ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 2 e 2- bis del
 decreto-legge 31  ottobre  1990,  n.  310  (Disposizioni  urgenti  in
 materia  di finanza locale), convertito con modificazioni nella legge
 22 dicembre 1990, n. 403, promossi con ricorsi delle Regioni Toscana,
 Lombardia e Liguria, notificati il 28  gennaio  1991,  depositati  in
 cancelleria  il  1›,  4 e 5 febbraio 1991 ed iscritti ai nn. 2, 3 e 4
 del registro ricorsi 1991;
    Visto l'atto di costituzione  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nell'udienza pubblica del 9 aprile 1991 il Giudice relatore
 Antonio Baldassarre;
    Uditi gli  Avvocati  Alberto  Predieri  per  la  Regione  Toscana,
 Valerio Onida per la Regione Lombardia, Paolo Zanchini per la Regione
 Liguria  e  l'Avvocato  dello Stato Sergio La Porta per il Presidente
 del Consiglio dei ministri;
                           Ritenuto in fatto
   1. - Con ricorso ritualmente notificato e  depositato,  la  Regione
 Toscana   ha   sollevato  questione  di  legittimita'  costituzionale
 dell'art.  2-  bis  del  decreto-legge  31  ottobre  1990,   n.   310
 (Disposizioni  urgenti  in  materia  di  finanza  locale),  nel testo
 introdotto dalla legge di conversione 22 dicembre 1990, n.  403,  per
 contrasto  con  gli  artt.  3,  28,  81,  97,  117,  118  e 119 della
 Costituzione.
    La disposizione impugnata prevede che, per il periodo compreso tra
 il 1987 e il 1990, le regioni - in vista del  ripiano  dei  disavanzi
 delle  aziende  di trasporto pubbliche, private e in concessione, cui
 non sia stata assicurata copertura con  i  sistemi  di  finanziamento
 disposti  dalla legge-quadro sui trasporti pubblici (legge n. 151 del
 1981) e dall'art. 2 dello stesso decreto-legge  n.  310  del  1990  -
 possono  contrarre  mutui  decennali,  anche  al  di fuori dei limiti
 consentiti  dalle  leggi  vigenti,  assumendo  i  relativi  oneri  di
 ammortamento  a carico dei propri bilanci e osservando le procedure e
 i criteri da stabilirsi con decreto del Ministro del tesoro.
    Ad   avviso   della   ricorrente,  tale  disposizione  violerebbe,
 innanzitutto,  le  competenze  regionali  in  materia  di   trasporti
 pubblici, garantite dagli artt. 117 e 118 della Costituzione, nonche'
 il principio di autonomia finanziaria (art. 119 della Costituzione) e
 quello  della  copertura  obbligatoria  delle  nuove  spese (art. 81,
 quarto comma, della Costituzione). Secondo la Regione, l'art. 2-  bis
 contiene  una disciplina, la quale produrrebbe un'inversione di rotta
 rispetto alla  disciplina  previgente,  comportante  l'ingiustificata
 introduzione della responsabilita' finanziaria regionale, in luogo di
 quella  statale,  relativamente  al  risanamento  del disavanzo delle
 aziende di trasporto (v., in particolare, artt. 6 e 9 della legge  n.
 151  del  1981,  nonche' l'art. 1 del decreto-legge n. 833 del 1986 e
 gli artt.  1 del decreto-legge n. 77 del 1989 e 4 della legge n.  385
 del 1990).
    Oltre  a  contrastare  con  il legittimo affidamento delle regioni
 riguardo  all'imputazione  allo  Stato  della   responsabilita'   del
 ripianamento   del   disavanzo,   l'art.   2-   bis  conterrebbe  una
 disposizione intrinsecamente contraddittoria, laddove prevede per  le
 aziende  di  trasporto  pubbliche,  private  e in gestione diretta un
 intervento successivo a quello degli enti locali, con una conseguente
 confusione dei rispettivi ruoli contrastante  con  il  principio  del
 buon   andamento   della  pubblica  amministrazione  (art.  97  della
 Costituzione). La stessa disposizione violerebbe anche i principi  di
 ragionevolezza  e di responsabilita' dei dipendenti pubblici (artt. 3
 e 28 della Costituzione) a causa della previsione di un meccanismo di
 risanamento svincolato da un sistema di sanzioni a carico di  chi  ha
 causato il disavanzo.
