IL TRIBUNALE MILITARE DI SORVEGLIANZA
    Ha pronunciato la seguente ordinanza.
    1. - In data 10 gennaio 1991 il difensore del militare  Lombardino
 Roberto,  nato  a  Roma  il 28 maggio 1969 e ivi residente in via dei
 Cocchieri n. 9, condannato con sentenza 18 giugno 1990 del  tribunale
 militare di Roma (irrevocabile il 30 settembre 1990) alla pena di due
 mesi e venti giorni di reclusione militare per il reato di diserzione
 (art.  148,  n.  2,  c.p.m.p.),  ha  chiesto,  con istanza diretta al
 procuratore militare della Repubblica presso il  predetto  tribunale,
 che  il  suo assistito, previa sospensione dell'emissione dell'ordine
 di esecuzione della pena,  venisse  affidato  in  prova  al  servizio
 sociale,  senza  procedere alla preventiva osservazione in carcere, e
 che gli atti fossero  trasmessi  a  questo  tribunale,  competente  a
 decidere sull'istanza di affidamento.
    Con  provvedimento  in  data 16 gennaio 1991 il citato procuratore
 militare, ritenendo nella specie applicabile  la  disciplina  dettata
 dall'art.  47  della legge 26 luglio 1975, n. 354, quale modificato a
 seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 569 del 1989, ha
 provveduto in conformita' delle richieste della difesa.
    2. - Diversamente da quanto opinato dal  Procuratore  militare  di
 Roma,  il  tribunale  ritiene  che  nella fattispecie l'art. 47 della
 legge n. 354 del 1975 non  possa  trovare  applicazione;  ed  invero,
 sembra  in  proposito  appena  il  caso  di  rilevare  che l'istituto
 dell'affidamento in prova del condannato  dell'Autorita'  giudiziaria
 militare risulta autonomamente disciplinato con la speciale normativa
 dettata dalla legge 29 aprile 1983, n. 167, che, tra l'altro, prevede
 indefettibilmente,  per  l'adozione del provvedimento, l'osservazione
 per almeno un mese nello stabilimento militare di pena (art. 2, primo
 comma, legge ult. cit.). Consegue da quanto precede che alla  stregua
 della   vigente  normativa  l'istanza  inoltrata  nell'interesse  del
 Lombardino  dovrebbe  dichiararsi  inammissibile  per  difetto  delle
 condizioni di legge.
    3.  -  Peraltro, prima di pervenire alla sopraindicata conclusione
 il  tribunale  ritiene  di  dover  prospettare  il  dubbio  circa  la
 conformita'  dell'art.  2,  primo  comma, della legge n. 167 del 1983
 agli artt. 3 e 27, terzo  comma,  della  Costituzione.  In  proposito
 appare   illuminante  la  motivazione  della  citata  sentenza  13-22
 dicembre 1989, n.  569  con  la  quale  la  Corte  costituzionale  ha
 dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 47, terzo comma,
 della legge n. 354 del 1975, cosi' come modificato dall'art. 11 della
 legge  10  ottobre  1986, n. 663, nella parte in cui non prevede che,
 anche indipendentemente dalla detenzione per espiazione di pena o per
 custodia   cautelare,   il   condannato    possa    essere    ammesso
 all'affidamento  in  prova  al servizio sociale se, in presenza delle
 altre condizioni, abbia serbato un comportamento tale  da  consentire
 il giudizio di cui al precedente secondo comma dello stesso articolo.
    Nella  sopraindicata  decisione  si legge che nel corso degli anni
 l'istituto dell'affidamento in prova al servizio sociale, cosi'  come
 introdotto  dall'art.  47,  della  legge n. 354, del 1975, ha subi'to
 numerose  e  rilevanti  modificazioni  che  ne  hanno  attenuato  gli
 originari  caratteri  provocando una sostanziale trasformazione della
 sua stessa natura. Ed invero, ha  soggiunto  la  Corte,  a  parte  le
 modifiche   intervenute   in   ordine  alla  soppressione  di  talune
 preclusioni (art. 4 legge  12  gennaio  1977,  n.  1  e  7  legge  13
 settembre 1982, n. 646), gia' con l'art. 4- bis, inserito nel decreto
 legge  22  aprile  1985,  n.  144, al momento della conversione nella
 legge 21 giugno  1985,  n.  297  il  periodo  di  osservazione  venne
 diminuito  da  tre  a  un mese, e con l'art. 4- ter, pure inserito in
 sede di conversione, venne formulato l'art. 47- bis  della  legge  n.
