Ricorso per conflitto di  attribuzioni  della  regione  Toscana  in
 persona   del   presidente   pro-tempore   della   giunta  regionale,
 rappresentato e difeso  per  mandato  a  margine  del  presente  atto
 dall'avv.  Alberto  Predieri  e  presso  il  suo studio elettivamente
 domiciliato in Roma, via G. Carducci n. 4, in forza di  deliberazione
 g.r.  n.  4941  del 31 maggio 1991 contro il Presidente del Consiglio
 dei Ministri pro-tempore, per l'annullamento del decreto del Ministro
 dell'ambiente  6   febbraio   1991   "dichiarazione   di   importanza
 internazionale  della  zona  umida di 'Diaccia Botrona' nei comuni di
 Grosseto e Castiglione  della  Pescaia",  pubblicato  nella  Gazzetta
 Ufficiale n. 85 dell'11 aprile 1991, p. 10 e segg.
    1.  -  Nella Gazzetta Ufficiale n. 85 dell'11 aprile 1991 e' stato
 pubblicato il decreto ministeriale in oggetto,  con  il  quale  viene
 dichiarata  di  importanza internazionale, ai sensi e per gli effetti
 della  convenzione   relativa   alle   zone   umide   di   importanza
 internazionale,  soprattutto  come  habitat  degli  uccelli acquatici
 (firmata a Ramsar il 2 febbraio 1971 e recepita in Italia con  d.P.R.
 13  marzo 1976, n. 448), la zona umida "Diaccia Botrona", ubicata nei
 comuni di Grosseto e Castiglione della Pescaia (Grosseto).
    Ai sensi dell'art. 2, si prevede che "con successivo  decreto"  si
 provvedera'    alla    individuazione   delle   aree   di   interesse
 naturalistico, aventi  rilevanza  ai  fini  della  conservazione  del
 patrimonio  naturale  nazionale della zona umida di cui al precedente
 art.  1,  quali  zone  di  importanza  naturalistica   nazionale   ed
 internazionale,  ai  sensi dell'art. 5, secondo comma, della legge n.
 349/1986.
    L'art. 3 stabilisce che il Ministro dell'ambiente, di concerto con
 il  Ministro  delle  finanze,  "prendera'  i necessari accordi con la
 regione Toscana e gli  enti  locali  interessati  per  costituire  il
 consorzio  per  la  gestione  della riserva naturale da istituire nel
 territorio di che trattasi".
    Infine, l'art. 4 e l'art. 5 rispettivamente stabiliscono che nelle
 zone individuate dalla planimetria allegata al n.  1  al  decreto  si
 applichino le misure di salvaguardia e che la vigilanza sull'area sia
 affidata  al  nucleo  operativo  ecologico dell'Arma dei carabineri e
 alle altre forza di Polizia.
    2. - Il decreto viola le competenze  costituzionalmente  garantite
 alla  regione  Toscana, nella materia della protezione della natura e
 della istituzione di parchi e riserve naturali.
    Il  contenuto   del   provvedimento   e'   chiaro.   Il   Ministro
 dell'ambiente    non   si   limita   a   dichiarare   di   importanza
 internazionale, ai sensi e  per  gli  effetti  della  Convenzione  di
 Ramsar,  e  secondo i confini riportati nella planimetria allegata al
 decreto, la zona umoda "Diaccia Botrona", ma stabilisce - con effetto
 prescrittivo pieno - che con successivo proprio decreto  "provvedera'
 alla  individuazione  delle  aree  di interesse naturalistico.. .. ..
