IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del fascicolo n. 316/90 r.n.r. - 31/91 r. giudice per le indagini preliminari; Letta la richiesta di archiviazione formulata dal p.m. il 7 gennaio 1991 ed in pari data depositata nella cancelleria di questo giudice; Visto il proprio provvedimento con il quale, trattenuti gli atti presso il proprio ufficio, venivano indi- cate al p.m. ulteriori indagini da svolgere; Letta la sentenza con la quale la suprema Corte rigettava il ricorso del p.m. avverso il provvedimento di questo ufficio; Visto l'adempimento totale del p.m. all'ordinanza del giudice per le indagini preliminari con la quale venivano indicate le ulteriori indagini; Visto il provvedimento dell'11 luglio 1991 con il quale il p.m. ha "rinnovato" la richiesta di archiviazione del 7 gennaio 1991; O S S E R V A In base all'originaria formulazione dell'art. 554 cpv. del c.p.p. quando il p.m., concluse le indagini, trasmetteva gli atti con la richiesta di archiviazione al giudice per le indagini preliminari, quest'ultimo poteva o accogliere la richiesta archiviando il procedimento o con ordinanza restituire gli atti al p.m. disponendo che quest'ultimo formulasse la imputazione: sicche' ove il giudice avesse riscontrato l'esigenza di ulteriori indagini, altro non poteva fare, a mente dell'art. 157 delle disp. att. del c.p.p., che archiviare, trasmettere gli atti al p.m. e contemporaneamente informare il procuratore generale presso la corte di appello per l'eventuale riapertura delle indagini ex art. 414 del c.p.p. Il sistema su delineato ha suscitato, come era immaginabile, numerosi dubbi di costituzionalita' e la Corte costituzionale, con la sentenza n. 445/1990, ha dichiarato l'illegittimita' dell'art. 157 predetto nonche' dell'art. 157 predetto nonche' dell'art. 554 cpv. del c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice per le indagini preliminari, richiesto dal p.m. della archiviazione per infondatezza della notizia di reato, possa indicare con ordinanza al p.m. le ulteriori indagini da compiere, fissando allo stesso il termine indispensabile per il loro compimento (cosi' estendendo anche alla pretura il regime previsto dall'art. 409, quarto comma, del c.p.p.). La pronuncia della consulta se da un lato ha risolto dei dubbi, dall'altro ne ha suscitati di nuovi e complessi. Innanzitutto, per quanto riguarda la procedura con la quale le ulteriori indagini possono essere richieste dal giudice per le indagini preliminari al p.m., potrebbe dirsi che a seguito dell'intervento della Corte la disciplina prevista in pretura sia la stessa che e' disposta per i procedimenti di competenza del tribunale dall'art. 409, secondo, terzo e quarto comma, del c.p.p. Senonche' una siffatta procedura in primo luogo contrasterebbe con il principio di massima snellezza indicato nella legge-delega per i procedimenti pretorili; peraltro la Corte ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale dell'art. 554, secondo comma, del c.p.p. per contrasto con l'art. 3 della Costituzione quale principio di coerenza e ragionevolezza, e non gia' con riferimento alla differenza di disciplina tra il sistema operante in pretura e quello valido per il tribunale, onde pienamente legittima puo' dirsi una differenziazione dei riti (per il tribunale, quindi, si applica la disciplina prevista dall'art. 408 del c.p.p., per la pretura, invece, quella espressamente prevista dall'art. 554 cpv. del c.p.p. nella formulazione modificata dalla consulta). Deve pertanto ritenersi, anche per non estendere la pronuncia della Corte al di la' del testuale contenuto della stessa e per non introdurre in pretura quell'udienza preliminare che e' tipica del procedimento dinanzi al tribunale, che il giudice per le indagini preliminari presso la pretura il quale ritenga necessarie ulteriori indagini possa e debba emettere l'ordinanza con cui indica al p.m. le ulteriori indagini da compiere senza dover previamente fissare udienza preliminare in camera di consiglio a mente degli artt. 127 e 409 c.p.p.: in questi sensi si e' ormai piu' volte pronunciata peraltro la suprema Corte (cfr. Cass. n. 2026 del 4 maggio 1991, Cass. n. 2212 del 10 maggio 1991). Risolto il primo dubbio interpretativo, ne sorge immediatamente un altro: non e' chiaro, infatti, se a seguito dell'espletamento delle ulteriori indagini da