ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale della legge della Regione
 Lombardia 4 luglio 1988, n. 39 (Norme a sostegno della  promozione  e
 incentivazione    della   ricettivita'   turistica   alberghiera   ed
 extralberghiera in occasione dei mondiali di calcio  1990),  promosso
 con  ordinanza  emessa  l'11 luglio 1990 dal Tribunale Amministrativo
 Regionale per la Lombardia nei ricorsi riuniti proposti  da  Granelli
 Guerini  Adriana  ed  altri  contro  la  Regione  Lombardia ed altri,
 iscritta al n. 17 del registro  ordinanze  1991  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  5,  prima serie speciale,
 dell'anno 1991;
    Visti gli atti di costituzione  di  Granelli  Guerini  Adriana  ed
 altri,  della  Societa'  Immobiliare  Alfeo S.r.l., nonche' l'atto di
 intervento del Presidente della Regione Lombardia;
    Udito nell'udienza pubblica del 19 marzo 1991 il Giudice  relatore
 Ugo Spagnoli;
    Uditi  gli  avv.ti  Paolo  Vaiano  per Granelli Guerini Adriana ed
 altri, Ugo Ferrari per la Societa' Immobiliare Alfeo S.r.l.,  Valerio
 Onida e Fortunato Pagano per il Presidente della Regione Lombardia.
                           Ritenuto in fatto
    1.  - Nel corso di un procedimento promosso con ricorso di diversi
 cittadini per l'annullamento di alcuni provvedimenti  adottati  dalla
 Giunta  regionale  della  Lombardia  e dal Comune di Milano in ordine
 alla costruzione di un albergo in Milano, in applicazione della legge
 regionale 4 luglio 1988, n. 39  (sulla  promozione  e  incentivazione
 della   ricettivita'  turistica  alberghiera  ed  extralberghiera  in
 occasione dei mondiali di calcio 1990), il  Tribunale  amministrativo
 regionale della Lombardia, con ordinanza dell'11 luglio 1990 (r.o. n.
 17/1991),  ha  sollevato una questione di legittimita' costituzionale
 della suddetta legge in riferimento agli artt. 5,  97,  primo  comma,
 114, 117, primo comma e 128 Cost.
    Secondo  il  Tribunale,  la legge impugnata contrasterebbe innanzi
 tutto con il principio  fondamentale,  stabilito  dalle  leggi  dello
 Stato  in  materia  urbanistico-edilizia  (spec. art. 17, lettera d),
 legge n. 281 del 1970; art. 9 legge n. 142 del  1990;  artt.  1  e  4
 legge  n.  47  del  1985)  secondo  il  quale  spetterebbe  al Comune
 sovrintendere allo sviluppo edilizio del proprio  territorio,  mentre
 alla Regione sarebbe demandato soltanto un potere programmatorio e di
 indirizzo,   nonche'   un   potere   di   controllo   e  di  supporto
 dell'attivita' comunale. Il medesimo principio  fondamentale  sarebbe
 ricavabile  anche  dalla  legislazione statale in materia turistico -
 alberghiera (art. 8 della legge n. 217 del 1983).
    Da  cio'  la violazione degli artt. 117, primo comma, 5, 114 e 128
 Cost.
    Tali principi, d'altra  parte,  sarebbero  stati  mantenuti  fermi
 dalla  specifica  legislazione  statale  adottata  in  occasione  dei
 campionati mondiali di calcio del  1990  (decreto-legge  n.  465  del
 1988,  convertito  nella  legge n. 556 del 1988), la quale, comunque,
 sarebbe posteriore alla legge impugnata.
