IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso n. 1139/1986
 proposto da De Luca Nicoletta rappresentata e difesa dall'avv.  prof.
 Franco  Gaetano  Scoca  ed elettivamente domiciliato presso lo studio
 dello stesso in Roma, via Paisiello n. 55, contro il Ministero  della
 pubblica istruzione in persona del Ministro pro-tempore rappresentato
 e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per l'annullamento del
 giudizio  di  non  idoneita'  a  professore  universitario  associato
 espresso nei confronti della ricorrente nella seconda  tornata  degli
 stessi giudizi;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto  l'atto  di  costituzione  in  giudizio  del Ministero della
 pubblica   isruzione   e   le   "note"   depositate   dal   Ministero
 dell'universita'  e  della  ricerca  scientifica  e teconologica allo
 stesso subentrato;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Udito alla pubblica udienza del 21 novembre  1990  il  consigliere
 Paolo Restaino e udito, altresi', l'avv. Scoca per la ricorrente;
                               F A T T O
    La  ricorrente  impugna  il  giudizio di "non idoneo" espresso nei
 suoi confronti dalla commissione esaminatrice della  seconda  tornata
 dei  giudizi  di  idoneita'  per  l'inquadramento  nella  fascia  dei
 professori  universitari  associati,  cui  ella   aveva   partecipato
 concorrendo  per  il  raggruppamento  disciplinare  n.  010  (diritto
 ecclesiastico).
    Deduce i seguenti motivi di gravame:
      I) violazione dell'art. 51 del d.P.R. n. 382/1980 per non  avere
 la  commissione  esaminatrice  valutato  un  lavoro monografico della
 ricorrente dal titolo Anima est plus quam corpus che  invece  avrebbe
 dovuto  essere  oggetto  di  valutazione pur essendo stato presentato
 oltre i termini previsti dal bando che, secondo la stessa istante, si
 riferirebbero solo alle pubblicazioni gia'  edite  al  momento  della
 presentazione della domanda di ammissione.
    La  valutazione della stessa tardiva pubblicazione, edita soltanto
 nel 1984, non avrebbe  costituito  causa  di  alterazione  della  par
 condicio  dei  candidati  non  rivestendo,  i  giudizi  di idoneita',
 carattere di  concorso  ma  solo  di  procedimento  valutativo  della
 idoneita' di ciascun singolo candidato.
      II)  violazione dell'art. 51, quarto comma, del d.P.R. 11 luglio
 1980, n. 382. Eccesso di potere per difetto di motivazione.
    Si duole la ricorrente della esclusiva rilevanza dalla commissione
 conferita  ai  titoli scientifici a scapito della attivita' didattica
 dalla medesima svolta, la  cui  espressa  valutazione  si  renderebbe
 necessaria  in osservanza della suindicata disposizione normativa che
 prescrive la formulazione di un giudizio conclusivo sulla base  della
 valutazione  di entrambe le attivita', didatica e scientifica, svolte
 dal candidato.
    Viene comunque denunciato il difetto di motivazione  del  giudizio
 negativo   sui   titoli  scientifici  in  quanto  espresso  senza  la
 indicazione  delle  ragioni  della  negativa   determinazione   della
 commissione;
      III)  violazione  dell'art.  51,  sesto  comma,  del  d.P.R.  n.
 382/1980 per non avere, lo stesso organo  esaminatore,  tenuto  nella
 dovuta   considerazione   il  giudizio  espresso  dalla  facolta'  di
 appartenenza  della  ricorrente  sullo  svolgimento  della  attivita'
 didattica  e  delle  altre  funzioni dalla stessa espletate presso la
 medesima facolta';
      IV)  violazione  dell'art.  51,  quarto  comma,  del  d.P.R.  n.
 382/1980.
    La   commissione  esaminatrice  avrebbe  adottato  un  illegittimo
 criterio di valutazione dei candidati basato sull'accertamento  della
 "piena capacita' scientifica", tale ultima richiesta dell'art. 41 del
 d.P.R.  n.  382/1980  per  i  concorsi  a  professore  straordinario,
 richiedendosi  invece  da  parte  dei  partecipanti  ai  giudizi   di
 idoneita'  di  cui  all'art.  50 dello stesso d.P.R. la dimostrazione
 della sola idoneita' scientifica;
      V) eccesso di potere per manifesta illogicita'.
