IL PRETORE
    Letti gli atti del preccedimento penale n. 69/5/1990 r.g.,
                             O S S E R V A
    In  materia  di  giuochi  attuati  mediante apparecchi automatici,
 semiautomatici  o  elettronici  e'  dato  riscontrare  una  normativa
 massiccia  e piuttosto confusionaria. In realta' per via di una serie
 reiterata di provvedimenti riguardanti la stessa o  analoghe  materie
 coesistono nel sistema piu' norme apparentemente concorrenti.
    Orbene  e'  da  premettere  che  e'  dato riscontrare in seno alla
 procura della Repubblica presso la pretura circondariale di Napoli un
 orientamento contrastante  in  tema  di  contestazione  dell'illecito
 posseso  di  apparecchi da giuoco automatici di genere proibito (more
 solito reinvenuti dagli operanti all'interno di esercizi  commerciali
 aperti al pubblico).
    Ricorrente e' la contestazione dei soli artt. 718 e 719 del c.p. a
 carico  del gestore del locale, talora in concorso con l'art. 110 del
 t.u.l.p.s.; talaltra si ricorre alla sola contestazione  dell'art.  4
 della  legge  13  dicembre  1989, n. 401, qualche volta con esplicito
 riferimento ad una o entrambe le ipotesi di reato di cui sopra. Altre
 volte ancora viene contestata la nuova normativa in concorso con  una
 o entrambi le previsioni di reato menzionate.
    E'  allora  in primo luogo indispensabile verificare quale ipotesi
 di reato ricorra nelle fattispecie citate al  fine  di  garantire  un
 orientamento  giurisprudenziale uniforme in sede di decisione; per la
 necessaria analisi sara' pertanto necessario verificare se  le  norme
 in  esame  possano  in  primo luogo coesistere nel sistema (in quanto
 disciplinati casi diversi), ed, in  caso  di  accertamento  negativo,
 verificare quale di esse debba prevalere (artt. 2 e 15 del c.p.).
    E'  communis  opinio che senz'altro mediante gli apparecchi innazi
 citati possa attuarsi il giuoco d'azzardo come previsto  degli  artt.
 718,  719  e  721  del  c.p.:  l'ipotesi  ricorre  quando,  merce gli
 apparecchi di cui sopra, taluni tiene ovvero agevola il fine di lucro
 e la  vincita  o  la  perdita  e'  interamente  o  quasi  interamente
 aleatoria.
    La  giurisprudenza  ha  costantemente  ritenuto il concorso con il
 disposto dell'art. 110  del  t.u.l.p.s.,  che,  nella  sua  primitiva
 formulazione prevedeva due distinte ipotesi di reato, punite entrambe
 con la medesima pena.
    Peraltro   la   giurisprudenza   non   ha  ancora  avuto  modo  di
 pronunziarsi (per quanto si conosce) sulla nuova  formulazione  della
 disposizione  (v.  legge  17 dicembre 1986, n. 904), ma l'innovazione
 sembra confortare del tutto l'orientamento precedente  in  quanto  il
 sesto comma del vigente art. 110 prevede definitivamente la possibile
 coesistenza  con le sanzioni previste dal codice penale per il giuoco
 d'azzanrdo.
    Secondo  il comnbinato disposto delle norme citate e' pertanto del
 tutto possibile che chi abbia installato o usato in luogo pubblico  o
 aperto  al  pubblico  apparecchi  che possono dar luogo a scommesse o
 consentono la vincita di un qualsiasi premio di denaro o  in  natura,
 sia  punibile  tanto  ex  art. 110 del t.u.l.p.s. quanto, se trattasi
 anche di giuoco d'azzardo, con le sanzioni ex artt.  718  e  719  del
 c.p.
    Senonche'  il  quarto  comma  dell'art.  4 della legge 13 dicembre
 1989, n. 401, prevede che "le disposizioni di cui al primo e  secondo
 comma  si  applicano  anche  ai  giudici d'azzardo esercitati a mezzo
 degli   apparecchi   vietati   dall'art.   110"   t.u.l.p.s.,   cosi'
 costringendo  l'operatore  ad  una  verifica  ulteriore,  consistente
 nell'accertamento della sussistenza del requisito organizzativo (art.
 4,  primo   comma,   ultima   parte)   ovvero   della   pubblicazione
 dell'attivita' di giuoco o scommessa (secondo comma).
    Invero  il rinvio operato dalla norma appare del tutto generico ed
 impreciso in primo luogo perche' il primo comma dell'art.  4  prevede
 due distinte ipotesi di reato, punite con pene di specie e misura di-
 verse;  in subordine perche' in concreto se applicazione si puo' fare
 del primo comma e' solo con riferimento alla terza ipotesi descritta,
 escluso in nuce che lo Stato, o altro ente concessionario, ovvero gli
 altri enti citati, possano servirsi di apparecchi di  genere  vietato
 per organizzare scommesse o concorsi (art. 1 prima e seconda parte).
