IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE
   Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  sul  ricorso  n.  2478/90
 proposto dal dott. Gerolamo Minici, rappresentato e difeso  dall'avv.
 Giovanni  Di Gioia, presso il cui studio e' elettivamente domiciliato
 in Roma, piazza Mazzini n.  27,  contro  il  Ministero  di  grazia  e
 giustizia,  in  persona  del  Ministro  pro-tempore, il Ministero del
 tesoro in persona del Ministro  pro-tempore  e  l'Ente  nazionale  di
 previdenza  ed assistenza per i dipendenti dello Stato, rappresentati
 e difesi dall'Avvocatura generale dello Stato, per:
      1) l'annullamento del provvedimento del Ministero  di  grazia  e
 giustizia, direzione generale dell'organizzazione giudiziaria e degli
 affari  generali  n.  4744/5  del  31  marzo  1990,  con il quale nei
 confronti del ricorrente e' stato disposto il recupero della somma di
 L. 36.611.162 sulla indennita' di buonuscita;
      2) l'annullamento del provvedimento del Ministero  di  grazia  e
 giustizia  in data 31 luglio 1989 con il quale, in erronea esecuzione
 delle decisioni della prima sezione del t.a.r. del Lazio n. 603 del 4
 luglio 1984 e della quarta sezione del Consiglio di Stato in s.g.  n.
 166/1989,  da  un  lato  sono  state  determinate  le somme dovute al
 ricorrente a titolo di differenze di  stipendio  per  il  periodo  1º
 gennaio  1979-30  giugno  1983, rivalutazione monetaria ed interessi,
 dall'altro e' stato disposto il recupero delle somme stesse ai  sensi
 dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984;
      3)  la  declaratoria  del  diritto del ricorrente ad ottenere la
 conservazione degli aumenti  periodici  figurativi  attribuiti  dalle
 decisioni  n. 603/1984 e n. 166/1989 ai fini della determinazione del
 trattamento di fine rapporto e di quiescenza;
      4)  la  declaratoria  del  diritto  ad  ottenere  l'attribuzione
 definitiva  delle  somme  dovute  per differenze di stipendio in base
 alle decisioni n. 603/1984 e n.  166/1989  al  lordo  di  ritenute  a
 favore del fondo pensioni;
      5)  la  declaratoria  del  diritto  ad  ottenere  l'attribuzione
 definitiva della rivalutazione  monetaria  e  degli  interessi  sulle
 predette   differenze   degli  interessi  sulle  predette  differenze
 stipendiali calcolati sulla base degli indici I.STAT. fino alla  data
 dell'effettiva   corresponsione  di  tali  differenze  stipendiali  e
 computati con riferimento agli importi  dovuti  al  lordo  sia  delle
 ritenute fiscali che di quelle previdenziali ed esenti essi stessi da
 tali ritenute;
      6)   la   declaratoria   del  diritto  ad  ottenere  il  computo
 dell'indennita' integrativa speciale  ai  fini  della  determinazione
 dell'indennita'  di buonuscita, nonche' della rivalutazione monetaria
 ed  interessi  per  il  ritardo  nella  liquidazione   della   stessa
 indennita';
      7)  la  declaratoria  del  diritto ad ottenere la riliquidazione
 dell'indennita' di buonuscita in base al nuovo trattamento  economico
 spettantegli  in  virtu' delle sentenze n. 603/1984 e n. 166/1989 con
 condanna delle amministrazioni al pagamento in favore del  ricorrente
 delle   maggiori  somme  dovute,  oltre  rivalutazione  monetaria  ed
 interessi calcolati secondo i criteri suesposti;
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visto l'atto di costituzione in giudizio delle amministrazioni in-
 timate;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle  rispettive
 difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Uditi  alla  pubblica udienza del 5 dicembre 1991 la relazione del
 consigliere Franco Bianchi e uditi, altresi',
 l'avv. Di Gioia per il ricorrente e l'avv. dello Stato Linda  per  le
 amministrazioni resistenti;
    Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:
                               F A T T O
    Con  ricorso  (n.  2478  del 1990) notificato il 12 luglio 1990 il
 dott. Gerolamo Minici ha adito questo tribunale per ottenere:
      1) l'annullamento del provvedimento del Ministero  di  grazia  e
 giustizia  -  direzione  generale  dell'organizzazione  giudiziaria e
 degli affari generali n. 4744/5 del 31 marzo 1990, con il  quale  nei
 confronti del ricorrente e' stato disposto il recupero della somma di
 L. 36.611.162 sulla indennita' di buonuscita;
      2)  l'annullamento  del  provvedimento del Ministero di grazia e
 giustizia in data 20 luglio 1989 con il quale, in erronea  esecuzione
 delle decisioni della prima sezione del t.a.r. del Lazio n. 599 del 4
 luglio  1984 e della quarta sezione del Consiglio di Stato in s.g. n.
