ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 17 della legge
 della Regione Umbria 31 maggio 1977, n.  23  (Norme  per  l'esercizio
 delle  funzioni  regionali  in  materia  di formazione continua degli
 operatori  socio-sanitari  e  di  promozione  sociale  ed  educazione
 sanitaria  della  popolazione),  promosso  con ordinanza emessa il 16
 marzo 1990 dal Consiglio di Stato, Sezione sesta giurisdizionale  sui
 ricorsi riuniti proposti da Istituto tecnico "Fermi e Fleming" contro
 Ministero  della  Sanita'  ed  altri  iscritta al n. 186 del registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti gli atti di  costituzione  dell'Istituto  tecnico  "Fermi  e
 Fleming" e della Regione Umbria;
    Udito nell'udienza pubblica del 18 giugno 1991 il Giudice relatore
 Luigi Mengoni;
    Uditi gli avvocati Claudio Rossano per l'Istituto tecnico "Fermi e
 Fleming" ed Alarico Mariani Marini per la Regione Umbria;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  del  giudizio di appello promosso dall'Istituto
 tecnico Fermi e  Fleming  di  Perugia  contro  la  sentenza  del  TAR
 dell'Umbria  che  aveva  respinto  l'impugnazione  di  una  serie  di
 provvedimenti della Giunta regionale  umbra  e  dei  Ministeri  della
 sanita'  e  della  pubblica  istruzione,  con  cui  era stato escluso
 dall'attivita'  di  formazione  delle  professioni  di  ottico  e  di
 odontotecnico,  il  Consiglio  di  Stato,  con ordinanza del 16 marzo
 1990, pervenuta alla  Corte  costituzionale  il  18  marzo  1991,  ha
 sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 17 della
 legge della Regione Umbria 31 maggio 1977, n. 23, in riferimento agli
 artt. 3, 24, 33 e 117 della Costituzione.
    La   norma   denunciata,   che   costituisce  il  presupposto  dei
 provvedimenti impugnati, dispone la revoca di tutte le autorizzazioni
 all'istituzione di scuole o corsi per  gli  operatori  socio-sanitari
 concesse  in  precedenza  dagli  organi che ne avevano la competenza.
 Secondo l'interpretazione dei due ministeri sopra  nominati  e  della
 Regione,  condivisa dal Consiglio di Stato nella decisione n. 510 del
 1989, devono considerarsi revocate ope legis le autorizzazioni a  suo
 tempo  concesse  all'Istituto  ricorrente con i dd.P.R. nn. 979 e 983
 del 16 settembre 1972, ai sensi dell'art. 140 del  t.u.  delle  leggi
 sanitarie, approvato con r.d. 27 luglio 1934, n. 1256.
    Cosi'  interpretata,  la  disposizione  e'  ritenuta  dal  giudice
 remittente contrastante anzitutto con l'art. 24 Cost. sul rilievo che
 l'adozione di un provvedimento sostanzialmente  amministrativo  nella
 forma e con l'efficacia della legge comporta la sottrazione dell'atto
 al  sindacato  del  giudice  amministrativo,  in spregio al principio
 della divisione dei poteri. Conseguentemente  sarebbe  violato  anche
 l'art.  3  Cost.,  in  ragione  della  "diversita' di trattamento tra
 cittadini di diverse regioni in relazione ad  una  differente  tutela
 giurisdizionale  pur  dinanzi  ad  atti  aventi il medesimo contenuto
 revocatorio".
   Sarebbe  poi  violato  l'art.  117  Cost. in quanto la disposizione
 denunciata inciderebbe  nella  sfera  di  competenza  riservata  allo
 Stato.   Invero   il   trasferimento   alle  regioni  delle  funzioni
 amministrative nella materia de qua (art. 1, secondo comma, lett. f),
 del d.P.R.  15  gennaio  1972,  n.  10)  non  include  il  potere  di
 autorizzare  l'istituzione  di scuole o corsi diretti al conferimento
 di una abilitazione  professionale  valida  su  tutto  il  territorio
 nazionale, come quella prevista dagli artt. 99 e 140 del citato testo
 unico del 1934.
    Sarebbe violato, infine, l'art. 33, quarto comma, Cost., in quanto
 il  compito  di  assicurare la parita' in ambito nazionale a tutte le
 scuole private non puo' spettare che allo Stato.
    2. - Nel giudizio davanti alla Corte si e'  costituito  l'Istituto
 tecnico   Fermi   e   Fleming  aderendo  alle  argomentazioni  svolte
 nell'ordinanza di rimessione e concludendo per  la  fondatezza  della
 questione.  In  una  memoria  successiva  il  ricorrente sostiene, in
 particolare, che  l'istituzione  di  scuole  direttamente  abilitanti
 all'esercizio della professione nell'intero territorio nazionale e la
 disciplina  dell'abilitazione  e  del  relativo  esame  sono elementi
 inscindibili, che non consentono, per ragioni di logica prima  ancora
 che di diritto, una separatezza di competenze (statali e regionali).