    Con riferimento al suindicato criterio di valutazione della  piena
 maturita'   scientifica   dei   candidati  viene  evidenziata,  quale
 conseguenza della inconferente adozione di tale canone  di  giudizio,
 la  situazione di un candidato, nel ricorso nominativamente indicato,
 il  quale,  giudicato  negativamente  a  conclusione  della   tornata
 idoneativa  di  cui  trattasi,  e'  risultato  invece  vincitore  del
 concorso per la nomina a professore straordinario  svoltosi  a  breve
 distanza dal predetto procedimento idoneativo;
      VI)  eccesso  di  potere  sotto  il  profilo  della  illogicita'
 manifesta  avendo  lo  stesso  organo  esaminatore  conferito  valore
 negativo  alla brevita' dei lavori consistenti in note a sentenze, la
 cui sinteticita' caratterizzerebbe  invece  la  pregevolezza  di  tal
 genere di lavori.
    Il  contraddittorio e' stato istituito nei confronti del Ministero
 della pubblica istruzione costituitosi in giudizio.
    Con atto notificato in data  8  febbraio  1988  contenente  motivi
 aggiunti al ricorso introduttivo la ricorrente deduce ulteriormente:
      I)  illegittimita'  del d.m. 8 maggio 1984 con il quale e' stata
 nominata la commissione giudicatrice, per violazione dell'art. 13 del
 d.P.R. n. 382/1980.
    L'amministrazione ha illegittimamente inserito, tra i  docenti  da
 sorteggiare  ai  fini  della  formazione  della  commissione mediante
 elezione dei membri della stessa tra  i  nominativi  sorteggiati,  il
 prof.  Luciano  Guerzoni,  che si trovava in posizione di aspettativa
 obbligatoria per mandato parlamentare,  in  violazione  del  predetto
 art.  13  del  d.P.R.  n.  382/1980  in  base  al quale il professore
 ordinario, nominato membro del Parlamento nazionale,  deve  ritenersi
 sospeso  dalla effettiva prestazione dal servizio e, quindi, da tutte
 le  funzioni  tipiche legate allo status di professore universitario,
 tra cui anche l'elettorato passivo;
      II) illegittimita' derivata dello stesso d.m. 8 maggio 1984  per
 illegittimita'  della  o.m. 13 marzo 1984, per violazione degli artt.
 45, (settimo comma), e 99 del d.P.R. n.  382/1980  per  essere  stato
 consentito,  a  ciascun  elettore,  di  esprimere  due preferenze, in
 difformita' di quanto disporrebbe la suindicata normativa.
    Con "note"  depositate  il  4  ottobre  1990  il  Ministero  della
 universita'  e della ricerca scientifica e tecnologica (subentrato al
 Ministero della pubblica  istruzione)  sostiene  la  infondatezza  di
 tutti i motivi dalla ricorrente dedotti.
    Quest'ultima,  con  memoria  conclusiva  depositata  il 7 novembre
 1990, fornisce ulteriori precisazioni ed  argomentazioni  a  sostegno
 del suo gravame.
    Alla  udienza  del  21  novembre  1990  la  causa  e'  passata  in
 decisione.
                             D I R I T T O
    Il  ricorso  ha  per  oggetto  il  giudizio  di  non  idoneita'  a
 professore    associato    per   il   raggruppamento   010   (diritto
 ecclesiastico) formulato nella seconda tornata  nei  confronti  della
 ricorrente.
    Ha  carattere  pregiudiziale  il  primo  motivo  aggiunto inteso a
 contestare, sulla base di quanto  emerso  dagli  atti  depositati  in
 giudizio dall'amministrazione, la legittimita' del d.m. 8 maggio 1984
 con il quale e' stata nominata la commissione giudicatrice.
    Sostiene la ricorrente che l'ammissione all'elettorato passivo del
 prof.  Luciano  Guerzoni,  allora in aspettativa obbligatoria perche'
 membro del Parlamento Nazionale, e' avvenuta in contrasto con  l'art.
 13, primo comma, del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382.
    In  concreto,  l'indebito  inserimento  del  nominativo  del prof.
