ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 431, lett.  a),
 del  codice  di  procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 7
 dicembre 1990 dal Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di  Ancona  nel  procedimento  penale  a  carico  di Lucia
 Soprani, iscritta al n. 144 del registro ordinanze 1991 e  pubblicata
 nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11 prima serie speciale
 dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio  del  5 giugno 1991 il Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto che, nel corso del procedimento penale a carico di  Lucia
 Soprani,  il  Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale
 di Ancona, dopo l'emanazione del decreto di rinvio  a  giudizio,  con
 ordinanza  del  7  dicembre 1990 (r.o. n. 144 del 1991), ha sollevato
 questione di legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
 2,  3 e 97 della Costituzione, dell'art. 431, lett. a), del codice di
 procedura penale, nella parte in cui non consente  l'inserimento  nel
 fascicolo  per  il  dibattimento  dell'atto di denuncia all'autorita'
 giudiziaria e del "rapporto penale";
      che, secondo il giudice a quo, la norma impugnata, che  consente
 l'inserimento  nel  fascicolo  per  il giudice del dibattimento degli
 atti relativi alla procedibilita' dell'azione penale e  all'esercizio
 dell'azione civile, dovrebbe essere coordinata con quelle di cui agli
 artt.  511  e  514  del codice di procedura penale, che consentono al
 giudice del dibattimento di disporre la lettura dei verbali  relativi
 alle  dichiarazioni  orali  di  querela o istanza, seppure allo scopo
 esclusivo   di   accertare   l'esistenza    della    condizione    di
 procedibilita',   in  modo  da  consentire  la  lettura,  e  comunque
 l'acquisizione nel fascicolo, del "rapporto penale" o della denuncia,
 ai fini della constatazione dei fatti e della situazione concreta che
 ha originato il procedimento penale;
      che  la  diversa  interpretazione  della  norma  impugnata,  che
 esclude  la  possibilita'  di inserimento nel fascicolo del "rapporto
 penale" o della denuncia, violerebbe  gli  artt.  2,  3  e  97  della
 Costituzione,  rendendo  difficoltoso  l'accertamento  della  verita'
 materiale e meno celere il dibattimento, nonche' ledendo il principio
 di buon andamento dell'amministrazione della giustizia;
      che nel giudizio  davanti  a  questa  Corte  e'  intervenuto  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
 dichiarata inammissibile e infondata;
    Considerato  che  il giudice remittente, da un lato, prospetta una
 interpretazione estensiva della norma impugnata  ritenendo  che  essa
 consenta, se coordinata con quanto disposto dagli artt. 511 e 514 del
 codice  di  procedura  penale,  l'inserimento  della  denuncia  e del
 "rapporto penale" nel fascicolo del dibattimento, mentre, dall'altro,
 rileva che la  diversa  interpretazione  della  norma  medesima,  che
 esclude  l'inserimento  nel  fascicolo  del  dibattimento  degli atti
 suddetti, violerebbe gli artt. 2, 3 e 97 della Costituzione;
      che,  pertanto,  nell'ordinanza  il giudice a quo non fa propria
 nessuna delle due interpretazioni della norma impugnata  e  prospetta
 come  eventuale  il dubbio di costituzionalita' in relazione a quella
 che, a suo avviso, contrasterebbe con gli  artt.  2,  3  e  97  della
 Costituzione;
      che,  come  piu'  volte affermato da questa Corte (v. sentt. nn.
 472  e  473  del  1989),  spetta  al   giudice   a   quo,   ai   fini
 dell'ammissibilita'  della  questione,  la  scelta  tra  due (o piu')
 interpretazioni alternative della norma impugnata e  l'individuazione
 di quella ritenuta applicabile nel caso concreto, cosi' da consentire
 l'identificazione   del  thema  decidendi  e  della  rilevanza  della
 questione di costituzionalita';
      che, nella specie, l'assenza palese di tale requisito  rende  la
 questione manifestamente inammissibile;
    Visti  gli  artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.