    In particolare, i menzionati "principi  fondamentali"  in  materia
 urbanistica  sarebbero  violati  perche': 1) il parere vincolante del
 Comune  (art.  3,  comma  secondo,  della  legge)   potrebbe   essere
 paralizzato  dal  rilascio, da parte della Regione, della concessione
 in deroga, anche se non prevista dallo strumento  urbanistico  o  dal
 regolamento  edilizio  comunale  (art.  5,  comma primo, lettera c)),
 mentre  il   provvedimento   ordinario   in   deroga   presupporrebbe
 l'iniziativa  comunale  e  l'ammissibilita'  della  stessa in base ai
 regolamenti locali (art. 41-quater  legge  n.  1150  del  1942,  come
 modificato  dalla  legge  n. 765 del 1967); 2) essendo demandata alla
 Giunta regionale l'approvazione dei progetti edilizi (art.  5,  comma
 primo),  il  Sindaco  sarebbe  praticamente  tenuto al rilascio della
 concessione, senza alcun margine di discrezionalita'; 3)  la  Regione
 potrebbe  disattendere  il  parere  favorevole espresso dal Comune ed
 impedire  la  realizzazione   del   progetto   per   mancanza   delle
 caratteristiche  indicate nell'art. 4, punto 2; 4) in caso di mancata
 espressione del parere da parte  del  Comune,  l'autorita'  regionale
 potrebbe     sostituirsi     a     quest'ultimo,    decidendo    essa
 sull'ammissibilita' del progetto (art. 5, comma primo, lettera b)).
    Quanto poi alla violazione dei principi in materia di turismo,  il
 giudice  a  quo  osserva  che  la legge n. 217 non consentirebbe alla
 Regione di disporre della dislocazione territoriale  degli  alberghi,
 come invece farebbe la legge impugnata (artt. 5 e 6).
    Sotto  altro  profilo  poi,  la  normativa  censurata  sarebbe  in
 contrasto con il principio  di  ragionevolezza  tratto  dall'art.  97
 Cost., sia perche' priva di logicita' intrinseca - essendo imposto un
 doppio  esame  del  progetto  i  cui  esiti potrebbero paralizzarsi a
 vicenda  (parere  comunale  e   delibera   della   Giunta   regionale
 sull'ammissibilita' del progetto o sulla concessione in deroga) - sia
 perche'  recante modalita' superflue e ridondanti, specie in presenza
 di disposizioni  di  favore  gia'  vigenti  ed  utilizzabili  per  la
 edificazione  di  alberghi  (spec.  art.  41-quater legge n. 1150 del
 1942, art. 1, comma quarto, legge n. 1 del 1978,  legge  n.  217  del
 1983); sia infine perche', complicando il procedimento anche mediante
 fasi  non  necessarie,  contraddirebbe  al fine di semplificazione da
 essa stessa proclamato.
    2. - Si e' costituita in giudizio la  Societa'  Immobiliare  Alfeo
 s.r.l.,  chiedendo  una  pronunzia di infondatezza della questione. A
 tal fine sostiene che il Comune non  potrebbe  vantare,  sull'assetto
 edilizio  del  proprio  territorio,  una  riserva  di  competenza nei
 confronti della  Regione,  sussistendo  invece  tra  i  due  Enti  un
 concorso  paritario  di competenze, con attribuzione alla seconda del
 potere  di  sostituirsi  al  Comune  inadempiente.  Inoltre,  poiche'
 secondo la legge impugnata il parere del Comune, se espresso, sarebbe
 vincolante per la Regione, non potrebbe lamentarsi alcuna menomazione
 della autonomia del primo.
    Non  sussisterebbe  neppure  violazione  dei  principi  in materia
 turistico-alberghiera, poiche' la legge n.  217  del  1983  (art.  8)
 imporrebbe  ai  Comuni  di  adeguare  il  loro  piano regolatore alla
 programmazione regionale delle strutture ricettive, stabilendo quindi
 il principio opposto della prevalenza delle scelte regionali.
    Inoltre, la  sopravvenuta  legge  statale  sui  mondiali  '90  non
 potrebbe  essere  utilmente  richiamata,  perche' successiva a quella
 impugnata.
    Infine, non sussisterebbe il lamentato vizio di  irragionevolezza,
 poiche',  al  contrario,  il  contestato doppio esame dei progetti ne
 permetterebbe la valutazione sia dal punto di vista  urbanistico  che
 di  utilita'  turistica,  mentre  il potere regionale di sostituzione
 risponderebbe all'esigenza di speditezza della procedura.