parte del p.m., cosi' come indicate dal giudice per le indagini preliminari, sia il p.m. stesso - cui gli atti siano stati ritrasmessi dal giudice per le indagini preliminari - a poter scegliere se a) emettere direttamente il decreto di citazione a giudizio, ovvero b) reiterare la richiesta di archiviazione, oppure se sia il giudice per le indagini preliminari a dover valutare - senza ritrasmettere gli atti fintantoche' il p.m. non abbia adempiuto all'ordinanza - se a) accedere alla (originaria) richiesta di archiviazione, qualora le ulteriori indagini svolte dal p.m. non abbiano evidenziato la fondatezza della notizia di reato, ovvero b) disporre che il p.m. formuli coattivamente l'imputazione. Invero la prima tesi ("valutazione" da parte della pubblica accusa) sembra essere stata quella cui ha aderito (in motivazione) la citata sentenza della Corte costituzionale che parla delle possibilita' del p.m. di riproporre la richiesta di archiviazione "a seconda dell'esito delle ulteriori indagini" (ma, sempre in motivazione, la Corte, nel differenziare il rito pretorile da quello dinanzi al tribunale, sembra aderire alla tesi opposta in base alla quale, richiesta l'archiviazione, spetta al giudice la scelta tra il disporre l'archiviazione e lo imporre la formulazione della imputazione all'esito delle ulteriori indagini: ne' puo' ritenersi che la Corte intendesse far riferimento al solo procedimento dinanzi al tribunale, in quanto sarebbe illogico che solo per questo rito la Corte ritenesse che la valutazione a seguito delle ulteriori indagini spetti al giudice e non al p.m. poiche', in mancanza d'una espressa disciplina, i principi non possono che essere gli stessi). Senonche' da un lato va rilevato che la portata delle pronunce d'incostituzionalita' non puo' essere esteso oltre i limiti risultanti dal dispositivo della sentenza della Corte costituzionale; dall'altro lato detta tesi, pur non essendo priva di coerenza nell'ambito del rinnovato sistema processualpenalistico, incontra un limite insuperabile consistente nella assoluta impossibilita' d'un effettivo controllo giurisdizionale endoprocedimentale dell'attivita' di ulteriore indagine da svolgersi dal p.m. su indicazione del giudice per le indagini preliminari: nessun controllo, infatti, circa l'avvenuto svolgimento delle ulteriori indagini sarebbe attribuito al giudice per le indagini preliminari nell'ipotesi in cui il p.m. decidesse di emettere direttamente il decreto di citazione a giudizio; ne' un tale controllo potrebbe essere utilmente esercitato dal pretore in sede dibattimentale, non essendo previsto che nel fascicolo per il dibattimento vengano inclusi anche l'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari ha disposto ulteriori indagini ed i verbali di tali indagini. Il problema - si noti per inciso - insorge solo nel rito pretorile, atteso che nei procedimenti di competenza del tribunale il rinvio a giudizio e' disposto dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell'udienza preliminare (nella quale viene verificata la completezza delle indagini e, ovviamente, il rispetto da parte della pubblica accusa della ordinanza con la quale erano state disposte ulteriori indagini). Peraltro non vi e' dubbio che il p.m. abbia l'obbligo di compiere le indagini indicate dal giudice (pur essendo libero circa i singoli atti d'indagine che ritenga di svolgere per soddisfare l'esigenza evidenziata dal giudice per le indagini preliminari) trattandosi d'un obbligo intimamente connesso con il precetto costituzionale dell'art. 112 della Costituzione dell'obbligatorieta' dell'azione penale (v. Corte costituzionale nn. 88 e 253 del 1991), principio che concorre a garantire da un lato l'indipendenza del p.m. nell'esercizio delle sue funzioni e dall'altro l'eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge penale, sicche' l'azione e' a tale organo attribuita senza consentirgli alcun margine di discrezionalita' nell'adempimento di tale doveroso ufficio (Corte costituzionale n. 84/1979). A ben vedere, lasciare al p.m. la facolta' di emettere autonomamente e direttamente il decreto di citazione a giudizio all'esito delle ulteriori indagini svolte su indicazione del giudice per le indagini preliminari finirebbe con lo svuotare sostanzialmente di contenuto e di forza tale indicazione, vanificando la portata