IL PRETORE All'udienza dibattimentale del 15 aprile 1991 nel procedimento penale n. 9695/1990 reg. not. reato a carico di Iotti Franco, nato a Poviglio il 29 marzo 1938 ed ivi residente, via Cervarola n. 6; imputato: del reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge 10 maggio 1976, n. 319 con successive modifiche, perche', nella sua qualita' di presidente (legale rappresentante) della "Latteria Sociale Nuova Aurora", Societa' cooperativa a responsabilita' limitata avente per oggetto la lavorazione del latte conferito dai soci ed annesso allevamento suinicolo di circa 750 capi, insediamento da ritenersi produttivo per difetto di complementarieta' funzionale tra l'attivita' agricola di coltivazione, con l'allevamento di capi bovini da parte dei singoli soci sui terreni di rispettiva pertinenza, e l'attivita' di trasformazione del latte di esclusiva pertinenza della societa' cooperativa con autonomia strutturale organizzativa, effettuava uno scarico di reflui di lavaggio della sala di lavorazione del latte in acque superficiali (fosso stradale di scolo) eccedente nei parametri dei solidi sedimentali, Bod e Cod i limiti di accettabilita' di cui alle tabelle C ed A allegate alla legge n. 319/1976; Accertato in Poviglio, il 24 febbraio 1989; Ha pronunciato la seguente ordinanza della quale ha dato lettura in dibattimento. Premesso che il p.m. ha sollevato eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11, primo comma lett. A n. 2 della legge regionale Emilia-Romagna 28 novembre 1986, n. 42, cosi' argomentando: In via subordinata alla reiezione della tesi principale (qualificazione dell'insediamento de quo come produttivo, e non civile, agli effetti dell'applicazione della normativa richiamata in contestazione, trattandosi di questione sicuramente rilevante ai fini della decisione in caso di qualificazione dell'insediamento come civile, tenuto conto altresi' dell'autorevole indicazione in materia della Corte costituzionale nella recente sentenza n. 285 del 1990, viene proposta l'eccezione di illegittimita' costituzionale dell'art. 11, primo comma, lett. a), n. 2), della legge regionale Emilia- Romagna 28 novembre 1986, n. 42, nella parte in cui prevede, a carico dei titolari di scarichi civili, l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie, nel caso di mancato adeguamento degli scarichi ai limiti di accettabilita' di cui alla legge regionale Emilia-Romagna 29 gennaio 1953, n. 7, e successive modifiche (limiti equivalenti a quelli previsti dalle tabelle C) ed A) allegate alla legge dello Stato 10 maggio 1976, n. 319, e successive modifiche), come pure nel caso di violazione dell'obbligo della preventiva richiesta di autorizzazione e di inosservanza delle prescrizioni in essa indicate, ovvero di violazione del divieto di effettuare o mantenere gli scarichi prima dell'autorizzazione o con autorizzazione negata o revocata. E' noto invero, che la legge 10 maggio 1976, n. 319, piu' volte modificata, contenente "norme per la tutela delle acque dall'inquinamento", dopo aver definito, nei primi tre titoli, le sue finalita' generali e i compiti dello Stato, degli enti territoriali e dei consorzi in materia di scarichi, con specifica previsione del censimento dei corpi idrici e della redazione di piani (nazionale e regionali) di risanamento delle acque, disciplina nel titolo quarto tutti gli scarichi, introducendo una fondamentale distinzione tra scarichi di insediamenti produttivi (nuovi ed esistenti) e scarichi di insediamenti civili (nuovi ed esistenti): cfr., rispettivamente, gli artt. 12 e 13 per i primi, e gli artt. 14 e 15 per i secondi. Tale distinzione, concerne tempi e modi di definizione della disciplina dei due tipi di scarichi ispirata ad una maggior favor per gli insediamenti civili (in cui sono ricompresi quelli agricoli), in considerazione della minore capacita' inquinante e della maggiore diffusione dei medesimi sul territorio nazionale, con conseguente necessita' di tener conto delle diverse situazioni locali; la medesima distinzione, tuttavia, non autorizza in alcun modo a ritenere che il legislatore abbia inteso attribuire alle regioni (cfr. artt. 8 e 14, primo cpv., legge 319/1976) una regolamentazione degli scarichi civili del tutto autonoma e differenziata da quella statale sugli scarichi produttivi. In particolare, non e' esatto che l'obbligo dell'autorizzazione sia previsto solo per gli scarichi produttivi e non per quelli civili, giacche' la legge n. 319/1976 e successive modifiche, riservando alle regioni la disciplina di quest'ultimi ai sensi del