    3. - Si  sono  costituiti  in  giudizio  anche  i  ricorrenti  del
 processo a quo, chiedendo una pronunzia di fondatezza della questione
 sulla  base  della  sopravvenuta  sentenza  n. 157 del 1990 di questa
 Corte, che ha dichiarato  costituzionalmente  illegittima  una  legge
 della  Regione Piemonte, dal contenuto asseritamente del tutto simile
 a quello della legge ora  impugnata,  perche'  lesiva  dell'autonomia
 comunale,  per  avere  trasformato  i poteri decisionali spettanti ai
 Comuni in  semplici  poteri  consultivi  e  di  proposta  o  in  mere
 attivita'  esecutive,  ed  avere  al contempo attribuito alla Regione
 competenze di natura provvedimentale esulanti dalle  attribuzioni  ad
 essa conferite dagli artt. 80 e seguenti del d.P.R. n. 616 del 1977.
    4.  -  Nel  giudizio  e'  intervenuto  il  Presidente della Giunta
 regionale della Lombardia, chiedendo innanzitutto  che  la  questione
 sia  dichiarata  inammissibile:  e cio' sia perche' essa, non essendo
 indicate  nell'ordinanza  di  rimessione  le  disposizioni   viziate,
 resterebbe  vaga  e generica (in tal senso sentenze nn. 517 del 1987,
 1111 del 1988 e 85 del 1990); sia perche' sarebbe intesa a contestare
 non tanto la legittimita',  quanto  il  merito  della  legge,  specie
 laddove  e' prospettata la violazione del principio di ragionevolezza
 per illogicita' intrinseca o inutilita' della legge stessa.
    La  questione  comunque,  riferita  all'art.  117  Cost.,  sarebbe
 infondata  poiche',  nella  materia  urbanistica, la realizzazione di
 opere pubbliche  mediante  procedure  derogatorie  sarebbe  frequente
 nella legislazione statale (artt. 41-quater legge n. 1150 del 1942, 8
 legge  n.  1357 del 1955, legge n. 1 del 1978, decreto-legge n. 9 del
 1982, convertito nella legge n. 94 del 1982).
    L'asserita  violazione  dell'autonomia  comunale,  d'altra  parte,
 sarebbe fondata su un equivoco interpretativo.
    Infatti,  il  parere  negativo  del Comune (a differenza di quanto
 sembrerebbe   intendere   il   T.A.R.    remittente)    precluderebbe
 definitivamente l'approvazione del progetto (la concessione in deroga
 potendo  essere  rilasciata  dalla  Regione  soltanto  se  il  parere
 comunale sia positivo); la mancata espressione del parere -  dato  il
 carattere  straordinario  del  programma  introdotto  dalla  legge  -
 dovrebbe  considerarsi  equivalente  ad  un   assenso   implicito   e
 giustificherebbe l'intervento regionale a titolo sostitutivo (art. 5,
 comma  primo,  lettera  g)).  Egualmente  non  lesiva  dell'autonomia
 comunale sarebbe poi la  possibilita'  della  Regione  di  negare  il
 proprio  assenso  ai  progetti su cui il Comune abbia espresso parere
 positivo, e cio' perche' la valutazione  di  ammissibilita'  ad  essa
 spettante   atterrebbe   non   a   profili   urbanistici,   ma   alla
 compatibilita'  dei  progetti  con  il  fine  di   incremento   della
 ricettivita'   turistica.   Non   si   tratterebbe,   insomma,  della
 interferenza della Regione  nell'ordinario  procedimento  in  materia
 urbanistico-edilizia, ma del suo consenso in ordine all'esecuzione di
 interventi straordinari, che secondo le norme ordinarie il Comune non
 potrebbe realizzare.
    Quanto  alla  pretesa  violazione  dei  principi  fondamentali  in
 materia turistica, non potrebbe richiamarsi la legge n. 217 del 1983,
 poiche' questa non disciplinerebbe affatto il profilo delle procedure
 urbanistiche per la realizzazione di alberghi.
    Anche il richiamo della legge statale  sui  mondiali  '90  sarebbe
 inappropriato,  poiche'  la realizzazione degli interventi ammessi da
 quest'ultima al finanziamento statale non interferirebbe affatto  con
 i  preesistenti  programmi  delle  Regioni,  e  poiche', comunque, la
 sentenza n. 157 del 1990 di questa Corte  avrebbe  negato  che  dalla
 legge in questione possano trarsi "principi fondamentali".