 Guerzoni nel  tabulato  predisposto  per  il  sorteggio  (n.  26)  ha
 sovvertito  la  successiva serie progressiva, alterando l'abbinamento
 fra i numeri estratti ed i nominativi dei docenti, con la conseguenza
 che e' stata prospettata al corpo elettorale una  rosa  di  candidati
 diversa  da quella che si sarebbe formata se il prof.  Guerzoni fosse
 stato escluso.
    L'Avvocatura dello Stato sostiene che la censura risulta  superata
 dall'art.  1  della  legge  5 agosto 1988, n. 341, il quale, sotto il
 titolo "interpretazione autentica"  ha  disposto  che  "i  professori
 collocati  in  aspettativa  obbligatoria  ai  sensi  dell'art. 13 del
 d.P.R. 11 luglio 1980,  n.  382,  conservano  l'elettorato  attivo  e
 passivo  per  la  formazione  delle  commissioni  per  i  giudizi  di
 idoneita' a professore  associato  e  per  i  concorsi  a  professore
 universitario ordinario o associato nei casi in cui le operazioni per
 la  formazione  delle  commissioni  giudicatrici siano iniziate prima
 della entrata in vigore dell'art. 5 della legge 9 dicembre  1985,  n.
 705,  anche  se la conclusione delle operazioni anzidette e la nomina
 della commissione siano avvenute successivamente.
    L'assunto dell'avvocatura va condiviso  poiche'  nella  specie  il
 procedimento  di  nomina, avendo preso avvio il 1ยบ marzo 1984, con il
 sorteggio dei docenti eleggibili, rientra nella sfera  di  previsione
 dell'intervento di interpretazione autentica.
    Tuttavia  il  citato  art.  1  della  legge  n. 341/1988 appare al
 collegio di dubbia legittimita' costituzionale con  riferimento  agli
 artt. 3, 24, 102, 104 e 108 della Costituzione.
    La questione e' rilevante poiche' se la norma venisse caducata, la
 censura, alla luce del disposto dell'art. 13, primo comma, del d.P.R.
 n.   382/1980   risulterebbe   fondata,  come  la  giurisprudenza  ha
 esattamente ritenuto (Cons. di  Stato,  sezione  sesta,  10  febbraio
 1988,  n. 178; TAR Lazio, sezione prima, 11 dicembre 1987, n. 1960; 2
 febbraio 1987, n. 268).
    E' determinante,  in  tal  senso,  il  rilievo  che  l'aspettativa
 comporta  la  sospensione  di tutte le funzioni connesse all'ufficio,
 fatta  eccezione  per  quelle  espressamente  consentite  e  fra   le
 attivita'  indicate  nel  citato art. 13 non figura la partecipazione
 alle commissioni giudicatrici.
    D'altronde, il collocamento in aspettativa  obbligatoria  disposto
 dallo  stesso  art.  13  tende,  con chiara evidenza, a consentire al
 docente  il  pieno  adempimento  dei  compiti  relativi  all'incarico
 extrauniversitario  e  ad evitare che, per l'onerosita' dell'impegno,
 si    producano    riflessi    negativi    sul     buon     andamento
 dell'amministrazione universitaria.
    L'esclusione  dall'elettorato  passivo trova dunque conferma anche
 in ragioni di intrinseca coerenza con la ratio  legis  atteso  che  i
 lavori delle commissioni giudicarici sono, per durata e complessita',
 particolarmente gravosi.
    Significativo  e'  poi  che  l'art.  5  della  successiva  legge 9
 dicembre 1985, n. 705, abbia previsto che i  professori  universitari
 in  aspettativa  obbligatoria  "mantengono il solo elettorato attivo"
 cosi' avvalorando le anzidette considerazioni,  dal  momento  che  il
 termine  "mantengono"  si  riferisce,  come  e'  stato rilevato dalla
 giurisprudenza dianzi citata, non gia' alla disciplina precedente, ma
 alla posizione del docente che pur collocato in aspettativa  conserva
 il diritto di voto.
    Cosi'  accertato, con l'impiego delle consuete regole ermeneutiche
 ed in conformita' ad una giurisprudenza concorde la portata dell'art.
 13 del d.P.R. n. 382/1980, ne consegue che l'art. 1  della  legge  n.
 341/1988  ha  in  realta' innovato, contrariamente a quanto si evince
 dal titolo, la disciplina previgente.
