LA CORTE DI APPELLO Riunita in camera di consiglio ha emesso la seguente ordinanza. Con atto depositato il 9 maggio 1991 i difensori di Aglieri Pietro + 15, imputati di associazione per delinquere aggravata ed altro nel procedimento penale iscritto al n. 2459/1990 r.g.n.r., pendente dinanzi al tribunale di Palermo, hanno dichiarato, nell'interesse dei propri assistiti, di ricusare il dott. Costantino Franco, presidente del collegio giudicante, avendo tale magistrato, nella fase delle indagini preliminari, presieduto il tribunale della liberta', e cosi' partecipato alla pronunzia della ordinanza in data 8 gennaio 1990, confermativa - dopo una ampia valutazione del merito - di quelle del g.i.p. presso il tribunale di Palermo che aveva applicato al predetto Aglieri la misura cautelare della custodia in carcere. In particolare gli istanti hanno dedotto che una interpretazione estensiva del disposto dell'art. 34 del c.p.p. consentirebbe di ricondurre la fattispecie in esame nell'ambito del regime delle incompatibilita' del giudice correlate al compimento di atti nelle precedenti fasi dello stesso processo; in subordine, tenuto conto di quanto statuito dalla Corte costituzionale con sentenza n. 496 del 26 ottobre 1990, hanno sollevato questione di legittimita' costituzionale dello stesso art. 34 del c.p.p. nella parte in cui non prevede l'incompatibilita' a partecipare al giudizio del giudice che ha concorso, quale componente del tribunale della liberta', al riesame di un provvedimento restrittivo della liberta' personale, e cio' sul duplice rilievo che tale norma contrasterebbe: a) con gli artt. 76 e 77 della Costituzione, perche' non rispetterebbe le direttive del legislatore delegante ne' in ordine all'attuazione del sistema accusatorio ne' in ordine all'adeguamento del c.p.p. alle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia; b) con gli artt. 25 e 101 della Costituzione perche', con l'inosservanza delle esigenze di imparzialita' e terzieta' del giudice, quali scaturiscono dal sistema accusatorio, l'organo giudicante non potrebbe essere qualificato "giudice naturale". Con ordinanza del 13 maggio 1991 questa corte, disponendo procedersi nelle forme di cui all'art. 127 del c.p.p., riservava all'udienza di trattazione "tutte le questioni" (ivi comprese quelle sull'ammissibilita' della dichiarazione) ed ordinava - ex art. 41, secondo comma, del c.p.p. - la sospensione temporanea di ogni attivita' processuale del giudice ricusato, ad eccezione degli atti urgenti. All'udienza camerale di trattazione dell'istanza il p.g. ed i difensori degli imputati hanno avuto la parola, come da verbale in atti. Cio' premesso si osserva: 1) La dichiarazione di ricusazione e' ammissibile, ancorche' sia stata sottoscritta soltanto dai difensori degli imputati, sul rilievo che il relativo potere, ai sensi dell'art. 38, quarto comma, del c.p.p., rientra fra le facolta' attribuite allo stesso difensore per il semplice mandato defensionale, senza necessita' di alcuna specifica ed ulteriore autorizzazione della parte assistita, dato che la norma, distinguendo fra il difensore ed il procuratore speciale, presuppone che il primo non abbisogni di mandato ad hoc comunque formalizzato. Tale principio, desumibile dal dato testuale, e' conforme a quanto statuito da parte della giurisprudenza sotto l'impero del c.p.p. previgente (Cass. sez. I, 30 marzo 1989, n. 583) e deve ritenersi a maggior ragione operante nella vigenza del c.p.p. del 1988, ove si abbia riguardo all'ampiezza dei poteri di rappresentanza che dall'art. 99, primo comma, del c.p.p. sono conferiti al difensore dell'imputato. 2) Nel merito deve innanzi tutto rilevarsi che i casi di incompatibilita', astensione e ricusazione - in quanto pongono eccezioni alla generale capacita' del giudice ed alle norme dell'ordinamento giudiziario relative alla formazione degli organi giudicanti - sono tassativamente previsti dalla legge e non sono suscettibili di interpretazione estensiva o analogica. Pertanto non e' consentito ritenere che la fattispecie in esame possa essere ricondotta nell'ambito del regime delle incompatibilita' di cui all'art. 34 del c.p.p. attraverso un'interpretazione estensiva o analogica di tale norma. 