    Infine,  la stessa Regione contesta la costituzionalita' dell'art.
 2- bis, secondo comma, il quale rinvia a un decreto  ministeriale  la
 determinazione  dei  criteri  e  delle  procedure per l'assunzione di
 mutui, sul presupposto che tale disposizione violi l'art.  119  della
 Costituzione   nel   consentire  a  un  provvedimento  amministrativo
 d'intervenire in materia di competenza regionale e,  in  particolare,
 di  regolare  l'erogazione  di  mutui  posti  a  carico  dei  bilanci
 regionali.
   2. - La Regione Lombardia, con ricorso  regolarmente  notificato  e
 depositato, ha contestato la legittimita' costituzionale dell'art. 2-
 bis  del  decreto-legge  n.  310 del 1990, nel testo conseguente alla
 legge di conversione n. 403 del 1990, per violazione degli artt.  81,
 117,  118  e  119  della  Costituzione,  adducendo ragioni analoghe a
 quelle  formulate  nel  ricorso   della   Regione   Toscana   per   i
 corrispondenti profili.
    In particolare, la ricorrente sottolinea che l'art. 2 dello stesso
 decreto-legge, nel prevedere la responsabilita' degli enti locali per
 il  ripiano  dei  disavanzi  di  esercizio delle aziende di trasporto
 pubbliche, private e in  gestione  diretta  e  nel  subordinare  tale
 intervento   a   un   piano   di   risanamento  economico-finanziario
 finalizzato al raggiungimento dell'equilibrio di bilancio entro il 31
 dicembre 1966, appare del tutto  coerente  con  il  disegno  presente
 nella  legislazione  previgente,  per  il  quale le regioni sarebbero
 tenute a erogare soltanto i contributi di esercizio in base a criteri
 fissati da leggi statali e mediante utilizzo delle  quote  del  Fondo
 nazionale  assegnate  a  ciascuna  di  esse,  mentre  la copertura di
 disavanzi ulteriori sarebbe sempre posta a carico degli enti locali e
 delle imprese concessionarie, salvo  interventi  di  ripianamento  da
 parte  dello  Stato.  Al  contrario,  l'impugnato art. 2- bis sarebbe
 stato introdotto in sede di conversione al solo scopo  di  riproporre
 la  manovra  di  inopinato  addossamento  alle regioni degli oneri di
 disavanzo, la quale e' sempre stata  dichiarata  incostituzionale  da
 questa  Corte  (v.  sentt.  nn.  307 del 1983, 245 del 1984 e 452 del
 1989).
    Infine,   la   stessa   Regione   osserva   che   l'alternativita'
 dell'intervento  regionale  rispetto  a  quello  degli enti locali ne
 cancellerebbe nei fatti la  presunta  facoltativita',  la  quale,  se
 fosse  vera, non avrebbe bisogno, peraltro, di un'espressa previsione
 legislativa (essendo implicitamente compresa nell'autonomia di scelta
 delle regioni stesse), ne'  sarebbe  coerente  con  il  rinvio  a  un
 decreto  del  Ministro del tesoro per la disciplina delle procedure e
 dei criteri relativi.
    3. - La Regione Liguria, con  ricorso  regolarmente  notificato  e
 depositato,  ha  sollevato  questione  di legittimita' costituzionale
 degli artt. 2 e 2- bis  del  decreto-legge  n.  310  del  1990,  come
 convertiti  dalla legge n. 403 del 1990, in riferimento agli artt. 5,
 81, 115, 117, 118 e 119 della Costituzione.
    Oltre ad addurre motivi analoghi a quelli  formulati  dalle  altre
 ricorrenti,  la  Regione  Liguria  afferma  che l'autonomia regionale
 garantita dagli  artt.  117,  118  e  119  della  Costituzione  e  il
 principio  della  copertura  finanziaria  di  nuove  spese, stabilito
 dall'art. 81, quarto comma, della Costituzione, sarebbero lesi  sotto
 l'ulteriore  profilo  relativo  alla  totale esclusione delle regioni
 dall'approvazione dei piani di risanamento delle aziende di trasporto
 previsti dall'art. 2 dell'impugnato decreto-legge, con la conseguenza
 che l'intervento di ripiano dei bilanci delle aziende  di  trasporto,
 sulla  facoltativita'  del quale anche la Regione Liguria nutre dubbi
 sia  sotto  il  profilo  normativo   sia   sotto   quello   fattuale,
 risulterebbe  attribuito alla responsabilita' delle regioni senza che
 a queste  siano  riconosciuti  poteri  di  controllo  sulle  relative
 attivita' di gestione.