citato art. 14, primo cpv., consentirebbe alle medesime di introdurre o meno il principio autorizzatorio. Parimenti, non e' esatto che la riserva di disciplina degli scarichi civili a favore delle regioni, permetterebbe a quest'ultime di adottare standards di accettabilita' degli scarichi meno restrittivi di quelli previsti dalle tabelle A) e C) allegate alla legge statale, con conseguente inapplicabilita' agli scarichi civili delle sanzioni penali previste dagli artt. 21, 22 e 23 della legge n. 319 cit. (cfr., in senso conforme alla tesi qui sostenuta. Cass. 30 maggio 1989 n. 7769 e Cass. 2 aprile 1990, n. 4450). L'affermazione contrasta con il principio fondamentale della ripetuta legge 319, quale emerge dall'art. 1 ("La presente legge ha per oggetto: alla disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo".. .. ..) e dall'art. 9, primo, secondo e ultimo comma, ove si prevede "un'unica disciplina degli scarichi" basata sui limiti di accettabilita' previsti nelle tabelle A) e C) allegate alla legge statale, di cui e' disposta l'applicazione "secondo le modalita' e i termini" previsti nei successivi articoli, espressamente disponendosi infine che: "tutti gli scarichi debbono essere autorizzati". L'esistenza di principi generali unitari nella disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pur nella differenziazione dei tempi e modi di applicazione e/o definizione della medesima disciplina in relazione al diverso tipo (produttivo o civile di insediamento, trova i seguenti ulteriori riscontri testuali alla legge n. 319/1976 con successive modifiche: a) nel disposto dell'art. 10, capoverso, nuovo testo, che prevede l'obbligo di richiesta di una nuova autorizzazione per gli scarichi da insediamenti civili soggetti a trasferimenti, diversa destinazione ecc.; b) nell'art. 11, nuovo testo, che fa riferimento all'autorizzazione "agli scarichi diretti nelle acque del mare"; c) nell'art. 17 che prevede per tutti gli utenti dei servizi di fognature e depurazione, morosi per oltre un anno nel pagamento delle tariffe, la "decadenza dell'autorizzazione"; d) negli artt. 21 primo comma, cpv. terzo alinea, e terzo comma: 22, 23 e 23 bis, ove il riferimento del precetto e' allo scarico, senza distinzione tra quello produttivo e civile; mentre tale distinzione e' ben presente negli artt. 21, c. no. primo alinea e nell'art. 15, primo comma. Sembra chiaro, pertanto, che il rinvio dell'art. 14, capoverso, nuovo testo, alla disciplina regionale non e' un rinvio "in bianco", poiche', conformemente all'obiettivo di uniformita' della disciplina, perseguito dal richiamato art. 9, esso tiene fermi, come punti- cardine della normativa regionale, sia il principio autorizzatorio degli scarichi "civili", sia l'osservanza dei limiti di accettabilita' tabellari di cui allo stesso art. 9, secondo le direttive del comitato interministeriale ed in ragione delle situazioni locali e degli obiettivi dei piani di risanamento. In sostanza, come e' stato autorevolmente osservato, il provvedimento autorizzatorio e gli standards di accettabilita' dello scarico rappresentano il nucleo omogeneo della legge statale vincolante per la legislazione regionale sugli scarichi civili. I due indicati principi sono stati, infatti, applicati dalle leggi regionali finora emanate in "subiecta materia". Ci si riferisce, in particolare, alle leggi del Lazio, della Liguria e, per quanto piu' interessa in questa sede, dell'Emilia Romagna. Quest'ultima regione, invero, con la legge 29 gennaio 1953, n. 7, modificata e integrata dalla legge 23 marzo 1984, n. 13, facendo esplicito riferimento "agli adempimenti di cui al piano regionale di risanamento delle acque, previsto dall'art. 8 della legge 10 maggio 1976, n. 319, e successive modifiche ed integrazioni" (cfr. art. 1, primo comma, legge n. 7/1983), ha disciplinato, tra l'altro, gli scarichi civili che non recapitano in pubbliche fognature, distinguendoli in tre classi (A, B e C) e, all'interno di ciascuna classe, in scarichi da insediamenti nuovi ed esistenti, prevedendo per tutti l'obbligo di munirsi della autorizzazione e di rispettare, entro tempi differenziati, i limiti di accettabilita' di cui alle allegate tabelle II e III, assimilabili rispettivamente ai limiti previsti dalle tabelle C) ed A) della legge statale (cfr. tit. II legge n. 7/1983 e, in particolare, gli artt. 3, 17). Ne discende, per gli scarichi civili della regione Emilia Romagna recapitanti in corpi d'acqua superficiali, l'attuale operativita' dei limiti di cui alle citate tabelle II e III assimilabili a quelli