 166/1989, da un lato  sono  state  determinate  le  somme  dovute  al
 ricorrente  a  titolo  di  differenze  di stipendio per il periodo 1º
 gennaio 1979-30 giugno 1983, rivalutazione  monetaria  ed  interessi,
 dall'altro  e' stato disposto il recupero delle somme stesse ai sensi
 dell'art. 10, secondo comma, della legge n. 425/1984;
      3) la declaratoria del diritto del  ricorrente  ad  ottenere  la
 conservazione  degli  aumenti  periodici  figurativi attribuiti dalle
 decisioni n. 603/1984 e n. 166/1989 ai fini della determinazione  del
 trattamento di fine rapporto e di quiescenza;
      4)  la  declaratoria  del  diritto  ad  ottenere  l'attribuzione
 definitiva delle somme dovute per differenze  di  stipendio  in  base
 alle  decisioni  n.  603/1984  e  n.  166/1989 al lordo di ritenute a
 favore del fondo pensioni;
      5)  la  declaratoria  del  diritto  ad  ottenere  l'attribuzione
 definitiva  della  rivalutazione  monetaria  e  degli interessi sulle
 predette  differenze  degli  interessi  sulle   predette   differenze
 stipendiali  calcolati sulla base degli indici I.STAT. fino alla data
 dell'effettiva  corresponsione  di  tali  differenze  stipendiali   e
 computati  con  riferimento  agli  importi  dovuti al lordo sia delle
 ritenute fiscali che di quelle previdenziali ed esenti essi stessi da
 tali ritenute;
      6)  la  declaratoria  del  diritto  ad   ottenere   il   computo
 dell'indennita'  integrativa  speciale  ai  fini della determinazione
 dell'indennita' di buonuscita, nonche' della rivalutazione  monetaria
 ed   interessi   per  il  ritardo  nella  liquidazione  della  stessa
 indennita';
      7) la declaratoria del diritto  ad  ottenere  la  riliquidazione
 dell'indennita'  di buonuscita in base al nuovo trattamento economico
 spettantegli in virtu' delle sentenze n. 603/1984 e n.  166/1989  con
 condanna  delle amministrazioni al pagamento in favore del ricorrente
 delle  maggiori  somme  dovute,  oltre  rivalutazione  monetaria   ed
 interessi calcolati secondo i criteri suesposti.
    Premette  il  ricorrente - magistrato dell'ordine giudiziario - di
 aver ottenuto con sentenza del t.a.r. del Lazio  4  luglio  1984,  n.
 603, passata in giudizio per effetto della decisione del Consiglio di
 Stato,  quarta  sezione,  13  marzo 1989, n.   166, che ha dichiarato
 irricevibile  per  tardivita'  il  relativo  atto  di   appello,   la
 declaratoria  del diritto ad ottenere l'applicazione della disciplina
 degli aumenti periodici di stipendio prevista per i magistrati  della
 Corte dei conti dell'art. 5 del d.P.R. n. 1080/1970 e dalle norme ivi
 richiamate,   con   conseguente   condanna   dell'amministrazione  al
 pagamento delle maggiori somme dovute,  comprensive  di  interessi  e
 rivalutazione monetaria.
    Collocato  a  riposo,  per  limiti  di  eta',  il  1º  marzo 1990,
 attendeva  l'esecuzione  del  predetto  giudicato  al  contrario,  il
 Ministero   di   grazia  e  giustizia,  dopo  aver  rideterminato  il
 trattamento economico, per il periodo 1º gennaio 197930 giugno  1983,
 dovuto  al  ricorrente  in  applicazione  del  predetto giudicato, ha
 disposto il recupero sull'indennita' di buonuscita della somma di  L.
