IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI
    Letti  gli  atti del fascicolo n. 316/90 r.n.r. - 31/91 r. giudice
 per le indagini preliminari;  Letta  la  richiesta  di  archiviazione
 formulata dal p.m. il 7 gennaio 1991 ed in pari data depositata nella
 cancelleria  di questo giudice; Visto il proprio provvedimento con il
 quale,  trattenuti gli atti presso il proprio ufficio, venivano indi-
 cate al p.m. ulteriori indagini da svolgere; Letta la sentenza con la
 quale la suprema Corte rigettava  il  ricorso  del  p.m.  avverso  il
 provvedimento  di questo ufficio; Visto l'adempimento totale del p.m.
 all'ordinanza del giudice per le indagini preliminari  con  la  quale
 venivano  indicate  le  ulteriori  indagini;  Visto  il provvedimento
 dell'11 luglio 1991 con il quale il p.m. ha "rinnovato" la  richiesta
 di archiviazione del 7 gennaio 1991;
                             O S S E R V A
    In  base all'originaria formulazione dell'art. 554 cpv. del c.p.p.
 quando il p.m., concluse le indagini, trasmetteva  gli  atti  con  la
 richiesta  di  archiviazione  al giudice per le indagini preliminari,
 quest'ultimo  poteva  o  accogliere  la  richiesta   archiviando   il
 procedimento  o  con ordinanza restituire gli atti al p.m. disponendo
 che quest'ultimo formulasse la imputazione: sicche'  ove  il  giudice
 avesse riscontrato l'esigenza di ulteriori indagini, altro non poteva
 fare,  a  mente  dell'art.  157  delle  disp.  att.  del  c.p.p., che
 archiviare,  trasmettere  gli  atti  al  p.m.  e   contemporaneamente
 informare  il  procuratore  generale  presso  la corte di appello per
 l'eventuale riapertura delle indagini ex art.  414  del  c.p.p.    Il
 sistema  su  delineato  ha suscitato, come era immaginabile, numerosi
 dubbi di costituzionalita' e la Corte costituzionale, con la sentenza
 n. 445/1990, ha dichiarato l'illegittimita'  dell'art.  157  predetto
 nonche' dell'art. 157 predetto nonche' dell'art. 554 cpv.  del c.p.p.
 nella  parte  in  cui  non  prevede  che  il  giudice per le indagini
 preliminari, richiesto dal p.m. della archiviazione per  infondatezza
 della  notizia  di  reato,  possa  indicare  con ordinanza al p.m. le
 ulteriori indagini da  compiere,  fissando  allo  stesso  il  termine
 indispensabile  per  il  loro compimento (cosi' estendendo anche alla
 pretura il regime previsto dall'art. 409, quarto comma, del c.p.p.).
    La pronuncia della consulta se da un lato ha  risolto  dei  dubbi,
 dall'altro  ne  ha suscitati di nuovi e complessi.  Innanzitutto, per
 quanto riguarda la procedura  con  la  quale  le  ulteriori  indagini
 possono  essere  richieste dal giudice per le indagini preliminari al
 p.m., potrebbe dirsi che a seguito  dell'intervento  della  Corte  la
 disciplina  prevista  in  pretura sia la stessa che e' disposta per i
 procedimenti di competenza  del  tribunale  dall'art.  409,  secondo,
 terzo e quarto comma, del c.p.p.  Senonche' una siffatta procedura in
 primo  luogo  contrasterebbe  con  il  principio di massima snellezza
 indicato nella legge-delega per i procedimenti pretorili; peraltro la
 Corte ha dichiarato l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  554,
 secondo   comma,   del  c.p.p.  per  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione quale principio di coerenza e ragionevolezza, e non gia'
 con riferimento alla differenza di disciplina tra il sistema operante
 in  pretura  e  quello  valido  per  il  tribunale,  onde  pienamente
 legittima puo' dirsi una differenziazione dei riti (per il tribunale,
 quindi,  si  applica la disciplina prevista dall'art. 408 del c.p.p.,
 per la pretura, invece, quella espressamente prevista  dall'art.  554
 cpv. del c.p.p. nella formulazione modificata dalla consulta).
