LA CORTE D'ASSISE
    Pronunziando  sulle  richieste  del  p.m.  e  del patrono di parte
 civile,  nonche'  sulla  questione  di  legittimita'   costituzionale
 sollevata dalle stesse parti;
    Esaminati  gli  atti  del  fascicolo  per  il  dibattimento  e  le
 risultanze dibattimentali;
    1. - Constata che il decreto che ha disposto il rinvio a  giudizio
 identifica negli imputati gli autori dell'omicidio di cui e' processo
 sulla  base  delle  dichiarazioni  rese  (nella  fase  delle indagini
 preliminari) dai testi Lattanzi Michele, Catalano  Giovanni,  Frisari
 Nunzio  ed  altri:  risulta  che  il  Lattanzi fu sentito dal p.m. lo
 stesso  giorno  del  fatto  (ma  non  sul  luogo  del   delitto)   e,
 successivamente,  il  12  ottobre  1990;  che il Catalano rese le sue
 dichiarazione al p.m. l'11 maggio 1990;
      che il Frisari fu sentito dal p.m. il 15 ottobre 1990;
    Prende atto che quanto e'  stato  dichiarato  dagli  stessi  testi
 nell'esame dibattimentale e' risultato, a seguito delle contestazioni
 del  p.m.  e  del  patrono di parte civile, radicalmente difforme dal
 contenuto  delle  precedenti  dichiarazioni  (lette  ai  fini   delle
 contestazioni):  in  effetti  i  testi  hanno  puntualmente omesso di
 riferire alcunche' di utile per la identificazione degli  autori  del
 delitto,    limitandosi   spesso   a   rispondere   alle   insistenti
 contestazioni con il generico "non ricordo";
    2. - Rileva, in diritto, che  la  richiesta  di  acquisizione  (al
 fascicolo  per il dibattimento) delle dichiarazioni utilizzate per le
 contestazioni non puo'  essere  accolta,  poiche'  non  ricorrono  le
 condizioni  previste  dall'art.  500,  quarto  comma, c.p.p., per cui
 possono essere acquisite solo le  dichiarazioni  (utilizzate  per  le
 contestazioni)  assunte  dal  p.m.  o  dalla  p.g.  nel  corso  delle
 perquisizioni ovvero sul luogo e nell'immediatezza del fatto;
      che,  in  particolare,  per  l'acquisizione  devono   concorrere
 entrambe    le    condizioni    dell'assunzione    "sul    luogo"   e
 "nell'immediatezza  del  fatto"  (anche  se  le  dichiarazioni   sono
 materialmente  verbalizzate,  ai  sensi  degli  artt.  357  e 373 del
 c.p.p., in ambienti piu' idonei);
      che le limitazioni su richiamate si  riferiscono,  nella  chiara
 dizione  del  codice  (che  trova riscontro nell'art. 2, n. 76, della
 legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81), sia alle dichiarazioni assunte
 dalla p.g. che a quelle assunte dal p.m.;
      che peraltro una diversa interpretazione della  norma  (che  non
 ponesse alcun limite all'acquisizione delle dichiarazioni assunte dal
 p.m.,  riferendo  dette  limitazioni  solo  alla p.g.) altererebbe il
 principio generale dell'oralita' e con esso le linee fondamentali del
 nuovo sistema processuale;
      che, pertanto, ai  sensi  del  terzo  comma  dell'art.  500  del
 c.p.p.,  le  precedenti  dichiarazioni  dei  testi  Lattanzi Michele,
 Catalano Giovanni e Frisari Nunzio possono solo offrire  elementi  di
 giudizio sulla loro credibilita', ma non possono costituire prova dei
 fatti in esse affermati;
      che, in definitiva, il meccanismo processuale previsto dall'art.
 500 del c.p.p. in attuazione del principio dell'oralita', se consente
 alle parti di portare a piena conoscenza del giudice le dichiarazioni
 rese  dai testi al p.m. (attraverso la lettura per le contestazioni),
 cosi' facendo emergere nella pubblicita' del dibattimento una  doppia
 verita'  processuale,  preclude  al  giudice  di  farne  uso  al fine
 dell'accertamento  dei  fatti:  sicche'  il  giudice,  per una chiara
 scelta legislativa, puo' valutare e ritenere rispondenti al  vero  le
 prime  dichiarazioni  testimoniali e percio' stabilire motivamente la
 scarsa credibilita' delle dichiarazioni difformi  rese  dagli  stessi
 testi  a  dibattimento  e  tuttavia  - contraddicendo la sua motivata
 convinzione nel contesto della stessa decisione - puo' trovarsi nella
 necessita'  formale,  per  la  mancanza  di   prove   indotta   dalla
 limitazioni  della  legge processuale, di mandare assolto un imputato
 che le dichiarazioni ritenute attendibili indicano univocamente  come
 l'autore del delitto.
    3.  -  La  Corte  ritiene peraltro che la disciplina del combinato
 disposto dal terzo e quarto comma dell'art. 500 del c.p.p. si risolve
 in una ingiustificata limitazione della  funzione  giurisdizionale  e
 della  tutela dei diritti costituzionalmente garantiti (non esclusi i
 diritti delle vittime del delitto), oltre che  nella  violazione  del
 principio di uguaglianza dell'art. 3 della Costituzione.