 30.011.162 e tale titolo attribuitogli.
    L'operato  dell'amministrazione  e'  ritenuto  illegittimo  per  i
 seguenti motivi:
      I) violazione  dell'art.  10,  secondo  comma,  della  legge  n.
 425/1984  e  dei  principi  generali  vigenti  in materia. Eccesso di
 potere per illogicita', errata valutazione di presupposti, difetto di
 motivazione.
    L'art. 10, secondo comma, legge n. 425/1984, nella  parte  in  cui
 prevede  che  gli  importi  erogati  ai  magistrati  in esecuzione di
 provvedimenti giudiziali passati in giudicato,  del  tipo  di  quello
 reso  nei  confronti  del  ricorrente,  rimangono attribuiti a titolo
 personale e sono riassorbiti con la normale progressione economica ed
 inoltre,  se  necessario,  operando  le  conseguenti   detrazioni   a
 conguaglio a carico dell'indennita' di buonuscita, si applica solo ai
 giudicati  formatesi  anteriormente all'entrata in vigore della legge
 n. 425/1984 citata e non anche a quelli successivi;
      II)  violazione  dell'art.  10,  secondo  comma,  della legge n.
 425/1984 e dei principi  generali  vigenti  in  materia.  Eccesso  di
 potere,  per  illogicita', errata valutazione di presupposti, difetto
 di motivazione. Illegittimita' derivata.
    La norma richiamata in epigrafe prevede il  riassorbimento  e  non
 gia'  il recupero delle somme erogate ai predetti titoli, sicche' non
 poteva nella specie, l'amministrazione disporre l'integrale  recupero
 delle  somme  corrisposte  al  ricorrente  in  esecuzione  del citato
 giudicato.
    Il recupero potrebbe in ogni caso riguardare  le  sole  differenze
 stipendiali  corrisposte e non anche la rivalutazione monetaria e gli
 interessi  i  quali  costituiscono  elementi  accessori  aventi  mera
 funzione  di  conservazione del valore delle somme dovute rispetto al
 momento dell'effittiva corresponsione;
      III) violazione dell'art. 1 della legge n. 324/1959 in relazione
 agli artt. 3 e 38 del d.P.R. n. 1032/1973 ed all'art. 22 della  legge
 n.  16/1975,  dovendo  l'amministrazione  determinare l'indennita' di
 buonuscita spettante  al  ricorrente  computando  anche  l'indennita'
 integrativa  speciale  ed  inoltre  la  rivalutazione monetaria e gli
 interessi.
    Per questi motivi l'istante ha chiesto  al  tribunale  di  volere,
 previa  adozione  di  idonei  provvedimenti  cautelari,  annullare  i
 provvedimenti  impugnati  ed   accogliere   le   pretese   economiche
 specificate  in epigrafe, con tutte le conseguenze di legge, anche in
 ordine alle spese, competenze ed onorari.
    Con successiva memoria, il ricorrente ha illustrato  ulteriormente
 tutti  i  motivi  di  ricorso, rilevando in subordine che il recupero
 poteva semmai riguardare le differenze  stipendiali  corrisposte,  ma
 non  gia'  la  rivalutazione  monetaria e gli interessi ed inoltre il
 recupero doveva riferirsi agli importi erogati al ricorrente al netto
 delle   ritenute   fiscali   e   contributive   e   non   gia'   come
 illegittimamente disposto, al lordo di tale ritenute.
    Per  resistere  all'impugnativa, si sono costituiti in giudizio le
 intimate amministrazioni le  quali  hanno  confrontato  i  motivi  di
 ricorso,  di  cui  hanno  chiesto  il rigetto con ogni conseguenziale
 pronuncia anche in ordine alle spese.
    Alla pubblica udienza del 5  dicembre  1990  dopo  la  discussione
 orale, la causa e' stata assunta in decisione.