 quali zone di importanza naturalistica nazionale e internazionale, ai
 sensi dell'art. 5, secondo comma, della legge 8 luglio 1986, n.  349"
 (art.  2); stabilisce altresi' (art. 3) che i "necessari accordi" con
 la regione Toscana (e gli enti locali interessati) riguarderanno solo
 la costituzione del consorzio per la gestione "della riserva naturale
 da  istituire";  prevede  infine  l'applicazione  delle   misure   di
 salvaguardia, sino "all'istituzione dell'area protetta e comunque per
 un  periodo  non  superiore  a  tre  anni".  Si  tratta  di misure di
 salvaguardia di contenuto particolarmente rigoroso, dal momento che -
 ai sensi dell'allegato II  al  decreto  -  sono  istituiti  nell'area
 individuata  come  zona  umida  divieti di apertura e coltivazione di
 cave;  di  circolazione  di  mezzi  motorizzati  al  di  fuori  della
 viabilita'  esistente;  di  caccia  ed uccellagione; di immissione di
 specie estranee; di  pesca;  di  ogni  ulteriore  urbanizzazione;  di
 modifica del regime dell'acque; di pratica del pascolo e via dicendo.
    3.  - La violazione delle competenze regionali si avvale anzitutto
 di una terminologia imprecisa.
    Il  decreto  pretende  di  essere  adottato  in  attuazione  della
 Convenzione  di  Ramsar  del  2  febbraio  1971,  cui  e'  stata data
 esecuzione in Italia con il d.P.R. n. 448/1976, modificato dal d.P.R.
 n. 184/1987.
    Tali norme distinguono tra  destinazione  delle  zone  umide,  con
 indicazione  dei  confini  (art. 2.1) e creazione di riserve naturali
 nelle zone umide (art. 4.1 e art. 4.2).
    La Corte, nella sentenza n. 223/1984, non ha mancato di  rilevare,
 con  riferimento  al  testo  della  Convenzione, la diversita' tra il
 decreto istitutivo della riserva naturale, quello di determinazione o
 designazione della zona da inserire nell'elenco delle zone  umide  di
 importanza   internazionale   e   quello   dichiarativo   del  valore
 internazionale della zona umida designata (punto 8 in  diritto  della
 sentenza).
    Nel  nostro  caso,  il  decreto,  da  un lato, unifica in un unico
 provvedimento la determinazione o designazione della zona da inserire
 nell'elenco delle  zone  umide  di  importanza  internazionale  e  la
 dichiarazione  del  valore  internazionale della zona umida designata
 (cfr.  art.  1  del  decreto);  dall'altro,  riserva ad un successivo
 decreto la individuazione delle  "aree  di  interesse  naturalistico,
 aventi  rilevanza ai fini della conservazione del patrimonio naturale
 nazionale della zona umida, quali zone  di  importanza  naturalistica
 nazionale  ed  internazionale  ai  sensi  dell'art. 5, secondo comma,
 della legge 8 luglio 1986 n. 349" (art. 2).
    Nell'art. 3, infine, si parla di accordi con la regione Toscana  e
 gli  enti  locali  per costituire un consorzio per la gestione "della
 riserva naturale da istituire nel territorio di che trattasi".
    Ne segue pertanto che rispetto al testo dell'art. 4, nn.  1  e  2,
 della  Convenzione  di  Ramsar  (che,  come  confermato  dalla Corte,
 prevede una determinazione della zona da inserire  nell'elenco  delle
 zone  umide,  una  dichiarazione  del suo valore internazionale e una
 istituzione della o delle riserve), il Ministro  dell'ambiente  parla
 anche di individuazione delle "aree di interesse naturalistico" (art.
 2), oltre che di "riserva naturale da istituire" (art. 3).
    Orbene,  delle  due l'una: o "la riserva naturale" coincide con le
 "aree di interesse naturalistico" e allora dobbiamo prendere atto che
 sin  d'ora  il  Ministro  dell'ambiente  manifesta  la  volonta'   di
 istituire  una  riserva naturale con un proprio decreto il che non e'
 legittimo; oppure le due nozioni non coincidono,  e  allora  dobbiamo
 prendere  atto  che  il Ministro dell'ambiente manifesta sin d'ora la
 volonta'  di  istituire  con  proprio  decreto  "aree  di   interesse
 naturalistico"  non  previste  dalla Convenzione di Ramsar (su cui il
 decreto si fonda e di cui pretende di essere attuazione) e  manifesta
 altresi'  la volonta' di istituire una "riserva naturale" (non meglio
 identificata, cosi' come non e' identificato il  "territorio  di  che
 trattasi"  nella  quale essa dovrebbe sorgere, dal momento che non si
 capisce se si tratti del  territorio  compreso  nei  confini  di  cui
 all'allegato  I  o  in quelli delle "aree di interesse naturalistico"
 previste dall'art. 2).
