui artt. 3 et 97 della Costituzione". Nella seduta del 21 marzo 1990, n. 226, il consiglio regionale approvava una legge concernente "Trattamento di fine servizio del personale degli Istituti autonomi per le case popolari", il cui articolo unico riprendeva, con modificazioni, il disposto dell'art. 2 della legge precedentemente enunciata (doc. 3). Con telegramma in data 9 aprile 1990, prot. n. 284/237/4AB.90 (doc. 4), il commissario del Governo comunicava che il Governo, premesso che la nuova legge conteneva disposizioni nuove rispetto a quelle della legge rinviata, aveva ritenuto che anch'essa si ponesse "in contrasto con generali principi uguaglianza et buona amministrazione cui artt. 3 et 97 della Costituzione", e pertanto l'aveva rinviata al consiglio regionale per nuovo esame. Nella seduta del 26 febbraio 1991, n. 16, il consiglio regionale - nel frattempo rieletto nella consultazione elettorale del 6 maggio 1990 - riapprovava la legge rinviata, nell'identico testo, senza modificazioni, con la maggioranza assoluta prevista ai sensi dell'art. 127 della Costituzione (doc. 5). Con telegramma in data 16 marzo 1991, prot. n. 262/204/4AB.91 (doc. 6), il commissario del Governo comunicava che il Governo aveva rinviato la legge a nuovo esame del consiglio regionale, adducendo lo stesso rilievo che gia' era stato mosso nel precedente rinvio del 9 aprile 1990. Il nuovo telegramma non faceva alcun cenno ne' al precedente rinvio ne' alla circostanza che la legge rinviata fosse identica a quella deliberata il 21 marzo 1990 e anche allora inviata, e fosse stata riapprovata con la maggioranza assoluta. Il rinvio reiterato e' pero' illegittimo e lesivo dell'autonomia della regione ricorrente, per le seguenti ragioni di D I R I T T O Da tempo questa Corte ha affermato, con costante giurisprudenza, che il Governo, di fronte ad una legge regionale rinviata e riapprovata a maggioranza assoluta dal consiglio regionale, non puo' reiterare il rinvio tanto meno per gli stessi motivi del precedente rinvio) ma ha la sola alternativa fra il consentire l'ulteriore corso della legge e il proporre, nei termini di cui all'art. 127, comma quarto, della Costituzione, la questione di legittimita' davanti a questa Corte, o la questione di merito per contrasto di interessi davanti al Parlamento (sentt. nn. 153/1976, 40/1977, 158 e 973 del 1988, 79 e 80 del 1989). Le varie, successive manifestazioni di questa giurisprudenza hanno via via puntualizzato, anche in modi differenziati, il problema dei criteri con i quali si deve valutare se la legge riapprovata dal consiglio regionale sia una legge "nuova", e come tale suscettibile di essere rinviata dal Governo, oppure non nuova, e come tale suscettibile solo di essere impugnata; e hanno precisato che la riapprovazione della legge da parte del Consiglio dopo il rinvio reiterato preclude la possibilita' di far valere il vizio del secondo rinvio (sentenze nn. 158/1988, 80/1989; e che una nuova approvazione della legge rinviata a maggioranza semplice anziche' assoluta, non e' idonea a porre in essere la riapprovazione ai sensi dell'art. 127 della Costituzione, e a rendere la legge promulgabile in mancanza dell'impugnazione da parte del Governo (sentenza n. 70/1989). Qualsiasi posizione si voglia assumere su questi ulteriori problemi (nonche' sulle critiche che taluni passaggi della giurisprudenza della Corte hanno suscitato in dottrina) una cosa e' certa e pacifica: la riapprovazione, a maggioranza assoluta, della legge nel testo identico a quello rinviato, da' luogo per il Governo alla sola alternativa fra il consentire l'ulteriore corso della legge e il sollevare la questione di legittimita' o di merito. Una reiterazione del rinvio, in questo caso, e' del tutto preclusa. Nella