    Non  sussisterebbe  poi, alcuna violazione dell'autonomia comunale
 ai sensi degli artt. 5, 114 e 128 Cost., poiche'  il  Comune  sarebbe
 sempre   messo  in  condizione  di  esprimere  il  proprio  parere  -
 vincolante se negativo - e la sostituzione regionale avverrebbe  solo
 nell'ipotesi in cui esso abbia ritenuto di non pronunciarsi.
    Ne'  sarebbe, da tale punto di vista, illegittimo il rifiuto della
 Regione in  ordine  a  progetti  cui  il  Comune  abbia  dato  parere
 positivo, poiche' essa si limiterebbe ad esercitare il proprio potere
 di   valutazione  dell'ammissibilita'  del  progetto  alla  procedura
 straordinaria prevista dalla stessa legge impugnata.
    L'ipotesi configurata da tale legge  inoltre  sarebbe  diversa  da
 quella  descritta  dalla  legge piemontese dichiarata illegittima con
 sentenza n. 157 del 1990, poiche' secondo quest'ultima il parere  del
 Comune  avrebbe potuto sempre essere disatteso dalla Regione, mentre,
 nel caso presente, tale  parere,  se  negativo,  sarebbe  vincolante,
 precludendo  ogni ulteriore corso del procedimento, mentre i progetti
 in deroga alle prescrizioni urbanistiche potrebbero essere  approvati
 dalla  Regione  soltanto  in  presenza  di  un  parere favorevole del
 Comune, il quale, dunque, resterebbe  arbitro  della  concessione  ai
 privati  di  realizzare  opere  difformi dagli strumenti urbanistici,
 nell'ambito di un meccanismo sostanzialmente non  diverso  da  quello
 previsto dall'art. 41-quater legge n. 1150 del 1942.
    Quanto,  infine,  al dubbio di irragionevolezza della legge, esso,
 oltre a tradursi in mere censure di opportunita', sarebbe espresso in
 termini  generici  e  immotivati,  non  chiarendosi  la  ragione  del
 contrasto   della  normativa  impugnata  con  il  principio  di  buon
 andamento dell'amministrazione.
    5. - Nell'imminenza dell'udienza  la  difesa  dei  ricorrenti  nel
 giudizio  principale  ha  depositato  una  memoria illustrativa nella
 quale, nel  ribadire  le  censure  prospettate  dal  giudice  a  quo,
 sottolinea  ulteriormente  l'analogia  della  questione  presente con
 quella risolta, nel senso della fondatezza, con la  sentenza  n.  157
 del 1990.
    Aggiunge  che,  anzi, la legge ora impugnata presenterebbe aspetti
 ancora  piu'  gravi  di  incostituzionalita'  rispetto   alla   legge
 piemontese  oggetto  di tale pronunzia, e cio' perche': a) ridurrebbe
 la partecipazione del Comune all'istruttoria per  il  rilascio  della
 concessione  ad  un  mero  parere,  peraltro soltanto facoltativo e/o
 eventuale, e suscettibile di essere penalizzato, in  concreto,  dalla
 valutazione di ammissibilita' dei progetti spettante in via esclusiva
 alla Regione; b) introdurrebbe una ipotesi di concessione edilizia in
 deroga    di   impulso   esclusivamente   regionale,   senza   alcuna
 partecipazione del Comune; c) configurerebbe l'attivita' di  rilascio
 della concessione da parte del Sindaco come totalmente vincolata, per
 di  piu' con un termine di formazione del silenzio assenso piu' breve
 di quello previsto dalla legge piemontese.
   Quanto poi al contrasto della  legge  con  il  principio  del  buon
 andamento della p.a., la memoria si sofferma in particolare sull'art.
 4  della legge medesima, criticando soprattutto l'estrema genericita'
 dei criteri di valutazione ivi previsti (comma secondo, lettere b)  e
 c)),  e  la  conseguente  attribuzione dell'assetto urbanistico della
 citta' all'esclusivo arbitrio della Giunta regionale.
