ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nei  giudizi  di legittimita' costituzionale degli artt. 178, lettera
 c), e 409 del codice di procedura penale, promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
    1.  -  ordinanza  emessa  il  22  novembre 1990 dal Giudice per le
 indagini preliminari presso  la  Pretura  di  Asti  nel  procedimento
 penale  a carico di Insolia Concetto, iscritta al n. 146 del registro
 ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    2. - ordinanza emessa il 12  novembre  1990  dal  Giudice  per  le
 indagini  preliminari  presso il Tribunale di Ancona nel procedimento
 penale a carico di Scarponi Giovanni Maria ed altri, iscritta  al  n.
 153 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
    Udito nella camera di consiglio  del  5  giugno  1991  il  Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Il  pubblico  ministero  presso la Pretura circondariale di
 Asti, ricevuta, dopo l'archiviazione di una notizia di reato disposta
 con decreto dal Giudice per le indagini preliminari presso la  locale
 Pretura,  una richiesta di prosecuzione delle indagini da parte della
 persona offesa che, nonostante la sua espressa domanda, non era stata
 avvisata dell'iniziativa del pubblico  ministero  di  non  promuovere
 l'azione  penale, trasmetteva al detto giudice il fascicolo corredato
 dalla richiesta del pubblico ministero "per quanto di competenza".
    Il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di  Asti,
 premesso  che  l'unica  pronuncia  che  sarebbe  stato legittimato ad
 emettere era quella di non luogo a provvedere su tale richiesta,  "da
 qualificarsi  sostanzialmente  come atto di opposizione alla proposta
 archiviazione", sia per la tardivita' della stessa sia  per  la  gia'
 avvenuta  pronuncia  del  decreto  di archiviazione, sia, infine, per
 l'assenza  di  ogni  iniziativa  del  pubblico  ministero  volta alla
 riapertura delle indagini, ha, con ordinanza del  22  novembre  1990,
 sollevato,  in  riferimento all'art. 24 della Costituzione, questione
 di legittimita' dell'art. 178, lettera c), del  codice  di  procedura
 penale,  "nella  parte  in  cui  non  prevede  come nullita' generale
 l'omesso avviso alla persona offesa ai sensi dell'art. 408",  secondo
 comma, del codice di procedura penale.
    L'assenza     di    ogni    sanzione    processuale    conseguente
 all'inosservanza della norma ora ricordata svuoterebbe, infatti - non
 potendo nella specie operare ne' il regime della "nullita'  generale"
 ne'  il  regime  della  "nullita'  relativa"  -  il diritto di difesa
 dell'offeso dal reato "di  qualsiasi  effettivita'",  attraverso  una
 disciplina,   oltre   tutto,   contrastante  con  lo  stesso  sistema
 complessivo del nuovo codice  di  procedura  penale  che,  pure,  "ha
 riconosciuto  in  capo  alla  persona  offesa  dal  reato determinati
 diritti e facolta'". Cio', del resto, coerentemente rispetto a quanto
 statuito da  questa  Corte  sin  dalla  sentenza  n.  132  del  1968,
 ricollegandosi  alla  posizione  della  persona  offesa  "il  diritto
 costituzionalmente garantito di costituirsi parte civile", un diritto
 compromesso  dalla  disciplina  denunciata,   essendo   l'opposizione
 all'archiviazione    riconosciuta   proprio   "al   fine   di   poter
 eventualmente esercitare l'azione civile in sede penale".
    L'ordinanza,  ritualmente  notificata  e  comunicata,   e'   stata
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 11, prima
 serie speciale, dell'anno 1991.
    E'  intervenuto  il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri,
 rappresentato   e   difeso   dall'Avvocatura  Generale  dello  Stato,
 chiedendo che la  questione  venga,  in  via  principale,  dichiarata
 inammissibile e, in subordine, non fondata.