    4. - Ferma restando  la  confusione  della  terminologia  usata  e
 l'illegittimo discostamento da quanto previsto in materia dall'art. 4
 della Convezione di Ramsar, nel primo caso abbiamo una manifestazione
 di  volonta'  del  Ministro che stabilisce che l'individuazione delle
 riserve naturali sara' fatta con proprio decreto, ai sensi "dell'art.
 5, secondo comma, della legge 8 luglio 1986, n.  340"  esplicitamente
 citato.
    Sin  d'ora,  pertanto,  il  Ministro  esprime  un'affermazione  di
 competenza per l'istituzione di una riserva naturale: e per cio' solo
 lede l'ambito delle attribuzioni riservate alla regione, dal  momento
 che  -  come  la  Corte  ha gia' avuto modo di rilevare (sentenze nn.
 346/1990 e 830/1988) - il Ministro dell'ambiente non ha il potere  di
 deliberare sulla indivuduazione delle aree su cui istituire riserve e
 parchi,  ma  ha  semplicemente  -  sulla  base della richiamata norma
 dell'art. 5, secondo comma, della legge n. 349/1986 - i  poteri  gia'
 spettanti al Ministero dell'agricoltura e delle foreste.
    Tra  tali  poteri  e'  compreso  quello  di individuare le zone di
 importanza naturalistica nazionale ed internazionale (e  dunque,  per
 usare  la  teminologia  della  Corte  nella  sentenza n. 223/1984, di
 determinare o designare la zona da inserire  nell'elenco  delle  zone
 umide  e  di  dichiarare  il  valore  internazionale),  non quello di
 individuare le aree su cui istituire le riserve e i parchi naturali.
   Questo  e'  stato  affermato  a piu' riprese dalla Corte. La quale,
 nella sentenza n. 346/1990, ha detto esplicitamente  che  "l'art.  5,
 secondo  comma, della legge 8 luglio 1986, n. 349 - che e' richiamato
 dalla premessa  del  decreto  ministeriale  impugnato  -  trasferisce
 genericamente  al  Ministro dell'ambiente le competenze per l'innanzi
 imputate al Ministro dell'agricoltura e foreste in ordine  ai  parchi
 nazionali e all'individuazione delle zone di importanza naturalistica
 nazionale e internazionale, competenze tra le quali non e' ricompresa
 la  potesta'  di  deliberazione dell'individuazione delle aree su cui
 istituire le  riserve  e  i  parchi  naturali.  Quest'ultimo  potere,
 infatti, e' regolato dall'art. 83, quarto comma, del d.P.R. 24 luglio
 1977, n. 616, che attribuisce al Governo, 'nell'ambito della funzione
 di indirizzo e coordinamento, la potesta' (.. .. ..) di individuare i
 nuovi  territori  nei  quali  istituire  riserve naturali e parchi di
 carattere  interregionale'  e,  a  fortiori,  riserve  e  parchi   di
 carattere  nazionale o internazionale (v. sentenze nn. 123/1980, 1029
 e 1031 del 1988).
    Quest'ultima  norma   non   e'   stata   abrogata   dall'art.   5,
 precedentemente ricordato, ma e' stata integralmente richiamata dallo
 stesso  articolo  al  suo  primo  comma,  che anzi, precisa essere di
 spettanza del Ministro dell'ambiente soltanto il potere  di  proposta
 in relazione all'individuazione delle aree da destinare a riserve o a
 parchi  naturali  (v.  cosi'  sentenza  n. 830/1988). Sicche' si deve
 ritenere che il Ministro dell'ambiente sia del tutto privo del potere
 di deliberare l'individuazione delle aree su cui istituire riserve  o
 parchi naturali d'importanza nazionale o internazionale".
