IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa  penale  iscritta
 al   n.   382/1991  r.g.  g.i.p.  contro  Maldini  Rodolfo,  nato  ad
 Alessandria il 3 dicembre 1917.
                           RITENUTO IN FATTO
      che Maldini Rodolfo, a seguito di rinvio a giudizio per il reato
 di cui agli artt. 81, secondo comma, del  c.p.  e  116  del  r.d.  n.
 1736/1z933, aveva richiesto al p.m. l'applicazione della pena ex art.
 444 del c.p.p.;
      che il p.m., prestato il proprio consenso, aveva fissato udienza
 dinnanzi questo g.i.p.;
      che  a  seguito  dell'entrata  in vigore della legge n. 386/1990
 questo  g.i.p.  dichiarava  la  sospensione  del  processo  ai  sensi
 dell'art. 11, secondo comma, della stessa legge;
      che   il   difensore  dell'imputato  ha  proposto  questione  di
 illegittimita' costituzionale dell'art. 11 della legge  n.  386/1990,
 in riferimento all'art. 3 della Costituzione;
                          RITENUTO IN DIRITTO
      che  con l'entrata in vigore della legge n. 386/1990 il reato di
 emissione di assegno a vuoto ha subito trasformazione strutturale;
      che in particolare mentre il reato previsto  dall'art.  116  del
 r.d.  n.  1736/1933  veniva  costruito come reato di pura condotta, i
 primi orientamenti giurisprudenziali hanno configurato  il  reato  di
 cui  all'art.  2  della legge n. 386/1990 come reato di evento (v. in
 tal senso proc. gen. presso la Corte  di  cassazione  risoluzione  di
 conflitto  ex  art.  54  del  c.p.p. del 27 febbraio 1991; proc. gen.
 presso la Corte di cassazione risoluzione di conflitto ex art. 54 del
 c.p.p. del 18 febbraio 1991);
      che per evento si e'  inteso  il  mancato  pagamento  nel  tempo
 utile;
      che,  conseguentemente,  tra  l'art. 116 del r.d. n. 1736/1933 e
 l'art. 2 della legge n. 386/1990  si  e'  verificata  successione  di
 leggi per fattispecie parzialmente coincidenti;
      che  in  particolare,  avvenuta l'abrogazione espressa dell'art.
 116 (art. 12 della  legge  n.  386/1990),  attualmente  costituiscono
 ancora  reato solamente quei fatti posti in essere prima dell'entrata
 in vigore della legge n. 386/1990 che riguardano  non  piu'  la  mera
 emissione  del titolo ma che presentano invece l'estremo di fatto del
 mancato pagamento (in tal senso v. proc. gen. cit.  del  27  febbraio
 1991);
      che tale interpretazione normativa trova conforto indirettamente
 nell'art.  11  della  legge  n.  386/1990 che, prevedendo un'apposita
 norma transitoria al fine di rimettere in termine per il pagamento  i
 comportamenti    sanzionati   dall'art.   2   della   stessa   legge,
 implicitamente conferma l'intervenuta abrogazione  del  comportamento
 di  "emissione  di  assegno  a vuoto" cui non segua l'"evento mancato
 pagamento";
      che,  peraltro,  tale  comportamento  non  puo'  essere posto in
 essere da chi, dopo l'emissione  dell'assegno  ma  prima  addirittura
 dell'entrata  in vigore della legge n. 386/1990, sia stato dichiarato
 fallito;
      che, in vero qualora fosse avvenuto il pagamento di cui all'art.
 11, della legge n. 386/1990, il fallito avrebbe posto sicuramente  in
 essere  un comportamento censurabile sotto il profilo di cui all'art.
 216, terzo comma, della legge fallimentare, posto che  i  procuratori
 degli assegni sono da ritenersi creditori a tutti gli effetti;
     che  sostanzialmente  il  fallito  (il  cui  status soggettivo e'
 intervenuto dopo l'emissione dell'assegno) si e' trovato, durante  la
 moratoria  di  cui  all'art.  11,  nell'impossibilita'  di evitare la
 commissione del reato di  emissione  di  assegno  vuoto  nella  nuova
 formulazione  di  cui  all'art.  2 della legge n. 386/1990 temendo la
 commissione del piu' grave reato di bancarotta preferenziale;
      che conseguentemente tale situazione suscita  fondati  dubbi  di
 costituzionalita'  dell'art.  11 della legge n. 386/1990 in relazione
 all'art. 3 della Costituzione in quanto del tutto discriminata appare
 la situazione di chi si trova costretto a commettere un reato (quello
 di cui all'art. 2 della legge n. 386/1990) per non commettere  quello
 piu' grave di cui all'art. 216 della l.f.;
      che  comunque  l'impossibilita'  per  il fallito di fruire della
 condizione di improcedibilita' appare  legata  alla  pronuncia  della
 sentenza  dichiarativa  di  fallimento  che - qualora intervenga dopo
 l'emissione  dell'assegno  -  rende  impossibile  in  fatto  (per  la
 mancanza   dei   relativi  mezzi  conseguente  alla  declaratoria  di
 fallimento) ed in diritto (per la  possibilita'  di  commettere  piu'
 grave  reato)  di  effettuare  il versamento di cui all'art. 11 della
 legge n. 386/1990 determinando pertanto, con violazione  dell'art.  3
 della  Costituzione,  disparita'  di  trattamento  tra  chi non viene
 dichiarato  fallito  dopo  l'emissione  dell'assegno   ovvero   venga
 dichiarato  fallito  decorsa  la  moratoria di cui all'art. 11 ovvero
 venga dichiarato fallito nel tempo utile di cui all'art. 11;
      che dubbi non  sembrano  sussistere  circa  la  rilevanza  della
 questione,   tenuto  conto  che  la  norma  censurata,  inibisce  una
 declaratoria di improcedibilita';