    Deve  pertanto  ritenersi,  anche  per  non estendere la pronuncia
 della Corte al di la' del testuale contenuto della stessa e  per  non
 introdurre  in  pretura  quell'udienza  preliminare che e' tipica del
 procedimento dinanzi al tribunale, che il  giudice  per  le  indagini
 preliminari  presso  la pretura il quale ritenga necessarie ulteriori
 indagini possa e debba emettere l'ordinanza con cui indica al p.m. le
 ulteriori  indagini  da  compiere  senza  dover  previamente  fissare
 udienza  preliminare in camera di consiglio a mente degli artt. 127 e
 409 c.p.p.: in questi  sensi  si  e'  ormai  piu'  volte  pronunciata
 peraltro  la  suprema  Corte  (cfr.  Cass. n. 2026 del 4 maggio 1991,
 Cass. n.  2212  del  10  maggio  1991).    Risolto  il  primo  dubbio
 interpretativo,  ne  sorge  immediatamente  un  altro: non e' chiaro,
 infatti, se a seguito dell'espletamento delle ulteriori  indagini  da
 parte  del  p.m.,  cosi'  come  indicate  dal giudice per le indagini
 preliminari,  sia  il  p.m.  stesso  -  cui  gli  atti  siano   stati
 ritrasmessi  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  -  a poter
 scegliere se a) emettere  direttamente  il  decreto  di  citazione  a
 giudizio,  ovvero  b) reiterare la richiesta di archiviazione, oppure
 se sia il giudice per le indagini  preliminari  a  dover  valutare  -
 senza ritrasmettere gli atti fintantoche' il p.m. non abbia adempiuto
 all'ordinanza  -  se  a)  accedere  alla  (originaria)  richiesta  di
 archiviazione, qualora le ulteriori  indagini  svolte  dal  p.m.  non
 abbiano  evidenziato  la fondatezza della notizia di reato, ovvero b)
 disporre che il p.m. formuli coattivamente l'imputazione.
    Invero la  prima  tesi  ("valutazione"  da  parte  della  pubblica
 accusa) sembra essere stata quella cui ha aderito (in motivazione) la
 citata   sentenza   della   Corte   costituzionale  che  parla  delle
 possibilita' del p.m. di riproporre la richiesta di archiviazione  "a
 seconda   dell'esito   delle   ulteriori  indagini"  (ma,  sempre  in
 motivazione, la Corte, nel differenziare il rito pretorile da  quello
 dinanzi  al  tribunale, sembra aderire alla tesi opposta in base alla
 quale, richiesta l'archiviazione, spetta al giudice la scelta tra  il
 disporre   l'archiviazione   e   lo  imporre  la  formulazione  della
 imputazione all'esito delle ulteriori indagini:  ne'  puo'  ritenersi
 che  la Corte intendesse far riferimento al solo procedimento dinanzi
 al tribunale, in quanto sarebbe illogico che solo per questo rito  la
 Corte ritenesse che la valutazione a seguito delle ulteriori indagini
 spetti  al  giudice e non al p.m. poiche', in mancanza d'una espressa
 disciplina, i principi non possono che essere gli stessi).  Senonche'
 da   un   lato   va   rilevato   che   la   portata   delle  pronunce
 d'incostituzionalita'  non  puo'  essere  esteso   oltre   i   limiti
 risultanti dal dispositivo della sentenza della Corte costituzionale;
 dall'altro  lato  detta  tesi,  pur  non  essendo  priva  di coerenza
 nell'ambito del rinnovato sistema processualpenalistico, incontra  un
 limite  insuperabile  consistente  nella assoluta impossibilita' d'un
 effettivo controllo giurisdizionale endoprocedimentale dell'attivita'
 di ulteriore indagine  da  svolgersi  dal  p.m.  su  indicazione  del
 giudice per le indagini preliminari: nessun controllo, infatti, circa
 l'avvenuto svolgimento delle ulteriori indagini sarebbe attribuito al
 giudice  per  le  indagini  preliminari  nell'ipotesi  in cui il p.m.
