IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza. Con decorrenza di citazione n. 593/1990 r.g.a.n.r. del 31 gennaio 1991, il procuratore della Repubblica di Lanciano ha rinviato a giudizio, dinnanzi al pretore di Atessa, Porreca Nicola, Porreca Maria, Sabatini Sebastiano, Porreca Mario Mercurio, Di Biase Angela Maria e Porreca Gabriella, imputati di reati (ingiurie, minacce, lesioni personali) in danno reciproco. All'udienza dibattimentale del 15 maggio 1991 il p.m. chiedeva l'ammissione di prova testimoniale a mezzo di Porreca Mario, Di Biase Angela Maria, Porreca Maria e Porreca Nicola i quali nel processo (riunito a norma dell'art. 17, lett. c), del c.p.p.) rivestono tutti la qualita' di imputati. Questo giudice non puo' procedere alla separazione dei procedimenti, non ricorrendo nessuna delle ipotesi di cui all'art. 18 del c.p.p. (A norma dell'art. 190 del c.p.p. possono essere escluse solo le prove vietate e quelle manifestamente superflue e sovrabbondanti). Nel caso in esame: n. 1) la prova testimoniale richiesta non appare manifestamente sovrabbondante e superflua in quanto, pur avendo il p.m. chiesto anche l'esame di tutti gli imputati, la possibilita' a costoro riconosciuta di non sottoporsi all'esame non esclude (anzi convince de) la rilevanza e la non superfluita' della richiesta prova per testi; n. 2) la prova non e' vietata, perche' non ricorre alcuna delle ipotesi di incompatibilita' previste dall'art. 197 del c.p.p., il quale, pur ricalcando nella formulazione letterale la disciplina dell'art. 348, quinto comma, del c.p.p. 1930, nella sostanza se ne discosta per la diversa disciplina della connessione dettata dall'art. 12 del c.p.p. 1988 rispetto a quella dettata dall'art. 45 del c.p.p. 1930. La prova quindi dovrebbe essere ammessa, con la conseguenza che nel medesimo processo riunito stessi soggetti verrebbero ad assumere contemporaneamente la qualita' di imputati e quella di testimoni, qualita' incompatibili fra di loro. Invero non si vede in qual modo possa essere rispettata la disciplina di cui all'art. 149 del d.lgs. 20 luglio 1988, n. 271 (che prevede il divieto per il testimone di comunicare, prima di deporre, con le parti, i difensori, i consulenti, di assistere agli esami degli altri o essere comunque informato di cio' che si fa nell'aula di udienza) senza violare il diritto di difesa (art. 24, secondo comma, della Costituzione) che consente all'imputato di assistere al dibattimento e di intervenire con dichiarazioni spontanee (art. 494 del c.p.p.) in ogni stato dello stesso. Sembrerebbe quindi necessario sollevare la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 149 del d.lgs. n. 271/1989 in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione nella parte in cui non consente che il testimone, il quale nel processo riunito assuma anche la qualita' di imputato, possa rimanere in aula di udienza. Ritiene tuttavia questo giudice che la soluzione sopra prospettata (inaccettabile per la obiettiva inconciliabilita' delle due posizioni in capo alla stessa persona nel medesimo processo) possa esserre superata al rilievo che in effetti costituzionalmente illegittimo, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, e' l'art. 197 del c.p.p. nella parte in cui non prevede che non possa essere assunto come testimone l'imputato nel processo a norma dell'art. 17, lett. c), del c.p.p. Invero "razionalmente" (per usare la stessa espressione della relazione al testo definitivo del c.p.p. per la introduzione, rispetto al progetto, di una ulteriore ipotesi di incompatibilita' che riguarda la persona imputata di reato collegato a norma dell'art. 371, secondo comma, lett. b) (suppl. ord. n. 2 alla Gazzetta Ufficiale n. 250, del 20 ottobre 1988, pag. 181) non si comprende quale differenza vi sia tra l'imputato nel processo riunito a norma dell'art. 17, lett. c), e l'imputato in processo connesso a norma dell'art. 12, lett. a), ult. parte (ipotesi di piu' persone che con condotte indipendenti hanno determinato l'evento) ovvero l'imputato in processo collegato per la prova. La posizione processuale di tutti questi soggetti appare sostanzialmente uguale sicche' un trattamento differenziato sotto il profilo della incompatibilita' con l'ufficio di testimone risulta irrazionale e in violazione del principio di uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge senza distinzione di condizioni personali (art. 3 della Costituzione). La prospettata questione e' rilevante, non potendo questo pretore decidere in ordine alla ammissione della prova senza la sua soluzione, e non manifestamente infondata. Solleva quindi d'ufficio la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 197 del c.p.p.