    Da ultimo, la Regione Liguria assume che le disposizioni impugnate
 contrastano  anche  con  gli  artt.  5  e 115 della Costituzione, per
 violazione dei principi di autonomia costituzionale delle regioni nel
 quadro dei  rapporti  tra  enti  egualmente  autonomi,  espressi  dai
 predetti articoli.
    4.  -  In tutti e tre i giudizi si e' costituito il Presidente del
 Consiglio dei ministri con atti di intervento di identico  contenuto,
 per chiedere il rigetto delle questioni sollevate.
   Premesso che, come risulta dalla relazione illustrativa del disegno
 di  legge  per  la  conversione del decreto-legge n. 310 del 1990, il
 sistema delineato dalle disposizioni impugnate mira  a  risolvere  il
 problema  dei cospicui disavanzi delle aziende di trasporto, anche in
 risposta a precise sollecitazioni delle grandi citta'  metropolitane,
 l'Avvocatura generale dello Stato sostiene che la facolta' attribuita
 alle  regioni dall'art. 2- bis dovrebbe essere messa in relazione con
 l'art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281, nel senso che  dovrebbe
 esser  interpretata come rimozione del limite previsto da tale norma,
 che  consente  alle  regioni  di  assumere   mutui   per   provvedere
 esclusivamente  a  spese  di  investimento.  L'art.  2- bis, in altri
 termini,  sarebbe  soltanto  una  norma   autorizzatoria,   che   non
 implicherebbe  alcuna  coartazione per le regioni e alcuna previsione
 di  nuove  spese  a  carico  dei  bilanci  regionali, con conseguente
 salvezza dei principi enunciati nelle norme  costituzionali  invocate
 come  parametro  dei  presenti  giudizi. Infine, secondo l'Avvocatura
 dello  Stato,  la  natura   meramente   facoltativa   dell'intervento
 regionale escluderebbe qualsiasi violazione dei principi posti a base
 della  sentenza  n.  307 del 1983 di questa Corte e di quelle succes-
 sive.
    5. - In  prossimita'  dell'udienza  hanno  depositato  memorie  le
 regioni  Toscana  e  Lombardia,  le quali, oltre e ribadire argomenti
 gia' espressi, contengono  repliche  alle  deduzioni  dell'Avvocatura
 generale  dello  Stato.  In  particolare,  la  Regione  Toscana,  pur
 contestando il valore interpretativo dei lavori preparatori,  osserva
 che  dalla  lettura  di  questi  si  trae, se mai, ulteriore conferma
 dell'irragionevolezza delle misure introdotte con l'art.  2-  bis  in
 considerazione  dell'inadeguatezza dei bilanci degli enti locali e di
 quelli regionali in rapporto  all'entita'  dei  disavanzi  prodottisi
 nelle  aziende  di  trasporto  e  dovuti al concorso determinante dei
 provvedimenti  statali  sulle  tariffe.   Di   qui   deriverebbe   la
 conseguenza che quello del disavanzo delle aziende di trasporto e' un
 problema d'interesse nazionale, che, come tale, non puo' essere messo
 a carico delle regioni. Queste conclusioni sono condivise anche dalla
 Regione  Lombardia,  la  quale  insiste  in  particolare sulla natura
 obbligatoria  dell'intervento  regionale  (sottolineata  pure   dalla
 Regione  Toscana),  osservando che una norma meramente autorizzatoria
 per l'assunzione di mutui a copertura di spese correnti  non  sarebbe
 piu'  necessaria  dopo la modifica apportata dall'art. 22 della legge
 n. 335 del 1976 all'art. 10 della legge n. 281 del 1970.
    6. - Nel corso della  discussione  le  parti  hanno  insistito  su
 alcuni  punti  particolari.  La Regione Lombardia ha sottolineato che
 l'obbligatorieta' dell'intervento regionale  sarebbe  la  conseguenza
 logica  della  natura obbligatoria dell'intervento degli enti locali,
 chiaramente desumibile dall'art. 2, primo comma. Le Regioni Liguria e
 Toscana  hanno  insistito  sull'irrazionalita'  di  un  sistema  che,
 creando  debito  su  debito,  finirebbe  per  comportare  un  maggior
 aggravio di spesa pubblica. L'Avvocatura dello  Stato,  invece,  dopo
 aver  ricordato  che  il disavanzo si e' prodotto soprattutto a causa
 dell'eccesso di  personale  impiegato  e,  quindi,  a  causa  di  una
 politica dissennata degli enti locali, ha osservato che la previsione
 dell'intervento   facoltativo   delle   regioni   troverebbe  la  sua
 giustificazione in vari poteri che le regioni  hanno  in  materia  di
 trasporti  pubblici e, in particolare, in quelli previsti dagli artt.