    E'  pertanto  solo  con  la  terza  ipotesi  dell'art.  1 che puo'
 confrontarsi il quarto comma, ovvero  con  il  disposto  del  secondo
 comma;  ma  dall'esame  di  queste  ultime disposizioni si evince che
 quivi e' sanzionata la punibilita' per chi "esercita l'organizzazione
 di  pubbliche  scommesse"  ponendosi  l'accento  sul   solo   profilo
 organizzativo o pubblicitario, trascurando tanto l'aspetto formale di
 cui   all'art.  110  del  t.u.l.p.s.,  tanto  l'aspetto  realizzativo
 dell'azzardo di cui agli artt. 718 e 719 del c.p.
    Nel terzo periodo dell'art. 4 primo comma e' posto palesemente  in
 rilievo,  alla  pari  del  primo periodo, che l'attivita' incriminata
 deve essere stabile ed abituale nonche' "diretta al  pubblico"  come,
 ad  abundantiam, si evince dalla lettura del disegno di legge e della
 relazione illustrativa della disposizione in esame.
    Evidenziato    che    organizzare    scommesse    non    significa
 necessariamente  tenere  un  gioco  d'azzardo,  tenuto conto anche di
 quanto dispone l'art. 88 primo comma del t.u.l.p.s., tuttora  vigente
 nella   parte  precettiva,  si  deve  percio'  ritenere  che  ricorre
 l'ipotesi di reato piu' recente soltanto nel caso in cui all'imputato
 si  contesti  di  aver  esercitato  l'organizzazione   di   pubbliche
 scommesse  ovvero  di  averne  curato  la  pubblicita'  (senza essere
 concorso  nell'organizzazione),  mentre  continua  ad  applicarsi  la
 disciplina  innanzi  citata  nei  casi  in  cui  non  sussistono tali
 elementi bensi' ricorrono i dieversi  requisiti  di  cui  alle  norme
 citate;  ed  il  discrimine  tra  le  fattispecie e' dato proprio dal
 diverso  apporto  fornito  dall'agente   alla   realizzazione   della
 violazione,  ben  essendo  tangibile  la  differenza tra l'oganizzare
 pubbliche scommesse - con evidente necessita' di predeterminazione di
 uomini, mezzi, capitale ecc. - e il semplice tenere  o  agevolare  il
 giuoco  d'azzardo  (  ex art. 718 del c.p.) ovvero installare o usare
 apparecchi proibiti ( ex art. 110 del t.u.l.p.s. ).
    Deve  allora  ritenersi  che  le  norme invocate disciplinano casi
 diversi, non essendo peraltro escluso il possibile concorso nel  caso
 di  organizzazione  di scommesse (art. 4 della legge n. 401) su o con
 giuochi d'azzardo (artt.  718  e  721)  attuati  mediante  apparecchi
 vietati  (art.  110  del  t.u.l.p.s.) installati in pubblici esercizi
 (art. 719 del c.p.).
    Come riteneva cass. 21 marzo 1986, Luvinio, deve  concludersi  sul
 punto  osservandosi  che  tutto'oggi  non ogni attivita' di scommessa
 costituisce  automaticamente  giuoco  d'azzardo,   dovendosi   invece
 accertare  in  concreto  volta  per volta se nell'ativita' esercitata
 ricorra  anche  il  quid  ulteriore  richiesto  dalla  norma  penale,
 costituito dall'aleatorieta' della vincita o della perdita.
    A  contrariis  si  argomenta  che  non  in  ogni  giuoco d'azzardo
 ricorrono "publiche scommesse organizzate", cosi' come previste dalla
 legge n. 401.
    Tali essendo gli elementi di diritto non puo'  che  rilevarsi  nel
 caso di specie la ricorrenza dei soli elementi di cui alla previsione
 codicistica  non essendo sussumibile da alcun atto processuale che in
 realta'  l'agente  avesse  in  qualche  modo  organizzato   pubbliche
 scommesse  con  apparecchi  proibiti  o  che  ne avesse dato comunque
 pubblicita', essendo solo emerso che nel pubblico esercizio di cui in
 rubrica era installato un apparecchio di genere proibito, funzionante
 o, comunque in grado di funzionare; mentre deve ritenersi  del  tutto
 verosimile che l'imputato ve lo abbia scientemente installato o fatto
 installare, al fine di agevolare il giuoco d'azzardo.