 decidesse  di  emettere  direttamente  il  decreto  di  citazione   a
 giudizio;  ne' un tale controllo potrebbe essere utilmente esercitato
 dal pretore in sede dibattimentale,  non  essendo  previsto  che  nel
 fascicolo  per  il dibattimento vengano inclusi anche l'ordinanza con
 la quale il giudice per le indagini preliminari ha disposto ulteriori
 indagini ed i verbali di tali indagini.
    Il  problema  -  si  noti  per  inciso  -  insorge  solo  nel rito
 pretorile, atteso che nei procedimenti di competenza del tribunale il
 rinvio a giudizio e' disposto dal giudice per le indagini preliminari
 a seguito dell'udienza preliminare (nella quale viene  verificata  la
 completezza  delle indagini e, ovviamente, il rispetto da parte della
 pubblica accusa della ordinanza con la  quale  erano  state  disposte
 ulteriori  indagini).    Peraltro  non vi e' dubbio che il p.m. abbia
 l'obbligo di compiere le indagini indicate dal giudice  (pur  essendo
 libero  circa  i  singoli atti d'indagine che ritenga di svolgere per
 soddisfare  l'esigenza  evidenziata  dal  giudice  per  le   indagini
 preliminari)  trattandosi  d'un  obbligo  intimamente connesso con il
 precetto   costituzionale   dell'art.      112   della   Costituzione
 dell'obbligatorieta' dell'azione penale (v.  Corte costituzionale nn.
 88  e  253  del  1991), principio che concorre a garantire da un lato
 l'indipendenza  del  p.m.  nell'esercizio  delle   sue   funzioni   e
 dall'altro  l'eguaglianza  dei  cittadini  dinanzi alla legge penale,
 sicche' l'azione e' a tale organo attribuita senza consentirgli alcun
 margine di discrezionalita' nell'adempimento di tale doveroso ufficio
 (Corte costituzionale n. 84/1979).
    A  ben  vedere,  lasciare  al  p.m.  la   facolta'   di   emettere
 autonomamente  e  direttamente  il  decreto  di  citazione a giudizio
 all'esito delle ulteriori indagini svolte su indicazione del  giudice
 per le indagini preliminari finirebbe con lo svuotare sostanzialmente
 di  contenuto  e  di  forza  tale indicazione, vanificando la portata
 della sentenza della  Corte  costituzionale  n.  445/1990.    Questa,
 richiamando  un  parere del C.S.M., ha evidenziato in motivazione che
 "appare difficilmente  comprensibile  come  si  possa,  nello  stesso
 tempo,  disporre  l'archiviazione  e  segnalare, da parte del giudice
 'terzo', l'esigenza di ulteriori indagini senza poi nulla poter  fare
 di  fronte  ad  una  mancata richiesta di riapertura delle indagini":
 nondimeno incomprensibile deve ritenersi quindi come  si  possa  allo
 stesso  tempo  indicare da parte del giudice ulteriori indagini senza
 poi nulla poter fare se tali indagini non siano svolte  adeguatamente
 o  se  essere  addirittura non siano svolte affatto (cosa della quale
 esso giudice per le indagini preliminari potrebbe anche non venir mai
 a cooscenza, cosi' come potrebbe non venirne a conoscenza il  giudice
 del  dibattimento).  In tal modo - si ribadisce - verrebbe vanificata
 la sentenza della Corte costituzionale n.   445/1990 e  si  aprirebbe
 una  breccia insanabile al principio dell'obbligatorieta' dell'azione
 penale, a presidio del quale e' posto il  potere-dovere  del  giudice
 per  le indagini preliminari di indicare ulteriori indagini (v. Corte
 costituzionale nn. 88 e 253 del  1991,  citate).    Tenuto  conto  di
 quanto  sopra,  va  senz'altro privileggiata la seconda tesi, in base
 alla quale  il  pubblico  ministero,  svolte  le  ulteriori  indagini
 indicategli   dal   giudice   per  le  indagini  preliminari,  dovra'
 trasmettere la relativa documentazone a quest'ultimo organo il quale,
 valutati gli atti nella loro interezza (sia quelli gia' trasmessi con
 la richiesta di archiviazione, sia questa ulteriore  documentazione),
 verifichera'  se  archiviare  gli  atti  ovvero  provvedere  a  norma
 dell'art. 554 cpv. del c.p.p.