 2, 3 e 6 della legge n. 151 del 1981. La stessa  Avvocatura,  infine,
 ha   sottolineato   che   le   censure   mosse   sotto   il   profilo
 dell'irragionevolezza sarebbero in realta' rilievi di  merito  o,  se
 pure  non  lo  fossero, sarebbero inammissibili, in quanto le regioni
 non potrebbero far valere il profilo della irragionevolezza  in  sede
 di giudizio di legittimita' costituzionale da esse promosso.
                        Considerato in diritto
    1.  -  Con distinti ricorsi, regolarmente notificati e depositati,
 le  Regioni  Toscana,  Lombardia  e  Liguria  hanno   contestato   la
 legittimita'  costituzionale  della previsione che le regioni possono
 contrarre mutui decennali per il ripiano dei disavanzi  di  esercizio
 delle  aziende  di  trasporto pubbliche, private e in concessione, la
 quale  e'  contenuta  nel  decreto-legge  31  ottobre  1990,  n.  310
 (Disposizioni urgenti in materia di finanza locale), convertito dalla
 legge 22 dicembre 1990, n. 403.
    Sebbene  la  norma  impugnata  sia sostanzialmente la medesima, le
 ricorrenti hanno tuttavia sollevato questioni di costituzionalita'  i
 cui  termini  formali  variano  leggermente  fra  di loro. La Regione
 Toscana, infatti, ha impugnato l'art. 2- bis, introdotto in  sede  di
 conversione,  per violazione delle competenze regionali in materia di
 trasporti  pubblici   (artt.   117   e   118   della   Costituzione),
 dell'autonomia   finanziaria   (art.  119  della  Costituzione),  del
 principio di copertura delle nuove  spese  (art.  81,  quarto  comma,
 della Costituzione), nonche' dei principi di ragionevolezza, del buon
 andamento  della pubblica amministrazione e della responsabilita' dei
 pubblici funzionari o dipendenti (rispettivamente artt. 3,  97  e  28
 della  Costituzione).  La  Regione  Lombardia  ha anch'essa impugnato
 soltanto l'art. 2- bis  circoscrivendo  le  sue  censure  ai  profili
 relativi   agli  artt.  81,  quarto  comma,  117,  118  e  119  della
 Costituzione. Infine, la Regione Liguria ha prospettato  la  medesima
 questione  ponendo  la  norma  impugnata  nella  piu'  ampia  cornice
 dell'intero meccanismo previsto dagli artt. 2 e 2- bis  del  decreto-
 legge  n.  310  del 1990, e sospettandone il contrasto, oltreche' con
 gli articoli della Costituzione da ultimo menzionati, con i  principi
 dell'autonomia  costituzionale  delle regioni nel quadro dei rapporti
 con  gli  enti  locali,  stabiliti  dagli  artt.  5   e   115   della
 Costituzione.
    A  causa dell'evidente e oggettiva connessione, i giudizi promossi
 dai ricorsi appena ricordati possono  essere  riuniti  e  decisi  con
 un'unica sentenza.
    2.  -  Le  questioni  di legittimita' costituzionale relative alle
 norme che prevedono la possibilita' di contrarre mutui da parte delle
 regioni per il ripiano dei disavanzi di esercizio  delle  aziende  di
 trasporto  pubbliche,  private  e  in concessione (art. 2- bis, primo
 comma) non sono fondate sotto i vari profili sollevati.
