IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Sulla richiesta di incidente probatorio e contestuale richiesta di
 proroga termini per il compimento delle indagini preliminari avanzata
 dal p.m. nell'ambito del procedimento sopra indicato (procedimento  a
 carico  di  De  Paoli  Emilio  e Dean Marina per il reato di cui agli
 artt. 590 e 583/1 del  c.p.  in  danno  di  Prandi  Angelo  Giuseppe;
 richiesta  del p.m. tesa all'espletamento, nelle forme dell'incidente
 probatorio, di perizia tecnica per la  ricostruzione  della  dinamica
 dell'incidente stradale che aveva dato causa alle lesioni);
    Rilevato  che  il  procedimento  in questione risulta iscritto nel
 registro notizie di reato (con la  conseguente  iscrizione  del  nome
 delle persone alle quali e' attribuito il reato dopo che inizialmente
 il  procedimento  era  stato  iscritto  a carico di ignoti in data 17
 luglio 1990) in data 15  ottobre  1990,  mentre  la  querela  risulta
 presentata  il  13  ottobre  1990,  e che pertanto, non essendo stata
 richiesta alcuna proroga, il termine per il compimento delle indagini
 preliminari risulta scaduto in data 13 aprile 1991;
    Rilevato che il  p.m.,  in  data  1ΓΈ  giugno  1991,  informava  il
 procuratore  generale  della  situazione sopra descritta in relazione
 alla intervenuta scadenza dei termini e in funzione dell'esercizio da
 parte  del  p.g.  del  potere  di  avocazione  -  412  del  c.p.p.  -
 prospettando inoltre la propria intenzione di "sollevare questione di
 costituzionalita'  del  combinato disposto degli artt. 406, 407 e 553
 per  violazione  del  principio  della  obbligatorieta'   dell'azione
 penale";
    Rilevato che con missiva del 5 giugno 1991 il procuratore generale
 comunicava  che  non  intendeva esercitare il potere di avocazione ex
 art. 412 del c.p.p., ed esprimeva, inoltre, il proprio  parere  circa
 la   non  manifesta  infondatezza  della  questione  di  legittimita'
 costituzionale prospettata dal p.m.;
    Rilevato che il p.m. faceva pervenire, unitamente  alla  richiesta
 di  incidente  probatorio  e  di  proroga  termini,  una  nota in cui
 argomentava:
       a) circa la necessita', al fine  di  decidere  sulle  richieste
 avanzate, che il g.i.p. valuti se sia in suo potere concedere proroga
 dei  termini  ove  questi  siano gia' scaduti prima che il p.m. abbia
 avanzato la corrispondente richiesta;
       b)  circa  la  correttezza  di  una  interpretazione  del  dato
 normativo  per  cui,  una  volta  scaduti  i  termini per le indagini
 preliminari senza che vi sia stata richiesta di proroga, il p.m.  non
 possa  piu'  chiedere  e/o  ottenere  alcuna  proroga,  a  pena della
 inutilizzabilita' degli atti di indagine eventualmente compiuti;
       c)  circa  gli  elementi  di  fatto  che  avevano comportato il
 decorso dei termini e che ora vanno a giustificare una  richiesta  di
 incidente  probatorio  e  la  conseguente  necessita'  di proroga dei
 termini;
       d) circa la incostituzionalita' della disciplina  di  cui  agli
 artt.  406  e  407  del  c.p.p.  in  riferimento  all'art.  112 della
 Costituzione; disciplina che:  costituirebbe  un  "ostacolo  di  tipo
 processuale  insormontabile" all'esercizio dell'azione penale; mentre
 il disposto di  cui  all'art.  412,  non  configurando  un'avocazione
 obbligatoria  da  parte  del  p.g.  ed assegnando comunque ad esso un
 termine   di   soli   trenta   giorni   per   il   compimento   delle
 "indispensabili"  indagini,  non  varrebbe a ricondurre il meccanismo
 normativo    dei    termini    nell'ambito    della    compatibilita'
 costituzionale;
                             O S S E R V A
 In punto rilevanza.
    La  richiesta  di  incidente probatorio avanzata dal p.m. risulta,
 nel merito, fondata e meritevole di accoglimento ai sensi degli artt.