    Tale tesi, peraltro, appare piu'  consona  alla  portata  testuale
 dell'art. 554 cpv. del c.p.p. quale risulta a seguito del dispositivo
 della  ripetuta  sentenza  della  corte  costituzionale  n. 445/1990.
 Quest'ultima sentenza, infatti, non ha affermato che il  giudice  per
 le  indagini  preliminari debba con ordinanza trasmettere gli atti al
 p.m. indicando le ulteriori indagini da svolgere ma unicamente che il
 giudice  per  le  indagini  preliminari,  cui  gli  atti  sono  stati
 trasmessi dal p.m. con la  richiesta  di  archiviazione  "se  ritiene
 necessarie  ulteriori  indagini, le indichi con ordinanza al pubblico
 ministero,  fissando  il   termine   indispensabile   per   il   loro
 compimento":  sicche'  bisogna  ritenere,  a  meno  di  voler forzare
 indebitamente la portata testuale della sentenza della Corte,  che  a
 seguito  della  richiesta di archiviazione gli atti restino presso il
 giudice per le indagini preliminari fintantoche' il  p.m.  non  abbia
 compiuto,  nel  termine  fissato,  le  ulteriori  indagini indicate -
 eventualmente, ove lo ritenga opportuno, trattenendo copia degli atti
 - e che, all'esito di tali indagini, sara' il giudice oer le indagini
 preliminari a valutare se accogliere la richiesta di archiviazione  o
 provvedere  con  ordinanza  alla  restituzione  degli  atti  al  p.m.
 disponendo che quest'ultimo formuli l'imputazione.    L'attivita'  di
 ulteriore  investigazione  va  quindi  inquadrata quale compimento di
 atti integrativi indispensabili per  consentire  al  giudice  per  le
 indagini preliminari un'adeguata valutazione della richiesta del p.m.
 In  definitiva,  pertanto,  richiesta  dal  p.m.  l'archiviazione per
 infondatezza della notizia di  reato,  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari potra':
       a)  pronunciare  decreto motivato di archiviazione e restituire
 gli atti al p.m. (artt. 409 e 509 del c.p.p.);
       b) restituire con ordinanza gli atti al  p.m.  disponendo  che,
 entro  dieci  giorni, questi formuli l'imputazione (art. 554 cpv. del
 c.p.p.);
       c) indicare con ordinanza al  p.m.  le  ulteriori  indagini  da
 svolgersi,  fissando il termine indispensabile per il loro compimento
 (sentenza Corte costituzionale n. 445/1990).
    Sul punto sono intervenute, a quanto  consta,  due  sole  pronunce
 della  Corte di cassazione, la n. 2026 del 4 maggio 1991 e la n. 2212
 del 10 maggio 1991. Esse, benche' provenienti dalla medesima sezione,
 la terza, e benche' depositate a pochissimi giorni di distanza  l'una
 dall'altra,  hanno  pronunciato  in materia diametralmente opposta su
 ricorsi assolutamente identici nella motivazione della procura  della
 Repubblica   di   Avellino   su  ordinanze,  anch'esse  assolutamente
 identiche nella motivazione, emesse da questo ufficio rispettivamente
 in data 16 gennaio 1991 e 7 gennaio 1991.  Entrambe le sentenze della
 suprema Corte appaiono pero' poco convincenti.