della sentenza della Corte costituzionale n. 445/1990. Questa, richiamando un parere del C.S.M., ha evidenziato in motivazione che "appare difficilmente comprensibile come si possa, nello stesso tempo, disporre l'archiviazione e segnalare, da parte del giudice 'terzo', l'esigenza di ulteriori indagini senza poi nulla poter fare di fronte ad una mancata richiesta di riapertura delle indagini": nondimeno incomprensibile deve ritenersi quindi come si possa allo stesso tempo indicare da parte del giudice ulteriori indagini senza poi nulla poter fare se tali indagini non siano svolte adeguatamente o se essere addirittura non siano svolte affatto (cosa della quale esso giudice per le indagini preliminari potrebbe anche non venir mai a cooscenza, cosi' come potrebbe non venirne a conoscenza il giudice del dibattimento). In tal modo - si ribadisce - verrebbe vanificata la sentenza della Corte costituzionale n. 445/1990 e si aprirebbe una breccia insanabile al principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, a presidio del quale e' posto il potere-dovere del giudice per le indagini preliminari di indicare ulteriori indagini (v. Corte costituzionale nn. 88 e 253 del 1991, citate). Tenuto conto di quanto sopra, va senz'altro privileggiata la seconda tesi, in base alla quale il pubblico ministero, svolte le ulteriori indagini indicategli dal giudice per le indagini preliminari, dovra' trasmettere la relativa documentazone a quest'ultimo organo il quale, valutati gli atti nella loro interezza (sia quelli gia' trasmessi con la richiesta di archiviazione, sia questa ulteriore documentazione), verifichera' se archiviare gli atti ovvero provvedere a norma dell'art. 554 cpv. del c.p.p. Tale tesi, peraltro, appare piu' consona alla portata testuale dell'art. 554 cpv. del c.p.p. quale risulta a seguito del dispositivo della ripetuta sentenza della corte costituzionale n. 445/1990. Quest'ultima sentenza, infatti, non ha affermato che il giudice per le indagini preliminari debba con ordinanza trasmettere gli atti al p.m. indicando le ulteriori indagini da svolgere ma unicamente che il giudice per le indagini preliminari, cui gli atti sono stati trasmessi dal p.m. con la richiesta di archiviazione "se ritiene necessarie ulteriori indagini, le indichi con ordinanza al pubblico ministero, fissando il termine indispensabile per il loro compimento": sicche' bisogna ritenere, a meno di voler forzare indebitamente la portata testuale della sentenza della Corte, che a seguito della richiesta di archiviazione gli atti restino presso il giudice per le indagini preliminari fintantoche' il p.m. non abbia compiuto, nel termine fissato, le ulteriori indagini indicate - eventualmente, ove lo ritenga opportuno, trattenendo copia degli atti - e che, all'esito di tali indagini, sara' il giudice oer le indagini preliminari a valutare se accogliere la richiesta di archiviazione o provvedere con ordinanza alla restituzione degli atti al p.m. disponendo che quest'ultimo formuli l'imputazione. L'attivita' di ulteriore investigazione va quindi inquadrata quale compimento di atti integrativi indispensabili per consentire al giudice per le indagini preliminari un'adeguata valutazione della richiesta del p.m. In definitiva, pertanto, richiesta dal p.m. l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato, il giudice per le indagini preliminari potra': a) pronunciare decreto motivato di archiviazione e restituire gli atti al p.m. (artt. 409 e 509 del c.p.p.); b) restituire con ordinanza gli atti al p.m. disponendo che, entro dieci giorni, questi formuli l'imputazione (art. 554 cpv. del c.p.p.); c) indicare con ordinanza al p.m. le ulteriori indagini da svolgersi, fissando il termine indispensabile per il loro compimento (sentenza Corte costituzionale n. 445/1990). Sul punto sono intervenute, a quanto consta, due sole pronunce della Corte di cassazione, la n. 2026 del 4 maggio 1991 e la n. 2212 del 10 maggio 1991. Esse, benche' provenienti dalla medesima sezione, la terza, e benche' depositate a pochissimi giorni di distanza l'una dall'altra, hanno pronunciato in materia diametralmente opposta su ricorsi assolutamente identici nella motivazione della procura della Repubblica di Avellino su ordinanze, anch'esse assolutamente identiche nella motivazione, emesse da questo ufficio rispettivamente in