 392/2 e 551 del c.p.p.: in mancanza di una  esauriente  ricostruzione
 della  dinamica  del  sinistro  non  pare possibile che il p.m. possa
 emettere decreto di  citazione  a  giudizio,  in  quanto  la  attuale
 situazione  probatoria  (contrassegnata  dalla  mancanza di testimoni
 dell'accaduto  a  parte  i  due  indagati  e  la  p.o.,   dalla   non
 effettuazione  del  sequestro probatorio sui mezzi coinvolti e da una
 obiettiva  complessita'  dell'incidente)  non  consente  una   esatta
 focalizzazione   di  responsabilita'  penali;  inoltre  la  ricordata
 complessita'  dell'incidente  -  nel  quale  furono   coinvolti   due
 autotreni ed una vettura - implica che la perizia volta ad accertarne
 la  dinamica,  ben potrebbe comportare, ove disposta in dibattimento,
 una sospensione dello stesso superiore ai sessanta giorni.
    Peraltro all'accoglimento, ritenuto doveroso, della  richiesta  di
 incidente  probatorio  si  frappone  quale ostacolo insormontabile la
 disciplina normativa dei termini per  il  compimento  delle  indagini
 preliminari.
    Infatti, nel caso di specie, il termine previsto dagli artt. 553 e
 405  del  c.p.p.  risulta  scaduto  in  data  13 aprile 1991 (a norma
 dell'art. 405/3, poiche' la  querela  e'  pervenuta  al  p.m.  il  13
 ottobre  1991)  ed il p.m. ha richiesto la proroga del termine - art.
 406  del  c.p.p.  -  contestualmente  alla  richiesta  di   incidente
 probatorio,  e cioe' successivamente alla scadenza del 13 aprile 1991
 (richiesta in data 13 maggio 1991 depositata presso questo ufficio il
 7 giugno 1991).
    Il dato normativo offerto dagli artt. 406/1 e  407/3  (applicabili
 al  procedimento  pretorile  ex  art.  553 del c.p.p.)   configura un
 rigido sistema di cadenze temporali per cui non pare  consentito  che
 una  volta  scaduto  il  termine  per  il  compimento  delle indagini
 preliminari il p.m. possa richiedere - ed il g.i.p. possa concedere -
 una proroga di detto termine: il tenore  letterale  del  primo  comma
 dell'art.  406  e'  estremamente  chiaro nel precisare che la proroga
 puo' essere concessa "prima della scadenza",  (e  lo  stesso  secondo
 comma  ribadisce  che  anche  le ulteriori eventuali proroghe possono
 essere concesse "prima della scadenza del termine prorogato"), mentre
 l'ultimo comma dell'art. 407 sanziona drasticamente e senza eccezioni
 con  la severa comminatoria della inutilizzabilita' (cfr. artt. 191/2
 e 606/1-c del c.p.p.) gli atti di indagini preliminare compiuti  dopo
 la scadenza del termine di cui all'art. 405 o di quello eventualmente
 prorogato;  (d'altra  parte ammettere la possibilita' di una "proroga
 tardiva" sia con effetti ex tunc - e  dunque  con  "sanatoria"  degli
 atti  compiuti  nel  periodo intermedio - che con efficacia ex nunc -
 con conseguente "riapertura" dei termini, significherebbe  nel  primo
 caso   aperto   contrasto  e  nel  secondo  elusione  della  espressa
 previsione di cui al terzo comma dell'art. 407 e comunque dell'intero
 sistema dei termini e delle  proroghe  degli  stessi  come  delineato
 negli artt. 405 e segg. del c.p.p.); .. Dunque la proroga del termine
 delle  indagini  preliminari  richiesta dal p.m. contestualmente alla
 richiesta di incidente probatorio non e' concedibile, ne', ovviamente
 puo' respingersi la richiesta di  proroga  e  ammettersi  l'incidente
 probatorio,   poiche'  in  tal  modo  si  disporrebbe  procedersi  al
 compimento di atti sanzionati da inutilizzabilita' "rilevabile  anche
 d'ufficio  in  ogni  stato  e grado del procedimento" (art. 191/2 del
 c.p.p.), e quindi, certamente, rilevabile anche ex ante e non solo ex
 post: cosi' questo giudice, nel decidere sulle richieste del p.m., si
 trova a dover respingere la richiesta di proroga dei termini in forza
 del disposto degli artt. 405/2 e 3 e  406/1  del  c.p.p.  (richiamati
 dall'art.  553, che peraltro prevede in ogni caso che si decida senza
 il rispetto della procedura di cui all'art. 406/5 del  c.p.p.);  e  a
 respingere  la  richiesta di incidente probatorio in applicazione del
 terzo comma dell'art. 407 del c.p.p.