    Ritenuta l'applicabilita' delle norme menzionate, escluso nel caso
 di  specie  la possibilita' di concorso tra norme, e considerato che,
 in concreto l'imputato sarebbe possibile di sanzione ex  art.  718  e
 719 del c.p., (non essendo contestato in questo caso il reato ex art.
 110  t.u.l.p.s.  -  per altro verso considerabile in sentenza essendo
 oggetto comunque di contestazione nella rubrica di cui al capo  b)  -
 ex art. 521 del c.p.p. - trattandosi di fatto oggettivamente identico
 a  quello contestato - osservando incidentalmente che il nuovo codice
 di procedura non ha in questo punto innovato significativamente), non
 puo' non rilevarsi un grave problema di giudizio di valore: invero se
 l'imputato dovesse rispondere ex legge n. 401 potrebbe riportare  una
 parte  piu'  lieve  di quella prevista dagli artt. 718 e 719 del c.p.
 essendo quivi previsto il raddoppio della  pena  per  il  caso,  come
 quello  di specie, di giuoco di azzardo attivato da titolare de facto
 di pubblico esercizio (bar, nella descrizione  fattane  dagli  agenti
 del commissariato).
    E'  in  merito  da  osservare  che  essendo stato il terzo periodo
 dell'art. 4 introdotto soltanto in sede di definitiva redazione della
 legge n. 401 si e' persa l'occasione di  superare  definitivamente  i
 dubbi  interpretativi  sorti con la precedente disciplina: infatti la
 relazione al progetto di legge non prevedeva tre distinte ipotesi  al
 primo  comma  dell'art.  4,  ma una sola che letteralmente sanzionava
 qualsiasi "attivita' organizzata e diretta al  pubblico  di  gestione
 ........   e  di  scommesse  e  giuochi  d'azzardo",  cio'  volendosi
 chiaramente intendere che la normativa penalistica doveva intenderesi
 come  puramente  residuale   rispetto   alla   disciplina   speciale,
 sanzionando   adeguatamente,   e  con  pene  ben  magiori  di  quella
 attualmente  prevista,  qualsiasi  organizzazione  di  scommesse,   e
 peraltro nella forma ritenuta delittuosa.
    Venuto  meno  il  riferimento  al  giuoco  d'azzardo  in  sede  di
 redazione definitiva si  sono  appunto  ripresentati  i  problemi  di
 coordinamento,  essendo  stato invece introdotto il periodo in esame,
 sanzionato piu' lievemente e nella forma contravvenzionale.
    Per effetto del difetto di coordinamento verificatosi in  sede  di
 redazione  definitiva si verifica quindi che il titolare di esercizio
 pubblico che abbia tenuto o agevolato,  magari  anche  per  una  sola
 volta,  il giuoco d'azzardo risponde in modo piu' grave che se avesse
 organizzato pubbliche scommesse  (sia  pure  non  d'azzardo,  dovendo
 altrimenti  concorrere  le  violazioni),  con  evidente disparita' di
 trattamento rispetto a situazioni che seppur non  identiche  appaiono
 omogenee:  appare  infatti  evidente  che  entrambi  le  norme  siano
 riconducibili alla ratio per evitare la  competizione  con  somme  di
 denaro  e per fini di lucro, mentre che la vincita o la perdita siano
 interamente o quasi aleatori costituisce una specificazione del fatto
 riconducibile alla sola fattispecie penalistica.
    Appare del tutto eevidente  la  maggiore  potenzialita'  offensiva
 dell'organizzazione  di  scommesse  rispetto alla semplice tenuta del
 giuoco d'azzardo sol che si ponga mente alla  indeterminatezza  delle
 persone  cui si rivolge la struttura organizzata: se infatti la nomra
 del 1989 si rivolge palesemente alla tutela della  correttezza  nelle
 manifestazioni  sportive  e pubbliche, la disciplina codicistica puo'
 anche esulare da tali requisiti e ricorrere solo per un congegno  e/o
 violazione.
    Si  verifica  allora  che  subisce  una  condanna  piu'  tenue chi
 organizza pubbliche  scommesse,  magari  con  struttura  di  notevoli
 dimensioni,  estesa  a  tutto il territorio nazionale rispetto a chi,
 nelle  condizioni  di  cui  all'art.  719  del  c.p.  abbia  soltanto
 consentito,  magari  episodicamente, tenersi il giuoco d'azzardo, con
 ovvie conseguenze sul piano  sistematico  in  relazione  al  disposto
 dell'art. 3 della Costituzione.
    La  questione  appare rilevante nel caso di specie perche' appunto
 l'imputato potrebbe dover rispondere  della  piu'  grave  ipotesi  di
 reato prevista nel codice penale.