                             D I R I T T O
    Sono  oggetto  del  giudizio  -  fra  l'altro  -  i  provvedimenti
 (specificato nella relazione in fatto) con i quali  il  Ministero  di
 grazia  e  giustizia  e  l'E.N.P.A.S. hanno disposto ed effettuato il
 recupero sull'indennita' di buonuscita  (corrisposta  al  ricorrente,
 collocato a riposo per limiti di eta' il 1º marzo 1990 della somma di
 L.  36.611.162  attribuitagli  in  esecuzione del giudicato (nascente
 dalla decisione del t.a.r. del Lazio, prima  sezione,  del  4  luglio
 1984,  n. 603, e del Consiglio di Stato, quarta sezione, del 13 marzo
 1989, n. 166, che aveva dichiarato applicabile - in favore di tutti i
 magistrati e degli avvocati e procuratori dello Stato - la disciplina
 degli aumenti periodici di stipendio originariamente prevista  per  i
 soli  magistrati  della  Corte  dei  conti  dall'art. 5 del d.P.R. n.
 1080/1970.
    Il  recupero  di  cui  alla  controversia  -  relativo  alle somme
 spettanti in applicazione del predetto giudicato per  il  periodo  1º
 gennaio  1979-30  giugno  1983 - e' stato disposto ai sensi dell'art.
 10, secondo comma,  della  legge  6  agosto  1984,  n.  425,  recante
 disposizioni sul trattamento economico dei magistrati.
    E'   pregiudiziale   ad  ogni  altra  pronuncia  la  questione  di
 costituzionalita' che il collegio - d'ufficio - intende sollevare nei
 riguardi della predetta norma, la cui conformita'  alla  Costituzione
 appare  seriamente  sospetta,  avuto  riguardo,  in particolare, agli
 artt. 3, 24, 25, 70, 101, 102, 103 e 113.
    E' noto che la questione di che trattasi non e' nuova,  avendo  la
 Corte   costituzionale,   su  plurime  ordinanze  di  remissione  dei
 tribunali amministrativi  regionali,  specificamente  esaminato  (con
 sentenza  n.  413  del  7  aprile  1988) la norma di cui all'art. 10,
 secondo comma,  della  legge  6  agosto  1984,  n.  425,  ritenendola
 conforme  a  tutti  i  parametri  costituzionali sopra richiamati, in
 riferimento ai  quali  e'  giudici  a  quibus  avevano  sollevato  la
 questione.
    Con  una  prospettazione  volta  ad evidenziare nuove implicazioni
 derivanti dall'applicazione della predetta norma, la sezione  ritiene
 ora   di   dover   riproporre   la  questione  di  costituzionalita',
 persistendo  aspetti  non  ancora  esaustivamente   esplorati   circa
 l'effettiva portata dispostiva della norma.
    Come  e'  noto,  antecedentemente  alla legge n. 425/1984, recante
 disposizioni  in  ordine  al  trattamento  economico  dei  magistrati
 ordinari,  amministrativi,  contabili  e  militari e degli avvocati e
 procuratori   dello   Stato   si   era   formato   un    orientamento
 giurisprudenziale  dei  giudici  amministrativi  di primo grado e del
 Consiglio di Stato (cfr. per tutte, la decisione dell'Ap. 16 dicembre
 1983, n. 27)  che,  ispirato  alla  unitarieta'  ed  uniformita'  del
 trattamento  economico  delle  categorie  magistratuali  e  di quelle
 equiparate, aveva - in sostanza - riconosciuto in favore di  tutti  i
 magistrati indistintamente, la spettanza della speciale indennita' di
 cui  all'art.  3 della legge 19 febbraio 1981, n. 27, originariamente
 attribuita,  secondo  il  dettato  letterale  della  norma,  ai  soli
 magistrati   ordinari   ed  esteso  inoltre  ugualmente  a  tutte  le
 categorie, la disciplina degli aumenti periodici di stipendio dettata
 per i soli magistrati della Corte dei conti dall'art. 5 del d.P.R. n.
 1080/1970.