    6. -  Anche  la  difesa  del  Presidente  della  Giunta  regionale
 lombarda  ha  presentato  una  memoria  illustrativa,  con  la  quale
 ribadisce la propria tesi della diversita' della  legge  impugnata  -
 che  significativamente  avrebbe  superato il controllo governativo e
 che configurerebbe come vincolante il parere negativo  del  Comune  -
 rispetto  a  quella piemontese dichiarata illegittima con la sentenza
 n. 157 del 1990 e insiste nel negare che la legge medesima  contrasti
 con i principi concernenti l'autonomia comunale in materia.
    Nota poi in particolare come l'approvazione regionale del progetto
 pur   in   mancanza   del   parere  del  Comune  non  sarebbe  lesiva
 dell'autonomia di quest'ultimo, configurandosi come mero esercizio di
 un potere sostitutivo nei suoi confronti, ampiamente  presente  nella
 materia  urbanistica  (cfr.  art.  8,  commi 6 e 7, legge n. 1150 del
 1942; art. 4, comma 7, legge n.  10  del  1977).  Ne'  -  sostiene  -
 potrebbe   criticarsi,   sotto   lo   stesso  profilo,  il  carattere
 sostanzialmente vincolato del rilascio della concessione edilizia  da
 parte  del  Sindaco, poiche' tale carattere della concessione sarebbe
 un dato ormai pacifico nel nostro ordinamento almeno a partire  dalla
 sentenza di questa Corte n. 5 del 1980, mentre il previsto meccanismo
 del  silenzio-assenso non sarebbe diverso da quello contemplato dalla
 legislazione statale in riferimento a varie  ipotesi  di  concessione
 edilizia (art. 8, comma primo, decreto-legge n. 9 del 1982, e succes-
 sive proroghe).
    Quanto  infine,  e  piu'  in  generale,  ai rapporti tra Regioni e
 Comuni, la memoria afferma che, nell'ambito  delle  materie  indicate
 nell'art.  117 Cost., secondo l'art. 3 della recente legge n. 142 del
 1990  sarebbe  demandato  alla  potesta'  legislativa  regionale   di
 disciplinare  sia  i  modi  e  le forme dell'esercizio, sia la stessa
 esatta configurazione delle funzioni dei Comuni (e degli  altri  enti
 locali),  armonizzandole, nel rispetto dei principi posti dalla legge
 generale della Repubblica, con la cura degli interessi  sovracomunali
 e regionali.
    A   tale   impostazione   si   adeguerebbe   la  legge  impugnata,
 introducendo, in vista di specifiche esigenze di incremento  regolato
 dalla   ricettivita'  turistica,  procedimenti  snelli  e  rapidi  di
 approvazione dei progetti edilizi,  nei  quali  dovrebbero  confluire
 valutazioni  di  compatibilita'  urbanistica,  operate  dal Comune, e
 verifiche di ammissibilita' in rapporto  alle  particolari  finalita'
 della legge, rimesse alla Regione.
                        Considerato in diritto
    1.  - Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia dubita
 che la legge  della  Regione  lombarda  4  luglio  1988,  n.  39  sia
 costituzionalmente  illegittima  per contrasto, per un verso, con gli
 artt. 117, 5, 114, e 128 Cost., per altro verso, con il principio  di
 ragionevolezza tratto dall'art. 97 Cost.