data 16 gennaio 1991 e 7 gennaio 1991. Entrambe le sentenze della suprema Corte appaiono pero' poco convincenti. La sentenza n. 2212 (pres. Gambino, est. Cavallari) ha annullato l'ordinanza di questo giudice "limitatamente alla parte che dispone di trattenere gli atti presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari". Cio' in quanto - sostiene il supremo collegio - l'ordinanza "si pone contro il generale principio proprio del processo pretorile, secondo cui il p.m., senza 'passare' attraverso l'udienza preliminare, ordina direttamente la citazione a giudizio. Ove, poi, il p.m., all'esito delle ulteriori indagini, insistera' nella richiesta di archiviazione, dovra' rivolgersi ex novo al giudice per le indagini preliminari per il relativo provvedimento. Ne' puo' sostenersi che un tal modo di procedere sottrae al giudice la valutazione in merito alla congruita' delle indagini in ordine al rinvio a giudizio, dato che questo giudizio spetta, comunque, al giudice, anche se, soltanto, al giudice del dibattimento, dovendosi ritenere che nel fascicolo per il dibattimento vadano inclusi anche l'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari ha disposto le ulteriori indagini ed i verbali di tali indagini". Questa sentenza ha il pregio d'aver evidenziato l'ineludibilita' d'un controllo giurisdizionale endoprocedimentale sull'adempimento dell'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari con la quale - a tutela dell'obbligatorio esercizio dell'azione penale - vengono indicate ulteriori investigazioni. Senonche' e' sotto alcuni aspetti palesemente erronea. Non occorrono invero molte parole per confutare l'incredibile tesi (assolutamente priva di riscontri normativi) secondo cui nel fascicolo del dibattimento andrebbero inclusi (e' da ritenere obbligatoriamente) l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari ed i verbali delle indagini svolte su indicazioni del giudice. Da un lato non si vede cosa rimarrebbe del principio (esso si' generale) secondo cui il pretore giudicante non deve avere conoscenza degli atti d'indagine preliminare svolti (salvo si tratti di atti irripetibili o che essi siano stati posti in essere con tali garanzie da configurare un vero e proprio anticipato dibattimento). In secondo luogo non e' chiaro in base a quale lettura dell'art. 431 del c.p.p. si e' pervenuti ad una siffatta interpretazione, a dir poco sorprendente. Infine non si vede a qual fine, sotto l'aspetto processuale, il pretore a dibattimento avrebbe conoscenza dell'esatto od inesatto adempimento dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari (non potendosi sostituire al p.m. in caso d'inadempimento ne' potendo in altro modo provvedere per far si che le indagini indi- cate - che potrebbero perdipiu', per il tempo trasorso, essere assolutamente non piu' praticabili - vengano comunque eseguite). In realta' non ci si e' resi conto dell'assoluto stravolgimento d'uno dei principi cardini del nuovo sistema processuale penale che si opererebbe ove si ritenesse che il p.m. sia obbligato ad inserire nel fascicolo per il dibattimento l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari ed i verbali delle ulteriori indagini svolte. E' da ritenere - a differenza di quanto sostenuto dalla suprema Corte nella citata sentenza n. 2212 - che nel fascicolo del dibattimento non possono e non debbono essere inseriti ne' il provvedimento del giudice per le indagini preliminari ne', assolutamente, i verbali delle ulteriori indagini svolte, con la conseguenza che il controllo sull'esatta osservanza dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari (che, non ci si stanca di ripetere, e' posta a garanzia della obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale: Corte costituzionale nn. 88 e 253 del 1991) rimarrebbe affidato .. .. al p.m. stesso³ Cio' detto, non puo' condividersi neanche l'affermazione secondo cui il giudice per le indagini preliminari, trattenendo il fascicolo per il breve periodo occorrente al p.m. per adempiere all'obbligo impostogli, si porrebbe contro "il generale principio proprio del processo pretorile, secondo cui il p.m., senza 'passare' attraverso l'udienza preliminare, ordina direttamente la citazione a giudizio". A parte la considerazione che e' proprio quest'omesso "passaggio", come e' stato evidenziato prima, a far