    5.  -  poiche' invece, invece, nella fattispecie, l'individuazione
 delle aree su cui istituire la  riserva  naturale  e'  affermata  sin
 d'ora  esplicitamente come oggetto di una competenza ministeriale che
 sara' esercitata "con successivo decreto", sono  palesemente  violate
 le  norme  che  disciplinano,  sulla base degli artt. 117 e 118 della
 Costituzione  e  dell'art.  83  del  d.P.R.  n.  616/1977,  i  poteri
 rispettivi  dello  Stato e delle regioni in materia di individuazione
 delle aree su cui istituire  le  riserve  naturali,  con  conseguente
 violazione   delle   competenze   costituzionalmente  garantite  alla
 regione.
    L'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977 stabilisce infatti la regola  del
 trasferimento  alle regioni delle funzioni amministrative concernenti
 gli interventi per la protezione della natura, le riserve e i  parchi
 naturali.
    E'  vero  che tale norma mantiene allo Stato talune competenze; ed
 e' vero altresi', come la Corte ha precisato, che tra queste vi e' la
 potesta' di individuare le aree da destinare a  parchi  o  a  riserve
 naturali,  nell'ambito di una piu' ampia potesta' statale nella quale
 si  esprime  la  complessa  valutazione,  da   parte   dello   Stato,
 dell'interesse   nazionale   o   sovranazionale   che  giustifica  la
 destinazione di una certa area a un  regime  speciale,  diretto  alla
 tutela   di   beni   naturalistici  di  notevole  importanza  per  la
 collettivita' nazionale o internazionale (cfr. sentenze nn. 123/1980,
 223/1984, 617/1987, 1029 e 1031 del 1988, 346/1990).
    Tuttavia, come detto, la competenza statale in materia deve essere
 esercitata nei modi e nelle forme stabilite dalla  legge,  che  nella
 specie  non  sono state osservate; in secondo luogo, come la Corte ha
 osservato (cfr. sentenze nn. 830/1988 e  346/1990),  tale  competenza
 statale,  ponendo  un  limite alla competenza regionale nelle materie
 trasferite  "di  natura  e  consistenza  tale   da   comportare   una
 eccezionale  alterazione  della ripartizione dei poteri stabilita con
 norme di rango  costituzionale",  deve  essere  esercitata  nel  piu'
 scrupoloso   rispetto   delle   forme   stabilite   dalla  legge,  in
 considerazione del carattere eccezionale della deroga ai poteri delle
 regioni.
    Ne segue che nel momento in cui il decreto impugnato comporta,  da
 parte  del  Ministero dell'ambiente, l'affermazione della spettanza a
 tale Ministero di un potere che invece - come abbiamo visto - non gli
 e' conferito, si  ha  una  violazione  non  solo  formale,  ma  anche
 sostanziale,   delle  competenze  costituzionalmente  garantite  alla
 regione, che deve essere censurata.
    La giurisprudenza della Corte ha  infatti  altre  volte  affermato
 l'idoneita'  di  atti  statali, in se' privi di efficacia diretta nei
 confronti della sfera di attribuzioni della  regione,  ma  che  siano
 espressivi  di  una  affermazione  di  competenza  e  percio'  lesivi
 dell'ambito delle attribuzioni regionali (cfr. sentenze nn. 11  e  12
 del 1957; 56/1962), a fondare il conflitto di attribuzioni.
    Nel  nostro caso, la lesione deriva dall'affermazione che sara' un
 decreto ministeriale ha individuare le aree su cui istituire  riserve
 naturali  e dunque dall'affermazione attuale, e non meramente futura,
 dell'esistenza di un potere in capo al  Ministro  dell'ambiente,  che
 invece  non  susssite  e  che  la  Corte  ha negato il Ministro possa
 attribuirsi.
