ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'art. 82- bis della
 legge 22 dicembre 1975,  n.  685  (Disciplina  degli  stupefacenti  e
 sostanze  psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi
 stati di tossicodipendenza), introdotto dall'art. 24 della  legge  26
 giugno  1990,  n. 162 (Aggiornamento, modifiche ed integrazioni della
 legge 22 dicembre 1975, n. 685, recante disciplina degli stupefacenti
 e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e  riabilitazione   dei
 relativi  stati  di tossicodipendenza), promosso con ordinanza emessa
 il 9 ottobre 1990  dal  Tribunale  di  sorveglianza  di  Brescia  nel
 procedimento  di  sorveglianza  nei  confronti di Carminati Giuseppe,
 iscritta  al  n.  80  del  registro ordinanze 1991 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  8,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  10  aprile  1991  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto  che  il Tribunale di sorveglianza di Brescia, chiamato a
 decidere sulla richiesta di affidamento in prova al servizio  sociale
 avanzata  da  Carminati Giuseppe, condannato in forza di sei sentenze
 passate in giudicato pronunciate tra il 1984 e il 1987 per i reati di
 furto e spaccio di sostanze stupefacenti, previa  unificazione  delle
 predette  condanne,  alla pena complessiva di quattro anni e tre mesi
 di reclusione, ha, con ordinanza del 9 ottobre  1990,  sollevato,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  27  della  Costituzione, questione di
 legittimita' dell'art. 82- bis della legge 22 dicembre 1975, n.  685,
 inserito  dall'art. 24 della legge 26 giugno 1990, n. 162 (e divenuto
 poi art. 91 del testo unico delle  leggi  in  materia  di  disciplina
 degli   stupefacenti  e  sostanze  psicotrope,  prevenzione,  cura  e
 riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con
 il d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309), "nella parte in cui  sottrae  alla
 nuova disciplina i condannati definitivi per reati analoghi, commessi
 in precedenza all'11 luglio 1990";
      che  a  tale  conclusione  il  giudice  a quo perviene dopo aver
 premesso: che la misura della pena residua non consente al  Carminati
 di  usufruire  del  beneficio  dell'affidamento  in prova al servizio
 sociale, ai sensi del "combinato disposto degli artt. 47 e  47-  bis"
 della  legge  26  luglio 1975, n. 354 - l'uno sostituito, per ultimo,
 dall'art. 11 della legge 10 ottobre 1986, n.  663,  l'altro  inserito
 dall'art. 4- ter del decreto-legge 22 aprile 1985, n. 144, convertito
 nella  legge  21  giugno  1985,  n.  297,  e  poi sostituito ad opera
 dell'art. 12 della legge 10 ottobre 1986, n. 663 - in quanto la  pena
 ancora  da  espiare  supera  i tre anni di reclusione; che, peraltro,
 essendosi assoggettato ad "un programma individualizzato, terapeutico
 e socio-riabilitativo  idoneo",  il  Carminati  potrebbe  non  essere
 ristretto  in  carcere  solo  "ricorrendo  al  nuovo  istituto  della
 sospensione condizionale della condanna di cui all'art. 82- bis della
 Legge 26 giugno 1990, n. 162, in  vigore  dall'11  luglio  1990",  un
 istituto  a  lui  applicabile  (previa  deduzione  di dieci mesi e 13
 giorni di reclusione in quanto "gia' espiati  in  stato  di  custodia
 cautelare",  con  conseguente  determinazione  della "pena residua da
 espiare" in tre anni, quattro mesi e quindici giorni  di  reclusione)
 perche'  il  limite  di  pena  per  accedere  ad esso e' di tre anni,
 elevati a quattro per i reati previsti dall'art. 71, quinto  comma  -
 norma  riferibile  al  caso  di  specie dovendo i fatti addebitati al
 Carminati considerarsi di lieve entita' - quando  le  pene  detentive
 comminate,  pure  se  congiunte  a  pena  pecuniaria,  non superano i
 quattro anni; che, inoltre, l'art. 71, quinto comma, della  legge  n.
 685  del  1975,  introdotto dall'art. 14 della legge n. 192 del 1990,
 posto a confronto con l'art. 72 della legge n. 685 del 1975,  per  la
 cui  previsione il Carminati e' stato condannato alla pena di un anno
 e quattro mesi di reclusione,  commina  una  pena  meno  severa;  che
 "l'attuale  legge  e',  pertanto  piu'  favorevole  al  condannato  e
 dovrebbe essere applicata anche se il reato de quo e' stato  commesso
 sotto  l'imperio  della  vecchia  legge"; che, pero', il "Procuratore
 Generale si e' opposto ad una soluzione del  genere,  affermando  che
 l'art.  2,  3› comma del C.P.P." (recte, del codice penale) "vieta di
 applicare in questa sede la  norma  piu'  favorevole  al  condannato,
 volta  che  sussiste  una sentenza passata in giudicato", considerato
 "che manca - in ogni caso - nella legge 162/90 una norma  transitoria
 che  consenta  di  applicare  l'istituto di cui all'art. 82- bis alle
 condanne ormai irrevocabili, emesse con riferimento all'art. 72 della
 legge 685/75";
      che, tutto cio' premesso, il giudice a quo ha espresso l'avviso,
 ove  "la  tesi  suddetta  fosse  fondata,  di  investire   la   Corte
 costituzionale   della   questione,   nuova  ed  interessante,  della
 legittimita' costituzionale di una norma (l'art.  82-  bis)  che  non
 potrebbe  che essere applicata alle future condanne fondate sul reato
 di cui all'art. 71, 5› comma, della nuova legge", in  vigore  dall'11
 luglio   1990,   "e   della   legittimita',  in  ogni  caso,  di  una
 interpretazione  che  impedisce   ogni   intervento   correttivo   di
 sorveglianza nei confronti delle pene in esecuzione o da eseguire per
 i reati commessi" prima di tale data;
      che  nel giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata non fondata;
      considerato  che  il  giudice  a quo, dopo aver esternato la sua
 convinzione quanto all'operativita' nel caso di specie sia  dell'art.
 71, quinto comma, sia dell'art. 82- bis della legge 22 dicembre 1975,
 n.  685,  nel testo risultante dalla legge 26 giugno 1990, n. 162, ha
 omesso di fare concreta applicazione del combinato disposto  di  tali
 prescrizioni  perche'  il  procuratore generale si era opposto ad una
 simile  soluzione  ed  ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale   solo   "nell'ipotesi  che  la  tesi  suddetta  fosse
 fondata";
      che, di conseguenza, omettendo di pervenire ad una scelta tra le
 due contrapposte linee interpretative, l'ordinanza di  rimessione  si
 limita a sottoporre un normale dubbio interpretativo la cui soluzione
 e'  demandata  esclusivamente  al  giudice  a quo, al quale spetta di
 interpretare la norma denunciata (v. ordinanze n. 77 del 1990, n. 507
 del 1989; sentenza n. 225 del 1983);
      e che tutto cio' rende superfluo l'esame dell'ulteriore profilo,
 dato invece per pacifico  dal  Tribunale  rimettente,  relativo  alla
 computabilita'  del  periodo trascorso in stato di custodia cautelare
 ai fini della  determinazione  del  limite  di  pena  che  renderebbe
 applicabile il nuovo istituto della sospensione dell'esecuzione della
 pena  detentiva, introdotto, per determinate categorie di condannati,
 dall'art. 24 della legge 26 giugno 1990, n. 162;
      e che, quindi, la questione ora proposta deve essere  dichiarata
 manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;