    L'inammissibilita'    deriverebbe    dall'essere    la    denuncia
 "palesemente irrilevante" per l'assenza  nel  giudice  rimettente  di
 ogni  potere decisorio in merito alla richiesta di prosecuzione delle
 indagini presentata dalla persona offesa - non qualificabile,  certo,
 come  tardiva  opposizione  -  e  trasmessa dal pubblico ministero al
 giudice solo "per quanto eventualmente di competenza"; l'infondatezza
 dal fatto  che  il  diritto  al  risarcimento  della  persona  offesa
 resterebbe  comunque salvaguardato attraverso l'esercizio dell'azione
 civile in sede propria, senza che dalla  mancata  affermazione  della
 pretesa  civile nel processo penale possa derivare pregiudizio alcuno
 alla tutela risarcitoria della persona offesa.
    2. - Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di
 Ancona, premesso che il pubblico ministero aveva domandato la  revoca
 (per  "esclusivi motivi deontologici") di un decreto di archiviazione
 pronunciato omettendo, nonostante  la  richiesta  formulata  a  norma
 dell'art. 408, secondo comma, del codice di procedura penale, di dare
 avviso  alla persona offesa della richiesta di archiviazione avanzata
 dal pubblico ministero, e che, dopo la  pronuncia  di  tale  decreto,
 l'offeso  dal  reato aveva proposto opposizione, con ordinanza del 12
 novembre 1990, ha sollevato, in riferimento agli  artt.  24,  secondo
 comma  ("violazione  del  diritto  di  difesa  della parte offesa dal
 reato"), e 112 della Costituzione ("per quanto  concerne  l'esercizio
 obbligatorio  dell'azione  penale  da  parte del P.M."), questione di
 legittimita' dell'art. 409 del codice  di  procedura  penale,  "nella
 parte  in  cui  non  contempla  il potere del giudice per le indagini
 preliminari  di  disporre  la  revoca  del  decreto  di archiviazione
 allorche' lo richieda il p.m.  in  base  a  nuove  valutazioni  degli
 stessi  fatti  anziche' motivare detta revoca ex art. 414 stesso Cod.
 con l'esigenza di nuove investigazioni".
    L'ordinanza,  ritualmente  notificata  e  comunicata,   e'   stata
 anch'essa pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11,
 prima serie speciale, del 1991.
    E'   intervenuto   il   Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   Generale   dello   Stato,
 chiedendo  che  la  questione  sia  dichiarata,  in  via  principale,
 inammissibile e, in subordine, non fondata.
    L'inammissibilita' deriverebbe dall'assenza nel giudice remittente
 di "alcun potere decisorio"; l'infondatezza, per un verso  (art.  24,
 secondo  comma),  dall'essere  nel procedimento penale i limiti della
 protezione della persona offesa - peraltro assistita di piena  tutela
 in  sede  civile  - affidati alla discrezionalita' del legislatore e,
 per un altro  verso  (art.  112  della  Costituzione),  dall'adeguata
 attuazione  del  controllo  giurisdizionale  sulle determinazioni del
 pubblico ministero soddisfatta dalla norma denunciata.
                        Considerato in diritto
    1. - Pur nella diversita' degli articoli di  legge  sottoposti  al
 vaglio  della  Corte,  le  ordinanze  di  rimessione  convergono  nel
 denunciare  le  norme  del  codice  di  procedura  penale   che   non
 prevederebbero alcuna forma di tutela per la persona offesa dal reato
 cui  non  venga  data  notizia  della  richiesta di archiviazione del
 pubblico ministero, nonostante l'espressa domanda  da  essa  proposta
 nella  notizia  di  reato  o  successivamente alla sua presentazione,
 norme individuate dal Giudice per le indagini preliminari  presso  la
 Pretura  circondariale  di Asti nell'art. 178, lettera c), del codice
 di procedura penale e dal Giudice per le indagini preliminari  presso
 il Tribunale di Ancona nell'art. 409 dello stesso codice, nelle parti
 da  ciascuno di essi indicate. Considerata l'analogia delle questioni
 sollevate, i relativi giudizi vanno riuniti  per  essere  decisi  con
 un'unica sentenza.
