LA COMMISSIONE TRIBUTARIA DI PRIMO GRADO
    Ha emesso la seguente decisione sul ricorso prodotto  da  Contorno
 Saverio  quale  socio  amministratore  della  soc.  d.f.  Contorno  e
 Salamone con sede in Casale M. esercente l'attivita' di  parrucchiere
 per  uomo  avverso  tre  avvisi  di  rettifica dell'ufficio I.V.A. di
 Alessandria;
    Letti gli atti;
    Sentiti il rappresentante del ricorrente e dell'ufficio;
    Udito il relatore avv. Giovanni Nanni;
                           RITENUTO IN FATTO
    In data 24 agosto 1989 l'ufficio I.V.A. di Alessandria  notificava
 alla  s.d.f.  Contorno  e  Salamone  tre avvisi di rettifica relativi
 all'attivita'  svolta  negli  anni  1985,  1986  e  1987  contestando
 l'omessa annotazione sul prescritto registro dei corrispettivi ricavi
 conseguiti  negli anni sopra indicati per il seguente ammontare: anno
 1985: imponibile L. 43.341.000 -  I.V.A.  L.  7.801.000;  anno  1986:
 imponibile L. 43.252.000 - I.V.A. L. 7.785.000; anno 1987: imponibile
 L. 37.247.000 - I.V.A. L. 6.704.000.
    Avverso  i  predetti  avvisi  il  sig. Contorno Saverio presentava
 tempestivi ricorsi adducendo che i criteri usati dall'ufficio  I.V.A.
 nel  determinare  i ricavi, disattendendo le scritture contabili, non
 trovano nessuna base sicura e aderente all'attivita'  reale.  Sia  le
 ore lavorative che i prezzi delle prestazioni sono presunzioni basate
 su presunzioni.
    Con   successiva   istanza  15  gennaio  1990  chiedeva  l'urgente
 fissazione della discussione dei  ricorsi  trovandosi  in  gravissime
 difficolta' economiche da non poter far fronte al pagamento del terzo
 delle imposte iscritte a ruolo.
    L'ufficio  I.V.A.,  su  invito  di questa commissione produceva la
 copia  del  processo  verbale  13  giugno  1985  tenuto  a  base  dei
 provvedimenti   impugnati;   nelle   sue  deduzioni  insisteva  sulla
 legittimita' del  suo  operato  scaturito  e  previsto  dall'art.  2,
 ventinovesimo  comma  della legge 7 febbraio 1985, n. 17 e concludeva
 con la richiesta di rigetto dei ricorsi.
    In sede di discussione il rappresentante del ricorrente  sollevava
 la    questione   di   legittimita'   costituzionale   dell'art.   2,
 ventinovesimo comma, della citata legge n. 17/1985 in  contrasto  con
 l'art. 53 della Costituzione.
                             O S S E R V A
    Anche   prescindendo   dall'eccezione   piuttosto   generica   del
 ricorrente, il disposto dell'art. 2, ventinovesimo  comma,  legge  n.
 17/1985,   sul   quale   si  basa  l'accertamento  induttivo  operato
 dall'ufficio  I.V.A.  appare  incongruo,  illogico   e   viziato   da
 illegittimita'  costituzionale.  Tale  norma  autorizza  infatti  gli
 uffici a desumere i ricavi dei  contribuenti  in  regime  forfettario
 anche da uno solo dei seguenti dati (o "fatti indice"):
      dimensioni  o ubicazione dei locali, beni strumentali impiegati,
 numero,  qualita'  e  retribuzione  degli  addetti,  acquisti........
 consumi  di  energia  ecc.,  assicurazioni  stipulate,  nonche' altri
 elementi che potranno essere indicati dal Ministero delle finanze.
    E'  prima  facie   evidente   che   tali   dati   non   consentono
 l'accertamento   dei  ricavi  e  dei  corrispettivi,  tanto  piu'  se
 separatamente considerati come la legge prevede  "uno  o  piu'".  Per
 fare alcuni esempi, l'"ubicazione dei locali destinati all'esercizio"
 dell'impresa   o   della   professione  non  vale  a  dimostrare  una
 determinata entrata, variabile da caso a caso indipendentemente dalla
 sede.