delle tabelle statali C) ed A), e in particolare la vincolativita', a partire dal 17 febbraio 1984, dei limiti previsti dalla tabella II (C) e, a partire dal 1ยบ marzo 1985, dei limiti definitivi di accettabilita' di cui alla tabella III (A), relativamente agli insediamenti civili "esistenti" della classe C (comprensiva delle imprese agricole); e' prevista, invece, la conformita', sin dall'attivazione, ai piu' rigorosi limiti di cui alla tabella III per gli scarichi degli insediamenti civili "nuovi" della medesima classe C, di cui all'art. 6 della legge (cfr. artt. 16 e 17 legge reg. 7/1983). La sanzione per la violazione dei predetti limiti tabellari e', evidentemente, prevista dall'art. 21, comma terzo, legge n. 319/1976, in riferimento agli artt. 9 (primo e secondo comma) e 14 (secondo comma) della medesima legge. Infatti, posto che "in tutto il territorio nazionale viene stabilita un'unica disciplina degli scarichi basata sulla prescrizione per gli stessi dei limiti di accettabilita' previsti nelle tabelle A) e C) allegate alla legge statale........ i quali........ si applicano con le modalita' e i termini di cui ai successivi articoli della medesima legge "(cfr. art. 9, primo e secondo comma, legge n. 319/1976), e posto che compete alle regioni di definire tale disciplina, tendenzialmente unitaria, per gli scarichi degli insediamenti civili, da regolamentare tenendo conto, in particolare, dei limiti di accettabilita' fissati dalle tabelle allegate alla legge statale (cfr. art. 14, secondo comma, in fine, legge 319/1976), ne discende evidente che, una volta intervenuta la disciplina regionale degli scarichi degli insediamenti civili, in armonia e non in contrasto con la disciplina statale degli scarichi degli insediamenti produttivi, le sanzioni previste dal titolo IV della legge statale per gli scarichi tout court siano applicabili anche a quelli civili parimenti soggetti al rispetto dell'obbligo autorizzatorio disposto per tutti gli scarichi (art. 9, ultimo comma, citato), e parimenti tenuti all'osservanza dei limiti di accettabilita' di cui alle tabelle allegate alla legge statale "nei rispettivi limiti e modi di applicazione", come definiti dalla vigente normativa regionale. L'autonoma fattispecie criminosa di cui all'art. 21, terzo comma, legge 319/1976 costituisce, dunque, tipica norma penale in bianco che rimanda la sua parte precettiva, integrata dal superamento dei limiti di accettabilita' di cui alle tabelle A) e C) della legge statale, ai "rispettivi limiti e modi di applicazione" delle medesime tabelle, definiti, per gli insediamenti civili, dalle regioni con i piani di risanamento delle acque di cui all'art. 4, legge 319/1976. In altri termini, come e' stato autorevolmente affermato, le prescrizioni regionali "costituiscono, a loro volta, applicazione, nei limiti e modi rispettivi, delle tabelle di legge", configurandosi in tal modo, il primo e il terzo comma dell'art. 21 come vere e proprie norme penali in bianco. Una interpretazione strettamente letterale e formalistica dell'espressione legislativa, del reato, finirebbe per compromettere l'applicabilita' dell'art. 21, terzo comma, anche a gran parte degli insediamenti produttivi (cio' che, invece, e' pacifico in dottrina e giurisprudenza); si pensi, infatti, che gli scarichi da insediamenti produttivi, recapitanti in pubblica fognatura, solo provvisoriamente debbono attenersi al rispetto dei limiti tabellari in esame, dovendo fare riferimento in via definitiva, ai limiti, alle norme e alle prescrizioni regolamentari stabilite dai comuni o dai consorzi che gestiscono gli impianti centrali di depurazione (v. art. 12, primo comma, n. 2, per gli insediamenti produttivi nuovi, e art. 13, primo comma, n. 2, lett. b), per gli insediamenti esistenti). E altrettanto potrebbe dirsi per gli scarichi da insediamenti produttivi sul suolo (artt. 12 n. 3 e 13 n. 3) soggetti, in via definitiva, al rispetto della normativa specifica di cui agli artt. 2, lett. e), punto 2 e 4 lett. e), da emanarsi da parte di Stato e regioni. Ne' puo' trascurarsi il fatto che l'inciso suddetto, "nei rispettivi limiti e modi di applicazione", resterebbe privo di significato, e sarebbe del tutto pleonastico, se non venisse posto in relazione alla legislazione ora richiamata. L'interpretazione qui sostenuta, oltre ad essere piu' conforme alla lettera e alla ratio della legge n. 319/1976 sulla tutela delle acque dall'inquinamento (fenomeno quest'ultimo che puo' presentarsi, con identiche caratteristiche, sia nel caso di scarichi produttivi, sia nel caso