    Le norme ora  indicate  sono  cosi'  senz'altro  "rilevanti",  non
 potendo da esse prescindersi per le determinazioni che questo giudice
 e' chiamato ad assumere.
 In punto non manifesta infondatezza.
    Il  disposto  degli  artt.  405/2,  406/1  e  407/3, che prevedono
 rispettivamente un termine  di  sei  mesi  per  il  compimento  delle
 indagini  preliminari,  la  concedibilita'  di  una  proroga di detto
 termine  solo  "prima  della  scadenza"  dello  stesso,  la  radicale
 inutilizzabilita'  degli  atti di indagine compiuti oltre la scadenza
 del termine - originario o prorogato -, non pare compatibile  con  il
 principio  della  obbligatorieta'  dell'azione penale di cui all'art.
 112 della Costituzione.
    Il principio di obbligatorieta' dell'azione  penale  -  "punto  di
 convergenza   di  un  complesso  di  principi  basilari  del  sistema
 costituzionale"  (C.c.  n.  88/1991)   -,   considerati   i   margini
 "fisiologici"  ed  ineliminabili  insiti nel concreto atteggiarsi del
 suo  esercizio,  postula  (oltre  alla  "immunita'"   del   p.m.   da
 interferenze  esterne)  l'esistenza  di  adeguati  meccanismi volti a
 controllare ed eventualmente contrastare l'inerzia del p.m.
    La centralita' di  una  verifica  sulla  efficacia,  efficenza  ed
 adeguatezza  di  tali  meccanismi  di  controllo e di contrasto nella
 valutazione circa la conformita' di determinati istituti giuridici al
 precetto costituzionale di cui all'art.  112  della  Costituzione  e'
 stata   recentemente  ribadita  dalla  Corte  costituzionale  con  la
 sentenza  n.  88/1991   (che   si   e'   soffermata   sulla   stretta
 interconnessione  tra  la  problematica  della  archiviazione - e dei
 controlli giurisdizionali sulla stessa - e la effettiva e sostanziale
 attuazione del principio di obbligatorieta' dell'azione penale).
    Ora:  se  la  presenza  della  norma  di  cui  all'art.  112 della
 Costituzione e' tale da esigere un " .. controllo del  giudice  sulla
 attivita'  omissiva  del  p.m.,  si'  da fornirgli la possibilita' di
 contrastare le inerzie e le lacune investigative di  quest'ultimo  ed
 evitare  che  le sue scelte si traducano in esercizio discriminatorio
 dell'azione (o inazione) penale" (cosi' C.c. n. 88/1991) puo' davvero
 ritenersi compatibile  con  la  norma  costituzionale  un  meccanismo
 normativo  che,  ponendo  rigidi  limiti  alla attivita' del p.m., fa
 conseguire "automaticamente" alla inerzia dello stesso p.m. (nel  non
 completare  le  indagini  nei  termini  di cui all'art. 405 e nel non
 chiedere la proroga ex art. 406) la impossibilita' di ogni  attivita'
 di  controllo,  impulso,  contrasto da parte del giudice, il quale, a
 fronte di quella inerzia, non puo' disporre (o  autorizzare)  che  le
 indagini  proseguano,  ne'  puo' accogliere (come nel caso di specie)
 tardive richieste di proroga del  termine  per  il  compimento  delle
 indagini e/o tardive richieste di incidente probatorio?
    E  la  sanzione  di  cui all'ultimo comma dell'art. 407 del c.p.p.
 finisce per comportare (vien quasi  da  dire  "paradossalmente")  una
 sorta  di  "inerzia  obbligata"  per  il  p.m.,  il  quale, trascorsi
 inutilmente i termini di cui agli artt. 405 e 406  del  c.p.p.  (vuoi
 per  scarsa  solerzia  da  parte  del p.m., vuoi per il suo carico di
 lavoro, o per ogni altro possibile motivo) si trova "automaticamente"
 (e senza necessita',  ad  es.,  del  previo  vaglio  di  un  apposita
 richiesta  della  persona  sottoposta  ad  indagine)  nella singolare
 situazione di non poter piu' svolgere attivita' di indagine che siano
 "utilizzabili", di non poter chiedere al giudice di poterle svolgere,
 di non poter  essere  obbligato  dal  giudice  ad  effettuarle  (puo'
 confrontarsi   su   quest'ultimo  punto  la  specifica  questione  di
 legittimita' costituzionale sollevata dal g.i.p. pretura di  Livorno,
 Gazzetta Ufficiale 12 giugno 1991, n. 23).