    Altrettanto dicasi dei "beni strumentali impiegati", che  da  soli
 non  valgono  ad  assicurare  un  guadagno  certo;  del  "numero  dei
 dipendenti", che talora puo' costituire piu' un onere che  un  indice
 di  prosperita'  aziendale; dei consumi energetici, relativi piu' che
 altro alla collocazione territoriale ed  esposizione  alla  luce  dei
 locali   dell'impresa  artigiana  ecc.  Trattasi  di  dati  astratti,
 inidonei alla determinazione dei  ricavi  dei  singoli  contribuenti:
 prescindono  infatti dalla peculiare situazione economica di ciascuna
 impresa e non tengono conto delle differenze tra imprenditori piu'  o
 meno  capaci  "avviati"  e  tra i diversi Comuni, centro e periferia,
 ecc.
    La legge consente altresi' al  Ministro  di  introdurre  ulteriori
 elementi  indiziari,  ampliando  ancora la possibilita' di sostituire
 un'astratta predeterminazione alla valutazione obbiettiva del caso di
 specie.
    Cio' comporta anzitutto  uno  stravolgimento  dell'istituto  della
 presunzione.
    La   disposizione   in   esame  pare  potersi  inquadrare  tra  le
 "presunzioni semplici" (art. 2729 c.c.) dato che la ricostruzione dei
 ricavi e dei corrispettivi non consegue direttamente dalla legge,  ma
 e'  demandata  ad  organi  amministrativi:  ma in tal caso sono prima
 facie esclusi i  requisiti  di  gravita',  precisione  e  concordanza
 richiesti  dalla  legge.  E'  pacifico che "ai fini dell'accertamento
 induttivo le presunzioni debbano essere suffragate dai  requisiti  di
 gravita' precisione e concordanza", come concordemente ritenuto dalle
 commissioni  tributarie. Insegna altresi' il supremo collegio che "il
 fatto ignoto deve rappresentare l'univoca conseguenza logica  di  de-
 terminate  e certe premesse e non gia' il risultato di una dedeuzione
 che.. .. .. lascia sopravvivere l'ipotizzabilita' di conclusione  di-
 verse od opposte" (Cass. n. 3448/1973).
    La presunzione in esame, invece:
      non  e' grave, perche' fondata su elementi che non costituiscono
 sufficiente motivo per disattendere la contabilita' e  ricostruire  i
 ricavi;
      non e' precisa, non essendo fondata su indizi univoci;
      non  e'  concordante,  potendo  derivare  da  un  unico dato non
 raccordato ad altri.
    I ricavi cosi' determinati non sono quelli reali ma il  frutto  di
 una  mera  congettura, perdipiu' generalizzata, senza alcun riscontro
 con la situazione concreta.
    Se poi, come  sostiene  l'ufficio,  si  trattasse  di  presunzione
 legale, ancora piu' manifesta ne sarebbe l'incongruenza, dato che:
       a)  i dati noti non sono in rapporto di causalita' con il fatto
 che si vorrebbe  provare:  i  ricavi  non  sono  infatti  conseguenza
 necessaria  dei  c.d.  "fatti indice" e neppure conseguenza probabile
 dei medesimi (id quod plerumque accidit);
       b) la legge anziche' trarre direttamente le conseguenze  da  un
 determinato  e concreto fatto per risalire a quello ignorato, demanda
 ad un organo amministrativo di desumere i ricavi di  un  contribuente
 sulla base di generiche circostanze che, per di piu', un altro organo
 amministrativo (il Ministro) puo' liberamente accrescere;
       c)  questa  stessa  Corte  costituzionale  ha precisato che "le
 presunzioni in materia  fiscale  per  potere  essere  considerate  in
 armonia con il principio della capacita' contributiva (art. 53 Cost.)
 debbano  essere  confortate da elementi concretamente positivi che le
 giustifichino razionalmente" (Corte costituzionale, sent.  28  luglio
 1976, n. 200).
    Nella  motivazione  di  altra  sentenza  (26  marzo  1980) leggesi
 testualmente: "Questa Corte ha  piu'  volte  chiarito  (sent.  103  e
 109/1967;  99/1968;  200/76)  che  le  presunzioni tributarie debbono
 fondarsi su indici concretamente rivelatori di ricchezza,  ovvero  su
 fatti  reali........  affinche'  l'imposizione  non  abbia  una  base
 fittizia".