    La  legge  impugnata,  allo  scopo  di promuovere e incentivare la
 ricettivita' turistico alberghiera ed  extralberghiera  in  occasione
 dei  mondiali  di  calcio  1990  nel  Comune  di  Milano e nei comuni
 confinanti,  introduce  un  procedimento  speciale,  in  deroga  alla
 ordinaria  disciplina  urbanistica,  per  l'approvazione dei relativi
 progetti edilizi.  Tale  procedimento  in  sostanza  si  snoda  nelle
 seguenti  fasi:  presentazione  dei  progetti al Comune e alla Giunta
 regionale (art. 1, comma primo); parere  del  Comune,  vincolante  se
 espresso,  da  pronunziarsi  entro  e  non  oltre i successivi trenta
 giorni (art. 3, comma secondo); valutazione  dell'ammissibilita'  dei
 progetti  da  parte  della  Giunta regionale in relazione a standards
 specificamente indicati (art. 4); approvazione dei progetti da  parte
 della   stessa   Giunta   regionale,   motivando   in  relazione  sia
 all'intervenuto  parere   comunale   o,   in   assenza   di   questo,
 all'eventuale  assenso  al progetto, sia alla concessione edilizia in
 deroga agli strumenti urbanistici (art.  5,  comma  primo);  rilascio
 della  concessione  edilizia  ad opera del Sindaco, con la formazione
 del silenzio-accoglimento in caso di mancata pronunzia  entro  trenta
 giorni  dalla  pubblicazione  dell'elenco  dei progetti approvati nel
 bollettino regionale (art. 6,  commi  primo  e  secondo);  previsione
 della  possibilita'  per  il  concessionario  di  ottenere  una nuova
 concessione per la parte di lavori non ultimata entro  il  30  aprile
 1990, (art. 6, commi terzo, quarto e quinto).
    2.   -   La   difesa  del  presidente  della  Giunta  ha  eccepito
 l'inammissibilita'  della  questione  per  genericita',  non   avendo
 provveduto   il   giudice   a   quo  ad  indicare  specificamente  le
 disposizioni oggetto delle censure.
    L'eccezione non  puo'  essere  accolta.  Infatti,  nonostante  che
 l'impugnativa  sia  formulata  nei confronti dell'intera legge, dalla
 prospettazione delle  censure  e  dai  riferimenti  alla  fattispecie
 oggetto  del  giudizio  a  quo,  e'  agevole dedurre che la questione
 coinvolge in realta' soltanto l'art.  3,  comma  secondo,  l'art.  5,
 comma primo e l'art. 6.
    3.  -  Il  primo  gruppo  di censure ha al centro, in sostanza, la
 asserita lesione dell'autonomia comunale nella  materia,  prospettata
 sia  come  violazione  di  principi  fondamentali  della legislazione
 statale - che  garantirebbero  ai  Comuni  la  signoria  del  proprio
 territorio,  attribuendo  alle  Regioni meri poteri programmatori, di
 indirizzo e di supporto - sia come autonoma ragione di contrasto  con
 la  generale  garanzia dell'autonomia comunale, tratta dagli artt. 5,
 114 e 128 Cost.
    La lamentata compressione  dell'autonomia  comunale  consisterebbe
 nell'avere attribuito alle Regioni ogni potere decisorio in relazione
 sia  all'approvazione  dei progetti, sia alla concessione edilizia in
 deroga e  nell'avere  corrispondentemente  ridotto  l'intervento  del
 Comune  ad un semplice potere consultivo nel primo caso, e a una mera
 attivita' esecutiva, senza alcun  margine  di  discrezionalita',  nel
 secondo caso.
    4.  -  La  questione  e'  fondata, per le stesse ragioni che hanno
 indotto questa Corte ad adottare la sentenza n. 157 del 1990.
    La legge oggi impugnata infatti ha, per quanto qui  interessa,  un
 contenuto analogo a quello della legge della Regione Piemonte oggetto
 di tale sentenza, mentre le differenze pur sussistenti tra i due atti
 non  sono  rilevanti  ne'  comunque  tali  da  sottrarre  la presente
 questione all'applicazione degli stessi criteri di  decisione  allora
 adottati.
    Nel  caso  precedente infatti questa Corte giudico' illegittima la
 legge  impugnata  in  riferimento  all'art.  128  Cost.,  per   avere
 sottratto  ai  Comuni  competenze  ad  essi gia' affidate dalla legge
 statale e fatte salve dall'art. 2 d.P.R. n. 616 del 1977, e cio',  in
 sostanza,  perche'  nello speciale procedimento ivi previsto "tutti i
 poteri decisionali spettanti in tale  materia  agli  organi  comunali
 vengono..  ..  ..  trasformati  in  semplici  poteri  consultivi e di
 proposta o  in  mere  attivita'  esecutive,  mentre  la  Regione  con
 l'approvazione  dei  progetti  assume  in  proprio  una competenza di
 natura  provvedimentale  attinente  alla  sfera  edilizia  che  esula
 dall'ambito delle attribuzioni piu' generali relative alla disciplina
 dell'uso  del territorio, affidate alla stessa Regione dagli artt. 80
 e ss. del d.P.R. n. 616 del 1977".