    L'inazione iniziale del p.m., la sua "attivita' omissiva" non solo
 non e' soggetta a sistemi efficaci di controllo e contrasto, ma viene
 addirittura  "cristallizzata e perpetuata" e resa immune da qualsiasi
 interferenza che non sia la mera facolta' di avocazione da parte  del
 procuratore  generale: il dubbio sulla legittimita' costituzionale di
 un tale sistema nei confronti dell'art. 112  della  Costituzione  non
 puo' che apparire non manifestamente infondato.
    (E  ben  possono  essere  richiamate  le considerazioni svolte nel
 presente procedimento dal p.m. circa il rischio che la disciplina dei
 termini per il compimento  delle  indagini  preliminari  finisca  per
 "sovrapporsi"  a  quella  sostanziale  della prescrizione, legando la
 completezza delle indagini e la possibilita' di esercitare il  dovere
 di  cui  all'art.  112  della  Costituzione  (e  quindi l'esigenza di
 soddisfare adeguatamente la pretesa punitiva statuale e le  legittime
 aspettative della persona offesa) al mero decorso di un termine assai
 breve  -  anche  sei  mesi  e  un  giorno  - senza che il p.m. si sia
 attivato a chiedere la proroga o abbia assunto  comunque  le  proprie
 determinazioni,  termine  del  tutto  svincolato  dalla tipologia del
 reato e il cui rispetto e'  rimesso  integralmente  alla  maggiore  o
 minore  operosita' e diligenza del p.m., e a qualsiasi altro motivo -
 carico di lavoro,  complessita'  delle  indagini,  disponibilita'  di
 personale  di  polizia  giudiziaria  ..  - che su quella operosita' e
 diligenza vada ad incidere).
    Ne',  sembra,  possono portare ad una diversa conclusione circa la
 non  manifesta   infondatezza   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale, due ulteriori ordini di argomentazioni.
    Il primo concerne la avocazione di cui all'art. 412 del c.p.p.: in
 effetti,  come  emerge  dalla  relazione  al progetto preliminare del
 c.p.p., il legislatore si e' posto, il problema, cui si e'  accennato
 "  ..  della  tutela  degli  interessi  pubblici  e privati di fronte
 all'inerzia della  accusa"  e  ha  predisposto  il  meccanismo  della
 avocazione  con  l'intento di evitare che " .. il decorso del termine
 possa configurarsi come una  vera  e  propria  decadenza  dall'azione
 penale  .."  e  di assicurare comunque alle indagini il loro "epilogo
 naturale" (cfr. Relazione, titolo VII).
    Ora: il disposto di cui all'art. 412 del c.p.p. non pare  tale  da
 soddisfare  le intenzioni espresse nella Relazione ne' da dissipare i
 dubbi di  costituzionalita'  della  disciplina  dei  termini  per  il
 compimento  delle  indagini preliminari: infatti, come pure sostenuto
 nel caso di specie dal p.m., l'art. 412 non  prevede  una  avocazione
 obbligatoria  per  il procuratore generale, la mancanza di un termine
 per l'esercizio del potere di avocazione, la previsione di un decreto
 "motivato"  (se  l'avocazione  conseguisse   "automaticamente"   alla
 scadenza  del  termine, iniziale o prorogato, per il compimento delle
 indagini non occorrerebbe evidentemente alcuna motivazione), e  anche
 le disposizioni di cui all'art. 413 del c.p.p. (che senso avrebbe una
 richiesta  di avocazione dell'"indagato" o della "persona offesa" ove
 il primo comma dell'art. 412 prevedesse una avocazione obbligatoria?)
 e 127 delle att. del c.p.p. (norma introdotta, come puo' leggersi nei
 lavori  preparatori  -  osservazioni   del   Governo   -   "ai   fini
 dell'esercizio  del potere di avocazione", potere non obbligo), tutto
 cio' fa propendere per ritenere che l'avocazione di cui all'art.  412
 del c.p.p. sia soltanto "facoltativa".