    6. - Ad analoghe conclusini dovremmo giungere  se  interpretassimo
 il  decreto  nel  senso che esso, nell'art. 2, abbia voluto prevedere
 non gia' la successiva  istituzione,  con  decreto  ministeriale,  di
 riserve  naturali,  ma  solo l'individuazione delle aree di interesse
 naturalistico, quali "zone di importanza naturalistica  nazionale  ed
 internazionale  ai  sensi  dell'art.  5, secondo comma, della legge 8
 luglio 1986, n. 349", in quanto diverse dalle "riserve naturali".
    Anche in tal caso si applica quanto stabilito  dalla  Corte  nella
 sentenza  n.  346/1990,  dal  momento  che  ivi la Corte dichiara che
 l'art.  5,  secondo  comma,  della  legge  n.  349/1986   (e   dunque
 precisamente  la  norma  sulla quale si fonda il potere affermato dal
 Ministro  dell'ambiente  nell'art.  2  del  decreto)  trasferisce  al
 Ministro  dell'ambiente competenze del Ministro dell'agricoltura "tra
 le  quali  non   e'   ricompresa   la   potesta'   di   deliberazione
 dell'individuazione delle aree su cui istituire le riserve e i parchi
 naturali".
    Cosicche',   se   anche   venisse   ammesso   che   la  successiva
 individuazione delle aree di interesse naturalistico  non  equivalga,
 nella  imprecisa  formulazione del decreto, alla individuazione delle
 riserve  naturali,  non  per  questo  e'   consentito   al   Ministro
 dell'ambiente   di   statuire   che  un  proprio  successivo  decreto
 provvedera' alla individuazione delle aree di interesse naturalistico
 ai sensi dell'art. 5, secondo comma, della  legge  n.  349/1986,  dal
 momento  che  la  Corte  ha  detto  che tale competenza non spetta al
 Ministro dell'ambiente.
    7. - Un'autonoma  ragione  di  illegittimita'  costituzionale  del
 decreto,  oltre  quella  sin qui evidenziata, deriva dal fatto che il
 contenuto normativo del decreto non consiste solo nella dichiarazione
 di importanza internazionale della zona umida "Diaccia  Botrona",  ma
 consiste   anche   nelle   prescrizioni  che  un  successivo  decreto
 individuera' le aree di interesse naturalistico (art. 2); che  dovra'
 essere  costituita  una  riserva  naturale  (art. 3), sia essa o meno
 coincidente   con   l'individuazione   delle   aree   di    interesse
 naturalistico  di  cui  all'art.  2;  che  gli accordi con la regione
 Toscana concernenti la gestione della  riserva  si  limiteranno  alla
 costituzione  di  un consorzio, che all'intero territorrio ricompreso
 nella   perimetrazione   della   zona   dichiarata   di    importanza
 internazionale si applicano le misure di salvaguardia, per un periodo
 di  tre  anni e fino all'istituzione "dell'area protetta" (termine di
 cui - ancora  una  volta  -  dobbiamo  rilevare  l'imprecisione,  dal
 momento  che  esso e' nuovo ed ulteriore rispetto a quelli di area di
 interesse naturalistico e  di  riserva  naturale,  e  dunque  non  si
 capisce  con  quali  di essi coincida, o se indichi un quarto genus -
 oltre a quelli ora richiamati  e  a  quello  di  area  dichiarata  di
 importanza  internazionale  -  al  di la' di ogni corretta esecuzione
 della Convenzione di Ramsar, che non prevede nulla di tutto cio').
    In sostanza, siamo ben oltre l'esercizio di  un  potere  contenuto
 nell'ambito delle potesta' riconosciute (in ultimo con la sentenza n.
 346/1990)   al   Ministro   dell'ambiente,  che  sono  limitate  alla
 designazione della zona e alla sua perimetrazione.
    Specie con l'indicazione della  creazione  di  aree  di  interesse
 naturalistico  ai  sensi  dell'art.  5, secondo comma, della legge n.
