L'assemblea  regionale  siciliana,  nella  seduta  n. 370 del 1º-2
 maggio 1991, ha approvato il disegno di  legge  n.  338,  dal  titolo
 "Nuove  disposizioni  per  la  disciplina  dello  stato  giuridico ed
 economico del  personale  dell'amministrazione  regionale  e  per  la
 contrattazione   decentrata   a   livello  regionale"  che  e'  stato
 comunicato a questo commissariato dello Stato, ai sensi dell'art.  28
 dello statuto speciale, il successivo 6 maggio 1991.
    Con  il  disegno di legge in esame la regione siciliana disciplina
 lo stato giuridico ed economico del proprio personale per uniformarlo
 ai principi desumibili dalla legge 29  marzo  1983,  n.  93  -  legge
 quadro  sul  pubblico  impiego  -  in  ossequio al disposto di cui al
 secondo comma dell'art. 1 della medesima legge.
    La normativa regionale in questione, in particolare,  distinguendo
 tra  le materie da regolare con legge e quelle da regolare in base ad
 accordi, demanda (all'art. 5, decimo comma) il recepimento di  questi
 ultimi  ad  un  decreto  del  presidente della regione, delegificando
 cosi' la regolamentazione degli aspetti  inerenti  all'organizzazione
 del lavoro ed al trattamento economico di tutto il personale.
    Riguardo  alla  ammissibilita' della procedura teste' indicata per
 il recepimento degli accordi sindacali,  del  resto,  codesta  ecc.ma
 Corte ha gia' avuto modo di pronunciarsi, in senso favorevole, con la
 sentenza n. 102/1989.
    Uno  degli effetti di tale delegificazione, tuttavia, e' quello di
 sottrarre al  vaglio  dell'organo  legislativo  la  disciplina  delle
 materie  oggetto di contrattazione riguardanti le fasce del personale
 regionale che svolge funzioni dirigenziali. E' doveroso precisare, in
 proposito,  che,  in  base  alla  vigente  normativa,  la   dirigenza
 regionale  si  articola su tre distinti livelli: direttore regionale,
 dirigente  superiore  e  dirigente,   laddove   pero'   la   funzione
 dirigenziale  propriamente  detta  viene  riconosciuta  solamente  al
 personale che si trova  nei  primi  due  livelli  citati,  mentre  il
 dirigente,  in realta', corrisponde ai profili professionali della ex
 carriera direttiva degli impiegati civili dello Stato.
    Vero e' che  la  regione  siciliana  non  ha  ancora  emanato  una
 apposita,   organica   disciplina   di   carattere   generale   sulle
 attribuzioni e responsabilita' connesse all'esercizio della  funzione
 dirigenziale;  tuttavia,  dall'esame  complessivo  delle disposizioni
 regionali nella materia del personale ed in particolare dall'art.  12
 della  l.r.  23  marzo 1971, n. 7 (cosi' come modificato dall'art. 11
 della l.r. n. 145/1980) e dall'art. 9 della legge 29 ottobre 1985, n.
 41, si ricava che al direttore regionale ed  al  dirigente  superiore
 sono riconosciute funzioni riconducibili, anche se non completamente,
 a     quelle    previste    per    le    corrispondenti    qualifiche
 dell'amministrazione statale dal d.P.R. n. 748 del 30 giugno 1972.
    Ora,  le  disposizioni  concernenti  il  regime  del   trattamento
 giuridico  ed  economico  dei  dirigenti  dello  Stato, contenute nel
 decreto legislativo delegato, teste' citato, sono  state  oggetto  di
 attenzione  da  parte  dell'art.  26  della legge quadro sul pubblico
 impiego, che le ha espressamente fatte salve,  "sino  all'entrata  in
 vigore  della  legge di riforma della dirigenza", testimoniando cosi'
 della  volonta'  del legislatore nazionale di riservare alla legge la
 disciplina normativa per la categoria di funzionari in questione.
