IL TRIBUNALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  procedimento  civile
 promosso  dal  fallimento  della  Finshipping  S.p.a., in persona del
 curatore dott. Francesco Crupi, elettivamente domiciliato in  Genova,
 via  Assoratti,  5,  presso  e  nello  studio  del prof. avv. Giorgio
 Schiano di Pepe che lo rappresenta e difende unitamente al prof. avv.
 Enrico Moscati del Foro di Roma per mandato in calce al  ricorso  per
 riassunzione,  attore,  contro l'United nations high commissioner for
 refugees (U.N.H.C.R.), con sede in Ginevra ed  in  persona  del  sig.
 Jean  Pierre Hocke, rappresentato nel presente procedimento dall'avv.
 Renzo Berlingieri in unione disgiuntamente all'avv. Giuliana  Rugani,
 elettivamente  domiciliato  presso quest'ultima, in Genova, via Roma,
 10.3, per mandato rilasciato dal sig. Mohamed  Benamar,  delegato  in
 Italia  dell'Alto  commissario delle Nazioni unite per i rifugiati in
 calce alla comparsa di risposta, convenuto, e  nei  confronti  di  De
 Franceschi  S.p.a.  Monfalcone, corrente in Pordenone, in persona del
 legale  rappresentante  pro-tempore,  elettivamente  domiciliata   in
 Genova,  piazza  Corvetto  presso e nello studio degli avvocati prof.
 Nicola  Balestra  e  Cristoforo  Kielland  che  la  rappresentano   e
 difendono  per mandato in calce alla copia notificata della citazione
 per chiamata di terzo in causa, chiamata in causa.
                       SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
    Con atto di citazione in data 20 marzo 1987 la Finshipping S.p.a.,
 corrente in Roma, esponeva avere assunto il trasporto da Monfalcone a
 Mogadiscio e Berbera a mezzo della m/n Vanil di un carico  di  sacchi
 di farina di grano turco destinato all'Alto commissario delle Nazioni
 unite per i rifugiati (U.N.H.C.R.).
    Aggiungeva che la merce era stata sbarcata a Mogadiscio in ritardo
 sui  tempi  convenuti per fatto e colpa dei ricevitori che in un caso
 non erano stati in grado di esibire i documenti atti a consentirne la
 presa in consegna e nell'altro per due volte non  avevano  assicurato
 la  presenza  dei  camions necessari al suo scarico, determinando una
 sosta forzata della nave in quel porto.
    Precisava che l'inattivita' del natante  costituiva  inadempimento
 agli   obblighi  contrattuali  assunti  dal  ricevitore  che  doveva,
 conseguentemente, risarcire  il  vettore  dei  sofferti  danni  nella
 misura convenzionalmente stabilita (art. 7, lett. f) della polizza di
 carico)  di  2  dollari  statunitensi  per tonnellata di stazza lorda
 della nave al giorno, per complessivi () USA 279.997.
    Tanto premesso conveniva in giudizio dinanzi  a  questo  tribunale
 l'Alto  commissariato  anzidetto  per  sentirlo  dichiarare  tenuto a
 condannare al risarcimento  dei  danni  nella  misura  sopraindicata,
 aumentata  del  maggior  danno  conseguente alla perdita di valore di
 cambio tra dollaro statunitense e lira italiana, interessi semplici e
 composti;  produceva  varia  documentazione  a  sostegno  dei  propri
 assunti.
    Si   costituiva  l'ente  convenuto  eccependo  preliminarmente  la
 carenza di legittimazione attiva in capo all'attrice sul rilievo  che
 la  polizza di carico avversariamente prodotta - e che documentava il
 contratto  di  trasporto  -  risultava  sottoscritta  dal  comandante
 dell'armatrice-proprietaria della nave "Suisse Atlantique, Lausanne",
 a  testimonianza che il trasporto era stato assunto da quest'ultima e
 non gia'  dall'attrice  Finshipping  (circostanza  documentata  anche
 dalla  presenza  in  polizza  della  clausola  "identity  of  carrier
 clause").
    Nel merito - ed in  punto  di  fatto  -  contestava  ogni  propria
 responsabilita'  nel  ritardo rilevando che la sosta della nave oltre
 il tempo previsto era invece dipesa  dalla  scarsa  ricettivita'  del
 porto  di  Mogadiscio, dal gran numero di navi in attesa e dal locale
 regolamento portuale che concedeva precedenza a determinate categorie
 di navi tra le quali non figurava quella del natante di che trattasi.
   Osservava, inoltre, che sul recto della polizza anzidetta era stata
 dattiloscritta la clausola "free in - liner  out"  che  letteralmente
 stava  a  significare  che  la caricazione era avvenuta a rischio del
 caricatore mentre la discarica  avrebbe  dovuto  avvenire  a  cura  e
 rischio  della  nave; da cio' traendosi da un lato l'inapplicabilita'
 della clausola a stampa n. 7/f avversariamente  invocata  -  in  base
 alla   quale   ogni   ritardo  cagionato  alla  nave  a  destino  era
 addebitabile al "merchant" - e dall'altro l'esonero di  ogni  propria
 responsabilita'  per  la  pretesa  forzata  inattivita' del natante a
 Mogadiscio.