 349/1986, e con l'autonoma assunzione  ed  esercizio  del  potere  di
 emanare  misure  di  salvaguardia, che non trova fondamento in alcuna
 norma vigente, e che certamente non e' riconducibile al  solo  potere
 di  designare  la  zona e di dichiararla di valore internazionale, il
 Ministro  dell'ambiente  ha   proceduto   all'affermazione   di   una
 competenza  che  si  estende sino alla vera e propria creazione di un
 nuovo parco o riserva, tanto piu' che - come la  Corte  ha  affermato
 nella  sentenza n. 223/1984 - l'obbligo di creare riserve naturali e'
 elemento fondamentale, e non solo aggiuntivo,  del  sistema  cui  da'
 vita  la Convenzione di Ramsar, dal momento che l'"istituzione di una
 o piu'  riserve  naturali  trasforma  il  vincolo  previsto  in  sede
 internazionale,  che  del  regime  della  convenzione  rappresenta il
 cardine, da virtuale (quale lo aveva reso la designazione della  zona
 destinata  ad  essere  inserita  nell'elenco) in attuale, secondo gli
 strumenti di adattamento apprestati dal diritto interno".
    Il legame tra l'istituzione della riserva e la designazione  della
 zona  umida e' tale, pertanto, da far ritenere che nel momento in cui
 il Ministro dell'ambiente ha sin d'ora previsto che  la  prima  sara'
 fatta   con   proprio  decreto,  e  ha  aggiunto  a  tale  previsione
 l'appropriazione del potere di emanare misure di salvaguardia,  abbia
 ulteriormente  esorbitato  dalle competenze riconosciutegli, violando
 la sfera di interessi costituzionalmente garantiti alla regione.
    8. - Il decreto prevede l'istituzione di misure  di  salvaguardia,
 per  una  durata non inferiore a tre anni. Per effetto di tali misure
 e' vietata una serie di attivita' quali l'apertura e la  coltivazione
 di  cave;  la  circolazione  di  mezzi  motorizzati al di fuori della
 viabilita' esistente, fatta eccezione  per  i  mezzi  necessari  alla
 conduzione  agricola  dei  terreni  e  alle  attivita'  di gestione e
 vigilanza; l'esercizio della caccia e dell'uccellagione praticate con
 qualsiasi mezzo, nonche' ogni forma di disturbo della fauna selvatica
 ivi  compreso l'addestramento dei cani, la raccolta' e la distruzione
 di  uova  e  nidi,  nonche'  l'immissione  di  specie  estranee;   il
 danneggiamento  e  la  raccolta  delle  specie vegetali spontanee con
 particolare riferimento ad esemplari arborei  vetusti,  a  filari  di
 alberi, a siepi e formazioni vegetazionali arboree ed arbustive resi-
 due;  l'abbandono  dei rifiuti di qualunque genere; l'esercizio della
 pesca, la  modifica  del  regime  delle  acque,  ad  eccezione  degli
 interventi  destinati  alla  tutela della pubblica incolumita' e alla
 corretta conduzione dei fondi agricoli nonche' al mantenimento e alla
 ricostituzione degli ambienti umidi.
    Ad esse si aggiungono le altre elencate nel decreto.
    Queste misure di salvaguardia non trovano copertura  in  norme  di
 legge.  Invero,  se  ci  si  riferisce  alla  individuazione  di aree
 prevista nelle norme di attuazione della Convenzione di Ramsar,  tale
 potere manca; mentre se ci riferiamo alle aree da destinarsi a parchi
 nazionali  e  riserve  naturali  il  potere  di  adottare  misure  di
 salvaguardia puo' essere esercitato sentite le  regioni  e  gli  enti
 locali interessati (art. 7, primo comma, della legge n. 59/1987).
    Nel  caso  in  questione,  non risulta che siano stati sentiti gli
 enti di cui si sarebbe dovuto acquisire il parere.