specie proprio questo si e' verificato: e l'atto governativo di rinvio non puo' dunque essere riconosciuto illegittimo. Poiche' e' ben difficile immaginare che ci si trovi di fronte ad una mera svista del Governo, e poiche' sull'identita' testuale della legge due volte rinviata, nonche' sulla maggioranza assoluta con cui il voto di riapprovazione e' intervenuto, non sussistono dubbi possibili, bisogna ritenere che la reiterazione del rinvio sia stata ritenuta possibile, nella convinzione di Governo, in base alla circostanza che la riapprovazione e' stata deliberata dal consiglio regionale dopo la sua rielezione, mentre la precedente approvazione della legge era stata data dal consiglio della composizione precedente alle elezioni del maggio 1990. Se e' cosi', e' pero' evidente che tale circostanza non basta a modificare i presupposti per l'applicazione delle regole di cui all'art. 127 della Costituzione. Il rinvio della legge al consiglio regionale, e la successiva impugnazione di essa davanti alla Corte costituzionale, si configurano come "fasi" di un procedimento di controllo e di un successivo procedimento giurisdizionale in cui si articola il rapporto "esterno" fra Stato e regione. La regione viene in considerazione come tale, indipendentemente dalla successione nel tempo dei titolari delle relative cariche. Il consiglio regionale, chiamato a riesaminare la legge e abilitato a riapprovarla a maggioranza assoluta, e' l'organo assembleare della regione in quanto tale, nella sua continuita' di esistenza. Non varrebbe certo richiamare la vieta teoria del Parlamento che diverrebbe organo "nuovo" ad ogni elezione, cosi' che ogni Parlamento dovrebbe riprendere da capo i procedimenti legislativi non conclusi nella precedente legislatura. A parte il fatto che nello stesso Parlamento nazionale questo principio e' ormai abbandonato, poiche' i regolamenti prevedono viceversa la possibilita' - e nel caso dei progetti di legge di inziativa popolare l'obbligo - di riprendere i procedimenti legislativi interrotti per la fine della precedente legislatura (art. 107 reg. Camera; art. 81 e art. 74, secondo comma, reg. Senato), la cosidetta "discontinuita'" dell'organo parlamentare puo' riguardare eventualmente, la capacita' rappresentativa dell'assemblea rispetto al corpo elettorale, non la identita' dell'organo nei rapporti con gli altri organi e poteri. A maggior ragione, il consiglio regionale (il quale comunque, come questa Corte ha piu' volte ritenuto, non e' interamente assimilabile alle Camere parlamentari), e' organo della regione e ne esprime l'unica volonta', indipendentemente dalla sua concreta composizione. Cio' che l'art. 127 della Costituzione ha voluto e' che il Governo possa bloccare col rinvio per una sola volta il corso delle leggi regionali, e che tale blocco possa essere superato con un voto dell'assemblea dato a maggioranza assoluta. La "doppia conforme" e' richiesta non in funzione di una conferma della capacita' rappresentativa dell'assemblea, ma esclusivamente come condizione per far prevalere la volonta' della regione su quella, espressa dal rinvio, del Governo, salvo ricorso all'arbitrato costituzionale della Corte o del Parlamento. Rispetto a queste esigenze resta del tutto estraneo l'eventuale mutamento dei titolari dell'organo, anche a seguito di nuova elezione. Se cosi' non fosse, d'altronde, si verificherebbe l'assurda situazione per cui, nell'imminenza della scadenza del consiglio, il Governo potrebbe sempre bloccare definitivamente il corpo delle leggi regionali, di cui sarebbe impedita la riapprovazione ai sensi dell'art. 127 della Costituzione: trasformando cosi' in veto assoluto il "veto sospensivo" che si esprime nel rinvio con richiesta di riesame, previsto dalla Costituzione.