    L'anzidetto quadro normativo  -  univocamente  interpretato  dalla
 giurisprudenza  nel  senso  teste'  ricordato  - si e' modificato con
 l'emanazione della legge n. 425/1984 il cui art. 1, primo comma, (con
 valore  di  interpretazione  autentica)  chiarisce  che  la  speciale
 indennita'  ex  legge  n.  27/1981  compete,  antecedentemente  al 1º
 gennaio 1983 - data dalla quale  ne  viene  disposta  l'estensione  a
 tutti  - solo ai magistrati dell'ordine giudiziario. Il secondo comma
 dello stesso art. 1 (anch'essa norma interpretativa)  afferma  a  sua
 volta  che  i  particolari  criteri  di  calcolo  degli  aumenti  per
 anzianita' originariamente previsti per i soli magistrati della Corte
 dei conti, debbono essere in effetti applicati solo a questi  ultimi.
 Tale criterio di calcolo viene, tuttavia abolito (art. 3) anche per i
 predetti  magistrati  contabili,  a  decorrere  dal  1º luglio 1983 e
 sostituiti,  per  tutti,  con  un  nuovo  criterio  di   progressione
 economica, articolato in otto classi biennali del 6% ed in successivi
 aumenti biennali del 2,50%.
    Della  legittimita' costituzionale di queste norme interpretative,
 e' stata nuovamente investita la Corte, sospettandosi, da  parte  dei
 giudici   remittenti,   della   conformita'   di   un  intervento  di
 interpretazione autentica, diretto ad imporre, in  giudizi  pendenti,
 una  soluzione  contrastante  con  i  precedenti  giurisprudenziali e
 sfavorevoli ad una uniformita' di trattamento retributivo  fra  tutte
 le  categorie magistratuali ed equiparate (Consiglio di Stato, quarta
 sezione, 4 febbraio 1988, n. 22; t.a.r. Brescia 14 novembre 1987,  n.
 987).
    Siffata  questione  di  illegittimita'  costituzionale  -  tuttora
 pendente  -  e'  scaturita,  in  sostanza,  da   una   pronuncia   di
 incostituzionalita'  emessa  dalla  Corte, dell'art. 10, primo comma,
 della legge n. 425/1984 il quale, disponendo  l'estinzione  d'ufficio
 dei  giudizi pendenti in qualsiasi stato e grado si trovino alla data
 di entrata  in  vigore  della  legge  stessa,  precludeva,  con  cio'
 violando  l'art.  24  della  Costituzione,  al  giudice  di merito di
 pronunciarsi sulle controversie relative al trattamento economico dei
 magistrati, cosi' come prefissato dalle ricordate  norme  interpreta-
 tive  del diritto previgente (Corte costituzionale 10 aprile 1987, n.
 123).
    Sull'art. 10,  secondo  comma,  della  legge  n.  425/1984  -  che
 interessa il presente giudizio - necessita ora soffermarsi.
    La   norma  in  questione  recita  testualmente:  "Gli  importi  a
 qualsiasi titolo erogati o da erogare al personale previsto dall'art.
 3 della presente legge  in  esecuzione  di  provvedimenti  giudiziari
 passati  in giudicato, rimangono attribuiti a titolo personale e sono
 riassorbiti con la normale progressione economica e nelle funzioni ed
 inoltre,  se  necessario,  operando  le  conseguenti   detrazioni   a
 conguaglio a carico dell'indennita' di buonuscita".
    Nella  pronuncia  della  Corte,  soprarichiamata  (n. 413/1988) si
 legge che in tale norma  "..  ..  ..  non  e'  configurabile  ne'  lo
 svuotamento  del  contenuto  economico  del  giudicato, ne' l'impiego
 della funzione legislativa  per  invadere  l'ambito  riservato  dalla
 Costituzione  all'attivita'  giudiziaria,  in quanto la norma stessa,
 funzionale alla generale finalita' perequativa perseguita dalla legge
 n. 425/1984 per  tutti  i  magistrati,  mira  ad  eliminare,  con  il
 meccanismo  della  gradualita'  temporale  proprio del riassorbimento
 nella  progressione  economica,  esiti  privilegiati  di  trattamento
 economico  riproduttivo  di  disparita' non tollerabili nel quadro di
 intenti costituzionali legittimi della volonta' legislativa".
    Un approfondimento della questione deve muovere  dalla  situazione
 reale  prefigurata  dalla  stessa  legge  n. 425/1984 sul trattamento
 economico dei magistrati, cosi' come risultante in  vigore,  dopo  le
 pronunce correttive della Corte costituzionale.