    Lamentava, inoltre, di esser stato costretto a  prestare  garanzia
 bancaria  in  favore  della Finshipping per il pagamento dei danni da
 ritardo onde consentire  la  prosecuzione  delle  merci  destinate  a
 Berbera  sulle  quali  l'attrice  aveva  minacciato - in difetto - di
 esercitare il proprio diritto di ritenzione.
    Chiedeva,  pertanto,  rigettarsi  le   opposte   pretese   siccome
 infondate  con  la condanna dell'attrice al pagamento del costo della
 prestata garanzia bancaria nell'importo precisato in corso di  causa.
 In via istruttoria chiedeva essere autorizzato a chiamare in giudizio
 la  De Franceschi S.p.a. - che aveva vinto la gara di fornitura della
 merce indetta  dalla  Commissione  CEE  e  che,  contrariamente  alle
 condizioni  del  bando,  aveva accettato una clausola particolarmente
 onerosa quale quella menzionata nell'art.  7/f  nel  testo  a  stampa
 anzidetto  - perche' fosse condannata a tenere indenne esso convenuto
 dalle conseguenze derivanti dall'accoglimento del reclamo attoreo.
    Autorizzata la chiamata si costituiva in giudizio la De Franceschi
 che subito faceva  propria  l'eccezione  preliminare  di  carenza  di
 legittimazione  passiva  in  capo  alla  Finshipping, formulata dalla
 convenuta-chiamante.
    Nel merito rilevava che il ritardo doveva essere  attribuito  o  a
 fatto  incolpevole  dell'ente  convenuto (ed allora doveva escludersi
 ogni responsabilita', sia dell'ente che - conseguentemente -  propria
 per  effetto  della  clausola  a  stampa esonerativa "free in - liner
 out") ovvero a ritardo colpevole dell'Alto Commissariato  (ed  allora
 era  parimenti  da  escludere ogni propria responsabilita' essendo in
 tal caso il ritardo imputabile esclusivamente all'ente convenuto).
    La causa, istruita documentalmente,  veniva  chiamata  per  essere
 assegnata a sentenza all'udienza collegiale del 22 dicembre 1980 e in
 quell'occasione   interrotta   per   intervenuto   fallimento   della
 Finshipping, dichiarato dal suo difensore.
    Riassumeva il giudizio il  curatore  del  fallimento  con  ricorso
 depositato  il  21  febbraio  1990  a  ministero di diverso difensore
 chiedendo fissarsi udienza per la prosecuzione  del  processo;  e  la
 causa,  sulle  conclusioni come sopra trascritte, e' stata trattenuta
 in decisione all'odierna udienza collegiale.
                        MOTIVI DELLA DECISIONE
    La  difesa  dell'Alto  Commissario  delle  Nazioni  Unite  per   i
 rifugiati  ha  eccepito preliminarmente l'estinzione del processo sul
 rilievo che la riassunzione del giudizio interrotto  per  intervenuto
 fallimento   dell'attrice,  avvenuta  a  cura  del  fallimento  della
 Finshipping S.p.a. mediante ricorso depositato il 21  febbraio  1990,
 non  e'  stata effettuata nel termine perentorio di sei mesi previsto
 dall'art.  305  del  c.p.c.,  decorrente  dalla   data   dell'udienza
 collegiale del 22 dicembre 1988 interruttiva del processo.
    Effettivamente,  dall'esame  della  documentazione processuale, e'
 emersa la fondatezza in punto di fatto del rilievo atteso  che  dalla
 data dell'udienza collegiale nella quale l'avv. Cigolini, procuratore
 della  Finshipping,  dichiaro'  l'intervento fallimento della propria
 cliente, alla data di deposito del ricorso per riassunzione  avvenuto
 il  21  febbraio  1990  risultano trascorsi longe ed ultra i sei mesi
 imposti  dall'art.  305  del  c.p.c.  quale  termine  perentorio  per
 provvedere a tale incombente sotto pena dell'estinzione del processo.
    Il collegio, peraltro, dubita della legittimita' costituzionale di
 tale disposizione riferita all'ipotesi, quale quella di specie, nella
 quale una parte costituita abbia  perduto  la  propria  capacita'  di
 stare in giudizio per l'evento fallimento.