    Si  e' pure costituita la Regione Umbria, con atto successivamente
 integrato  da  un'ampia  memoria,  chiedendo  che  la  questione  sia
 dichiarata infondata.
    In ordine alle censure riferite agli artt. 24 e 3 Cost. - premesso
 che  piu'  puntuale sarebbe stato il riferimento all'art. 113 Cost. -
 la Regione richiama la giurisprudenza di questa Corte in  materia  di
 leggi-provvedimento,  nonche' la sentenza n. 82 del 1982, secondo cui
 la  possibilita'  di  trattamenti  diversi  dei  cittadini,   purche'
 giustificata  dalle particolarita' delle situazioni locali, e' insita
 nello stesso riconoscimento delle autonomie regionali.
    Quanto alla pretesa violazione degli artt.  117  e  33  Cost.,  la
 resistente    ribadisce   che   il   trasferimento   delle   funzioni
 amministrative alle regioni comprende anche le autorizzazioni di  cui
 all'art.  140 del t.u. delle leggi sanitarie, all'uopo richiamando la
 sentenza n. 111 del 1975 di questa Corte e la gia' citata sentenza n.
 510 del 1989 del Consiglio di Stato.
                        Considerato in diritto
    1. - L'art. 17 della legge della Regione Umbria 31 maggio 1977, n.
 23 (abrogata dalla legge reg. 21 ottobre 1981, n.  69),  dispone,  in
 via    transitoria,   la   revoca   di   "tutte   le   autorizzazioni
 all'istituzione di scuole o corsi per gli  operatori  socio-sanitari,
 concesse  in  precedenza  dagli organi che ne avevano competenza, nei
 casi in cui tale competenza spetti alla Regione.  In  relazione  alle
 scuole  istituite  per impartire l'insegnamento delle arti ausiliarie
 delle professioni sanitarie ai sensi dell'art.  140  del  t.u.  delle
 leggi  sanitarie  approvato  con r.d. 27 luglio 1934, n. 1256, per le
 quali le funzioni amministrative dello Stato  sono  state  trasferite
 alle  regioni  dall'art.  1,  secondo  comma, lett. f), del d.P.R. 15
 gennaio 1972, n.  10,  la  disposizione  riferita  e'  impugnata  dal
 Consiglio di Stato per contrasto:
       a)  con  l'art.  24  Cost.,  perche'  sottrae  un provvedimento
 sostanzialmente amministrativo al  controllo  di  legittimita'  e  di
 merito  del  giudice  competente,  in  violazione del principio della
 divisione dei poteri;
       b)  con  l'art.  3 Cost., perche' ne consegue una disparita' di
 trattamento tra cittadini di diverse regioni in  ordine  alla  tutela
 giudiziaria  dei  diritti lesi da atti di revoca delle autorizzazioni
 da cui derivano;
       c) con l'art. 117 Cost., in quanto  invasiva  della  competenza
 riservata  allo  Stato  per  l'autorizzazione  di  scuole  o corsi di
 formazione professionale diretti al conferimento di una  abilitazione
 valida in tutto il territorio nazionale;
       d)   con   l'art.   33,  quarto  comma,  Cost.,  in  quanto  la
 sovrapposizione di  competenze  indicata  sub  c)  incide  anche  sul
 compito  dello  Stato di assicurare la parita' in ambito nazionale di
 tutte le scuole private.
    2. - La questione non e' fondata.
    Il riferimento della censura sub a) all'art. 24  Cost.,  piuttosto
 che  all'art.  113,  come  obietta  il  patrocinio della Regione, non
 modifica i termini della  questione  di  legittimita'  costituzionale
 delle  leggi-provvedimento,  piu'  volte  esaminata e decisa in senso
 affermativo da questa Corte (cfr., da ultimo, sent. nn. 190 del 1986,
 331 del 1988, 143 del 1989). L'art. 113, primo comma, non e'  se  non
 una  specificazione  del principio di cui al primo comma dell'art. 24
 nel campo della  giustizia  amministrativa,  spiegabile  per  ragioni
 storico-politiche.  S'intende che l'ammissibilita' di leggi aventi un
 contenuto concreto e particolare incontra  un  limite  specifico  nel
 rispetto  della  funzione  giurisdizionale  in  ordine alla decisione
 delle cause in corso,  nonche'  il  limite  generale  costituito  dal
 principio  di  ragionevolezza.  Ma  nella specie di nessuno di questi
 limiti e' affermata la violazione. L'art. 3 Cost. e'  invocato  sotto
 il  profilo  del  principio  di  eguaglianza,  con una argomentazione
 legata  da  un  nesso  di  consequenzialita'  con  la   premessa   di
 illegittimita',  per  se  stesse, delle leggi-provvedimento, di guisa
 che la censura sub b) sta o cade con la censura sub a) (cfr. sent. n.