    2.  -  L'Avvocatura  Generale dello Stato, negli atti d'intervento
 per il Presidente del Consiglio dei ministri, spiegati in entrambi  i
 giudizi,   ha   preliminarmente   eccepito  l'inammissibilita'  delle
 questioni, deducendo, in ordine a quella sollevata dal Giudice per le
 indagini  preliminari  presso  la  Pretura  di  Asti,  l'assenza  nel
 rimettente  "di  alcun  potere decisorio in merito alla 'richiesta di
 prosecuzione delle indagini  preliminari'  presentata  dalla  persona
 offesa", richiesta "alla quale deve attribuirsi il valore di una mera
 sollecitazione  al  pubblico ministero ai fini della riapertura delle
 indagini" e non certo di "una tardiva opposizione all'archiviazione",
 eccezione reiterata con riguardo alla questione sollevata dal Giudice
 per le indagini preliminari presso il Tribunale di  Ancona  al  quale
 viene  contestato di non essere "investito di alcun potere decisorio"
 in quanto alla richiesta del pubblico ministero di  riapertura  delle
 indagini  "sembra"  -  anche  qui  -  "doversi comunque attribuire il
 valore di mera sollecitazione di un potere del  giudice  che  non  e'
 previsto dalla legge".
    L'eccezione deve essere disattesa.
    Sia   nel   primo  sia  nel  secondo  caso  i  giudici  rimettenti
 rivendicano un potere  che,  stando  alle  prospettazioni  delle  due
 ordinanze,  non  sarebbe loro conferito dalla legge in violazione dei
 parametri  costituzionali  di  volta  in  volta  invocati:  piu'   in
 particolare,  mentre il Giudice per le indagini preliminari presso la
 Pretura di Asti rivendica a se' il potere di dichiarare  la  nullita'
 ex  art.  178, lettera c), del codice di procedura penale, il Giudice
 per le indagini preliminari presso il Tribunale di Ancona rivendica a
 se' il potere di autorizzare il pubblico  ministero  alla  riapertura
 delle  indagini;  di  entrambi  i  poteri,  il  cui esercizio sarebbe
 precluso dalle norme delle quali si afferma l'illegittimita', l'uno e
 l'altro dei giudici sollecitano l'attribuzione, conseguibile  solo  a
 seguito  della dichiarazione d'illegittimita' della norma da ciascuno
 di essi denunciata. Donde la  rilevanza  di  entrambe  le  questioni,
 dipendendo   dalla   loro   soluzione,   avuto  riguardo  al  petitum
 rispettivamente perseguito dai rimettenti, la definizione dei giudizi
 a quibus.
    3. - Le questioni non sono, pero', fondate.
    Entrambe le ordinanze di rimessione muovono dal presupposto che il
 vigente sistema processuale  non  contempli  per  la  persona  offesa
 alcuno  strumento di tutela per i casi in cui il giudice - nonostante
 l'offeso dal reato abbia adempiuto l'onere di preavvisare il pubblico
 ministero, nella notizia di reato o successivamente,quanto  alla  sua
 volonta' di essere avvertito della richiesta di archiviazione, e cio'
 al  fine  di  valutare  se  proporre o no opposizione ex art. 410 del
 codice  di  procedura  penale  -  abbia  pronunciato  il  decreto  di
 archiviazione  senza che alcun avviso della detta richiesta sia stato
 ad  essa  notificato.  In  effetti,  ove  tale  presupposto  trovasse
 riscontro   nel  vigente  assetto  normativo,  la  denunciata  omessa
 previsione si presenterebbe di dubbia compatibilita' con  l'art.  24,
 secondo  comma,  della  Costituzione,  considerato  che il diritto di
 difesa, riconosciuto da questa Corte anche alla  persona  offesa  dal
 reato  sotto  il vigore del codice del 1930 talora pure a prescindere
 dalla sua qualita' di eventuale parte civile (v. sentenze n. 132  del
 1968,  n.  206  del  1971, n. 169 del 1975), risulta, nel sistema del
 nuovo codice di procedura penale, particolarmente valorizzato proprio
 nello stadio delle indagini preliminari, entro il quale si colloca il
 procedimento di archiviazione. E cio' non soltanto "per  il  rapporto
 di  complementarita'  tra  le garanzie per essa apprestate nella fase
 delle indagini preliminari e quelle riconosciute  alla  parte  civile