di scarichi civili, con uguale lesione del bene penalmente protetto), e' anche quella piu' rispettosa del fondamentale principio costituzionale che impone la tutela del paesaggio della nazione e della salute dei cittadini, intesa come fondamentale diritto dell'individuo e interesse della intera collettivita', in condizioni di parita' di trattamento a parita' di rischi per la salubrita' dell'ambiente e la salute pubblica (cfr. art. 9 cpv. e 32 primo comma della costituzione, in riferimento all'art. 3, primo comma della medesima Costituzione). Cio' posto, il contrasto di costituzionalita' denunciato si configura piu' specificamente tra l'art. 11, legge regionale Emilia- Romagna n. 42 del 1985 e gli artt. 25 e 117 della Costituzione in riferimento alla legge 10 maggio 1976, n. 319, con successive modifiche, la quale ha per dichiarato oggetto, come si e' gia' osservato, "la disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo, pubblici e privati, diretti ed indiretti, in tutte le acque superficiali e sotterranee interne e marine, sia pubbliche che private, nonche' in fognature, sul suolo e nel sottosuolo" (art. 1), delegando alle regioni, al di fuori dell'ambito di materie tassativamente indicate dall'art. 117 della Costituzione come oggetto di legislazione regionale autonoma, la sola definizione della disciplina degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili che non recapitano in pubbliche fognature", nel prescritto rispetto di tutta una serie di parametri tra cui sono espressamente previsti i "limiti di accettabilita' fissati nelle tabelle allegate alla presente legge" (cfr. art. 14, secondo comma, in fine della legge n. 319 del 1976 cit.). E' evidente, invero, che l'intervento di definizione disciplinatrice degli scarichi delle pubbliche fognature e degli insediamenti civili non recapitanti in pubbliche fognature, da attuarsi con i prescritti "piani" regionali, tenendo conto dei limiti di qualita' degli scarichi sanciti nelle tabelle allegate alla legge statale, non puo' risolversi nella sostanziale eversione dei precetti fondamentali (previsti per tutti i tipi di scarichi) dalla legge statale, con il disposto corredo di sanzioni penali, trattandosi di materia non costituzionalmente riservata alla legislazione regionale, la quale si profila illegittimamente interferente con la predetta disciplina statale e intrinsecamente inosservante dello stesso strumento normativo delegato, determinato dalla legge statale come "piano" (norma sub-primaria di attuazione o atto amministrativo generale di normazione secondaria) e non come "legge regionale", unica fonte (quest'ultima) abilitata a disporre sanzioni amministrative insieme alla legge statale (art. 1 legge 24 novembre 1981, n. 589). Vi e' dunque una illegittimita' costituzionale innanzitutto formale della normativa regionale essendosi rivestita del rango di legge (norma primaria) e non di quello di semplice "piano" (norma sub-primaria di attuazione della legge statale), in contrasto con la disposizione costituzionale (art. 117, primo comma della Costituzione) che riserva proprio alla Costituzione e a leggi costituzionali l'indicazione delle materie soggette alla potesta' legislativa autonoma delle regioni, affidando alle leggi della Repubblica la possibilita' di demandare alle regioni il solo potere di emanare norme per la loro attuazione (art. 117, secondo comma della Costituzione). Ma vi e' pure un'illegittimita' di contenuto sostanziale delle predette norme regionali, le quali non si limitano a perseguire obiettivi di risanamento delle acque con il "piano" (e non la legge) oggetto della delega statale, ma, formulando autonomamente l'intera disciplina degli scarichi civili, arbitrariamente escludono dall'ambito della fattispecie penalmente rilevante di cui all'art. 21 legge n. 319/1976 lo scarico, non preceduto da domanda di autorizzazione e/o eccedente i limiti tabellari previsti negli allegati alla stessa legge statale, solo perche' proveniente da imprese agricole equiparate all'insediamento civile. Si determina, cosi', una illegittima interferenza riduttiva del contenuto del precetto statale penalmente sanzionato, in contrasto con l'art. 25, secondo comma della Costituzione, che riserva esclusivamente alla legge dello Stato la definizione dei fatti di rilievo penale. In proposito, la Corte costituzionale ha piu' volte precisato che la "fonte del potere punitivo risiede nella sola legislazione statale e che le regioni non hanno la possibilita' di comminare, rimuovere o variare con proprie leggi le pene previste in una