ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.7, primo  comma,
 del   decreto-legge   21   marzo   1988,  n.  86  (Norme  in  materia
 previdenziale, di occupazione giovanile  e  di  mercato  del  lavoro,
 nonche'  per  il  potenziamento del sistema informatico del ministero
 del   lavoro   e   della   previdenza   sociale),   convertito,   con
 modificazioni,  in  legge  20  maggio  1988,  n.  160,  promosso  con
 ordinanza emessa il 19  gennaio  1991  dal  Pretore  di  Messina  nel
 procedimento  civile  vertente tra Costa Rosetta e I.N.P.S., iscritta
 al n. 220 del registro ordinanze 1991  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 15 prima Serie speciale dell'anno 1991;
    Visto  l'atto  di  costituzione  dell'I.N.P.S.  nonche'  l'atto di
 intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
    Udito nella camera di consiglio del  22  maggio  1991  il  Giudice
 relatore Aldo Corasaniti;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  giudizio  promosso da Rosetta Costa nei
 confronti dell'Istituto Nazionale della Previdenza Sociale (I.N.P.S.)
 per la rivalutazione della indennita' di disoccupazione, per gli anni
 precedenti il 1988, a seguito della  sentenza  n.  497  del  1988  di
 questa  Corte, l'adito Pretore di Messina, con ordinanza emessa il 19
 gennaio 1991, ha sollevato questione di legittimita'  costituzionale,
 in  riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma, Cost., dell'art.
 7, primo comma, del d.l. 21 marzo 1988,  n.  86,  recante  "Norme  in
 materia  previdenziale,  di  occupazione  giovanile  e di mercato del
 lavoro, nonche' per il  potenziamento  del  sistema  informatico  del
 Ministero  del  lavoro  e  della previdenza sociale", convertito, con
 modificazioni, in l. 20 maggio 1988, n. 160, nella parte in  cui  non
 prevede alcuna indennita' di disoccupazione per il periodo precedente
 alla sua entrata in vigore e per il periodo successivo al 31 dicembre
 1988, ne' prevede alcun criterio di calcolo di detta indennita'.
    Premette  il  giudice  a  quo  che, nelle more del giudizio al cui
 esito questa Corte dichiarava costituzionalmente  illegittimo  l'art.
 13 del d.l. 2 marzo 1974, n. 30 (Norme per il miglioramento di alcuni
 trattamenti  previdenziali  ed  assistenziali),  convertito  in l. 16
 aprile 1974, n. 114 - che elevava a lire  800  al  giorno  la  misura
 dell'indennita' di disoccupazione ordinaria -, nella parte in cui non
 prevede  un  meccanismo  di  adeguamento  del  valore  monetario  ivi
 indicato, con il denunciato art. 7, primo comma, del d.l. n.  86  del
 1988,  l'importo  di  tale  indennita'  veniva fissato, dalla data di
 entrata in vigore del decreto e per il solo 1988, "nella  misura  del
 7,50% della retribuzione".
    Cio'  posto,  l'autorita'  remittente  osserva  come,  non essendo
 applicabile la nuova disciplina,  limitata  ad  una  parte  dell'anno
 1988, alle situazioni giuridiche formatesi prima della sua entrata in
 vigore  -  in  questo  senso gia' si era espressa, in motivazione, la
 sentenza n. 497 del 1988 citata -, e non  essendo  piu'  applicabile,
 "neppure  con eventuali correttivi", la norma (art. 13 del d.l. n. 30
 del 1974) colpita dalla pronuncia di questa Corte, ci  si  trovi  "di
 fronte  all'insolubile  problema  del  criterio  da  adottare  per la
 definizione delle controversie pendenti".
   La formulazione dell'art. 7, primo comma, del d.l. n. 86  del  1988
 si  appalesa  cosi',  secondo  il giudice a quo, in contrasto con gli
 artt. 2, 3 e 38 Cost.
    E' violato infatti il principio di eguaglianza, in quanto soggetti
 titolari di un medesimo diritto, l'indennita' di  disoccupazione,  lo
 vedono   tutelato   in  modo  diverso,  o  addirittura  non  tutelato
 affatto,in  relazione  ad  un  evento,  l'epoca  di  maturazione  del
 diritto, del tutto indipendente dalla loro volonta'.
    Se   poi   si  considera  che  scopo  della  norma  denunciata  e'
 "assicurare ai lavoratori mezzi adeguati alle loro esigenze  di  vita
 in  caso  di  disoccupazione involontaria, e di dare conseguentemente
 attuazione tanto all'art. 2 quanto all'art. 38, secondo comma, Cost.,
 la mancata regolamentazione, all'art. 7, primo comma, del d.l. n.  86
 del 1988, sia dei periodi precedenti la sua entrata in vigore, che di
 quelli successivi al 31 dicembre 1988, si pone in netto contrasto con
 le  previsioni  costituzionali",  in  quanto,  neppure  in  linea  di
 ipotesi, si puo' ritenere  che  la  disoccupazione  involontaria  sia
 fenomeno limitato all'anno 1988.