3) Quanto alla questione di legittimita' costituzionale la corte, preso atto della motivazione della sentenza della Corte costituzionale n. 496/1990 (con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del c.p.p. nella parte in cui non prevede che non puo' partecipare al giudizio abbreviato il giudice per le indagini preliminari presso la pretura che abbia emesso l'ordinanza di cui all'art. 554, secondo comma, del c.p.p.) ne ritiene la non manifesta infondatezza, nei limiti che saranno precisati nel prosieguo. E' opportuno, a tale riguardo, prendere le mosse dal rilievo che, secondo la direttiva di ordine generale di cui all'art. 2, primo comma, parte prima, della legge delega 16 febbraio 1987, n. 81, il nuovo codice di procedura penale "deve attuare i caratteri del sistema accusatorio", e cio', ovviamente, nell'ottica del pieno adeguamento ai principi della Costituzione ed alle norme delle convenzioni internazionali ratificate dall'Italia anche in tema di giudizio imparziale ed indipendente. Non si puo' trascurare, pero', che in tale quadro il legislatore delegante, specificando i casi di incompatibilita' del giudice con la direttiva n. 67, ha voluto sottolineare che non sempre da una valutazione precedentemente data (si considerino le decisioni sulle istanze relative allo status libertatis dell'imputato emesse nella stessa fase del processo poi definito dal medesimo giudice) o dalla partecipazione ad una precedente fase scaturisce una situazione di incompatibilita' per il successivo giudizio sul merito o per le fasi successive. Ne deriva che, nei casi controversi, occorre valutare se la norma di procedura che non li prevede fra le incompatibilita' del giudice rispetti sostanzialmente i principi generali dettati dal legislatore delegante. Nel caso in esame e' dunque da chiedersi se "la valutazione di merito del giudice del dibattimento possa essere (o possa ritenersi che sia) condizionata, dallo svolgimento di determinate attivita' nelle precedenti fasi del procedimento o dalla previa conoscenza dei relativi atti processuali" (Corte costituzionale n. 496/1990 citati). In tale prospettiva e' significativo sul punto - ad avviso di questa Corte - il c.d. "regime del doppio fascicolo" (artt. 431 e 433 del c.p.p.), alla cui stregua tutti gli atti delle indagini preliminari, esclusi quelli indicati nell'art. 431 del c.p.p., sono sottratti alla conoscenza di chi deve partecipare alla normale fase del giudizio e restano inclusi nel fascicolo del p.m., accessibile alle sole parti. Ora l'identica esigenza non consente ai componenti del tribunale della liberta', che abbiano concorso a decidere ex art. 309 del c.p.p. sull'istanza di riesame di un provvedimento restrittivo della liberta' personale, di partecipare ai giudizi nei quali sia preclusa la possibilita' di tenere conto (salve le eccezioni di legge) degli atti delle indagini preliminari. Invero in tal caso il tribunale della liberta', per decidere, deve richiamare gli atti sui quali si e' fondato il convincimento del g.i.p., e tali non possono essere che quelli delle indagini preliminari. 4) Indipendentemente dalla osservanza, o meno, dei criteri fissati dalla legge delega, questa corte ritiene, poi, che non possa considerarsi manifestamente infondata l'eccezione di illegittimita' costituzionale della norma de qua, nei limiti sopra indicati, per violazione dell'art. 25 della Costituzione. L'innegabile accentuazione del principio della "terzieta'" del giudice nel sistema accusatorio puo' invero portare ad escludere che sia giudice naturale legittimamente precostituito chi per l'attivita' processuale precedentemente svolta, non assicuri la certezza dell'imparzialita', con l'impossibilita' di una valutazione preconcetta sia in ordine all'acquisizione delle prove sia in ordine al merito. Non fondato, invece, e' il riferimento alla violazione, all'art. 101 della Costituzione perche' nella specie non viene in questione l'indipendenza del giudice. 5) La questione e', nel caso in esame, rilevante, considerato che il presidente del collegio giudicante dott. Franco e' lo stesso magistrato che, in qualita' di presidente relatore del tribunale della liberta', respinse la richiesta di riesame formulata dallo Aglieri, dopo avere preso visione degli atti delle indagini preliminari. 6) Ai sensi dell'art. 23 della l.c. 11 marzo 1953, n. 87, va percio' disposta l'immediata trasmissione degli atti alla Corte costituzionale, va ordinata la sospensione del presente procedimento e vanno demandate alla cancelleria le notifiche e le comunicazioni di rito.