    Peraltro  nel  presente procedimento tale interpretazione, come si
 accennava in premessa, e' stata  adottata  dallo  stesso  procuratore
 generale,  che,  notiziato  della  intervenuta  scadenza dei termini,
 comunicava al p.m. la sua intenzione di non esercitare il  potere  di
 avocazione   (manifestando  contestualmente  l'opinione  di  una  non
 manifesta infondatezza della questione di  costituzionalita'  che  il
 p.m. intendeva proporre e che in effetti ha proposto).
    Pare   cosi'   evidente   come   la   mancata   previsione   della
 obbligatorieta' della avocazione nei casi di "inerzia"  del  p.m.  il
 quale  non  abbia,  nei  termini previsti dalla legge o prorogati dal
 giudice, esercitato  l'azione  penale  o  richiesto  l'archiviazione,
 lascia   del   tutto   inalterati   i   problemi   di  compatibilita'
 costituzionale del sistema di cui agli  artt.  405,  406  e  407  del
 c.p.p.  come  poco  sopra  evidenziati,  essendo  rimesso  alla  mera
 "facolta'" del procuratore generale  porvi  rimedio,  esercitando  il
 potere  di  avocazione, senza che al riguardo possa interferire alcun
 organo giurisdizionale (cfr. anche le argomentazioni formulate  nella
 sentenza  n.  445/1990  della Corte costituzionale relativamente alla
 incostituzionalita' dell'art. 157 delle att.  del  c.p.p.).  Rimedio,
 peraltro,  anch'esso  soggetto ad un rigido e esiguo termine - trenta
 giorni - tale da far dubitare anche sotto questo  aspetto  della  sua
 adeguatezza (nel caso di specie, anche ove vi fosse stata avocazione,
 la  perizia  richiesta  nelle forme dell'incidente probatorio a causa
 della sua complessita' tale da poter necessitare  di  oltre  sessanta
 giorni  per  il  suo  compimento  -  art.  392/2  - si sarebbe dovuta
 esaurire in .. trenta giorni?).
    Ne' sembra tale da poter dissipare i dubbi sulla costituzionalita'
 della  disciplina di cui agli artt. 405, 406 e 407 la considerazione,
 sorretta da un notevole "sforzo interpretativo", secondo cui al  p.m.
 non  sarebbe  comunque  "vietato"  svolgere  ulteriori  attivita'  di
 indagine pur scaduto il termine previsto dall'art. 405 del  c.p.p.  o
 prorogato  dal  giudice  (cfr.  art.  430  del  c.p.p.),  gli sarebbe
 precluso in tali casi chiedere l'archiviazione o emettere decreto  di
 citazione   a   giudizio   (mancando   una  specifica  previsione  di
 "decadenza" in tal senso, - pur in presenza del  chiaro  disposto  di
 cui  agli artt. 405/2 e 408 del c.p.p. -), mentre le attivita' inves-
 tigative svolte sarebbero si'  "inutilizzabili"  ai  sensi  dell'art.
 407/3  del c.p.p. ma potrebbero ugualmente fornire un supporto per le
 determinazioni del p.m. in ordine  alle  prove  di  cui  chiedere  la
 ammissione in dibattimento.
    Ora,   pur   volendo   prescindere   dalla  constatazione  che  la
 "inutilizzabilita'"di cui all'art. 407/3 del c.p.p. e' svincolata  da
 qualsiasi  riferimento a determinate fasi del procedimento e parrebbe
 dunque avere una  efficacia  quanto  piu'  generale  possibile  (cfr.
 invece  l'art.  360/5  e  403  del c.p.p.), non puo' non rilevarsi la
 "tortuosita'" e la "irragionevolezza" di tale soluzione sotto piu' di
 un profilo, anzitutto pare in aperto contrasto con il  sistema  delle
 cadenze  temporali impresse alle indagini preliminari dagli artt. 405
 e segg. del c.p.p. immaginare  che  il  p.m.,  una  volta  scaduti  i
 termini stabiliti dalla legge o, prorogati, possa ugualmente (meglio:
 debba)  svolgere  attivita'  investigativa  al  fine  di  decidere se
 richiedere la archiviazione o esercitare l'azione penale, pur con  il
 limite  della  "inutilizzabilita'" degli atti compiuti; (e' principio
 generale - cfr. ad es. art. 326 del c.p.p. -  che  le  investigazioni
 del   p.m.   sono  volte  a  supportare  le  determinazioni  inerenti
 l'esercizio  dell'azione  penale  e  non  certo  -  di  regola  -   a
 raccogliere  prove direttamente utilizzabili a dibattimento, e dunque
 avrebbe poco senso ritenere che il  complesso  sistema  di  cui  agli
 artt.  405  seg.  ponga  dei  limiti  temporali  al  compimento delle
 indagini preliminari, trascorsi i quali .. rimarrebbe comunque valido
 il principio generale circa le finalita' ed efficacia delle  indagini
 stesse - con la sola caducazione delle eccezioni a tale principio -).