    La norma in esame invece consente,  "indipendentemente  da  quanto
 stabilito,  nell'art.  39 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e negli
 articoli 54 e 55 del d.P.R. 26 ottobre 1972" - (quindi anche  se  non
 risultino  "infedelta'  nelle  dichiarazioni  o  mancata emissione di
 fatture": in altre parole anche se la contabilita' appaia regolare  -
 di  determinare  induttivamente  i ricavi del contribuente in base ad
 elementi del tutto estrinseci e di per se' insignificanti.
    Quanto precede e'  reso  evidente  dall'applicazione  della  legge
 operata  dall'ufficio  I.V.A.  di  Alessandria: invocato uno solo dei
 presupposti  di  cui  all'art.  2,  ventinovesimo  comma,  e'   stato
 effettuato  un calcolo generale per un'intera categoria (nella specie
 i parrucchieri) che e' poi stato applicato  ai  singoli  contribuenti
 prescindendo dall'effettiva situazione di ciascuno di essi.
    Non  solo  ma, scelto uno dei presupposti, non ne sono stati presi
 in considerazione altri; con  la  conseguenza  che  un  parrucchiere,
 purche'  abbia  tot dipendenti, otterrebbe identici ricavi, secondo i
 calcoli dell'ufficio, cosi' nelle vie  centrali  come  in  periferia;
 cosi' nel capoluogo come in uno sperduto villaggio; tanto se gestisce
 una  "bottega"  di  lusso, con scelta clientela, quanto se ha il piu'
 modesto esercizio.
    Nessuna  considerazione  per  l'avviamento,  per  l'abilita',  per
 l'eta'  dell'artigiano,  per l'attrezzatura piu' o meno completa, per
 il genere di clientela ecc.
    Si  sostituisce  dunque   alla   prova   presuntiva   cosi'   come
 disciplinata  dal  diritto,  un amplissimo potere discrezionale che -
 come gia' notava Alessandro Manzoni - "e' cosa  pericolosa",  essendo
 sinonimo  di  un  "vocabolo di tristo suono: l'arbitrio". In linea di
 fatto si consente agli Uffici di determinare  i  ricavi  ad  libitum,
 senza  alcun  riscontro  con  la  situazione concreta propria di ogni
 artigiano, consentendo di trarre da un singolo dato -  senza  cercare
 conferma in altri - conseguenze indimostrate.
    Si  e'  dunque  in  presenza  -  direbbe  sempre Manzoni - "di una
 tremenda petizione di principio, perche' si da per supposto cio'  che
 va esaminato".
    Non  si  da  infatti  rilievo  alle risultanze contabili ne' si fa
 riferimento   all'effettivo   reddito   del   contribuente,   ma   si
 ricostruisce il presunto ricavo, con calcolo aprioristico riferito ad
 un  intera  categoria.  Anche  se tale calcolo (di per se' opinabile)
 fosse    "mediamente"    accettabile,    resterebbe    ingiustificata
 l'applicazione  ai  singoli  di  un  dato  statistico:  se uno ricava
 quattro e l'altro due, il dato medio (tre) non vale per il primo, ne'
 per il secondo. Sotto un profilo piu' strettamente giuridico la norma
 in esame e' in contrasto con il dettato costituzionale.
   1. - Viola anzitutto l'art. 53, primo comma della Costituzione.  Le
 considerazioni   sin   qui   svolte  evidenziano  che  la  "capacita'
 contributiva",  da  base  concreta  per   determinare   l'imposizione
 fiscale, diviene un elemento artificiosamente costituito a priori, in
 dispregio  della  lettera  e  della ratio della norma costituzionale.
 Questa richiede infatti, per l'imposizione di  un  tributo  un  fatto
 espressivo  di concreta "capacita'" e non una ricostruzione di ricavi
 eseguita, per un'intera categoria, senza tener conto delle condizioni
 soggettive ed oggettive variabili di caso in caso. La  giurisprudenza
 costituzionale  ha  piu'  volte sottolineato "l'esigenza di garantire
 che  ogni  prelievo  tributario  abbia   causa   giustificatrice   in
 indici........    dai  quali sia razionalmente deducibile l'idoneita'
 soggettiva dell'obbligazione d'imposta (Sent. 200/1976)".
    2. - Anche il  principio  della  "progressivita'"  (art.  53  cpv.