 nella  fase  successiva  all'esercizio  dell'azione  penale",  da cui
 deriva una "partecipazione all'assunzione di prove"  nell'a'mbito  di
 tale   fase,   e   che   e'  "funzionalmente"  da  considerare  "come
 anticipazione  di  quanto  ad  essa  spettera'  una  volta   che   la
 costituzione  di  parte  civile sara' formalizzata", ma anche per "un
 complessivo rafforzamento, rispetto al codice previgente"  del  ruolo
 ad essa attribuito (v. sentenza n. 559 del 1990). Se, dunque, durante
 le   indagini   preliminari  -  il  cui  "collegamento  funzionale  e
 sistematico" con il vero e proprio processo "sta a base della  regola
 di  cui  all'art.  178,  lettera c)" (v., ancora, sentenza n. 559 del
 1990) - il detto "rafforzamento" risulta ancor piu' accentuato,  cio'
 non  avviene,  come  vorrebbe  il Giudice per le indagini preliminari
 presso la Pretura di Asti, soltanto in funzione  della  sua  qualita'
 (peraltro  non  immancabile)  di  titolare  della  pretesa  di  danno
 derivante da reato, esercitabile solo quando si sara'  dato  accesso,
 con  l'esercizio  dell'azione penale da parte del pubblico ministero,
 alla fase del processo, ma soprattutto in funzione della sua qualita'
 di  titolare  dell'interesse  protetto dalla norma penale violata: un
 interesse da cui deriva  la  possibilita'  di  esercizio  di  plurimi
 diritti  o  facolta', in "una sfera di azione" che se certamente "non
 puo' in alcun modo, restare subordinata alla rilevanza di pretese  di
 natura extra penale, tende a realizzare, mediante forme di 'adesione'
 all'attivita'  del  pubblico  ministero  ovvero  di 'controllo' su di
 essa, una  sorta  di  contributo  all'esercizio  dell'azione  penale,
 secondo  un  principio puntualmente ricavabile dall'art. 2, n. 2 e n.
 51 della legge-delega" (cosi' la Relazione al  progetto  preliminare,
 pag. 41).
   4.  -  La  regola  per  cui  tra  piu' interpretazioni possibili va
 preferita quella conforme a Costituzione (v., ancora, sentenza n. 559
 del 1990), rende, quindi, necessario  verificare  se  il  presupposto
 alla  base delle censure prospettate dai giudici a quibus corrisponda
 all'effettiva  disciplina   riservata   alla   persona   offesa   nel
 procedimento  di  archiviazione.  Al  riguardo,  nessuno  dei giudici
 rimettenti ha  ritenuto  di  accennare  -  sia  pure  per  affermarne
 l'inapplicabilita'  al caso di specie - come l'offeso dal reato possa
 usufruire di una disciplina che consente  di  esperire  un  mezzo  di
 gravame avverso il provvedimento conclusivo di tale procedura. Si al-
 lude,  cioe',  all'art.  409,  sesto  comma,  del codice di procedura
 penale, a norma del quale l'ordinanza di archiviazione e' ricorribile
 per cassazione nei casi di nullita' previsti  dall'art.  127,  quinto
 comma,  dello  stesso  codice.  Dall'esame congiunto dei precetti ora
 ricordati risulta che essi hanno, in tema di archiviazione,  espresso
 riferimento,  integrandosi  reciprocamente,  alla  sola archiviazione
 pronunciata  con  ordinanza  a  seguito  dell'udienza  in  camera  di
 consiglio  fissata  dal  giudice  che  non  accolga  la richiesta del
 pubblico ministero (o di sua iniziativa o a  seguito  di  opposizione
 della  persona offesa ritenuta non inammissibile e in presenza di una
 notizia di reato non infondata: v. art. 410, terzo comma), udienza da
 celebrarsi nelle forme previste dall'art. 127, il cui  quinto  comma,
 espressamente  richiamato  dall'art.  409, sesto comma, come la norma
 che descrive le ipotesi di nullita' dei provvedimenti  pronunciati  a
 seguito  di  udienza  in  camera  di consiglio assoggettati al regime
 della ricorribilita' per  cassazione,  ricomprende  in  tali  ipotesi
 l'omesso  o  il  non  tempestivo  "avviso  alle  parti" e "alle altre
 persone  interessate"  della  "data  dell'udienza"  (al  primo  comma
 dell'art.  127  fa,  appunto,  espresso  rinvio il suo quinto comma).