 83 del 1982).
    Sotto il profilo del principio di ragionevolezza la norma in esame
 e' giustificata dalla necessita' di procedere a  un  riesame  globale
 delle  autorizzazioni precedentemente concesse dagli organi investiti
 di tale competenza, al fine di verificare la conformita' delle scuole
 e dei corsi che le avevano ottenute agli obiettivi e alle  condizioni
 della   programmazione   regionale  della  formazione  professionale,
 requisito poi confermato dall'art. 4 della legge-quadro  21  dicembre
 1978, n. 845.
    3.  -  Quanto alla pretesa violazione dell'art. 117 Cost., occorre
 premettere che le scuole gestite dall'Istituto ricorrente sono  state
 istituite a norma dell'art. 140 del t.u. delle leggi sanitarie per il
 rilascio  della  licenza  di  abilitazione  all'esercizio  di un'arte
 ausiliaria  delle  professioni  sanitarie,  cioe'   per   l'esercizio
 dell'attivita'  di  formazione  professionale  prevista  dall'art. 1,
 secondo comma, lett. f) del d.P.R. n. 10 del  1972,  in  ordine  alla
 quale  le  funzioni amministrative degli organi centrali e periferici
 dello Stato, e in particolare la  competenza  autorizzativa  prevista
 dall'art.  140,  terzo  comma,  del  testo  unico  citato, sono state
 trasferite alle regioni.
    L'assunto  del  giudice  a quo, secondo cui la norma denunciata si
 sarebbe sovrapposta a un potere  di  autorizzazione  che  e'  rimasto
 riservato  allo  Stato,  non  e'  sostenibile.  Poiche'  i  corsi  di
 formazione professionale di cui e' causa abilitano, mediante  l'esame
 finale  tecnico-pratico,  all'esercizio della professione di ottico o
 odontotecnico  nell'intero  territorio  nazionale,  e'  indubbiamente
 riservata  allo  Stato la disciplina delle condizioni di accesso alla
 professione per quanto riguarda sia la fissazione a livello nazionale
 di standards minimi di insegnamento teorico e addestramento  pratico,
 sia  la  valutazione del risultato della frequenza dei corsi e quindi
 la  determinazione  dei  criteri  di  formazione  delle   commissioni
 giudicatrici dell'esame di abilitazione (cfr. sent. nn. 89 del 1977 e
 245 del 1990). Ma cio' non significa, come ha gia' precisato la sent.
 n.  111  del  1975,  che  lo  Stato  abbia  conservato  il  potere di
 autorizzazione previsto dall'art. 140, terzo comma, del citato  testo
 unico,  di  guisa  che  nell'attuale  sistema  questa  autorizzazione
 "convivrebbe"  con  "l'eventuale   autorizzazione   derivante   dalla
 normativa  regionale  e  nei  limiti  in  cui  questa  la  prevede  e
 richieda". Tale interpretazione non solo e' manifestamente  contraria
 alla  lettera  dell'art. 1 del d.P.R. n. 10 del 1972, ma ascrive alla
 legge un significato irrazionale dal punto di vista  dei  criteri  di
 buona amministrazione. Titolare del potere di autorizzazione previsto
 dall'art.  140  e'  ora  esclusivamente  la  regione, la quale dovra'
 verificare anche la conformita' dei programmi di insegnamento  e  dei
 controlli   di   idoneita'  della  preparazione  degli  allievi  alle
 condizioni di accesso alla professione stabilite  dalla  legislazione
 statale.
    4.  -  Nemmeno  e'  violato  l'art.  33,  quarto  comma, Cost. Pur
 ammesso, nonostante il silenzio  in  proposito  dell'art.  2,  ultimo
 comma,  della  legge-quadro  n.  845  del  1978,  che  il  diritto di
 "chiedere la parita'" attribuito alle scuole non statali (in rapporto
 alle scuole statali) sia  riconoscibile  anche  alle  scuole  private
 operanti  nel  campo  della  formazione  professionale  affidata alle
 regioni (estranea  all'ordinamento  scolastico  in  senso  stretto  e
 fondata   sull'art.   35   Cost.:   cfr.  sent.  n.  191  del  1991),
 l'uniformita' di condizioni della parita' non puo' essere  assicurata
 a  tali  scuole  se  non  nei limiti di competenza della legislazione
 statale, mentre per la parte di competenza regionale la  possibilita'
 di differenziazioni da regione a regione e' insita nella stessa norma
 costituzionale  (art. 117) che in questa materia prevede una potesta'
 legislativa  concorrente  delle  regioni  a  tutela  delle   esigenze
 particolari  dei  mercati  locali del lavoro, dei quali la formazione
 professionale e' uno strumento di gestione.