sorgere in ambito pretorile il problema del controllo dell'esatto adempimento dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, invero non si e' mai ritenuto necessaria una udienza preliminare anche in pretura (e cio', rigettando sul punto il ricorso della procura della Repubblica presso la pretura di Avellino, e' stato chiaramente sostenuto - in questo caso con argomentazioni ineccepibili - dalla suprema Corte). Ne' si vede quale illegittimita' od abnormita' sia riscontrabile nel fatto che sia poi il giudice per le indagini preliminari, in ossequio al disposto dell'art. 554 cpv. del c.p.p., ad ordinare al p.m. di formulare l'imputazione³ Il fatto che il giudice per le indagini preliminari in pretura sia tenuto a trattenere gli atti presso di se' per il breve periodo occorrente per lo svolgimento delle indagini in- dicate al p.m., lungi dall'essere un comportamento strano ed abnorme, e', a sommesso avviso di questo ufficio, l'unico sistema praticabile per consentire in pretura il doveroso controllo giurisdizionale dell'attivita' d'indagine svolta su indicazione del giudice a tutela del principio di cui all'art. 112 della Costituzione. D'altronde gia' vi sono altre ipotesi di cui il giudice per le indagini preliminari trattiene gli atti presso di se' per il periodo di tempo occorrente ad acquisire elementi indispensabili per la sua valutazione. Si pensi, ad esempio, all'ipotesi - analoga a quella di cui si discute, pur essendovi ovvie differenze atteso che si e' in tribunale, ed in sede di udienza preliminare - in cui il giudice per le indagini preliminari, nella predetta sede, ritenga di avvalersi del potere di "indicare alle parti temi nuovi o incompleti sui quali si rende necessario acquisire ulteriori informazioni ai fini della decisione": in tal caso e' pacifico che il fascicolo, contenente tutti gli atti indicati nell'art. 416 cpv. del c.p.p. (notizia di reato, documentazione relativa alle indagini espletate, verbali degli atti compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari), viene trattenuto presso l'ufficio del giudice fintantoche' le parti non abbiano adempiuto a quanto disposto dal giudice per le indagini preliminari, si' da consentire quindi a quest'ultimo organo il doveroso controllo circa l'adempimento dell'ordinanza onde valutare se accogliere la richiesta del p.m. di rinvio a giudizio ovvero pronunciare sentenza di non luogo a procedere (cfr., al riguardo, il punto n. 53) della legge-delega, dal quale emerge chiaramente che gli atti processuali, pur dopo l'emissione dell'ordinanza da parte del giudice per le indagini preliminari, rimangono presso quest'ultimo ufficio). Se la sentenza n. 2212 della suprema Corte e', come si e' visto, assolutamente non convincente, non puo' andare esente da critiche neppure la sentenza n. 2026 (pres. Accinni, est. Montoro). Quest'ultima ha considerato legittima l'ordinanza di questo ufficio (con la quale il giudice per le indagini preliminari, richiesto dell'archiviazione, aveva respinto detta richiesta, trattenendo gli atti presso di se', ed indicato al p.m. ulteriori investigazioni da svolgere), ordinanza avverso la quale aveva proposto ricorso il p.m. Cio' sulla considerazione che "solo nel caso d'inadempimento successivo del p.m., 'il giudice per le indagini preliminari' avrebbe potuto restituire gli atti al p.m. e invitarlo a formulare comunque l'imputazione". Da un lato invero si accede (purtroppo senza precisare le motivazioni) alla tesi sostenuta da quest'ufficio secondo cui gli atti non vanno restituiti al p.m. congiuntamente all'ordinanza con cui sono indicate le ulteriori indagini al p.m. stesso. Dall'altro lato pero' si conclude semplicisticamente affermando che il p.m. puo' anche non adempiere all'ordinanza del giudice per le indagini preliminari (il quale, invece di aver emesso un provvedimento a garanzia dell'insopprimibile principio costituzionale dell'obbligatorieta' dell'azione penale, avrebbe emesso, in buona sostanza, un provvedimento .. .. per diporto), fermo restando che in tal caso il giudice per le indagini preliminari puo' ritrasmettere gli atti al p.m. ed "invitarlo a formulare comunque l'imputazione". Ma non si e' adeguatamente valutato che questa facolta' il giudice per le indagini preliminari gia' aveva anche prima di emettere l'ordinanza di ulteriori indagini e, se non