ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 63 del codice
 di procedura  penale  del  1930,  in  relazione  all'art.  241  delle
 disposizioni transitorie del codice di procedura penale, promosso con
 ordinanza  emessa  il  13  novembre  1990  dalla  Corte  d'appello di
 Catanzaro  nel procedimento penale a carico di Ciambrone Francesco ed
 altri, iscritta al n. 63 del registro  ordinanze  1991  e  pubblicata
 nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale,
 dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  10  aprile  1991  il  Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
    Ritenuto  che  nel  corso di un procedimento penale due componenti
 della Corte d'appello di Catanzaro avevano proposto dichiarazione  di
 astensione  per  asserita  incompatibilita'  (avendo  esercitato,  in
 relazione allo stesso procedimento, rispettivamente, le  funzioni  di
 Giudice  istruttore  e  di  Pubblico  Ministero), ma l'istanza in tal
 senso era stata  respinta  dal  Presidente  della  Corte  stessa  con
 decreti  motivati  dalla  considerazione che le funzioni svolte dagli
 istanti non avevano  mai  implicato  attivita'  valutativa  circa  la
 responsabilita' degli imputati;
      che  il  collegio, composto in maggioranza dagli interessati, ha
 quindi sollevato, con ordinanza emessa il 13 novembre 1990, questione
 di legittimita' costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 2 della
 Costituzione, dell'art. 63 del codice di procedura penale  del  1930,
 in  relazione  all'art.  241 delle disposizioni transitorie del nuovo
 codice di procedura penale, nella parte in cui  non  prevede  che  il
 magistrato,  il  quale  abbia  presentato dichiarazione d'astensione,
 possa poi proporre ricorso per  cassazione  avverso  il  decreto  del
 Presidente  della  Corte  d'appello  (o  del  Tribunale)  che l'abbia
 rigettata;
      che il giudice a quo osserva come la legge consenta in  caso  di
 ricusazione  che  l'interessato possa proporre ricorso per cassazione
 avverso il provvedimento che decide circa la relativa  dichiarazione,
 cosi'  riconoscendogli  la  titolarita'  di un autonomo interesse nel
 procedimento incidentale e garantendogli quella serenita' di giudizio
 che la norma impugnata, viceversa, sacrificherebbe;
      che e' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, preliminarmente
 eccependo   l'inammissibilita'   e   concludendo   nel   merito   per
 l'infondatezza  in  ragione  dell'obiettiva  diversita' tra l'ipotesi
 considerata e la ricusazione.
    Considerato che  il  giudice  a  quo  ha  sollevato  la  questione
 allorche'  avrebbe  dovuto  pronunciarsi  circa l'ulteriore corso del
 dibattimento e cioe' in una fase processuale in cui  il  procedimento
 incidentale  d'astensione  si era ormai concluso, con l'emissione del
 relativo provvedimento da parte del Presidente della Corte;
      che, pertanto, non il collegio rimettente ma  i  magistrati  che
 presentarono  dichiarazione  di  astensione  avrebbero potuto, se del
 caso, proporre,  uti  singuli,  ricorso  per  cassazione  avverso  il
 provvedimento  presidenziale,  e richiedere nel giudizio davanti alla
 suprema Corte,  proprio  perche'  normativamente  inammissibile,  che
 fosse sollevato il dubbio di legittimita' sul punto;
      che,  stante l'autonomia del giudizio incidentale di ricusazione
 rispetto a quello principale, questa Corte si e'  gia'  espressa  nel
 senso  di  escludere che il giudice del procedimento principale possa
 prospettare   questioni   attinenti   alla   normativa    regolatrice
 dell'incidente  che  personalmente  lo  riguarda (sentenza n. 138 del
 1983), sicche' analogo principio deve  a  fortiori  valere  nel  caso
 della  astensione, trattandosi di un istituto che configura un dovere
 del  giudice,  che  precede  e  prevale  rispetto  alla  ricusazione,
 riservata all'impulso delle parti;
      che la questione e' percio' manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;