    Del resto, l'opportunita'  di  distinguere  i  procedimenti  ed  i
 livelli  di  determinazione degli istituti normativi ed economici del
 personale dirigenziale, rispetto a quello ricompreso nelle qualifiche
 funzionali, deriva dalla stessa natura della  funzione  dirigenziale,
 che  e'  rivolta  a  tradurre  in  azione amministrativa direttive ed
 indirizzi politici provenienti dal Governo.
    In virtu' delle suesposte considerazioni, non puo' farsi a meno di
 ritenere che la riserva di legge, ricavabile dal  sopra  citato  art.
 26,  costituisce  un  principio cui la regione siciliana e' tenuta ad
 uniformarsi - a norma dell'art. 1,  secondo  comma,  della  legge  n.
 93/1983  -  anche  in considerazione di quanto disposto dall'art. 14,
 lett. q), dello statuto speciale.
    In base a quest'ultima norma, infatti, ai dipendenti regionali non
 puo' essere riservato un trattamento giuridico ed economico inferiore
 rispetto a quello del corrispondente personale dello Stato.
    Risulta, pertanto, inevitabile rilevare che, se  per  i  dirigenti
 dello  Stato viene previsto lo strumento legislativo per disciplinare
 lo stato giuridico ed il trattamento economico, la stessa regola deve
 valere per le corrispondenti qualifiche del personale  della  regione
 siciliana.
    L'aver  ricompreso  tutte  le  qualifiche  dirigenziali - comprese
 quelle di direttore regionale e  di  dirigente  superiore  -  tra  le
 categorie di soggetti destinatari degli accordi sindacali concernenti
 la  regolamentazione  dello status economico e dei carichi di lavoro,
 in quanto non conforme  ai  principi  desumibili  dalla  legislazione
 nazionale  nella materia, cosi' come richiamati dal piu' volte citato
 art. 26 della legge n.  93/1983,  e'  percio'  in  contrasto  con  la
 potesta'  legislativa  regionale nella materia, cosi' come delimitata
 dallo statuto speciale.
    D'altra parte, vale la pena di richiamare  che  la  subordinazione
 degli  aspetti  qui  considerati alla disciplina con legge continua a
 costituire  uno  degli  aspetti  piu'  rilevanti  pure  del  progetto
 nazionale,  relativo  al  riordinamento  della  dirigenza di tutte le
 pubbliche amministrazioni  (compresa  quella  regionale)  ed  ai  cui
 principi,  per  espressa  disposizione,  dovranno  attenersi anche le
 regioni ad autonomia speciale.
    Neanche un funzionario dirigenziale regionale, da  un  anno  ormai
 messo  in..  ..  ... pensione perpetura, un "buonsignore" nelle opere
 specie  nell'adempimento  del  proprio  dovere,  avrebbe  sicuramente
 condiviso  il  provvedimento  dell'a.r.s.  ora censurato. E non tanto
 perche' fosse uno "snob" ovvero un "altero" (fu umile nell'obbedienza
 anche verso i suoi superiori politici), o per dispregio nei confronti
 dei sindacati di categoria, cui il mondo  del  lavoro  d'Italia  deve
 complessivamente  molto,  e  che egli rispettava; quanto, invece e di
 piu',  per  sentirsi  piu'  "libero"  nell'assolvimento  dei  compiti
 derivantigli   dalla  funzione  ricoperta,  essendo,  i  dirigenziali
 "governati" per legge e non gia' per contrattazione sindacale  e  del
 Governo  (cosi'  come avviene per i dirigenziali dello Stato, secondo
 la legge quadro nazionale). Il dirigenziale,  che  ha,  nel  pubblico
 impiego,  una  sua  ben  chiara  e precisa connotazione giuridica (di
 vertice, apicale) ed un suo pecualiare stato giuridico-economico,  e'
 al  servizio  della legge (della Nazione, come recita la costituzione
 per  tutti  i  dipendenti  della  p.a.  peraltro)  piu'  che a quello
 (mediato) dei vertici politici della p.a. Ed e' percio' giusto, equo,
 razionale (ed etico) che il suo status venga regolato per legge come,
 del resto, lascia ben intendere anche lo statuto siciliano (art.  14,
 riserva  di legge anche se relativa). L'impugnativa presente, dunque,
 e' avanzata (non sembri scandaloso ne' piaggeria) pure come  atto  di
 doveroso  omaggio a questo funzionario-simbolo, trucidato sicuramente
 dalla "mafia" per  quello  che  con  onesta',  con  rettitudine,  con
 inflessibilita',    con   senso   delle   istituzioni   aveva   fatto
 nell'interesse della res pubblica come dirigente regionale.