    Il trattamento economico dettato per tutti i magistrati sulla base
 di  un  nuovo meccanismo retributivo e' in vigore dal 1º luglio 1983.
 Messo a raffronto con quello  previgente,  determinato,  in  ipotesi,
 anche  a seguito di provvedimenti giudiziali passati in giudicato, e'
 ipotizzabile che esso risulti inferiore o superiore  a  quest'ultimo.
 Nessuna  implicazione  lesiva  si  verifica, per entrambi i casi, per
 l'interessato il quale dal 1º luglio 1983,  ha  comunque  diritto  di
 conservare  il trattamento precedente piu' vantaggioso sotto forma di
 assegno  personale  pensionabile  e  riassorbibile  con  la   normale
 progressione economica pari alla differenza fra le due retribuzioni.
    L'art.  8  della  legge n. 425/1984 citata assicura, infatti, tale
 esito   conservativo   attraverso    lo    strumento    tipico    del
 "riassorbimento", che consiste nel mantenere il trattamento economico
 raggiunto   piu'  elevato  di  quello  stabilito  da  una  disciplina
 sopravvenuta, con il congelamento della progressione  economica  fino
 al   momento   in  cui  gli  incrementi  retributivi  determinano  la
 parificazione dei due trattamenti.
   Di  talche',  per  il  periodo  successivo  al  1º   luglio   1983,
 l'eventuale  provvedimento giudiziale che abbia, in ipotesi, concorso
 a determinare un maggior trattamento  economico  viene  salvaguardato
 nei   suoi   effetti  sostanziali,  che  continuano  a  prodursi  per
 l'interessato grazie al riassorbimento ( ex art. 8 cit.).
    Altrettanto non puo' dirsi per il periodo precedente al 1º  luglio
 1983,  vale  a  dire per il periodo che va dal 1º gennaio 1979 a tale
 data, cui si riferiscono i  giudicati  di  cui  trattasi,  in  quanto
 l'art.   10,   secondo   comma,  della  legge  n.  425/1984,  dettato
 espressamente per tale lasso temporale,  impone  che  gli  importi  a
 qualsiasi   titolo   erogati   in   esecuzione  di  giudicati,  siano
 riassorbiti con la normale progressione di carriera o nelle funzioni,
 operando le conseguenziali detrazioni anche a carico  dell'indennita'
 di buonuscita.
    Gli  effetti di tale norma, letta nel combinato disposto dall'art.
 8 citato, appaiono  profondamente  diversificati  a  seconda  che  il
 giudicato  abbia  determinato  al  1º  luglio  1983  una retribuzione
 maggiore o inferiore rispetto a quella (nuova) derivante dalla  legge
 n. 424/1984. Nel primo caso, l'interessato, per il periodo posteriore
 al  1º  luglio  1983,  fruisce  di  tutti  gli effetti favorevoli del
 giudicato,  conservando  l'assegno  ad  personam,  finanzhe  a   fini
 pensinistici  -  se necessario - mentre, contraddittoriamente, per il
 periodo ante 1º luglio  1983,  gli  importi  percepiti  ex  giudicato
 dovranno essere interamente recuperati anche a carico dell'indennita'
 di buonuscita.
    Nel  caso di trattamento economico ex giudicato inferiore a quello
 ex legge n. 425/1984 - come nel caso dell'attuale ricorrente - non e'
 applicabile l'art. 8, perche' non  vi  e'  l'esigenza  di  attribuire
 all'interessato,  per  il  periodo  posteriore  al  1º  luglio  1983,
 l'assegno ad personam, ma soltanto l'art. 10,  secondo  comma,  della
 legge  n.  425/1984,  attraverso il recupero delle somme corrisposte,
 utilizzando sia il  meccanismo  del  riassorbimento  con  la  normale
 progressione  economica  e  nelle  funzioni,  sia  il recupero vero e
 proprio a carico dell'indennita' di buonuscita.