    Di cio' era  consapevole  il  relatore,  senatore  De  Rosa,  che,
 nell'illustrare  il disegno di legge, ebbe ad affermare che l'art. 13
 del d.P.R. n. 382/1980 non prevede  la  conservazione  da  parte  dei
 professori  predetti  dell'elettorato  attivo e passivo ai fini della
 formazione delle commissioni  di  concorso  (atti  della  commissione
 istruzione del Senato, seduta del 28 aprile 1988, pag. 26).
    Orbene,  la  Corte  costituzionale di recente, pur riaffermando in
 linea di principio l'ammissibilita' delle leggi interpretative, ne ha
 censurato l'utilizzazione ove siano  dirette  non  a  chiarire  ma  a
 modificare   il   significato   della   norma  "interpretata"  (Corte
 costituzionale 4 aprile 1990, n. 155).
    La stessa distorsione della funzione  tipica  dell'interpretazione
 autentica  si verifica, in quanto si e' osservato, nel caso in esame,
 donde il sospetto della violazione dell'art. 3 della Costituzione per
 vizio di razionalita'.
    Aggiungasi  che  nella  specie  l'intervento  del  legislatore  si
 inserisce  in  un  contesto  caratterizzato  dal fatto che sono stati
 presentati da parte dei candidati non vincitori, ed  in  alcuni  casi
 gia'   accolti  in  primo  grado,  numerosi  ricorsi  che  sostengono
 l'illegittimita' dell'operato del Ministero della pubblica istruzione
 (relazione al Senato sul disegno di legge n. 795, X legislatura).
    Sicche' e' evidente l'intento di interferire sui giudizi in corso,
 vincolandone  la definizione in senso contrario a quello prevedibile,
 tenuto conto dell'indirizzo del giudice di primo  grado,  confermato,
 prima  dell'approvazione  della  legge,  dal Consiglio di Stato (cit.
 sezione sesta, 10 febbraio 1988, n. 178).
    Da qui  nascono  ulteriori  ragioni  di  dubbio  sul  piano  della
 costituzionalita'  con riguardo all'art. 24, che garantisce la tutela
 giurisdizionale dei diritti e degli interessi  legittimi  e  sancisce
 l'inviolabilita' del diritto di difesa; dell'art. 102, che riserva ai
 magistrati  l'esercizio  della  funzione giurisdizionale; degli artt.
 104, primo comma, e 108, secondo comma, che assicurano l'indipendenza
 della magistratura.
    E', infine, da rilevare che l'art. 1 della legge n.  341/1988  in-
 troduce   una   nuova  disciplina  in  materia  di  formazione  delle
 commissioni    giudicatrici    con    effetto    retroattivo,     pur
 indipendentemente    dalla    qualificazione    della    norma   come
 interpretazione autentica dovendosi ritenere che  i  procedimenti  di
 nomina  avviati  prima  dell'entrata in vigore della legge 9 dicembre
 1985, n. 705, fossero nel frattempo tutti pervenuti a conclusione.
    La   Corte   costituzionale   ha   ripetutamente   affermato   che
 l'irretroattivita' stabilita dalla Costituzione soltanto per le leggi
 penali  costituisce pur sempre un principio generale dell'ordinamento
 al quale, salva la presenza  di  una  oggettiva  giustificazione,  il
 legislatore   deve  attenersi  (da  ultimo  Corte  costituzionale  n.
 155/1990).
    Una volta esclusa la validita' dei  presupposti  e  delle  ragioni
 desumibili  dai lavori preparatori, non si rinvengono elementi idonei
 a dare razionale fondamento della previsione, tanto piu' che essa non
 si inquadra in un generale  ripensamento  del  legislatore,  ma,  con
 riferimento  ad  un  periodo pregresso e limitato, apporta una deroga
 alla disciplina vigente alla data della sua  adozione  e  tuttora  in
 vigore.
    Anche  sotto questo profilo sussiste il dubbio di contrasto con il
 principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 della Costituzione.
    Per le considerazioni esposte le delineate questioni vanno rimesse
 alla Corte costituzionale, restando sospeso il giudizio  con  riserva
 di   ogni   ulteriore   statuizione,   all'esito   della  risoluzione
 dell'incidente di costituzionalita'.