    Ne' si puo' ritenere che l'adozione delle misure  di  salvaguardia
 sia   contenuta   nelle   competenze   del   Ministero  dell'ambiente
 riconosciute dalla Corte per  l'istituzione  di  nuovi  parchi  nella
 sentenza  n. 148/1991, ai sensi della sezione III della deliberazione
 CIPE 5 agosto 1988, anche oltre i parchi nominativamente indicati  in
 essa.
    In  effetti,  se  di dovesse ritenere in astratto applicabile alla
 fattispecie  la  sezione  III  della  deliberazione  CIPE,   dovremmo
 rilevare  che  e'  del tutto mancata l'intesa con la regione che deve
 essere  istituzionalizzata,  quanto  meno  nella   formazione   della
 commissione paritetica prevista da tale delibera.
    Anche  l'adozione delle misure di salvaguardia, ai sensi del punto
 4 della sezione III di tale  delibera,  presuppone  che  il  Ministro
 dell'ambiente  agisca  "in relazione alle risultanze dei lavori della
 commissioni paritetica", che  deve  essere  costituita  con  apposito
 decreto  ministeriale  e  nella quale, ai sensi dei punti 1 e 2 della
 sezione III, debbono essere rappresentate, tra  l'altro,  le  regioni
 interessate.
    Non risulta che nessuna commissione paritetica sia stata istituita
 al  riguardo,  ne'  che  il  Ministro  abbia agito "in relazione alle
 risultanze" dei suoi lavori: cosicche' non e' dell'eventuale richiamo
 al potere di adottare misure di salvaguardia previsto dalla  delibera
 CIPE  5  agosto  1988  (nell'ipotesi  denegata  che  essa  si potesse
 applicare  anche  al  caso  di  specie),  che  si  puo'  dedurre   la
 legittimita'  del potere esercitato nel decreto in questione all'art.
 4.
    9. - E' vero che il decreto  impugnato  fa  ulteriore  riferimento
 agli  artt.  4,  lett.  h),  del d.P.R. n. 11/1972 e 83 del d.P.R. n.
 616/1977, ma il comune e indifferenziato richiamo alle due norme  non
 consente  di  ritenere  costituzionalmente  fondato  l'esercizio  del
 potere che ad esse si richiama.
    Anzitutto, la Corte ha gia'  avuto  occasione  di  rilevare  nella
 sentenza  n.  1029/1988,  punti  3,  3.1,  3.2  e  3.3  del  diritto,
 sintetizzando l'evoluzione normativa dal d.P.R. n. 11/1972 al  d.P.R.
 n.  616/1977,  che  l'art.  4  del  d.P.R. n. 11/1972 e l'art. 83 del
 d.P.R.  n.  616/1977 sono norme di contenuto diverso, anzi opposto, e
 per conseguenza non possono  essere  richiamate  unitariamente  senza
 cadere  nell'irragionevolezza e nella contraddittorieta'. La Corte ha
 detto che "ad essere piu' precisi, l'art. 4  del  d.P.R.  15  gennaio
 1972, n. 11 - che il ricorrente, in nome di una presunta similitudine
 o  coerenza  con  il vigente art. 83 del d.P.R. n. 616/1977, pretende
 erroneamente di porre a  base  della  sua  domanda  -  prevedeva  una
 disciplina  che,  sotto il profilo del regime delle attribuzioni, era
 contraria a quella attualmente in  vigore  contenuta,  per  l'appunto
 nell'art. 83".
    In  particolare,  afferma  la  Corte,  l'art.  4,  lett.  h)  (che
 manteneva allo stato la riserva degli "interventi per  la  protezione
 della natura" salvo quelli regionali che non fossero in contrasto con
 la disciplina statale e faceva coerentemente seguire a tale scelta la
 totale riserva allo stato dei "parchi nazionali - art. 4 lett. s)) e'
 stato  "modificato  radicalmente"  (sentenza n. 1029/1988, punto 3.2)
 dall'art. 83 del d.P.R. n. 616/1977, che ha trasferito la "protezione
 della natura"  alle  competenze  regionali,  ivi  compresi  i  parchi
 nazionali.