 Cost.)  viene  stravolto,  in  quanto applicando i parametri generali
 adottati dall'ufficio I.V.A. risultano tassate in misura uguale  -  a
 parita'  di  personale  -  sia le botteghe piu' avviate che quelle in
 crisi. Inoltre le ditte che non  dichiarano  la  cifra  astrattamente
 calcolata  per  l'intera  categoria vengono ritenute colpevoli di non
 aver annotato la differenza tra l'importo risultante sul registro dei
 corrispettivi e quello  generale  calcolato  dall'ufficio:  cosicche'
 contribuenti che hanno percepito uno scarso utile vengono gravati, in
 assenza  di  accertate  irregolarita',  da una maggiore differenza di
 imposta e da fortissime pene pecuniarie.
    Cio'  in contrasto con principio affermato da questa stessa Corte,
 secondo cui "la produzione dei redditi e' un fatto economico legato a
 determinate condizioni oggettive e soggettive di natura variabile".
    3. - E' altresi' violato l'art. 24, primo e  secondo  comma  della
 Costituzione,   data  l'estrema  difficolta'  di  fornire  una  prova
 contraria (negativa) di fronte a una presunzione  appoggiata  a  dati
 estrinseci e generici.
    Se   un   accertamento  induttivo  scatta,  ad  esempio,  in  base
 all'indicazione della sede dell'impresa - che non costituisce un  in-
 dice  certo,  ma  che  di  per  se'  non  puo'  essere  smentito - il
 contribuente  viene  di  fatto  privato   del   diritto   di   difesa
 costituzionalmente riconosciuto.
    La  Giurisprudenza  Costituzionale  e'  pacifica  nel senso che il
 diritto di agire  per  la  tutela  dei  propri  diritti  o  interessi
 legittimi, non puo' essere resa a tal punto difficile da pregiudicare
 completamente la domanda di giustizia.
    Dottrina  e giurisprudenza affermano altresi' che "l'art. 24 della
 Costituzione sancisce un  diritto  alla  prova  quale  indispensabile
 accessorio  al  diretto  di  difesa..  ..  ..  ed anche al diritto di
 azione".
    Nel caso in esame l'ancorare il ricavo ad un dato  generico,  come
 tale   inoppugnabile,  ma  irrilevante  per  le  singole  situazioni,
 vanifica ogni possibilita' di prova.
    La norma contrasta dunque con l'art. 24  nonche'  con  l'art.  113
 cpv. della Costituzione.
    4. - La disposizione in esame discrimina i lavoratori autonomi - e
 in  ispecie  gli  artigiani  - in contrasto con l'art. 3, comma primo
 della Costituzione che sancisce l'uguaglianza di  tutti  i  cittadini
 "senza distinzione di........ condizioni personali".
    L'accertamento  induttivo senza tener conto delle risultanze delle
 scritture  contabili  e  quindi  disattendendole   a   priori   rende
 particolarmente gravosa la situazione di alcuni contribuenti non solo
 rispetto a tutti gli altri cittadini ma anche nei confronti di coloro
 che  possono  tenere  altra specie di contabilita'. Sussistono dunque
 "l'arbitrarieta' e l'irrazionalita' della norma" che giustificano  il
 controllo  di legittimita' ex art. 3 della Costituzione (sentenze nn.
 144/1973; 96 e 151 del 1982).
    Ne' dicasi che  cio'  e'  giustificato  di  "pericoli  conseguenti
 all'introduzione  del  regime  forfettario":  tale  regime  e'  stato
 introdotto dalla legge ed e' quindi perfettamente lecito: non si puo'
 punire qui jure suo utitur.
    5.  -  Si  potrebbe  profilare   un   dubbio   di   illegittimita'
 costituzionale  anche  rispetto  all'art.  4  della  Costituzione che
 riconosce il diritto al lavoro e promuove le condizioni  che  rendano
 effettivo tale diritto, mentre la norma in esame costringe coloro che
 non  possono  conseguire  i  ricavi  indiscriminatamente ritenuti per
 un'intera categoria ad abbandonare l'attivita' o a subire imposte non
 dovute e gravi sanzioni. Cio' e' tanto piu' grave nei confronti degli
 artigiani, disponendo l'art. 45 cpv. della Costituzione che la  legge
 provvede alla tutela e allo sviluppo dell'artigianato.