 Sembra percio' evidente che il detto articolo,  contenente  la  norma
 generale,  descrittiva  dello  schema  procedimentale dell'udienza in
 camera  di  consiglio,  debba  essere  integrato  dai  precetti   che
 disciplinano  le  modalita'  di  attuazione  dei  singoli,  specifici
 modelli procedimentali. Piu' in particolare, poiche', con riguardo al
 procedimento di archiviazione, i destinatari dell'avviso dell'udienza
 in camera di  consiglio  si  identificano  con  le  persone  indicate
 nell'art.  409,  quarto comma, tra le quali e' compreso pure l'offeso
 dal  reato,  ne  discende  che  tale  soggetto,   se   non   avvisato
 dell'udienza,  potra'  proporre  ricorso  per cassazione invocando la
 nullita' del  provvedimento  per  violazione  dell'art.  127,  quinto
 comma.  Quanto  al  termine  per impugnare, non essendo prescritta la
 notificazione  dell'ordinanza  di  archiviazione,  non  potra'  farsi
 ricorso  al precetto dell'art. 585, primo comma, lettera a), che, per
 il  gravame  avverso  i  provvedimenti emessi in camera di consiglio,
 fissa come dies a quo l'avvenuta notificazione  o  comunicazione  del
 provvedimento stesso.
    5.  -  Stabilito che la legge riconosce espressamente alla persona
 offesa  la  legittimazione  a   ricorrere   per   cassazione   contro
 l'ordinanza  di archiviazione pronunciata dal giudice per le indagini
 preliminari in esito all'udienza in  camera  di  consiglio  celebrata
 senza  che  di  tale  udienza  le  sia  stato  dato  avviso, resta da
 verificare se un simile rimedio possa ricavarsi dal sistema  anche  a
 favore  della  persona  offesa  che  venga  privata dell'avviso della
 richiesta  di  archiviazione  formulata   dal   pubblico   ministero,
 nonostante la sua espressa domanda di essere preavvertita.
    La  soluzione  positiva  sembra  quella  piu'  adeguata alla ratio
 dell'art. 409, sesto comma, conformemente, del  resto,  all'esigenza,
 avvertita  dal  legislatore,  di  disciplinare  l'archiviazione  come
 istituto unitario, a prescindere dalla diversita' sia  delle  cadenze
 procedimentali  sia  della  tipologia  del  provvedimento conclusivo,
 un'esigenza gia' altra volta sottolineata  da  questa  Corte  proprio
 considerando  la  "finalita'  che  accomuna tutte le varie ipotesi di
 archiviazione" (sentenza n. 409 del 1990),  oltre  tutto,  risultando
 non   intaccato,  per  l'assenza  di  ogni  necessita'  di  ricorrere
 all'analogia, il limite segnato dal  principio  di  tassativita'  dei
 mezzi  di  impugnazione, ribadito nel nuovo sistema dall'art. 568 del
 codice di procedura penale.
    Una  conferma  quanto  all'assenza  di  ostacoli  insuperabili  ad
 un'interpretazione   dell'art.   409,   sesto  comma,  nel  senso  di
 ricomprendervi anche l'ipotesi dell'omesso  avviso  di  cui  all'art.