 354  che,  consentendo  al  tossicodipendente  o alcooldipendente,che
 avesse  gia'  in  corso  un  programma  di  recupero,  di   chiedere,
 l'affidamento in prova senza osservazione in carcere, ha sconvolto la
 stessa   filosofia   dall'istituto   privandolo   del  suo  carattere
 originario,  che  lo  voleva  riservare  ai  detenuti  in  espiazione
 carceraria.  Ma,  ha osservato ancora la Corte, fu, infine, l'art. 11
 della legge 10 ottobre 1986, n. 663,  che  riformando  totalmente  il
 testo   dell'art.   47,  porto'  a  termine  l'opera  di  progressiva
 demolizione attribuendo alla linea generale dell'istituto una  natura
 ibrida  e  contraddittoria.  Ed infatti, mentre i primi due commi del
 nuovo art. 47 mantenevano in sostanza integro l'originario  istituto,
 riservato  ai  detenuti  in  espiazione  carceraria della pena, i due
 commi successivi introducevano una nuova specie di  affidamento,  che
 prescinde del tutto dall'osservazione in carcere e la sposta, invece,
 sul  comportamento  tenuto  dal  condannato  nel  periodo di liberta'
 successivo ad una eventuale custodia cautelare, di qualsiasi  durata.
 A  questo  punto, prosegue la sentenza della Corte, deve evidenziarsi
 che la nuova formulazione dell'art. 47, terzo comma ha  dato  vita  a
 gravissimi  problemi;  ed invero, se il periodo di custodia cautelare
 non serve all'osservazione che viene spostata  su  quello  successivo
 della  liberta',  e  se, per questo, non occorre nemmeno piu' che sia
 rispettato  il  termine  di  almeno  un  mese  stabilito  dal   comma
 precedente  appare  oscuro il significato di questa condizione che si
 pone come inutile presupposto  della  grave  deroga  alla  disciplina
 generale, rimasta ferma nei primi due commi.
    Una  deroga  che  fa  dell'affidamento  previsto nei commi terzo e
 quarto una specie diversa, poiche', in  definitiva,  esonera  da  una
 precedente  situazione  di  espiazione  carceraria  chi,  nel periodo
 intermedio, dopo una custodia cautelare, anche di brevissima  durata,
 abbia   tenuto  un  comportamento  tale  da  consentire  un  giudizio
 prognostico favorevole  in  termini  rideucativi.  Ma,  ha  avvertito
 ancora  la  Corte,  l'elemento della custodia cautelare, che dovrebbe
 giustificare il diverso e sfavorevole trattamento riservato a chi non
 ha avuto la ventura di incorrervi, e' privo di  significato  ai  fini
 del   giudizio   di   idoneita'   del   soggetto  alla  rieducazione,
 specialmente quando si  tratti  di  un  periodo  brevissimo;  il  che
 significa  che  e'  anche privo di significato in termini di art. 27,
 terzo comma, della Costituzione. Ed invero, a parte la considerazione
 che la custodia cautelare puo' dipendere  da  varie  e  imprevedibili
 circostanze  (art.  274,  lettere  a, b, c, del c.p.p.) deve comunque
 rilevarsi che poiche' le misure cautelari coercitive  possono  essere
 applicate soltanto quando si proceda per delitti per i quali la legge
 prevede  la  pena  dell'ergastolo  o  della  reclusione superiore nel
 massimo a tre anni, l'affidamento finirebbe per  essere  riservato  a
 coloro  che,  avendo  commesso  reati  piu' gravi o avendo dimistrato
 maggiore pericolosita', sono stati sottoposti alle  misure  predette.
 Ma,  si legge ancora nella decisione, sembra, difficile sostenere che
 questi posseggano maggiore idoneita' alla rieducazione rispetto a chi
 non abbia sperimentato la custodia cautelare. Ne consegue, ad  avviso
 della   Corte,   che   l'unico   elemento   significativo  rimasto  a
 contraddistinguere la disciplina comune  dell'affidamento,  vuoi  del
 detenuto  in espiazione, vuoi del condannato ancora in liberta', vuoi
 del condannato  tossico  o  alcooldipendente  e'  l'osservazione  del
 comportamento  ai  fini  del  giudizio  prognostico  di idoneita' del
 soggetto alla rieducazione: osservazione che il legislatore ha  ormai
 riconosciuto  poter  utilmente  avvenire  tanto  durante l'espiazione
 carceraria della pena (47, secondo comma), quanto  in  liberta'  (47,
 terzo  comma  e 47- bis). Pertanto, conclude la sentenza, il punto di
 discrimine incentrato su una custodia cautelare, anche di  brevissima
 durata,  per  ammettere o escludere l'affidamento di chi non si trovi
 in espiazione di pena, si presenta incompatibile con  i  principi  di
 cui agli art. 3 e 27 della Costituzione.