l'ha esercitata, evidentemente non vi era possibilita' di farlo poiche' le indagini erano carenti o addirittura, del tutto mancanti; e tali, ove il p.m. non abbia adempiuto, sono restate). A ben guardare, quindi, anche questa sentenza della Corte di cassazione vanifica la portata della sentenza della Corte costituzionale n. 445/1990, lasciando al p.m. la liberta' di adempiere o no all'ordinanza del giudice per le indagini preliminari e vulnerando ahime' irreparabilmente il piu' volte ricordato principio dell'obbligatorieta' della azione penale, a presidio del quale e' posta l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari con la quale vengono indicate le ulteriori indagini (Corte costituzionale nn. 88 e 253 citate). Deve ritenersi invece che il p.m. non possa in alcun modo esimersi dall'adempiere puntualmente (pur nella sua autonomia ribadita dalla ordinanza della Corte costituzionale n. 253 citata) all'ordinanza del giudice per le indagini preliminari. Non e' pero' normativamente previsto cosa possa fare il giudice per le indagini preliminari, in quest'ipotesi d'inadempimento del p.m., sotto il profilo processuale. A parte ogni responsabilita', anche disciplinare, dal p.m. per l'omesso od inesatto adempimento dell'ordinanza del giudice per le indagini preliminari, deve assolutamente essere previsto un criterio che renda ineludibile l'ordinanza: cio' a tutela del principio dell'art. 112 della Costituzione. Non puo' dubitarsi infatti della necessita', rinveniente dal citato precetto costituzionale, del "controllo del giudice sull'attivita' omissiva del p.m., si' da fornirgli la possibilita' di contrastare la inerzia e le lacune investigative di quest'ultimo ed evitare che le sue scelte si traducano in esercizio discriminatorio dell'azione (o inazione) penale" (Corte costituzionale n. 88/1991). Tale criterio non puo' consistere nella obbligatoria avocazione del procuratore generale, atteso che - come ha giustamente rilevato la consulta nell'ordinanza n. 253 del 22 maggio-6 giugno 1991 - "l'intervento sostitutivo del procuratore generale previsto dalla norma denunciata non e' in se' destinato a 'modificare' le conclusioni del pubblico ministero o a surrogare una obiettiva inerzia in ordine alle scelte sulla azione, ovvero, ancora, a dirimere patologiche - e percio' stesso non disciplinabili - situazioni di stallo". Nondimeno un criterio che renda ineludibile l'ordinanza del giudice per le indagini preliminari con la quale vengono indicate ulteriori indagini e' imposto dall'art. 112 della Costituzione, che riceverebbe altrimenti una tutela meramente formale - e cio' peraltro anche ove si volesse ritenere, il che e' da escludere per motivi prima esposti, che gli atti processuali, rigettata la richiesta di archiviazione del p.m., vadano dal giudice per le indagini preliminari contestualmente restituiti al p.m. - (che significato avrebbe prevedere infatti a garanzia dell'obbligatorieta' dell'azione penale lo strumento dell'ordinanza con cui sono indicate le ulteriori indagini necessarie, quando poi nulla fosse previsto per rendere effettivamente operativa detta ordinanza? Com'e' possibile che non ci si accorga che fra tante parole e tante battaglie - in ogni sede - a sostegno del principio dell'obbligatorieta' dell'azione penale, si perderebbe, nella sede piu' naturale, la battaglia piu' importante, volta ad evitare che il p.m. possa disporre dell'azione penale in maniera priva d'ogni controllo?. Si e' riflettuto adeguatamente sulle conseguenze di un'archiviazione lasciata sostanzialmente in tutto e per tutto nelle mani del p.m. (anche se - per ora? - non sottoposto all'esecutivo), il quale ben potrebbe richiedere l'archiviazione e, non ottenutala per essergli stata rappresentata l'esigenza di ulteriori indagini, omettere di svolgere tali investigazioni lasciando al giudice per le indagini preliminari l'"allettante" alternativa di archiviare o disporre - se pure possibile - la formulazione coattiva dell'imputazione, pur sapendo che proprio mancando quelle indagini indicate - e che nessun altro potrebbe svolgere o far svolgere, se pure esse siano ancora utilmente praticabili - il risultato processuale non potrebbe che essere assolutorio? E' da intendere in quest'ultimo senso l'obbligatorieta' dell'azione penale voluta dalla Costituzione? E se si e' impedito, con