    2.1. - La disposizione impugnata prevede che "le  regioni  possono
 contrarre  mutui  decennali,  nei limiti delle perdite risultanti dai
 bilanci  redatti  e  approvati   ai   sensi   delle   norme   vigenti
 relativamente  agli  anni 1987, 1988, 1989 e 1990, per il ripiano dei
 disavanzi di esercizio delle aziende di trasporto pubbliche,  private
 e in concessione, che non hanno trovato copertura con i contributi di
 cui   all'art.  6  della  legge  10  aprile  1981,  n.  151,  nonche'
 limitatamente agli importi residuati dopo l'applicazione dei commi 1,
 2, 3 e 4 dell'art. 2 del presente decreto". Come risulta  chiaramente
 dal   tenore   letterale  della  disposizione  ("le  regioni  possono
 contrarre mutui") e come si  puo'  agevolmente  dedurre  dal  sistema
 normativo  in cui e' inserito l'impugnato art. 2- bis, la contrazione
 dei mutui ivi previsti corrisponde a  una  facolta'  che  le  regioni
 possono  esercitare, ove lo ritengano opportuno, successivamente agli
 interventi degli enti locali (e a quelli  delle  singole  aziende  di
 trasporto)  e  in  relazione agli ampi poteri che le medesime regioni
 posseggono  in   ordine   all'organizzazione,   anche   economica   e
 finanziaria, dei trasporti pubblici locali. In considerazione di tale
 natura,   che   presuppone   l'imputazione  dell'intervento  previsto
 all'autonomia di spesa che le regioni hanno nelle materie  sottoposte
 alle  proprie  competenze,  si  deve  ritenere, come ha correttamente
 sostenuto l'Avvocatura dello Stato, che l'art. 2- bis non si ponga in
 contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 della Costituzione.
    Piu'  in  particolare,  occorre  considerare che la facolta' delle
 regioni  di  contrarre  mutui  decennali  per  il  ripianamento   dei
 disavanzi  risultanti dai bilanci delle aziende di trasporto relativi
 agli esercizi 1987-1990 e' circoscritta dall'impugnato art. 2  -  bis
 alle  perdite  che  non  abbiano  trovato  copertura  sia  a  seguito
 dell'erogazione da parte delle regioni dei contributi di esercizio di
 cui all'art. 6 della legge 10 aprile 1981, n. 151, sia in conseguenza
 dei mutui decennali stipulati dagli enti locali a norma dell'art.  2,
 commi  primo,  secondo, terzo e quarto, del medesimo decreto-legge n.
 310 del 1990. In altri termini, le regioni hanno la  possibilita'  di
 determinarsi  a  coprire  le  somme residue dei disavanzi mediante la
 contrazione di mutui con oneri di ammortamento a  carico  dei  propri
 bilanci  soltanto dopo aver valutato se le aziende di trasporto e gli
 enti locali abbiano operato, nell'ambito dei rispettivi  poteri,  nel
 modo  piu'  efficiente  e  piu'  rigoroso  al  fine  di perseguire il
 risanamento del cospicuo disavanzo verificatosi negli anni  1987-1990
 nella  gestione dei servizi di trasporto. Infatti, tanto i contributi
 di esercizio erogati con legge  regionale,  quanto  l'assunzione  dei
 mutui da parte degli enti locali sono sottoposti a precise condizioni
 concernenti  la  gestione  economica  e  finanziaria delle aziende di
 trasporto: i primi sono vincolati dall'art. 6 della legge n. 151  del
 1981  all'obiettivo "di conseguire l'equilibrio economico dei bilanci
 dei servizi di trasporto"  sulla  base  di  criteri  dettagliatamente
 indicati  nello  stesso  articolo; i mutui degli enti locali, invece,
 possono essere  assunti,  a  norma  dell'art.  2,  comma  sesto,  del
 decreto-legge    n.   310   del   1990,   soltanto   subordinatamente
 "all'adozione, entro il 30 giugno 1991, da parte  degli  enti  locali
 interessati,  su  proposta  dell'azienda  ove ricorra, di un piano di
 risanamento  economico-finanziario  che  preveda  il   raggiungimento
 dell'equilibrio di bilancio entro il termine del 31 dicembre 1996".