    4. - Esposto tutto quanto al punto che precede con l'ampiezza resa
 necessaria  dall'importanza  della  questione  trattata,  osserva  il
 tribunale che la speciale normativa dettata  dalla  legge  29  aprile
 1983,  n.  167,  e'  stata introdotta proprio al fine di estendere al
 condannato   dall'autorita'    giudiziaria    militare,    con    gli
 indispensabili  adattamenti  richiesti  dalla  particolare  finalita'
 della pena militare, l'istituto previsto dall'art. 47 della legge  n.
 354  del  1975.  Tale  speciale  normativa, peraltro, se si prescinde
 dall'adeguamento della durata  dell'osservazione  nello  stabilimento
 militare  di  pena  (ridotta da tre mesi a un mese dall'art. 1, n. 1,
 legge 23 dicembre 1986, n. 897 in conformita' di quanto disposto  per
 l'affidamento  al  servizio  sociale dell'art. 4- bis legge 21 giugno
 1985,  n.  297),  e'  rimasta  del  tutto   estranea   all'evoluzione
 dell'istituto    comune,    culminata   con   la   dichiarazione   di
 incostituzionalita' del'art. 47, terzo comma, legge n. 354 del  1975.
 Si  e'  in  tal  modo  venuta  a  creare,  ad avviso del collegio una
 irragionevole ed ingiustificata disparita' di  trattamento  in  danno
 del  cittadino  alle  armi. Ed infatti, se e' vero che nella legge n.
 167  del  1983  appare  pienamente  giustificata l'esistenza di norme
 speciali  dirette  a  realizzare   gli   indispensabili   adattamenti
 richiesti  dalla  specialita'  degli organi giudiziari militari e del
 diritto penale militare, nonche' dalla necessita'  di  distinguere  a
 seconda  che il condannato abbia terminato oppure no il periodo della
 ferma (ad esempio le disposizioni di cui agli artt. 4, 3, 8  e  9  in
 materia   di   competenza,   di   modalita'   per  l'affidamento,  di
 legittimazione  alla  richiesta  del  beneficio,   di   comunicazione
 all'autorita'  di pubblica sicurezza), e' altrettanto vero, ad avviso
 del  tribunale,  che  tali  esigenze  di  specialita'   non   possono
 ragionevolmente  spingersi  fino  al  punto  di  porre  nel  nulla un
 principio di valenza assolutamente  generale  (l'equivalenza,  cioe',
 tra  l'osservazione  durante l'espiazione carceraria e l'osservazione
 in  liberta')  che,  pur   affermato   dalla   Corte   costituzionale
 relativamente  all'istituto comune, sembra dover valere, per evidenti
 ragioni di eguaglianza, anche in ordine  all'istituto  speciale.  Ne'
 pare al tribunale che la indefettibile osservazione intramurale possa
 essere  giustificata  dalla  peculiare  configurazione  dell'istituto
 dell'affidamento in prova del condannato militare che prevede che  lo
 stesso  sia  affidato  non  gia'  al  servizio sociale (per essere da
 questo  controllato  ed  aiutato  a  superare   le   difficolta'   di
 adattamento  alla  vita  sociale)  ma  a  un comando o ente militare,
 ovvero o un ufficio o ente pubblico non militare per  la  prestazione
 di  un  determinato  servizio.  Ed  invero,  sembra  in  proposito al
 collegio che, pure in presenza  di  tale  particolare  configurazione
 dell'istituto,   sufficienti  ad  adeguati  elementi  di  valutazione
 possano  trarsi,  ai  fini  dell'adozione  del  provvedimento,  dalle
 informazioni  degli organi di polizia e dalle risultanze delle visite
 attitudinali eseguite all'atto della selezione. Oltre che con  l'art.
 3  della  Costituzione,  il  tribunale ritiene, infine, che l'art. 2,
 primo comma, della legge 29 aprile 1983, n. 167, confligga anche  con
 l'art.   27,   terzo   comma  perche',  prevedendo  indefettibilmente
 l'osservazione intramurale per almeno un mese, viene, in sostanza, ad
 eludere  la  finalita'  rieducativa  delle  pene   detentive   e   in
 particolare di quelle meno gravi.
    La  rilevanza della prospettata questione appare evidente perche',
 ove si ritenesse  indispensabile  l'osservazione  nello  stabilimento
 militare di pena, l'istanza dovrebbe essere dichiarata inammissibile.