l'introduzione dell'art. 521 cpv. del c.p.p., che il p.m., in caso di inerzia, potesse divenire l'arbitro del risultato del processo "situazione che risulterebbe perfettamente conseguente solo in un sistema imperniato sulla disponibilita' dell'azione e sul vincolo alla domanda" (cosi' Relazione, art. 521 del c.p.p.) non sarebbe ancor piu' il p.m. arbitro del risultato del processo in questo modo?). Si prenda in considerazione l'esempio d'una informativa della polizia giudiziaria dalla quale emerga che e' in corso un rilevante fenomeno di sospetto inquinamento delle acque d'un fiume ad opera, presumibilmente, d'una azienda posta, insieme ad altra, nelle vicinanze del fiume stesso. Il p.m. chede l'archiviazione del procedimento instaurato a carico del titolare di tale azienda sostenendo l'infondatezza della notitia criminis. Il giudice per le indagini preliminari, ravvisata l'esigenza di ulteriori indagini, rigetta la richiesta di archiviazione ed indica al p.m. di accertare, a mezzo u.s.l. o in altro modo, se vi sia stato superamento dei limiti tabellari di cui alla legge c.d. "Merli" (ai fini della configurabilita' del reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della legge n. 319/1976 ss.mm.). Il p.m. non svolge tali indagini e rinnova (se anche necessario) la richiesta di archiviazione. A questo punto che puo' fare il giudice per le indagini preliminari? Il suo controllo - posto a tutela dell'obbligatorieta' della azione penale - verrebbe meno. L'art. 112 della Costituzione diverrebbe vuota for- mula. Il giudice per le indagini preliminari infatti potrebbe, allo stato della legislazione, o archiviare gli atti, con buona pace dell'art. 112 della Costituzione ( .. e del fiume inquinato) - nonche' dell'art. 101, secondo comma, della Costituzione, che assoggetta il giudice solo alla legge e non anche all'inerzia d'una parte - o disporre che il p.m. formuli l'imputazione: ma quale imputazione si potrebbe far formulare in mancanza d'una indagine che evidenzi l'eventuale superamento dei limiti tabellari (e che evidenzi, altresi', individuando il tipo di sostanze inquinanti, se il reasto sia attribuibile all'azienda incriminata o non piuttosto ad altra azienda posta nelle vicinanze e che scarichi nel medesimo fiume)? E poi, quand'anche fosse stata disposta la coattiva formulazione dell'imputazione, a qual fine cio' avverrebbe? Il pre- tore a dibattimento, se pur avesse sentore - per arte divinatoria, e' a ritenere - dell'esigenza che il giudice per le indagini preliminari rappresento' al p.m. di effettuare accertamenti sul superamento dei limiti tabellari da parte dell'azienda incriminata, non potrebbe che pronunciare sentenza assolutoria, essendo peraltro ormai tardi per verificare se, tanti mesi prima, si era verificata una ipotesi di inquinamento delle acque. A ben guardare, quindi, si sarebbe avuto in questo caso un apparente esercizio dell'azione penale inutile, incostituzionale e pernicioso per la funzionalita' degli uffici giudiziari (trattandosi di uno di quei dibattimenti superflui che il nuovo codice tanto avversa), in contrasto quinsi - oltre che con i precetti costituzionali su evidenziati - con gli artt. 3 e 97 della Costituzione (coerenza e ragionevolezza nelle scelte legislative e buon andamento della pubblica amministrazione). La scelta costituzionalmente obbligata, allo stato della legislazione, non puo' che essere la seguente, nessun'altra opzione esistendo: e' il giudice per le indagini preliminari stesso che, nell'ipotesi di inadempimento da parte del p.m. dell'ordinanza con la quale vengono indicate le ulteriori indagini da svolgere, puo' far espletare, d'ufficio, tali indagini, al fine di acquisire gli elementi indispensabili al fine di valutare se accedere alla richiesta di archiviazione formulata dal p.m. o invitare il p.m. a disporre la citazione a giudizio. Allo stesso modo, peraltro, il giudice per le indagini preliminari gia' puo' disporre, anche d'ufficio e senza formalita' "accertamenti sulle condizioni di salute o su altre condizioni o qualita' personali dell'imputato" nei casi previsti dall'art. 4- ter dell'art. 299 del c.p.p., cosi' come introdotto dall'art. 14 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12. Vero e' che in questo modo il giudice per le indagini preliminari assumerebbe un (limitato) potere inquisitorio, ma