    La sentenza n. 2212 (pres. Gambino, est. Cavallari)  ha  annullato
 l'ordinanza  di  questo giudice "limitatamente alla parte che dispone
 di trattenere gli atti presso l'ufficio del giudice per  le  indagini
 preliminari".  Cio'  in  quanto  -  sostiene  il  supremo  collegio -
 l'ordinanza  "si  pone  contro  il  generale  principio  proprio  del
 processo  pretorile,  secondo cui il p.m., senza 'passare' attraverso
 l'udienza preliminare, ordina direttamente la citazione  a  giudizio.
 Ove,  poi,  il  p.m.,  all'esito delle ulteriori indagini, insistera'
 nella richiesta  di  archiviazione,  dovra'  rivolgersi  ex  novo  al
 giudice  per  le  indagini preliminari per il relativo provvedimento.
 Ne' puo' sostenersi che un tal modo di procedere sottrae  al  giudice
 la  valutazione in merito alla congruita' delle indagini in ordine al
 rinvio a giudizio, dato che  questo  giudizio  spetta,  comunque,  al
 giudice,  anche  se, soltanto, al giudice del dibattimento, dovendosi
 ritenere che nel fascicolo per il dibattimento vadano  inclusi  anche
 l'ordinanza  con  la  quale il giudice per le indagini preliminari ha
 disposto le ulteriori indagini ed i verbali di tali indagini". Questa
 sentenza  ha  il  pregio  d'aver  evidenziato  l'ineludibilita'  d'un
 controllo    giurisdizionale    endoprocedimentale   sull'adempimento
 dell'ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari con  la
 quale  -  a  tutela  dell'obbligatorio esercizio dell'azione penale -
 vengono indicate ulteriori investigazioni. Senonche' e' sotto  alcuni
 aspetti palesemente erronea.
    Non occorrono invero molte parole per confutare l'incredibile tesi
 (assolutamente   priva   di  riscontri  normativi)  secondo  cui  nel
 fascicolo  del  dibattimento  andrebbero  inclusi  (e'  da   ritenere
 obbligatoriamente)   l'ordinanza   del   giudice   per   le  indagini
 preliminari ed i verbali delle indagini  svolte  su  indicazioni  del
 giudice.  Da  un lato non si vede cosa rimarrebbe del principio (esso
 si' generale) secondo  cui  il  pretore  giudicante  non  deve  avere
 conoscenza  degli atti d'indagine preliminare svolti (salvo si tratti
 di atti irripetibili o che essi siano stati posti in essere con  tali
 garanzie  da  configurare un vero e proprio anticipato dibattimento).