 408,  secondo  comma, puo' ricavarsi pure dalla genesi dell'una delle
 due norme che, non figurante nei corrispondenti articoli del progetto
 preliminare (art. 406) e del progetto definitivo  (art.  406),  venne
 introdotta,  solo  in  corso  di  redazione  del testo definitivo del
 codice, allo scopo di  limitare  l'impugnabilita'  del  provvedimento
 conclusivo  della  procedura,  una  "limitazione  che,  da  un  lato,
 garantisce adeguatamente dai vizi che possono aver afflitto  il  rito
 camerale  e,  dall'altro, evita una proliferazione di ricorsi avverso
 un provvedimento a struttura e funzioni affatto peculiari,  quale  e'
 l'ordinanza  di archiviazione, di per se' caducabile in rapporto alla
 sempre possibile riapertura delle indagini" (v.  Relazione  al  testo
 definitivo  del  codice,  pag. 188). Una ratio da ritenere a fortiori
 adattabile all'ipotesi di un procedimento, come e' quello di  specie,
 da  definire  de  plano  solo  perche' la parte offesa, non informata
 della richiesta di archiviazione, e' stata privata della facolta'  di
 proporre opposizione.
 Tale vizio - con l'impedire all'offeso dal reato ogni possibilita' di
 contestare la detta richiesta - viene, infatti, a colpire all'origine
 la   stessa  potenziale  instaurazione  del  contraddittorio  proprio
 dell'udienza in camera di consiglio ed e'  vizio  da  ritenere  ancor
 piu' grave di quello derivante dall'omesso avviso alla persona offesa
 che  abbia  proposto  opposizione,  della  data fissata per la stessa
 udienza, in ordine al  quale,  pure,  l'art.  409,  sesto  comma,  la
 legittima espressamente a ricorrere per cassazione.
    6.  -  Che l'art. 409, sesto comma, del codice di procedura penale
 debba essere interpretato quale norma  in  grado  di  conferire  alla
 persona  offesa  dal  reato una posizione di tutela non rigorosamente
 circoscritta entro i limiti fissati dalla  sua  previsione  espressa,
 appare  confermato da una recente pronuncia della Corte di cassazione
 (Cass., Sez. VI, 24  gennaio  1991,  n.  253)  che,  per  quanto  non
 costituisca ancora orientamento consolidato, diviene significativa di
 una  tendenza giurisprudenziale attenta a rimarcare il ruolo decisivo
 che  la  persona  offesa  dal  reato  assume  nel   procedimento   di
 archiviazione;  anche  in  tale  occasione,  nel silenzio della legge
 sulla  specifica  fattispecie,  si  e'  ritenuto  la  persona  offesa
 legittimata   a   ricorrere  per  cassazione  contro  il  decreto  di
 archiviazione - un provvedimento pronunciato, quindi, senza la previa
 fissazione dell'udienza in camera di consiglio - nonostante  dal  suo
 contesto  risultasse  che il giudice, valutando gli elementi di prova
 proposti dalla  persona  offesa,  avesse  considerato  implicitamente
 ammissibile   l'opposizione:   un   vizio  da  ritenere,  certo,  non
 maggiormente  lesivo  dei  diritti  dell'offeso  rispetto  a   quello
 derivante   dall'omesso   avviso  della  richiesta  di  archiviazione
 nonostante  la  previa  domanda  di  essere  preavvertito  di   detta
 richiesta.
    Cosi'  interpretate,  le norme oggetto di censura si sottraggono a
 tutti i vizi di legittimita' costituzionale denunciati dai giudici  a
 quibus.
    7.  -  Resta,  peraltro,  il  problema  dei  termini dai quali far
 decorrere la proponibilita' del ricorso, ma, come si e'  gia'  visto,
 si  tratta  di  problema  comune  al  gravame  avverso l'ordinanza di
 archiviazione espressamente contemplato dall'art. 409,  sesto  comma,
 del  codice  di  procedura penale. Sara' compito della giurisprudenza
 ricavare dal sistema  un  criterio  a  cui  riferire  il  momento  di
 decorrenza  del  termine  per  ricorrere, non ultimo dei quali quello
 della effettiva conoscenza del provvedimento, una regola da  ritenere
 di ordine generale nel sistema del nuovo codice tutte le volte in cui
 non  si  sia  provveduto  a  notiziare il destinatario di un atto nei
 confronti del quale sia esperibile un qualche mezzo di  gravame  (v.,
 per  esemplificare,  artt.  175, secondo comma, 485, primo comma, del
 codice di procedura penale).