IL TRIBUNALE PER I MINORENNI Il t.m. di Catania, nell'esercizio della funzione di cui agli artt. 309 del c.p.p. e 25 del d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272, O S S E R V A Il 18 febbraio 1991 il p.m. chiese al g.i.p. di esso t.m. oltre che convalida dell'arresto nel quale il minore Ciuna Amnia nata a Firenze il 18 gennaio 1977, era incorso in Paterno', il 16 detto mese, in Siracusa, in flagranza del delitto di tentato furto in abitazione, anche l'applicazione al detto minore, della misura della custodia cautelare in carcere: la quale richiesta fu formulata con espressa esclusione di alternative, come previsto dall'art. 12 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12. Riferi' intanto l'equipe, che aveva osservato il minore nel centro di prima accoglienza, che la custodia in carcere sarebbe stata di certo e rilevante nocumento all'indagato "una risposta meramente contenitiva" fu scritto nella relazione "avrebbe vistose risonanze negative nel minore, considerato il momento evolutivo particolarmente delicato (e' appena quattordicenne), ed il fatto che lo stesso gia' soffre della permanenza in c.p.a." soggiungevano gli operatori (a.s. dell'USSM; educatore; psicologo; coordinatore) che il servizio sociale del comune di Paterno', nel quale dimoravano i genitori del minore, era stato contattato e si era dichiarato disponibile a seguirlo e ad inserirlo in un centro di animazione, gestito dalla "Arte scuola di Catania", e attivo in comune di Paterno'; e che la madre oltre a visitare il minore in c.p.a. si era recata presso l'anzidetto ufficio locale di s.s. per aver notizie del figlio, mantener contatti con l'equipe e avere informazioni sull'iter personale. Senza opporsi alla convalida, il difensore chiese rimettersi in liberta' l'indagato, con prescrizioni di intervento nei confronti del minore al comune di Paterno'. Con provvedimento del 20 febbraio 1991 il g.i.p., ritenne la necessita' di adottar misure, e constato' che il d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12, lo vincolava alla richiesta del p.m., di applicazione della custodia cautelare in carcere; per i quali motivi detta misura applico'. Avverso tale atto ha proposto tempestiva istanza di revisione il difensore dell'indagato chiedendone l'annullamento, per insussistenza dell'opinato pericolo di commissione ad opera del Ciuna di reati della stessa specie, e comunque, per eccesso di coercizione della misura rispetto alle esigenze processuali e per la sussistenza della possibilita' che il minore, posto in liberta' trovi "effettive possibilita' di inserimento controllato vuoi istituzionalmente (servizio sociale del comune di Paterno') vuoi familiari". Nel corso dell'udienza camerale, fissata per il giorno di oggi, la difesa ha insistito nella istanza; il p.m. ne ha chiesto il rigetto. Ora il collegio constata: 1) ricorrono i presupposti e le condizioni di legge perche' si faccia luogo ad applicazione di misura cautelare (sussistenza e gravita' degli indizi di colpevolezza, l'arresto essendo avvenuto in flagranza, e l'indagato avendo ammesso di voler commettere furto o pericolo che egli commetta, ove misure si pretermettano affatto, reati della stessa specie: come deve desumersi da specifiche modalita' del fatto - esso Ciuna essendo stato colto all'interno di altrui abitazioni - e dalla di lui personalita', quale risulta dalle pendenze, sempre per furti, risultanti dalle annotazioni su registri della procura della Repubblica; 2) la misura di cui c'e' ragione di fare applicazione non e' la custodia cautelare, richiesta al g.i.p. dal p.m., e che il g.i.p. ha applicato, per il fatto, dichiarato in motivazione, di trovarsi vincolato alla richiesta medesima; ma altra e diversa, consistente in prescrizioni: nel quadro di coordinato intervento del s.s. minorile, del s.s. locale, e di altre entita' organizzate, ch'era stato gia' disegnato allorche' si trovo' di procedere, nei termini impostigli, dato il tenore dell'art. 12 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12. E' infatti prevedibile che l'articolato intervento in parola - cui facilmente potrebbero aggiungersi gli apporti di c.f. e quelli, di materiale aiuto, del comune, avrebbe sul minore - mai stato oggetto, per quanto appare - di impegno d'assistenza, e sui genitori, tali effetti da modificare i comportamenti di lui, da far venire meno il pericolo di commissione di reati della stessa specie. Per contro, la custodia cautelare - che gia' alla luce di tali considerazioni deve ritenersi non conforme a legge, in quanto non necessaria - puo' esplicare effetti pregiudizievoli, suscitando