 In secondo luogo non e' chiaro in base a quale lettura dell'art.  431
 del  c.p.p.  si  e'  pervenuti ad una siffatta interpretazione, a dir
 poco sorprendente. Infine non si vede a qual  fine,  sotto  l'aspetto
 processuale, il pretore a dibattimento avrebbe conoscenza dell'esatto
 od  inesatto  adempimento  dell'ordinanza del giudice per le indagini
 preliminari (non potendosi sostituire al p.m. in caso d'inadempimento
 ne' potendo in altro modo provvedere per far si che le indagini indi-
 cate - che  potrebbero  perdipiu',  per  il  tempo  trasorso,  essere
 assolutamente  non  piu' praticabili - vengano comunque eseguite). In
 realta' non ci si e' resi conto  dell'assoluto  stravolgimento  d'uno
 dei  principi  cardini  del  nuovo  sistema processuale penale che si
 opererebbe ove si ritenesse che il p.m. sia obbligato ad inserire nel
 fascicolo per il dibattimento l'ordinanza del giudice per le indagini
 preliminari ed i verbali delle ulteriori  indagini  svolte.    E'  da
 ritenere - a differenza di quanto sostenuto dalla suprema Corte nella
 citata  sentenza  n.  2212  -  che nel fascicolo del dibattimento non
 possono e non  debbono  essere  inseriti  ne'  il  provvedimento  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari ne', assolutamente, i verbali
 delle ulteriori indagini svolte, con la conseguenza che il  controllo
 sull'esatta  osservanza  dell'ordinanza  del  giudice per le indagini
 preliminari (che, non ci si stanca di ripetere, e' posta  a  garanzia
 della   obbligatorieta'   dell'esercizio  dell'azione  penale:  Corte
 costituzionale nn. 88 e 253 del 1991) rimarrebbe affidato  ..  ..  al
 p.m. stesso³
    Cio'  detto,  non puo' condividersi neanche l'affermazione secondo
 cui il giudice per le indagini preliminari, trattenendo il  fascicolo
 per  il  breve  periodo  occorrente al p.m. per adempiere all'obbligo
 impostogli, si porrebbe contro "il  generale  principio  proprio  del
 processo  pretorile,  secondo cui il p.m., senza 'passare' attraverso
 l'udienza preliminare, ordina direttamente la citazione a  giudizio".
 A  parte  la  considerazione che e' proprio quest'omesso "passaggio",
 come e' stato evidenziato prima, a far sorgere in ambito pretorile il
 problema del controllo  dell'esatto  adempimento  dell'ordinanza  del
 giudice  per  le  indagini preliminari, invero non si e' mai ritenuto
 necessaria  una  udienza  preliminare  anche  in  pretura  (e   cio',
 rigettando sul punto il ricorso della procura della Repubblica presso
 la  pretura  di  Avellino, e' stato chiaramente sostenuto - in questo
 caso con argomentazioni ineccepibili - dalla suprema Corte).  Ne'  si
 vede  quale  illegittimita' od abnormita' sia riscontrabile nel fatto
 che sia poi il giudice per le indagini preliminari,  in  ossequio  al
 disposto  dell'art.  554  cpv.  del  c.p.p.,  ad  ordinare al p.m. di
 formulare l'imputazione³ Il fatto che  il  giudice  per  le  indagini
 preliminari in pretura sia tenuto a trattenere gli atti presso di se'
 per il breve periodo occorrente per lo svolgimento delle indagini in-
 dicate al p.m., lungi dall'essere un comportamento strano ed abnorme,
 e',  a sommesso avviso di questo ufficio, l'unico sistema praticabile
 per consentire  in  pretura  il  doveroso  controllo  giurisdizionale
 dell'attivita'  d'indagine svolta su indicazione del giudice a tutela
 del principio di cui all'art. 112  della  Costituzione.    D'altronde
 gia'  vi  sono  altre  ipotesi  di  cui  il  giudice  per le indagini
 preliminari trattiene gli atti presso di se' per il periodo di  tempo
 occorrente   ad   acquisire   elementi   indispensabili  per  la  sua
 valutazione.  Si pensi, ad esempio, all'ipotesi - analoga a quella di
 cui si discute, pur essendovi ovvie differenze atteso che  si  e'  in
 tribunale,  ed in sede di udienza preliminare - in cui il giudice per
 le indagini preliminari, nella predetta sede,  ritenga  di  avvalersi
 del  potere di "indicare alle parti temi nuovi o incompleti sui quali
 si rende necessario acquisire ulteriori informazioni  ai  fini  della
 decisione":  in  tal  caso  e'  pacifico che il fascicolo, contenente
 tutti gli atti indicati nell'art. 416 cpv.  del  c.p.p.  (notizia  di
 reato, documentazione relativa alle indagini espletate, verbali degli
 atti  compiuti davanti al giudice per le indagini preliminari), viene
 trattenuto presso l'ufficio del giudice  fintantoche'  le  parti  non
 abbiano  adempiuto  a  quanto  disposto  dal  giudice per le indagini
 preliminari, si'  da  consentire  quindi  a  quest'ultimo  organo  il
 doveroso  controllo  circa l'adempimento dell'ordinanza onde valutare
 se accogliere la richiesta del  p.m.  di  rinvio  a  giudizio  ovvero
 pronunciare  sentenza di non luogo a procedere (cfr., al riguardo, il
 punto n. 53) della legge-delega, dal quale emerge chiaramente che gli
 atti processuali, pur dopo l'emissione dell'ordinanza  da  parte  del
 giudice  per  le  indagini preliminari, rimangono presso quest'ultimo
 ufficio).