   Quello   previsto  dalla  disposizione  impugnata  e',  dunque,  un
 intervento che, per il carattere facoltativo e residuale del relativo
 potere  e  per  essere  frutto  di   una   decisione   collegata   al
 discrezionale   apprezzamento  dei  comportamenti  delle  aziende  di
 trasporto e degli enti locali, risponde alla posizione costituzionale
 e alla responsabilita' politica che le regioni hanno  in  materia  di
 trasporti pubblici locali. Infatti, come ha sottolineato l'Avvocatura
 dello  Stato nella discussione orale, non puo' trascurarsi il rilievo
 che, oltre al potere di  erogare  i  contributi  di  esercizio  prima
 ricordati  e  di  dettare  in  concreto le correlative condizioni, le
 regioni, in base alla  legge-quadro  sui  trasporti  pubblici  locali
 (artt.  2  e  3  della legge n. 151 del 1981), posseggono ampi poteri
 programmatori, d'indirizzo e di  controllo,  aventi  ad  oggetto  gli
 aspetti  fondamentali  del  trasporto  pubblico  e,  in  particolare,
 l'organizzazione, la ristrutturazione, il potenziamento del servizio,
 le  attivita'  di  investimento  e  l'esercizio  dei  trasporti  (v.,
 specialmente,  l'art.  2,  lettera  c, della legge appena citata: "le
 regioni, nell'ambito  delle  loro  competenze  (..  ..  ..)  adottano
 programmi   pluriennali   o   annuali  di  intervento,  sia  per  gli
 investimenti sia per l'esercizio dei trasporti pubblici locali").
    Da tutto cio' derivano la sostanziale differenza  della  questione
 sollevata  con  i  ricorsi  in esame rispetto a quelli gia' decisi da
 questa Corte ed erroneamente invocati dalle regioni  come  precedenti
 (v.  sentt.  nn.  307  del  1983,  245  del 1984 e 452 del 1989) e la
 giustificazione,  sotto  il  profilo costituzionale, della previsione
 legislativa della possibilita' di  un  concorso  delle  regioni,  ove
 queste  lo  ritengano,  al  risanamento  economico-finanziario  di un
 settore rispetto al quale non sono prive di responsabilita', se  pure
 (a  differenza degli enti locali) su un piano diverso da quello della
 gestione e della programmazione aziendale.
    Ne',  al  fine   di   dimostrare   la   presunta   obbligatorieta'
 dell'intervento    regionale    contestato,   sono   sufficienti   le
 argomentazioni formulate da alcune ricorrenti, secondo le  quali  una
 disposizione  facoltizzante, come quella impugnata, sarebbe superflua
 e non  richiederebbe  un'espressa  previsione,  dal  momento  che  il
 relativo  potere sarebbe ricompreso fra quelli connessi all'autonomia
 di  scelta  delle  regioni  stesse.  In  realta',  tale  ragionamento
 trascura  il rilievo che l'art. 10 della legge 16 maggio 1970, n. 281
 - il quale  non  ha  subi'to  modifiche,  sotto  i  profili  che  qui
 interessano, ad opera dell'art. 22 della legge 19 maggio 1976, n. 335
 -   autorizza   le  regioni  a  contrarre  mutui  esclusivamente  per
 provvedere a spese  di  investimento.  Sicche'  la  "giustificazione"
 della  disposizione  impugnata  sta  nel  fatto  di  costituire  (tra
 l'altro) una deroga alla regola stabilita dal ricordato art. 10,  nel
 senso  di  permettere  alle  regioni  di  esercitare  la  facolta' di
 contrarre mutui per spese di gestione al limitato scopo di coprire  i
 disavanzi registrati nelle aziende di trasporto negli anni 1987-1990.
    Tantomeno puo' riconoscersi valore ad altri "indizi" addotti dalle
 ricorrenti   al  fine  di  dimostrare  il  carattere  non-facoltativo
 dell'intervento contestato, quali la obbligatorieta' del potere degli
 enti locali di assumere mutui ai sensi dell'art. 2,  primo  comma,  o
 l'attribuzione al Ministro del tesoro del potere di stabilire le pro-
 cedure  e i criteri per l'assunzione dei mutui da parte delle regioni
 a norma dell'art. 2-  bis:  l'uno  e  l'altro  potere,  infatti,  non
 possono  avere  alcuna  influenza  sulla  definizione  del carattere,
 facoltativo  o  meno,  della  contrazione  dei  mutui  sottoposta   a
 contestazione.
    La   rilevata  facoltativita'  dell'intervento  regionale  per  il
 ripiano  dei  disavanzi  di  esercizio  delle  aziende  di  trasporto
 comporta  il  venir  meno  del  dubbio di legittimita' costituzionale
 prospettato dalla Regione Liguria  relativamente  all'art.  2,  nella
 parte  in  cui  esclude  le  regioni  dall'approvazione  del piano di
 risanamento aziendale ivi previsto.