si tratterebbe invero d'un potere volto unicamente all'acquisizione di elementi indispensabili al fine di consentirgli di esercitare con pienezza il suo compito principale, cioe' il controllo sull'operato del p.m. a tutela dell'obbligatorieta' dell'azione penale, e di decidere quindi adeguatamente quale provvedimento adottare in ordine alla richiesta di archiviazione proveniente dalla pubblica accusa (sempreche' quest'ultima sia rimasta inerte in ordine alla legittima richiesta di ulteriori investigazioni formulata dal giudice per le indagini preliminari stesso). Non e' infatti concepibile che in qualche modo il p.m. possa essere "forzato" a svolgere delle indagini che pure il giudice per le indagini preliminari reputi indispensabili (e cio' nell'esercizio del potre attribuitogli a tutela dell'art. 112 della Costituzione) ed allora nessun'altra possibilita' esiste che quella di far si che quegli elementi vengano acquisiti dall'organo stesso che li ritiene indispensabili. Ne' in cio' si vede una "riedizione" del giudice istruttore: e' il codice stesso invero ad attribuire al giudice per le indagini preliminari una funzione ibrida, il che deriva dal fatto che non si e' voluto (ne' si sarebbe potuto) ritagliare al p.m. di pretura una sfera d'incontrollata liberta' e discrezionalita' nell'esercizio dell'azione penale. Non sembra affatto quindi che in questo modo verrebbe "reintrodotto" il giudice istruttore, ma semplicemente - il che forse puo' non piacere a qualcuno - si verrebbe a disegnare una figura di giudice per le indagini preliminari che possa effettivamente ed efficacemente assicurare anche in pretura un puntuale controllo dell'obbligatorio esercizio dell'azione penale. In considerazione di quanto sopra, si ritiene pertanto non manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale, per contrasto con l'art. 112 della Costituzione (obbligatorio esercizio dell'azione penale da parte del p.m.), con l'art. 101, secondo comma, della Costituzione (soggezione dei giudici solo alla legge, e non anche al p.m.), con l'art. 3 della Costituzione (che impone coerenza e ragionevolezza nelle scelte legislative) nonche' con l'art. 97, primo comma, della Costituzione (che impone il buon andamento e la funzionalita' dell'amministrazione), dell'art. 554 cpv. del c.p.p. - come risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 445/1990 - nella parte in cui non prevede che, in caso di inadempimento del p.m. all'ordinanza con la quale il giudice per le indagini preliminari ha indicato le ulteriori indagini, il giudice per le indagini preliminari stesso, ove reputi dette indagini ancora indispensabili, effettua le stesse d'ufficio, disponendo all'esito l'archiviazione ovvero disponendo che il p.m. formuli l'imputazione. Il sistema risultante da tutte le argomentazioni che procedono e' da considerarsi l'unico che consenta una ristrutturazione del rapporto p.m.-giudice per le indagini preliminari, in pretura, in ambiti conformi al dettato costituzionale. La citata questione e' altresi' rilevante. Questo giudice, infatti, aveva rigettato la richiesta di archiviazione del p.m. formulata il 7 gennaio 1991, indicando ulteriori indagini da svolgere e fissando il termine indispoensabile per il loro compimento. Il p.m. non ha svolto affatto tali ulteriori indagini (ed il ricorso proposto avverso l'ordinanza di questo giudice per le indagini preliminari e' stato rigettato dalla Corte di cassazione con sentenza depositata il 4 maggio 1991). In data 11 lugio 1991 il p.m. ha "rinnovato" la richiesta di archiviazione del 7 gennaio 1991. Il giudice per le indagini preliminari deve pertanto (anche indipendentemente dalla nuova e superflua richiesta di archiviazione) provvedere e, reputandosi tuttora indispensabili le ulteriori indagini originariamente indicate (ma non espletate) e non potendo peraltro invitare il p.m. a formulare comunque l'imputazione (che, in difetto delle indagini indicate, porterebbe ad un superfluo dibattimento sicuramente assolutorio se pure potesse concretamente ritenersi enucleabile allo stato degli atti ed in mancanza delle indagini indi- cate, un capo d'imputazione ragionevole), e' giocoforza ritenere che dalla risoluzione della prospettata questione di legittimita' costituzionale dipende l'emanando provvedimento di questo giudice per le indagini preliminari.