    Sotto  il primo profilo osserva che le garanzie costituzionali dei
 diritti fondamentali (art. 2  della  Costituzione),  del  diritto  di
 azione   (art.   24,   primo   comma,  della  Costituzione)  e  della
 giurisdizione penale  (art.  101,  secondo  comma,  in  relazione  al
 principio   di   legalita'   dell'art.   25,   secondo  comma,  della
 Costituzione) postulano strumenti giuridici che integrino un processo
 "giusto" ma al contempo (nell'equilibrato bilanciamento di  interessi
 costituzionalmente  garantiti)  non  impediscano  al giudice la piena
 cognizione del fatto-reato per la effettiva  attuazione  della  legge
 che ha il dovere di applicare;
    Rileva,  in  particolare,  che  la  disciplina del procedimento di
 formazione della prova, per  la  sua  natura  strumentale,  non  puo'
 introdurre  limitazioni  di tale entita' da privare di efficacia (nel
 suo reale funzionamento) la legge penale sostanziale, cosi'  violando
 il  diritto costituzionale di azione, svuotando la peculiare funzione
 del giudice penale e, in sostanza, privando  di  effettiva  tutela  i
 diritti  involabili  riconosciuti  dalla Costituzione e salvaguardati
 (nella forma piu' efficace solo) dalla legge penale;
    Ritiene, che il divieto posto dal terzo comma  dell'art.  500  del
 c.p.p.,  nella  sua portata generale (pur con le eccezioni del quarto
 comma), introduca limitazioni della natura su descritta  assimilando,
 oltre  il  limite  di ragionevolezza (in contrasto con l'art. 3 della
 Costituzione), situazioni non omogenee in  relazione  ai  fini  della
 giurisdizione  penale  e al diritto costituzionale di azione, nonche'
 differenziando nel trattamento situazioni simili.
    Per quest'ultimo aspetto appare  in  contrasto  col  principio  di
 uguaglianza  il divieto (dell'art. 500, terzo comma, del c.p.p.), che
 preclude nel  giudizio  ordinario  la  utilizzazione  ai  fini  della
 decisione   di   dichiarazioni  che,  invece,  per  la  stessa  legge
 processuale, nel giudizio abbreviato costituiscono fonte di prova: ed
 infatti la diversita' di rito non puo' ragionevolmente mutare  ne'  i
 fini  della  giurisdizione  penale  (con  la necessita' di cognizione
 piena del fatto-reato), ne' la garanzia costituzionale del diritto di
 azione.
    Per altro verso si prospetta anche, nella normativa in esame,  una
 violazione   del   principio   di   uguaglianza  per  l'assimilazione
 indiscriminata di situazioni diverse (in  riferimento  ai  richiamati
 parametri costituzionali).
    Ed  infatti cadono anche nel divieto del terzo comma dell'art. 500
 del c.p.p.:
       a) le dichiarazioni rese al p.m. nella immediatezza del  fatto,
 ma  in  luogo  diverso  da  quello  del  commesso  delitto, apparendo
 irrazionale  che,  oltre  alla  condizione  della  immediatezza,   si
 richieda  anche la condizione dell'assunzione del teste sul luogo del
 fatto;
       b)  le  dichiarazioni  rese  al  p.m.  nelle   prime   indagini
 preliminari  da  testi  che,  escussi  a  dibattimento,  non  sono in
 condizioni di ricordare fatti e circostanze rilevanti  (anche  per  i
 tempi  non  brevi del processo consentiti dallo stesso codice), cosi'
 versando in situazioni  assimilabili  per  l'eadem  ratio,  a  quelle
 previste (con diverso trattamento) dall'art. 512 del c.p.p.;
       c)  le  dichiarazioni  rese  al  p.m.  da  testi che, assunti a
 dibattimento (e al di fuori  dell'ipotesi  eccezionale  prevista  per
 l'incidente  probatorio dall'art. 392, lett. b), del c.p.p.), rendano
 dichiarazioni manifestamente false o  reticenti,  se  vi  e'  fondato
 motivo di presumere un'azione esterna di inquinamento della prova; ed
 invero,  quando  (mancando  concreti  e  specifici  elementi circa il
 pericolo di inquinamento della prova) non puo' aver luogo l'incidente
 probatorio ai sensi del citato articolo, il divieto di  acquisire  ed
 utilizzare  le precedenti dichiarazioni (per una compiuta valutazione
 di tutte le risultanze processuali), si risolve in una ingiustificata
 copertura dell'azione di inquinamento della  prova  emersa  (solo)  a
 dibattimento.
    Tali  situazioni  si  rivelano omogenee a quelle che per la stessa
 legge processuale (in ragione del diritto costituzionale di azione  e
 dei  fini propri della giurisdizione penale) consentono una deroga al
 principio dell'oralita') sicche' appare ingiustificato, alla  stregua
 dell'art.   3  della  Costituzione,  assimilarle  a  tutte  le  altre
 situazioni che rientrano nel divieto dell'art. 500, terzo comma,  del
 c.p.p.
    Per  i  precedenti  rilievi  la  corte  ritiene non manifestamente
 infondata la questione di legittimita' costituzionale dell'art.  500,
 terzo  e  quarto  comma, del c.p.p., in riferimento agli artt. 2, 3 e
 24, primo  comma,  25,  secondo  comma,  101,  secondo  comma,  della
 Costituzione.
    Osserva,  in  punto di rilevanza, che la soluzione della questione
 (nei termini su prospettati) e' determinante sia  per  provvedere  in
 ordine alla richiesta avanzata dal p.m. e dal patrono di parte civile
 che ai fini della decisione.