data materia. Non possono, cioe' intervenire negativamente con le norme penali statali disciplinando e considerando lecita un'attivita' che invece l'ordinamento statale sanziona penalmente" (sentenza Corte cost. n. 79 del 1977, n. 370 del 1989, nn. 43 e 309 del 1990). Si insiste, dunque, nel denunciare l'illegittimita' delle sanzioni amministrative introdotte dalla legge regionale Emilia-Romagna n. 42 del 1986 cit., per intrinseca radicale illegittimita' della legge regionale in materia non rientrante in alcuna previsione costituzionale di legislazione regionale autonoma (violazione del principio di riserva costituzionale - art. 117 della Costituzione citata - delle materie attribuite alla legislazione regionale), e, ancora, per illegittima interferenza della disciplina regionale sanzionatoria in una materia (tutela delle acque dall'inquinamento) oggetto di legge dello Stato con previsione di principi generali di disciplina degli scarichi di qualsiasi tipo (cfr., in particolare, l'art. 9, primo, secondo ed ultimo comma, della ripetuta legge n. 319/1976) e correlative sanzioni penali (cfr., in particolare, gli artt. 21, 22, 23 e 23- bis, della legge 319/1976), non modificabili da una disciplina regionale espressamente prevista come attuativa di quegli stessi principi (art. 14, secondo comma, cit.) attraverso lo strumento del piano di risanamento delle acque, nella vincolante cornice di principi e parametri, con relativo corredo sanzionatorio penale, adottati con legge dello Stato (art. 25 della Costituzione). Per completezza si rileva che l'adesione alle linee interpretative finora esposte, pur fondando solidamente la proposta eccezione di illegittimita', potrebbe consentirne il superamento attraverso l'applicazione dell'art. 9 della legge 24 novembre 1981 n. 689, nei rapporti tra l'art. 11 della legge regionale n. 42, del 1986 e l'art. 21 della legge n. 319 del 1976. E' noto, infatti, che il concorso di illecito penale ed amministrativo con riguardo ad uno stesso fatto e' risolto dall'art. 9 della legge 24 novembre 1981, n. 689, secondo un criterio di tipo misto. In particolare, si e' accolto il principio di specialita' per il concorso tra disposizioni penali e amministrative nel caso in cui queste ultime siano previste da leggi dello Stato (art. 9, primo comma, della legge citata); si e' stabilita, invece, la prevalenza della sanzione penale (art. 9, secondo comma) allorche' lo stesso fatto sia previsto come violazione amministrativa da una disposizione regionale o delle province autonome di Trento e Bolzano. La ratio del secondo comma e' evidente. L'applicazione del principio di specialita' anche nei casi ivi contemplati si sarebbe, infatti, risolta nel conferimento di un sostanziale potere di depenalizzazione alle regioni ed alle province autonome di Trento e Bolzano, giacche' tutte le volte che la disposizione amministrativa della legge regionale o provinciale avesse dovuto qualificarsi come speciale rispetto alla disposizione penale, quest'ultima non sarebbe stata piu' applicabile, con l'ulteriore discrasia che l'ambito spaziale dell'efficacia di una norma penale avrebbe potuto essere diverso da regione a regione (o a provincia autonoma), siccome restringibile ad libitum da una fonte normativa sub-primaria, con patente violazione del principio di uguaglianza (art. 3, primo comma della Costituzione) ed in contrasto coi principi di cui agli artt. 28 delle disposizioni sulla legge in generale, 3 e 6 del c.p. Ne discende che la fattispecie di scarico civile eccedente i limiti tabellari, penalmente rilevante a sensi dell'art. 21, terzo comma, legge n. 319/1976 (con successive modifiche per le ragioni ampiamente riferite sopra, e nello stesso tempo integrante un illecito amministrativo a sensi dell'art. 11 della legge regionale n. 42/1986, deve essere disciplinata soltanto dalla disposizione penale prevalente su quella regionale in virtu' del disposto dell'art. 9, secondo comma, della legge n. 689/1981 cit. Ritenuto che la proposta eccezione non appare manifestamente infondata, sembrando evidente che, cosi' come sostenuto dal p.m., la regione Emilia-Romagna ha legiferato eccedendo tanto i limiti di materia imposti dall'art. 117 della Costituzione, quanto quelli dei principi fondamentali stabiliti dalla legge statale 10 maggio 1976, n. 319, (limiti dei quali lo stesso art. 117 della Costituzione impone l'osservanza), finendo per "rimuovere" o per "ridurre", con l'emanazione della norma della quale si eccepisce l'illegittimita', la disposizione penale statale (art. 21 della legge 319/1976).