    2.2.   -   Le   considerazioni   svolte   portano   a    escludere
 l'illegittimita'  costituzionale dell'art. 2- bis, primo comma, anche
 sotto i restanti profili.
    Non risulta violato l'art. 81, quarto comma,  della  Costituzione,
 poiche'   la  facoltativita'  dell'accollo  da  parte  regionale  dei
 disavanzi di esercizio delle aziende di  trasporto  registrati  negli
 anni 1987-1990 non puo' comportare alcun onere a carico delle regioni
 che non sia conseguente a una futura scelta di bilancio autonomamente
 determinata  dalle  regioni  stesse.  Per  gli stessi motivi non puo'
 configurarsi alcuna violazione delle  norme  costituzionali  poste  a
 tutela  dell'autonomia  regionale (artt. 5 e 115), considerato che la
 contrazione  dei  mutui  e'  prevista  come  frutto  di   un'autonoma
 decisione  regionale.  Ne', sempre a motivo del carattere facoltativo
 dell'intervento  previsto,  e'  ipotizzabile   un   contrasto   della
 disposizione  impugnata  con  i  principi  della  responsabilita' dei
 dipendenti pubblici e del buon andamento dell'azione  amministrativa,
 rispettivamente garantiti dagli artt. 28 e 97 della Costituzione.
    Va,  del  pari,  respinta la censura d'irragionevolezza mossa alla
 disposizione  impugnata,  che,  contrariamente   a   quanto   suppone
 l'Avvocatura   dello   Stato,   deve   comunque   esser   considerata
 ammissibile, dal momento che l'eventuale vizio di irragionevolezza di
 norme statali vincolanti lo svolgimento di potesta' legislative o  di
 funzioni  amministrative  delle  regioni,  o comunque incidenti sullo
 stesso, non potrebbe non riflettersi sull'integrita' delle competenze
 regionali o sul legittimo  esercizio  delle  medesime.  Il  carattere
 facoltativo  e residuale dell'intervento previsto e la connessione di
 quest'ultimo con le responsabilita' programmatorie, d'indirizzo o  di
 controllo  regionali  escludono  in  ogni  caso l'arbitrarieta' della
 disposizione impugnata.
    Cio' non toglie, tuttavia, che questa Corte non possa esimersi dal
 sottolineare  che  l'esistenza  di  cospicui   disavanzi   finanziari
 nell'esercizio del servizio pubblico essenziale del trasporto locale,
 se  pone indubbiamente questioni di gestione, solleva anche complessi
 problemi sulla finanza regionale e degli enti locali, che in  ipotesi
 sono   evidenziati  dalla  notoria  sottostima  del  Fondo  nazionale
 previsto dall'art. 9 della legge n. 151 del  1981  e  dalla  relativa
 incapienza  dei  bilanci degli enti locali. Si tratta di problemi che
 soltanto in via temporanea possono essere risolti con  provvedimenti-
 tampone,  come  quello  impugnato,  e  con  misure di emergenza, come
 l'eccezionale assunzione  di  mutui  per  spese  di  esercizio.  Tali
 risposte,  infatti, ove dovessero ripetersi, rischierebbero nel lungo
 periodo  di  aggravare  la  situazione  della  finanza  locale  e  di
 allontanare   quest'ultima   da   un  modello  razionale  di  finanza
 responsabile,  ponendosi  cosi'   in   contrasto   con   i   principi
 costituzionali sull'autonomia finanziaria delle regioni.
   3.   -   Va,   infine,   accolta   la   questione  di  legittimita'
 costituzionale che la Regione  Toscana  ha  sollevato  nei  confronti
 dell'art.   2-  bis,  secondo  comma,  secondo  periodo,  laddove  e'
 stabilito che il Ministro del tesoro fissa con un proprio decreto  le
 procedure  e  i  criteri  per  l'assunzione  dei mutui da parte delle
 regioni ai sensi del primo comma dello stesso articolo.
    La disposizione impugnata contrasta con gli artt. 117 e 118  della
 Costituzione,  per il fatto che, come questa Corte ha gia' avuto modo
 di affermare (v., da ultimo, sent. n. 283 del  1991),  nell'esercizio
 di   funzioni   attribuite   alla  competenza  delle  regioni  e,  in
 particolare, in relazione all'assunzione di mutui a totale carico dei
 bilanci regionali, lo Stato non ha alcuno  spazio  di  determinazione
 mediante decreti ministeriali.