    2.  -  Nel  giudizio  si  e'  costituito  l'INPS,  concludendo per
 l'inammissibilita', e comunque per l'infondatezza, della questione.
    Quanto alla mancata regolamentazione, lamentata dal giudice a quo,
 dei periodi successivi al 31 dicembre 1988, ad  avviso  dell'INPS  la
 questione  e'  manifestamente  infondata,  in  quanto  a  cio' si era
 provveduto, in epoca anteriore all'ordinanza di  rimessione,  con  il
 decreto-legge 1 aprile 1989, n. 119 ("Norme in materia di trattamento
 ordinario   di   disoccupazione   e   di   proroga   del  trattamento
 straordinario di integrazione  salariale  in  favore  dei  dipendenti
 delle  societa'  costituite  dalla GEPI S.p.a. e dei lavoratori edili
 del Mezzogiorno, nonche' di pensionamento anticipato") che,  all'art.
 1,   dal  1›  gennaio  1989  elevava  la  misura  dell'indennita'  di
 disoccupazione al 15% della retribuzione.
    Tale disciplina era contenuta anche nei  successivi  decreti-legge
 presentati   (a  seguito  della  mancata  conversione  in  legge  dei
 precedenti), sino agli ultimi, il decreto-legge 22 novembre 1990,  n.
 337,  ed  il  decreto-legge  28  gennaio  1991,  n. 29, che elevavano
 altresi', per il 1990, l'importo dell'indennita' di disoccupazione al
 20% della retribuzione.
    In  ordine  al  secondo  aspetto  della  questione  -  la  mancata
 previsione, per il periodo precedente l'entrata in vigore della norma
 censurata,  di  alcuna  indennita'  di  disoccupazione,  ne' di alcun
 criterio di calcolo di detta indennita' - osserva la difesa dell'INPS
 che gia'  questa  Corte,  con  la  sentenza  n.  497  del  1988,  era
 consapevole,  da una parte, dell'impossibilita' per il Parlamento, in
 sede di conversione del decreto-legge n. 86 del 1988,  di  provvedere
 all'adeguamento degli importi per i periodi precedenti il 1988, "pena
 la decadenza del provvedimento" e, dall'altra, della irretroattivita'
 del provvedimento e, in ogni caso, della istituzionale competenza del
 legislatore a provvedere per il passato.
    Infatti,   quando   si  profilano  una  pluralita'  di  soluzioni,
 derivanti da varie possibili valutazioni,  l'intervento  della  Corte
 non  e'  ammissibile  -  cosi' le sentenze nn. 125 del 1988 e 109 del
 1986 -, spettando  la  relativa  scelta  unicamente  al  legislatore.
 Qualora,  per  il  caso  di  specie,  i  vari  giudici ordinari, come
 paventato dall'autorita'  remittente,  provvedessero  per  i  periodi
 precedenti  al  1988,  si realizzerebbe una inevitabile diversita' di
 tutela  del  diritto  alla  predetta  indennita'  per  i  criteri  di
 adeguamento ed i meccanismi di volta in volta prescelti.
    3.  -  E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione, osservando
 che  la  cristalizzazione della misura dell'indennita' prima del 1988
 va  valutato  in  funzione  dell'esigenza  di  risanare  le  gestioni
 previdenziali a rilevante connotazione di solidarieta' sociale.
    Sulla  base  di  scelte  economico-sociali  ed  in  funzione delle
 disponibilita' di bilancio, il legislatore, nel  fissare  le  diverse
 decorrenze  per  differenti regimi, si e' lasciato guidare da criteri
 di gradualita' come, segnatamente, per la delimitazione  della  sfera
 temporale della nuova disciplina.
    Quanto  alla proporzionalita' di trattamento alle esigenze di base
 del  lavoratore  disoccupato,   conclude   l'Avvocatura,   appartiene
 esclusivamente  alla valutazione del legislatore ordinario disporre i
 mezzi per l'attuazione di tale principio.
                        Considerato in diritto
    1. - E' sollevata in via  incidentale  questione  di  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento agli artt. 2, 3 e 38, secondo comma,
 della Costituzione, dell'art. 7, primo comma,  del  decreto-legge  21
 marzo  1988,  n.  86  (Norme in materia previdenziale, di occupazione
 giovanile e di mercato del lavoro, nonche' per il  potenziamento  del
 sistema  informatico  del  Ministero  del  lavoro  e della previdenza
 sociale), come convertito con  la  legge  20  maggio  1988,  n.  160.