    Ne segue che, da un lato, l'art. 4 lett. h), del d.P.R. n. 11/1972
 non  e'  in  alcun  modo  utilizzabile  per individuare il fondamento
 normativo dell'illegittimo provvedimento impugnato, perche' pone  una
 disciplina   radicalmente  modificata  dall'art.  83  del  d.P.R.  n.
 616/1977; dall'altro,  quest'ultimo  prevede  il  trasferimento  alle
 regioni delle funzioni amministrative concernenti la protezione della
 natura,  e se e in quanto sia richiamabile - nell'interpretazione che
 la Corte fornisce delle competenze statali in tema di  individuazione
 dei  parchi  e  delle  zone  di  importanza  naturalistica  -  lo  e'
 esclusivamente nei limiti che abbiamo sopra ricordato  e  nel  quadro
 dei  principi  (anch'essi piu' volte sottolineati dalla Corte), della
 leale collaborazione e cooperazione tra Stato e regioni per la tutela
 e protezione della natura: ossia in  forme  e  modi  che  sono  stati
 completamente disattesi dal provvedimento impugnato.
    10. - Quest'ultimo fa - ancora - riferimento all'art. 4 del d.P.R.
 n.  616/1977,  riserva  allo  Stato  le funzioni, anche nelle materie
 trasferite o delegate "attinenti ai rapporti internazionali".
    La Corte ha piu' volte ripetuto che "quando lo  Stato  agisce  per
 l'attuazione   di   un   interesse   nazionale   o   di   un  obbligo
 internazionale, la sussistenza dell'uno o dell'altro non puo'  essere
 semplicemente  affermata  o  desunta  genericamente,  ma  deve essere
 comprovata da rigorosi procedimenti ermeneutici e da  seri  argomenti
 giustificativi,  sottoponibili,  in sede di sindacato di legittimita'
 costituzionale, ad uno scrutinio particolarmente severo (vedi per gli
 obblighi internazionali  sentenza  n.  830/1988  e,  per  l'interesse
 nazionale sentenze nn. 177, 217 e 633 del 1988, 407/1988 e 139/1990)"
 (sentenza n. 346/1990, punto 2.1).
    Era  richiesta pertanto, nel caso di specie (in cui si pretende di
 giustificare il provvedimento sulla base della Convenzione di  Rasmar
 e  della  Convenzione  di  Berna),  una  motivazione  particolarmente
 congrua della (sia pure illegittima, per le forme con  cui  e'  stata
 assunta)  deliberazione  di  individuazione della zona umida "Diaccia
 Botrona" come zona di importanza internazionale.
    La  realta' e' invece che la motivazione fornita dalle premesse al
 provvedimento impugnato e'  insufficiente  e  contraddittoria,  e  si
 risolve  pertanto in una ulteriore lesione delle competenze regionali
 costituzionalmente garantite.
    Essa fa riferimento alla presenza, in zona, di specie  faunistiche
 migratrici  e  di  altre  che  vi  nidificano  regolarmente:  ma  non
 specifica  affatto  come  e  in  quali  modi  si  sia   giunti   agli
 accertamenti  e  alle  affermazioni  in  tal  modo  consegnati  nelle
 premesse al decreto impugnato.
    Inoltre asserisce, in modo apodittico e senza  la  benche'  minima
 dimostrazione, che "la zona in questione ha un valore particolare per
 il  mantenimento  della diversita' ecologica e genetica della regione
 mediterranea grazie alla ricchezza e alla orginalita' della sua flora
 e  della  sua  fauna  e  costituisce   un   esempio   particolarmente
 rappresentativo di zona umida caratteristica della propria regione".
    Si   tratta   di   affermazioni   indimostrate,   tautologiche   e
 insufficienti  e  soddisfare  la  necessita'  dei   "seri   argomenti
 giustificativi" richiesti dalla Corte.