ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, ultima parte, del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il 28 novembre 1990 dal Tribunale di Vasto sul ricorso proposto dall'I.N.P.S. contro s.d.f. Cimini Giuseppe ed altro, iscritta al n. 190 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 14, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei Ministri; Udito nella camera di consiglio del 19 giugno 1991 il Giudice relatore Francesco Greco; Ritenuto in fatto 1. - L'I.N.P.S. chiedeva al Tribunale di Vasto di dichiarare il fallimento della societa' di fatto Cimini Giuseppe ed altro. Il Tribunale, con ordinanza del 28 novembre 1990 (R.O. n. 190 del 1991), sollevava, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1, secondo comma, r.d. 16 marzo 1942, n. 267, nella parte in cui assoggetta al fallimento l'impresa artigiana, anche piccola, se esercitata in forma collettiva. Richiamava la sentenza di questa Corte n. 579 del 1989, secondo cui l'esclusione dell'assoggettamento delle piccole imprese al fallimento era giustificata dal pericolo che l'esiguo attivo delle stesse fosse per intero assorbito dalle spese della procedura, con conseguente inevitabile frustrazione delle pretese dei creditori. La stessa ratio doveva valere, ad avviso del collegio rimettente, per le societa' commerciali di modeste dimensioni, onde sembrava contrastare con il principio di eguaglianza l'indiscriminata applicabilita' ad esse delle norme sul fallimento. Infine, prendeva atto di un indirizzo giurisprudenziale secondo cui doveva escludersi la natura commerciale delle societa' artigiane e quindi la riconducibilita' di esse alla previsione dell'art. 1, cpv., l. fall. Tuttavia riteneva che esso, in quanto minoritario, non era sufficiente ad escludere la non manifesta infondatezza della questione. 2. - Interveniva l'Avvocatura Generale dello Stato in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione fosse dichiarata inammissibile, trattandosi di scelta discrezionale del legislatore, e, in subordine, infondata, posto che la sottoposizione a fallimento delle societa', ancorche' di fatto e di modeste dimensioni, era giustificata dalla presunzione di speculazione e di profitto e che il dissesto della societa' di persone coinvolge anche il patrimonio dei singoli soci. Considerato in diritto 1. - La Corte e' chiamata a verificare se contrasti con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione, l'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare, che, dopo aver definito la categoria dei piccoli imprenditori, come tali non assoggettabili al fallimento, esclude dalla categoria stessa le societa' artigiane, anche se abbiano piccole dimensioni. 2. - La questione non e' fondata per quanto si dira'. L'art. 3, secondo comma, della legge 8 agosto 1985, n. 443, il quale riproduce l'art. 3, primo comma, della legge 25 luglio 1956 n. 860, stabilisce che e' considerata artigiana l'impresa costituita in forma di cooperativa o di societa', escluse le societa' per azioni, purche' la maggioranza dei soci partecipi personalmente al lavoro e, nell'impresa, il lavoro abbia funzione preminente sul capitale. E' anche possibile la prestazione di opera di personale dipendente, a condizione pero' che esso sia sempre personalmente diretto dall'imprenditore artigiano (art. 4 della citata legge) e che il numero dei dipendenti non superi determinati limiti (non piu' di 18 compresi i familiari, se l'impresa produca in serie; non piu' di 9, sempre compresi i familiari, se l'impresa non lavori in serie; non piu' di 8, sempre compresi i familiari, se l'impresa eserciti servizi di trasporto; eccezionalmente, e con riguardo allo svolgimento di attivita' nel settore dei lavori artistici tradizionali e dell'abbigliamento su misura: non piu' di 32 dipendenti compresi non piu' di 16 apprendisti o di 40 a condizione che le unita' aggiuntive siano apprendisti, trattandosi di lavori fondati sulla destrezza del personale; per le costruzioni edili non piu' di 10 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 5, o non piu' di 14 se le unita' aggiuntive siano apprendisti: art. 4 lett. a, b, c, d, della citata legge). Il lavoro dell'imprenditore, in ogni caso, deve poter essere considerato prevalente sul lavoro dei dipendenti e sul capitale investito nell'impresa. Il numero dei dipendenti e' rivelatore del capitale investito. Anche se l'impresa sia costituita in forma di societa', perche' sia considerata artigiana occorre che la maggioranza dei soci, o uno di essi nel caso in cui la societa' e' costituita da due soci, svolga con prevalenza lavoro personale anche manuale, nel processo produttivo e, nell'impresa, il lavoro abbia funzione prevalente sul capitale. Deve cioe' mancare del tutto il fine speculativo cioe' il profitto. 3. - La nozione di societa' artigiana quale societa' esercente una piccola impresa, si inserisce in quella delineata dall'art. 2083 del codice civile, il quale detta, ormai, il solo criterio di determinazione della suddetta qualifica, essendo venuto a cessare, per effetto della declaratoria di illegittimita' costituzionale (Sent. Corte Cost. n. 570 del 1989), l'art. 1, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942 n. 267, come modificato dall'art. unico 1, 20 ottobre 1952 n. 1375, nella parte in cui prevedeva, ai fini della legge fallimentare, che, in mancanza dell'accertamento per l'imposta di ricchezza mobile, operasse come criterio di qualificazione di piccolo imprenditore il limite di 900.000 lire di capitale investito nell'impresa. 3.1 - Devesi quindi ritenere abrogato l'art. 1, secondo comma, della legge fallimentare, nella parte in cui esclude che le societa' artigiane possano essere considerate piccoli imprenditori, per incompatibilita' fra le nuove disposizioni e le precedenti (art. 15 disp. prel. codice civile). Del resto, gia' questa Corte ha ritenuto (sent. n. 54 del 1991, n. 3 della parte motiva) non soggetta a fallimento la piccola societa' artigiana, di modeste dimensioni, non assimilabile ad una vera e propria impresa commerciale o industriale. Tale e' da considerarsi se manca l'intento speculativo e il suo guadagno non assume i connotati del profitto proprio per la modestia dei mezzi e del capitale investito. E' soggetta invece a fallimento la societa' artigiana se la sua attivita' e la sua produzione si espandono e si organizzano su basi speculative,alterandosi cosi' il rapporto tra attivita' personale della maggioranza dei soci artigiani, il numero dei dipendenti e il capitale investito.