    "Prima che il gallo canti" di Cesare Pavese  e  "Ultimo  venne  il
 corvo"  di  Italo Calvino ci danno modo di introdurre un ulteriore di
 gravame, in rito; l'ultimo.
    E cio' invertendo quello che e' il normale ordine  di  esposizione
 nei ricorsi.
    Si  solleva,  in  rito,  l'eccezione  di tardiva "comunicazione" e
 percio' di tardivita' dell'impugnato d.d.l.
    Tale comunicazione e' difatti avvenuta il 6 maggio 1991  (dopo  le
 14),  che  e'  il quarto (4º) giorno dall'approvazzione del d.d.l. da
 parte dell'a.r.s.; addirittura il quinto giorno se si fa  riferimento
 al  verbale  dell'ultima  seduta  dell'assemblea  regionale  (la 370a
 seduta), che porta la data del 1º maggio, anche se la  stessa  si  e'
 chiusa  alle  ore  8,45  del  2  successivo,  dopo  oltre  23  ore di
 ininterrotti lavori assembleari.
    Si precisa peraltro che il d.d.l. in questione e' stato  approvato
 nell'ultima parte dell'ultima seduta legislativa, nelle prime ore del
 2 maggio. Si precisa altresi' che il giorno precedente a quello della
 comunicazione era festivo (domenica 5 maggio).
    Gia'  con  altro  ricorso  commissariale  (notificato il 12 aprile
 1990) lo scrivente aveva sollevato dinnanzi a codesta  ecc.ma  Corte,
 identica  eccezione  procedurale e codesta ecc.ma Corte, con sentenza
 n. 365 dell'11-24 luglio 1990, l'ha respinta, insegnando che il  modo
 di  procedere  censurato,  e'  ora denunciato, "altra conseguenza non
 produce se non che il termine di cinque giorni  dato  al  commissario
 dello  Stato  per  la  impugnazione  della  legge  regionale  decorre
 dall'ultimo giorno dell'effettivo invio della legge stessa".
    Cio' vuol dire che i giorni in questione (art.  29/2º)  potrebbero
 essere  anche  "nove"; oppure di piu' nel caso di piu' giorni festivi
 consecutivi (e per quello che si dira' anche piu' appresso).
    In concreto, difatti, seguendo l'impostazion gia' data da  codesta
 ecc.ma Corte, potrebbe verificarsi quanto segue, con le conseguenze..
 .. .... conseguenti:
      1)  la regione "comunica" il d.d.l. il quarto giorno, essendo il
 terzo festivo;
      2)  il  presidente  della  regione,  avvalendosi  del   disposto
 dell'art. 29/2º dello statuto, promulga e pubblica il d.d.l. nel nono
 giorno,  non  avendo  ricevuto  "entro  gli  otto giorni" (e percio'"
 scorsi otto giorni") comunicazione di impugnativa;
      3) il commissariato dello Stato, nel  suo  quinto  giorno  utile
 (che,  secondo  l'interpretazione di codesta ecc.ma Corte, puo' anche
 benissimo essere il nono), impugna il d.d.l. e notifica il ricorso (a
 legge gia' pubblicata). E, sul  punto,  si  veda,  inoltre,  qui'  di
 seguito.