attitudini di chiusura ai messaggi educativi, e di ulteriore opposizione, ai valori ch'essi vorrebbero proporre; e rinforzando, per tal via, la probabilita' di condotte trasgressive; 3) ma la norma succitata, della quale il giudice e' chiamato a fare applicazione (e senza applicazione della quale l'affare non puo' essere definito) impedisce di applicare la misura richiesta dalle circostanze; chiama ad applicarne altra, dal cui contrasto coi criteri di idoneita' e proporzione, e col principio di residualita'; per sottrasi alla necessita' di applicare la quale, non giustificata, e dannosa all'indagato minorenne, il giudice dovrebbe non applicarne nessuna: compromettendo, cosi' gli interessi della collettivita', alla cui tutela le misure cautelari sono direttamente preordinate, e privando l'indagato del vantaggio che l'applicazione di una di esse, appropriata, gli arrecherebbe. La norma in parola appare in contrasto: A) con l'art. 3/1 della Costituzione, in quanto costringe il giudice, il quale non voglia sottrarsi all'obbligo, imposto dalle risultanze, di applicar misura cutelare, ad applicare quella sola, richiesta in via esclusiva dal p.m., tanto a soggetti, nei cui confronti essa sia giustificata quanto ad altri, nei confronti dei quali essa non lo e': perche' inidonea e sproporzionata. In tal modo, situazioni anche profondamente diverse sono trattate in maniera uniforme: in violazione del principio di eguaglianza; B) con lo stesso art. 3, sotto il profilo della irragionevolezza: in quanto costringe il giudice, nei casi come quello ch'e' oggetto in riesame, o ad applicare misura non proporzionata, e incongrua, o a non applicarne nessuna, nonostante l'accertata necessita'; e in quanto gli toglie, in ogni caso, di potere applicare la misura necessaria e congrua; C) con l'art. 101 della Costituzione, che obbliga alla motivazione dei provvedimenti giurisdizionali: laddove una motivazione effettiva essa norma rende impossibile, in casi come quello in esame. Se infatti il motivare e' render percettibile il rapporto tra la voluntas e la ratio, il giudice, obbligato ad adottare provvedimento diverso da quello che una corretta deduzione gli suggerisce, puo' esporre, non gia' le ragioni per cui vale ma quelle per le quali non dovrebbe valere; e insomma non puo' che illustrare l'irragionevolezza della violazione, alla quale, coactis, accade. Null'altro egli puo' enunciare che giustifichi la statuizione se non il mero fatto della richiesta del p.m. e della norma, che lo ha spogliato della possibilita' di essere della richiesta stessa, giudice; D) con l'art. 101/2 della Costituzione, in quanto assoggetta il giudice ad altra cosa che la legge: ossia alla determinazione del p.m. In aggiunta a questi, sin qui enunciati, altri dubbi circa la costituzionalita' della norma emergono in rapporto alle eventualita' che - come nel caso - l'indagato sia minorenne. Contrasto si profila, infatti: E) con l'art. 31/2 Costituzione perche' invece di protegger l'infanzia e la gioventu', ne contraria e vulnera gli interessi allo sviluppo, percio' stesso che costringe il giudice a rendere, in casi come quello in esame, provvedimenti che assoggettano minorenni, anche senza necessita', a condizioni pregiudizievoli, di detenuti in istrutture carcerarie, o, in alternativa, a pretermettere l'applicazione di quelle altre diverse misure cautelari, che, attagliandosi al fatto, consentano insieme con il raggiungimento delle finalita', alle quali le misure cautelari sono direttamente preordinate, la protezione e tutela delle sue potenzialita' di sviluppo; F) con lo stesso art. 31/2 Costituzione, sotto il profilo della violazione di quel principio di residualita' della carcerazione a fini processuali, che posto dal legislatore ordinario, come valido per ogni situazione (art. 274/4 del c.p.p.), e percio' stesso esposto a deroghe, quanto agli adulti) deve invece ritenersi, per i minorenni, per virtu' della disposizione costituzionale soprarichiamata, come integrato alla struttura fondamentale dell'ordinamento: come un principio costituzionale. La detenzione in carcere e' infatti talmente afflittiva, traumatizzante, e distortiva dello sviluppo, che il volerla infliggere, durante il processo, senza necessita', e' cosa incompatibile con il compito di protezione della adolescenza, al quale la Repubblica si e' impegnata con la norma costituzionale. Ricorre pertanto di sospendere il procedimento - tale da non poter essere definito senza aplicazione della norma di dubitata costituzionalita' - e di rimettere gli atti alla Corte costituzionale, per il giudizio di competenza.