    E  comunque,  puo'  pretendersi  che  in  presenza del tassativo e
 drastico disposto di cui al terzo comma dell'art. 407 del  c.p.p.  il
 p.m. svolga (abbia l'obbligo di svolgere) ugualmente attivita' inves-
 tigative  "inutilizzabili"  (e  dunque,  ad  es.,  inidonee  anche  a
 supportare sentenze all'esito  di  eventuali  riti  alternativi  o  a
 consentire  contestazioni all'esame dibattimentale di testi)? Possono
 ritenersi "complete" le indagini in tal modo svolte  e  in  tal  modo
 "sanzionate"?  E  se  sorge  la  necessita'  (e'  proprio il caso del
 presente  procedimento)  di  un  incidente  probatorio  -  o  di   un
 accertamento  tecnico non ripetibile, art. 360 del c.p.p. - che senso
 avrebbe   la   loro   effettuazione,   pur    ritenuta    necessaria,
 imprescindibile  e  urgente, conoscendo ex ante che si tratta di atti
 colpiti da inutilizzabilita'?
    Certo il p.m. potrebbe svolgere le "attivita' integrative" di  cui
 all'art.  430  del  c.p.p.  (indagini  comunque,  si  badi,  di assai
 limitata latitudine) una volta esercitata l'azione  penale,  (ove  si
 ritenga  possibile  un  tale  esercizio  pur  essendo  gia' scaduti i
 termini:  cfr.  pero'  l'art.  405/2 del c.p.p.), ma quale coerenza e
 ragionevolezza  si  potrebbe  ravvisare  in  una  soluzione  che  per
 consentire  al  p.m.  di  svolgere  le  indagini ritenute opportune e
 necessarie per assumere le proprie determinazioni in  una  situazione
 ancora  non  compiutamente  focalizzata  circa  la  fondatezza  della
 notizia di reato, lo costringa  ..  ad  esercitare  l'azione  penale?
 (determinando cosi' l'assunzione - anticipata e non ancora supportata
 e giustificata da indagini esausitive - della qualita' di imputato da
 parte   dell'"indagato"  con  tutte  le  conseguenze  per  lo  stesso
 pregiudizievoli).
    Tale  opzione   parrebbe   contraddittoria   con   l'esigenza   di
 completezza   delle   indagini,  (cui  anche  poco  sopra  si  faceva
 riferimento) la quale " .. funge da argine contro eventuali prassi di
 esercizio 'apparente' dell'azione penale, che, avviando  la  verifica
 giurisdizionale  sulla base di indagini troppo superficiali, lacunose
 o monche, si risolverebbe in un ingiustificato  aggravio  del  carico
 dibattimentale",  completezza  che risulta cosi' interconnessa da una
 parte al rispetto sostanziale del disposto di cui all'art. 112  della
 Costituzione,  dall'altra alla esigenza di esercitare l'azione penale
 solo ove il p.m. verifichi la mancanza dei  presupposti  che  rendono
 doverosa  la  archiviazione  -  art.  50  del  c.p.p.  -  (cfr. Corte
 costituzionale n. 88/1991).
    Non  pare,  cosi',  che  via  sino  soluzioni  interpretative  che
 consentano  di  superare  la non manifesta infondatezza del dubbio di
 costituzionalita' nei riguardi dell'art. 112 della  Costituzione  del
 disposto  degli  artt.  405/2,  406/1  e 407/3 del c.p.p., richiamato
 dall'art. 553 del c.p.p., norme dell'applicazione delle quali  questo
 giudice  non  puo'  prescindere (e alle quali soltanto e' limitata la
 questione sollevata, pur nella consapevolezza che problemi del  tutto
 analoghi  vengono  posti  da  altre  norme  del titolo VIII del Libro
 quinto del c.p.p.).