    Cio'  con  tutto  il..  ..  ....  guazzabuglio  che  ne deriva. E'
 possibile,  e'  corretto  cio'?  Contro  tale  tesi  si  e'  espressa
 autorevole dottrina e l'avvocatura generale dello Stato perche' si va
 (si  andrebbe) contro la lettera ed il chiaro volere del legislatore,
 su cui peraltro non mette conto qui ulteriormente approfondire.
    Lo  scrivente  prega  pertanto,  codesta  ecc.ma  Corte  di  voler
 ritornare,  per  un  maggiore  approfondimento,  sulla  questione dal
 momento che, altrimenti, non si  potrebbe  attribuire  una  valida  e
 costruttiva  interpretazione  e  senso  logico  alla  norma contenuta
 nell'articolo 29/2º dello statuto  regionale  siciliano,  laddove  e'
 esplicitamente  precisato  che  "decorsi  otto  giorni  senza  che al
 presidente regionale sia pervenuta copia della impugnazione  ovvero..
 ..  ...." (cio' anche in relazione a quanto disposto dall'art.  13/2º
 dello statuto).
    Ora, gli otto giorni, il computo - meglio - degli otto giorni, cui
 fa riferimento il costituente e' dato dalla somma dei tre (3)  giorni
 previsti dallo statuto (articolo 28), entro i quali deve essere fatta
 la "comunicazione" dei dd.dd.ll., approvati dall'a.r.s.; e dei cinque
 (5)  giorni  entro  i quali il commissario dello Stato per la regione
 siciliana deve notificare il gravame alla regione; e cosi'  anche  se
 il  primo  o  l'ultimo  ovvero uno qualsiasi dei giorni intermedi sia
 festivo: i giorni sarebbero, cioe', tutti uguali, festivi e  feriali,
 al fine del computo degli otto giorni in questione.
    Una  interpretazione  che segua il filo del ragionamento svolto da
 codesta   ecc.ma   Corte,   nella   decisione   citata,   non   pare,
 verosimilmente  e  sommessamente, conducente e non giustificherebbe a
 pieno e compiutamente la norma statutaria, che  sembra  di  lapidaria
 chiarezza.
    Esula,  pertanto  e  peraltro, da questa esposizione e motivazione
 l'esame di altre eventuali ragioni per cui il legislatore costituente
 ha stabilito in otto giorni il termine dopo il  quale  il  presidente
 della  regione puo' promulgare e publicare le leggi regionali; e cio'
 dal momento che in clairis non fit interpretatio, come recita il noto
 brocardo latino, ancora attuale. La lettera (anzi  il  numero)  dello
 statuto  e',  sul  punto,  estremamente  chiara (chiaro) ed altro non
 serve ne' per avvalorare, la tesi,  che  si  ostina  lo  scrivente  a
 riporre, ne' smentirla e confutarla.
    A codesta ecc.ma Corte, comunque il compito di dire, dall'alto del
 suo  magistero e scranno, l'ultima, definitiva parola chiarificatrice
 al riguardo per dare un taglio netto (un "cesareo") ad incertezze che
 si protraggono da e parecchi lustri.
    E se lo stesso  modo  di  computare  il  tempo  e  di  considerare
 l'ultimo   giorno   festivo  -  come  si  opina  per  uniformita'  di
 interpretazione - va applicato pure al termine di cinque (5)  giorni,
 assegnato  per  l'impugnativa  costituzionale  al  commmisario  dello
 Stato, il tempo (termine)  complessivo,  che  dovrebbe  precedere  la
 promulgazione  e la pubblicazione di una legge regionale, si potrebbe
 protrarre anche fino a dieci giorni (4 + 6). Ma cio' e' razionalmente
 e logicamente possibile? Che tipo di termine, allora,  e'  quello  di
 cui all'articolo 29/2º dello statuto?