    Come  e' noto la Corte costituzionale, con due sentenze in data 15
 dicembre 1967, n. 139 e 6 luglio 1971, n. 159 ebbe gia' a  dichiarare
 l'incostituzionalita'  dell'art.  305  del c.p.c. rispettivamente: a)
 nella parte in cui faceva decorrere dalla data dell'interruzione  del
 processo  il  termine  per  la sua prosecuzione o la sua riassunzione
 anche nei casi di morte e d'impedimento del  procuratore  costituito,
 regolati  dal  precedente art. 301 del c.p.c. e b) b1) nella parte in
 cui disponeva che il termine utile  per  la  prosecuzione  o  per  la
 riassunzione  del  processo  interrotto  ai  sensi  dell'art. 299 del
 c.p.c. dello stesso codice decorreva dall'interruzione anziche' dalla
 data in cui le parti ne avevano avuto conoscenza) b2) nella parte  in
 cui  disponeva  che  il  termine  utile  per la prosecuzione o per la
 riassunzione del processo interrotto ai  sensi  del  precedente  art.
 300,  terzo comma, decorreva dall'interruzione anziche' dalla data in
 cui le parti ne avessero avuto conoscenza.
    Comune ad ambedue le decisioni e'  stata  la  constatazione  della
 mancanza  di  garanzia della tutela giurisdizionale e della difesa in
 ogni stato e grado del processo in disposizioni - quali quelle  sopra
 citate  -  nelle  quali  il  termine  stabilito per la prosecuzione o
 riassunzione  del  processo  veniva  fatto   decorrere   dalla   data
 dellevento interruttivo anziche' dalla data dell'effettiva conoscenza
 dell'evento  stesso  dalla  parte interessata, con evidenti svantaggi
 per il soggetto che la norma intendeva invece proteggere.
    Nel caso di specie il termine viene fatto decorrere dalla data  in
 cui  il procuratore della parte che ha perso la capacita' di stare in
 giudizio  a  seguito  di   fallimento   effettua   in   giudizio   la
 dichiarazione  dell'evento  stesso;  cio'  che se assicura senz'altro
 alla controparte la conoscibilita' di  tale  circostanza  ma  non  ne
 assicura  la  conoscenza  alla  parte  che piu' di ogni altra avrebbe
 necessita' di apprenderla, vale a dire il fallimento stesso.
    Conoscibilita' che, nella specie, dovrebbe poi essere  esclusa  in
 punto  di  fatto,  e  a tacer d'altro, dalla diversita' dei difensori
 della societa' Finshipping e del suo fallimento che lascia presumere,
 al di la' di un  possibile,  ma  non  dimostrato,  concerto  dei  due
 patroni,  una reciproca ignoranza dei due procedimenti riguardanti la
 societa'.
    Ne' varrebbe opporre che per effetto dell'art. 300 del  c.p.c.  il
 procuratore   della   parte   deceduta   o   della  societa'  fallita
 conserverebbe il potere di dilazionare  nel  tempo  la  dichiarazione
 dell'evento,  con  cio'  assicurando  la  tutela  dei  successori del
 defunto o del curatore del  fallimento  che  le  succedera'  i  quali
 nessun  pregiudizio  potrebbero quindi subire fino a quando non fosse
 resa nota la causa dell'interruzione e non fosse chiesto  che  questa
 venga dichiarata.
    Siffatta interpretazione e', innanzitutto, dubbio che possa essere
 applicata,  oltre  che  agli  eredi  della  parte decaduta (effettivi
 successori della parte defunta)  anche  al  fallimento  che  possiede
 spiccate  qualita'  di  "terzo" rispetto al fallito e che gode di ben
 maggiore  autonomia  anche  processuale  rispetto  alla posizione del
 fallito medesimo.
    In ogni caso il sistema cosi' delineato si fonderebbe  pur  sempre
 sullo  zelo  del procuratore della societa' fallita cui si imporrebbe
 di ricercare se  e  quando  il  fallimento  indendesse  coltivare  le
 pretese della societa' fallita.
    Ed  al  fallimento  verrebbero  imputate,  in  buona  sostanza  le
 attivita'  e/o  le  inattivita'  del  procuratore  di   un   soggetto
 processuale   non  piu'  esistente  e  terzo  rispetto  alla  propria
 situazione giuridica, da questi seppure nominato e  in  tesi  neppure
 conosciuto.
    Pare  al  Collegio che un sistema siffatto contrasti con l'art. 24
 della  Costituzione   in   quanto,   mediante   la   grave   sanzione
 dell'estinzione  del  processo,  viene  a  pregiudicare gravemente il
 diritto di difesa di un potenziale  soggetto  processuale  senza  sua
 colpa.
    La  questione  non  appare  manifestamente  infondata per i motivi
 dianzi esposti; ed appare rilevante nel giudizio in corso  in  quanto
 una    conservazione    giuridica    della    norma   sospettata   di
 incostituzionalita' imporrebbe senz'altro di dichiarare  l'estinzione
 del processo.
    Gli  atti  devono, quindi essere rimessi alla Corte costituzionale
 per il giudizio di  costituzionalita'  della  norma  denunciata;  con
 sospensione del giudizio in corso sino all'esito di quello.