IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Ha pronunciato la seguente ordinanza; Il giudice, letta la richiesta di proroga del termine per il compimento delle indagini preliminari, tempestivamente proposta dal p.m. nel procedimento a carico di Ferraro Natale; Ritenuto che nella specie sussisterebbero le condizioni per concedere la proroga richiesta, costituendo - a giudizio di questo ufficio - giusta causa il fatto che il p.m. e' tuttora in attesa dell'espletamento delle indagini delegate a diversi organi di polizia giudiziaria; Rilevato peraltro che la richiamata richiesta non risulta ancora notificata alla persona sottoposta alle indagini, nonostante siano trascorsi piu' di due mesi dalla consegna dell'atto agli ufficiali giudiziari competenti; Rilevato che il giudice deve provvedere sulla richiesta prima della scadenza del termine, ai sensi dell'art. 406, primo comma, e 553.2 del c.p.p. e che il termine sta per scadere; Rilevato che tale decisione non puo' essere adottata senza che vi sia in atti la prova dell'avvenuta notifica alla persona sottoposta alle indagini e che siano decorsi i cinque giorni di cui all'art. 496, terzo comma, prima parte, del c.p.p., giacche' altrimenti appare senz'altro configurabile la nullita' del provvedimento, ex artt. 178, lett. c), e 180 del c.p.p.; Rilevato che l'emanazione dell'ordinanza di proroga dopo la scadenza del termine si esporrebbe a fondate censure di carenza di potere e, comunque, renderebbe prospettabili fondati dubbi in ordine all'utilizzabilita' degli atti compiuti dal p.m. dopo la scadenza del termine, non potendosi desumere dal sistema la natura ordinatoria della previsione; Ritenuto comunque che il giudice ha l'obbligo di osservare tutte le norme processuali, secondo il disposto dell'art. 124 del c.p.p. O S S E R V A L'attuale disciplina del procedimento per la proroga del termine delle indagini preliminari, quale risulta dal combinato disposto degli artt. 406 e 553 del c.p.p., si appalesa tale da giustificare dubbi di costituzionalita' non manifestamente infondati, nella parte in cui prevede che il giudice per le indagini preliminari debba provvedere prima della scadenza del termine, anziche' entro quindici giorni dallo scadere del termine di cinque giorni dalla notificazione prevista dall'art. 406.3, prima parte, del c.p.p. Di fatto, invero, l'attuale disciplina puo' impedire che il giudice prenda una tempestiva e quindi valida decisione, senza che alcun appunto possa essere ragionevolmente mosso al pubblico ministero, cui compete la richiesta. Il tempo necessario per la notifica e' infatti situazione che sfugge e prescinde dalla diligenza del p.m.: si pensi in particolare alle ipotesi in cui, apparendo la potenziale irreperibilita' del sottoposto alle indagini, si debba doverosamente procedere agli accertamenti richiesti dagli artt. 159 del c.p.p. e 61 delle disp. att. del c.p.p. eventualmente anche all'estero. Ne' sembra adeguato richiamarsi alla possibilita' di utilizzare la polizia giudiziaria per le notifiche, ai sensi dell'art. 151.1 del c.p.p.: da un lato cio' non risolve il problema, non essendo certo che la struttura della p.g. consenta notifiche utili e tempestive, dall'altro il ricorso alla polizia giudiziaria per le notifiche deve essere assolutamente eccezionale, che' altrimenti distrarrebbe dai propri compiti investigativi istituzionali uffici gia' oberati. Ne' si puo' pretendere che il p.m. inizi la procedura per la richiesta di proroga appena iscritto il nome della persona alla quale il reato e' attribuito, intuendo la prevedibile complessita' delle indagini; oltretutto, nel caso di richiesta "troppo" tempestiva, potrebbe addirittura difettare la giusta causa per la proroga. La disarmonia che la disciplina manifesta non soddisfa, peraltro, alcuna esigenza di tutela di interessi apprezzabili delle altre parti (persona sottoposta alle indagini, persona offesa): il vero interesse che appare tutelabile (e riconosciuto dal legislatore) e' che il p.m. sia costretto a render conto della gestione delle indagini, nei tempi scelti dal legislatore o concludendole con la richiesta di archiviazione o con l'esercizio dell'azione penale, ovvero chiedendone la proroga. Ma tale interesse trova esaustiva soddisfazione nel fatto che la richiesta sia presentata entro il termine, non gia' nel fatto - del tutto diverso - che il giudice, terzo, decida entro quel termine (si abbia presente la sentenza della Corte n. 461 del 26 settembre - 16 ottobre 1990, relativa a problematica che presenta talune analogie). Nessun pregiudizio pare conseguire al fatto che il giudice possa provvedere anche dopo la scadenza del termine; delle due l'una, o concedera' la proroga (con decorrenza retroattiva alla scadenza del termine; in questo caso gli atti di indagine eventualmente gia' compiuti dopo la scadenza potranno essere utilizzati) o respingera' la relativa richiesta (e in questo caso gli atti che il p.m. abbia eventualmente compiuto non potranno essere utilizzati, ai sensi dell'art. 407.3 del c.p.p.). La soluzione proposta consentirebbe di conciliare le esigenze conseguenti all'obbligatorieta' dell'azione penale ed il principio di buon andamento della pubblica amministrazione (con riguardo alla amministrazione della giustizia), con quelle derivanti dall'esercizio del diritto di difesa. Dal sistema si ricava anche il termine che il giudice dovrebbe osservare per la sua decisione: esso deve essere quello, residuale, di cui all'art. 121.2 del c.p.p. Il giudice dovra' quindi provvedere entro quindici giorni dallo spirare del termine di cinque giorni dalla notifica della richiesta di proroga alla persona sottoposta alle indagini. Venendo, da ultimo solo per ragioni di convenienza espositiva, alla indicazione dei parametri di costituzionalita', essi possono essere indicati alternativamente negli artt. 97 e 112 della Costituzione. Il sistema attuale di fatto comporta la paralisi nell'esercizio dell'azione penale, senza che cio' dipenda dalla mancanza di diligenza del pubblico ministero e dalla soddisfazione di altri interessi costituzionalmente garantiti. Ove si ritenesse che, in teoria, il grave inconveniente segnalato potesse essere superato con una richiesta di archiviazione ed una successiva richiesta di riapertura delle indagini, evidente sarebbe la irrazionale lesione di elementari principi di buon andamento dell'amministrazione, nella specie della giustizia. Solo in via subordinata potrebbe affermarsi anche la violazione dell'art. 3 della Costituzione in un'esasperata lettura del processo quale confronto di parti necessariamente contrapposte. La rilevanza della questione sollevata, nel presente procedimento, e' data dal fatto che, ferma restando l'attuale disciplina, questo giudice dovrebbe respingere o dichiarare inammissibile la richiesta presentata dal p.m. o comunque restituirgli gli atti dichiarando la propria "incompetenza" nella decisione; ove la Corte accogliesse la questione di costituzionalita' proposta, questo giudice potrebbe legittimamente decidere nel merito. La soluzione proposta - prima indicata e nel dispositivo ancora precisata - si manifesta non frutto di scelta discrezionale, propria del legislatore, ma ricavabile dal sistema vigente. Vanno pertanto adottati i provvedimenti ordinamentali di cui al dispositivo. Valutera' la Corte se l'eventuale declaratoria di incostituzionalita' possa essere estesa, in applicazione dell'art. 27 della legge n. 87 dell'11 marzo 1953, anche al secondo comma dell'art. 406 del c.p.p.