    E' agevole scorgere, nell'effettiva portata precettiva della norma
 succitata  un  sostanziale  e  completo  svuotamento  del   giudicato
 correlato alla circostanza che, laddove quest'ultimo abbia attribuito
 un  trattamento  economico  risultante  al 1º luglio 1983 inferiore a
 quello determinato ex legge n. 425/1984, nessun assegno  personale  (
 ex  art. 8) va riconosciuto all'interessato che e' tenuto, tuttavia (
 ex  art.  10,  secondo  comma)  a  restituire  con  il  sistema   del
 riassorbimento  e  della  detrazione sull'indennita' di buonuscita le
 somme percepite ex giudicato.
    Invero, non e' agevole nemmeno  comprendere  come,  nella  specie,
 possa operare lo stesso meccanismo del riassorbimento (previsto dalla
 predetta  norma)  il  quale,  come  e'  noto, e' volto a mantenere un
 trattamento  economico  piu'  elevato  di  quello  stabilito  da  una
 disciplina   sopravvenuta  con  il  congelamento  della  progressione
 economica  fino  al  momento  in  cui  gli   incrementi   retributivi
 determinano  la  parificazione  dei due trattamenti. Ma nella specie,
 non ricorre tale  presupposto  e  ciononostante  l'art.  10,  secondo
 comma,  citato  vuole che le somme corrisposte " ex giudicato", siano
 "riassorbite".
    Non e' nemmeno agevole scorgere la finalita' perequativa di  detta
 norma  che,  anzi,  appare  nella  sua concreta applicazione, tale da
 operare concretamente in misura diversificata a seconda delle ipotesi
 verificabili,  incidendo,  conseguentemente,  altrettanto  in  misura
 diversificata,  sul giudicato di cui trattasi, al quale e' consentito
 in taluni casi di spiegare i  propri  effetti,  laddove  (ex  art.  8
 citato)  si  consente all'interessato di continuare a fruire, anche a
 fini pensionistici, di  un  trattamento  economico  piu'  favorevole,
 mentre  in  altri  lo  si svuota completamente, laddove ( ex art. 10,
 secondo comma, citato) si prescrive il  recupero  che  comunque  deve
 avvenirre, delle somme corrisposte fino al 1º luglio 1983.
    In  questo  senso e' stata applicata - come non poteva non farsi -
 la disposizione di cui all'art. 10, secondo  comma,  della  legge  n.
 425/1984, in quanto l'amministrazione, edotta che l'interessato, " ex
 giugdicato",   come   sopra   precisato,   aveva   percepito  importi
 retributivi a titolo di scatti di anzianita' ritenuti  spettanti,  ha
 recuperato  sulla indennita' di buonuscita del ricorrente la somma di
 L.  32.816.710 corrispostagli per il periodo 1º luglio 197930  giugno
 1983.
    Nella  specie,  lo svuotamento totale del giudicato e' in re ipsa,
 avendo l'interessato dovuto restituire tutto il conseguito.
    La salvaguardia del giudicato,  del  diritto  di  difesa  e  della
 stessa  funzione  giurisdizionale,  limiti invalicabili per qualsiasi
 intervento che voglia risultare conforme  ai  dettami  costituzionali
 contenuti  negli artt. 24, 25, 101, 102, 103 e 113 della Costituzione
 - come ha sempre riconosciuto il giudice delle leggi - mentre  appare
 osservata  dal disposto dell'art. 8 della legge regionale n. 425/1984
 che ha fatto uso, secondo uno schema tipico del pubblico impiego, del
 solo "riassorbimento", appare  invece  disattesa  -  con  conseguente
 violazione di tutti i paremetri costituzionali sopra ricordati, oltre
 che  dello  stesso  art. 3 della Costituzione, da parte dell'art. 10,
 secondo comma, della  stessa  legge  che  -  almeno  in  taluni  casi
 comporta irreversibilmente la totale restituzione di somme attribuite
 nel   periodo   1º   gennaio   1979-30   giugno   1983,   consentendo
 all'amministrazione  di  operare  un   equivalente   recupero   sulla
 indennita' di buonuscita.
    Per  le  considerazioni  esposte,  le  delineate  questioni  vanno
 rimesse alla Corte costituzionale, restando sospeso il giudizio,  con
 riserva  di  ogni  ulteriore  statuizione all'esito della risoluzione
 dell'incidente di costituzionalita'.