    Tali considerazioni si  attagliano  perfettamente  al  modello  di
 ripartizione  di  funzioni tra Regione e Comune disegnato nella legge
 lombarda.
    Non convince  infatti  l'obiezione  della  difesa  della  Regione,
 secondo  la  quale  qui  non  potrebbe  ravvisarsi  una  compressione
 illegittima dell'autonomia comunale perche', a differenza  che  nella
 legge  della Regione Piemonte, il parere del Comune avrebbe carattere
 vincolante.
    Invero - come del resto ammette la stessa  difesa  -  il  suddetto
 parere presenterebbe tale carattere soltanto in una limitata ipotesi,
 e  cioe'  quando  sia  ad  un  tempo espresso e negativo; il medesimo
 parere invece non avrebbe la stessa efficacia se favorevole,  potendo
 essere   superato   dalla   valutazione  negativa  di  ammissibilita'
 effettuata dalla Regione secondo i  parametri  indicati  dall'art.  4
 della  legge;  infine, la mancata espressione di qualsiasi parere nel
 termine non  impedirebbe  alla  Regione  di  prestare  egualmente  il
 proprio  assenso al progetto e di concludere dunque in senso positivo
 il procedimento di approvazione.
    Ora, a parte il fatto che anche  al  parere  del  Comune  previsto
 dalla  legge  della  Regione  Piemonte avrebbe potuto riconoscersi un
 carattere limitatamente  vincolante  -  essendo  necessario  l'avviso
 favorevole  dell'ente  locale  perche'  l'approvazione  regionale dei
 progetti potesse costituire, tra  l'altro,  variante  agli  strumenti
 urbanistici e deroga ai regolamenti edilizi (art. 5, comma secondo) -
 sembra  comunque decisivo osservare che un potere che si atteggia nel
 modo sopra illustrato non  puo'  certo  considerarsi  equivalente  al
 potere  decisionale che spetta al diverso soggetto che rimane dominus
 del procedimento e titolare dell'atto finale.
    Le ragioni, prima testualmente  citate,  poste  a  sostegno  della
 sentenza  n.  157 del 1990 restano pertanto del tutto appropriate per
 ritenere sussistente la lamentata violazione dell'autonomia  comunale
 anche  nel  caso  attuale,  e cio' tanto piu' ove si consideri che la
 legge  impugnata  consente  alla  Regione,  nell'ipotesi  di  mancata
 pronunzia  di qualunque parere da parte del Comune, di esercitare, in
 sostanza,  un  potere  sostitutivo  non  espressamente  attribuito  e
 disciplinato, e privo di qualsiasi garanzia procedurale.
    Quanto  poi  al  potere  del  Sindaco  circa  il  rilascio   delle
 concessioni  in  deroga, non sono stati addotti argomenti convincenti
 per contestare che esso, ridotto ad una attivita' meramente esecutiva
 del provvedimento regionale di approvazione dei progetti, si  atteggi
 in  modo  identico  a quello gia' ritenuto illegittimo dalla ripetuta
 sentenza n. 157 del 1990.
    Infine, non potrebbe negarsi l'illegittimita' della disciplina  in
 oggetto,  sempre  sotto  il  profilo  fin  qui  considerato,  facendo
 richiamo all'art. 3 della legge n. 142 del 1990,  poiche'  da  questo
 non  puo'  trarsi  l'attribuzione alla Regione del potere di disporre
 del contenuto e dell'estensione delle funzioni  dei  Comuni,  per  di
 piu'  senza  tenere  conto  del  modo in cui esse si atteggiano nella
 legislazione statale gia' vigente.
    Le  disposizioni  impugnate  debbono  pertanto  essere  dichiarate
 costituzionalmente  illegittime  per  le  ragioni  sopra  illustrate,
 considerandosi assorbito ogni ulteriore motivo di censura.