 L'impugnazione investe la norma denunciata nella parte in cui, mentre
 fissa  per  il  solo  periodo a decorrere dalla sua entrata in vigore
 alla   fine   dell'anno   1988   l'ammontare    dell'indennita'    di
 disoccupazione  di cui all'art. 13 del decreto-legge 2 marzo 1974, n.
 30, come convertito con legge 16 aprile 1974, n. 114,  nella  maggior
 misura  del  7,5  per  cento  della  retribuzione,  non  dispone tale
 aumento, ne' un criterio di rivalutazione, per il  tempo  precedente,
 ne' per il tempo successivo.
   2.  -  Il  giudice  a  quo,  premesso  che l'art. 13 del suindicato
 decreto-legge n. 30 del 1974, come convertito,  e'  stato  dichiarato
 costituzionalmente illegittimo con la sentenza di questa Corte n. 497
 del   1988  per  la  parte  in  cui  non  prevede  un  meccanismo  di
 rivalutazione dell'indennita' di disoccupazione,  osserva  come,  non
 "potendo  essere  applicata,  neppure  con  eventuali correttivi", la
 norma ora indicata (applicabile in base ai principi sulla successione
 delle leggi), in quanto dichiarata illegittima, ne' quella successiva
 perche'  non  retroattiva,   egli   si   trovi   messo   "di   fronte
 all'insolubile  problema  del criterio da adottare per la definizione
 delle controversie pendenti" e pertanto  costretto  ad  impugnare  la
 norma   successiva   per   non  avere  retroattivamente  disposto  la
 rivalutazione o un meccanismo o un criterio per effettuarla.
    3. - La norma impugnata e' censurata sotto due profili:
       a)  perche'  non  prevede  un   meccanismo   di   rivalutazione
 dell'indennita' di disoccupazione per il periodo successivo al 1988;
       b)  perche'  non  prevede  un meccanismo di rivalutazione della
 detta indennita' per il periodo anteriore alla sua entrata in vigore.
    Sotto il profilo sub a) la questione e' inammissibile, perche'  si
 desume  dalla  stessa  ordinanza  di  rimessione  che l'oggetto della
 controversia davanti al giudice a quo era limitato alla rivalutazione
 della indennita' "per gli anni precedenti al 1988".
    Sotto il profilo sub b) la questione e' egualmente inammissibile.
    Questa Corte, con la sentenza n. 497 del 1988, ha gia' pronunciato
 sul medesimo oggetto, vale a dire sulla  legittimita'  costituzionale
 della norma - identificata nell'art. 13 della legge n. 114 del 1974 -
 regolatrice  dell'indennita'  di  disoccupazione  fino all'entrata in
 vigore della nuova disciplina recata dal decreto-legge n. 86 del 1988
 e ne ha dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale  per  lo  stesso
 vizio  ora  dedotto  (mancata  rivalutazione dell'indennita' per quel
 periodo) e in riferimento a parametri anche ora invocati (artt.  2  e
 38,  secondo comma, della Costituzione). Ne' la Corte ha mancato, con
 la citata sentenza, di prendere in esame il decreto-legge n.  86  del
 1988   considerandolo,   come   soltanto   poteva   (e  puo')  essere
 considerato, e cioe' come il modo in cui avrebbe  potuto  essere,  ma
 non  era  stata,  realizzata  la condizione che avrebbe impedito alla
 Corte  stessa  di  pronunciarsi  e  di  ravvisare  la  illegittimita'
 costituzionale dedotta.
    Questa  Corte non puo' dunque pronunciarsi una seconda volta, come
 in realta' postula il giudice a quo.
    Questi  vi  e'  indotto  dalla  considerazione  che  per   effetto
 dell'intervenuta   dichiarazione   di   illegittimita'   della  norma
 applicabile e dell'irretroattivita' (e quindi della inapplicabilita')
 della norma ora impugnata esso giudice verserebbe nell'impossibilita'
 di rinvenire criteri di giudizio per la decisione delle controversie.
    Ma  tale considerazione, a parte ogni riserva sulla sua rilevanza,
 non e' comunque esatta.
    La dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una omissione
 legislativa  -  com'e'  quella  ravvisata  nell'ipotesi  di   mancata
 previsione,  da  parte della norma di legge regolatrice di un diritto
 costituzionalmente garantito, di un meccanismo idoneo  ad  assicurare
 l'effettivita'   di   questo   -   mentre   lascia   al  legislatore,
 riconoscendone  l'innegabile   competenza,   di   introdurre   e   di
 disciplinare   anche  retroattivamente  tale  meccanismo  in  via  di
 normazione astratta, somministra essa  stessa  un  principio  cui  il
 giudice  comune  e'  abilitato a fare riferimento per porre frattanto
 rimedio all'omissione in via di individuazione della regola del  caso
 concreto.