    Se la sentenza n. 2212 della suprema Corte e', come si  e'  visto,
 assolutamente  non  convincente,  non  puo' andare esente da critiche
 neppure  la  sentenza  n.  2026  (pres.   Accinni,   est.   Montoro).
 Quest'ultima  ha  considerato legittima l'ordinanza di questo ufficio
 (con la quale il  giudice  per  le  indagini  preliminari,  richiesto
 dell'archiviazione,  aveva  respinto detta richiesta, trattenendo gli
 atti presso di se', ed indicato al p.m. ulteriori  investigazioni  da
 svolgere), ordinanza avverso la quale aveva proposto ricorso il p.m.
    Cio'  sulla  considerazione  che  "solo  nel  caso d'inadempimento
 successivo del p.m., 'il giudice per le indagini preliminari' avrebbe
 potuto restituire gli atti al p.m. e invitarlo a  formulare  comunque
 l'imputazione".    Da  un  lato  invero  si  accede  (purtroppo senza
 precisare  le  motivazioni)  alla  tesi  sostenuta  da  quest'ufficio
 secondo  cui  gli  atti  non  vanno restituiti al p.m. congiuntamente
 all'ordinanza con cui sono indicate le  ulteriori  indagini  al  p.m.
 stesso.   Dall'altro   lato   pero'  si  conclude  semplicisticamente
 affermando che il p.m. puo' anche  non  adempiere  all'ordinanza  del
 giudice  per le indagini preliminari (il quale, invece di aver emesso
 un    provvedimento    a   garanzia   dell'insopprimibile   principio
 costituzionale  dell'obbligatorieta'  dell'azione   penale,   avrebbe
 emesso, in buona sostanza, un provvedimento .. .. per diporto), fermo
 restando  che in tal caso il giudice per le indagini preliminari puo'
 ritrasmettere gli atti al p.m. ed  "invitarlo  a  formulare  comunque
 l'imputazione".
    Ma non si e' adeguatamente valutato che questa facolta' il giudice
 per  le  indagini  preliminari  gia'  aveva  anche  prima di emettere
 l'ordinanza  di  ulteriori  indagini  e,  se  non  l'ha   esercitata,
 evidentemente  non  vi  era possibilita' di farlo poiche' le indagini
 erano carenti o addirittura, del tutto mancanti; e tali, ove il  p.m.
 non  abbia  adempiuto,  sono  restate). A ben guardare, quindi, anche
 questa sentenza della Corte di cassazione vanifica la  portata  della
 sentenza della Corte costituzionale n. 445/1990, lasciando al p.m. la
 liberta'  di adempiere o no all'ordinanza del giudice per le indagini
 preliminari  e  vulnerando  ahime'  irreparabilmente  il  piu'  volte
 ricordato  principio  dell'obbligatorieta'  della  azione  penale,  a
 presidio del quale e' posta l'ordinanza del giudice per  le  indagini
 preliminari  con  la  quale  vengono  indicate  le ulteriori indagini
 (Corte costituzionale nn. 88 e 253 citate).   Deve  ritenersi  invece
 che   il  p.m.  non  possa  in  alcun  modo  esimersi  dall'adempiere
 puntualmente (pur nella sua autonomia ribadita dalla ordinanza  della
 Corte  costituzionale n. 253 citata) all'ordinanza del giudice per le
 indagini preliminari.
    Non e' pero' normativamente previsto cosa possa  fare  il  giudice
 per  le  indagini  preliminari,  in quest'ipotesi d'inadempimento del
 p.m., sotto il profilo processuale.   A parte  ogni  responsabilita',
 anche  disciplinare,  dal  p.m.  per l'omesso od inesatto adempimento
 dell'ordinanza  del  giudice  per  le  indagini   preliminari,   deve
 assolutamente  essere  previsto  un  criterio  che  renda ineludibile
 l'ordinanza:  cio'  a  tutela  del  principio  dell'art.  112   della
 Costituzione.      Non   puo'  dubitarsi  infatti  della  necessita',
 rinveniente dal citato precetto costituzionale,  del  "controllo  del
 giudice  sull'attivita'  omissiva  del  p.m.,  si'  da  fornirgli  la
 possibilita' di contrastare la inerzia e le lacune  investigative  di
 quest'ultimo  ed  evitare che le sue scelte si traducano in esercizio
 discriminatorio   dell'azione    (o    inazione)    penale"    (Corte
 costituzionale  n. 88/1991).  Tale criterio non puo' consistere nella
 obbligatoria avocazione del procuratore generale, atteso che  -  come
 ha  giustamente  rilevato  la  consulta  nell'ordinanza n. 253 del 22
 maggio-6 giugno 1991  -  "l'intervento  sostitutivo  del  procuratore
 generale  previsto  dalla  norma denunciata non e' in se' destinato a
 'modificare' le conclusioni del pubblico ministero o a surrogare  una
 obiettiva inerzia in ordine alle scelte sulla azione, ovvero, ancora,
 a  dirimere  patologiche  -  e  percio'  stesso  non disciplinabili -
 situazioni di stallo".
    Nondimeno  un  criterio  che  renda  ineludibile  l'ordinanza  del
 giudice  per  le  indagini  preliminari con la quale vengono indicate
 ulteriori indagini e' imposto dall'art. 112 della  Costituzione,  che
 riceverebbe altrimenti una tutela meramente formale - e cio' peraltro
 anche  ove  si  volesse  ritenere,  il che e' da escludere per motivi
 prima esposti, che gli atti processuali, rigettata  la  richiesta  di
 archiviazione   del   p.m.,   vadano  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari contestualmente restituiti al  p.m.  -  (che  significato
 avrebbe prevedere infatti a garanzia dell'obbligatorieta' dell'azione
 penale lo strumento dell'ordinanza con cui sono indicate le ulteriori
 indagini  necessarie,  quando  poi  nulla  fosse previsto per rendere
 effettivamente operativa detta ordinanza? Com'e' possibile che non ci
 si accorga che fra tante parole e tante battaglie - in ogni sede -  a
 sostegno  del  principio  dell'obbligatorieta' dell'azione penale, si
 perderebbe, nella sede piu' naturale, la battaglia  piu'  importante,
 volta  ad  evitare  che  il p.m. possa disporre dell'azione penale in
 maniera priva d'ogni controllo?. Si e' riflettuto adeguatamente sulle
 conseguenze di un'archiviazione lasciata sostanzialmente in  tutto  e
 per  tutto  nelle mani del p.m. (anche se - per ora? - non sottoposto
 all'esecutivo), il quale ben potrebbe richiedere  l'archiviazione  e,
 non   ottenutala  per  essergli  stata  rappresentata  l'esigenza  di
 ulteriori  indagini,  omettere  di   svolgere   tali   investigazioni
 lasciando  al  giudice  per  le  indagini  preliminari l'"allettante"
 alternativa di archiviare  o  disporre  -  se  pure  possibile  -  la
 formulazione  coattiva  dell'imputazione,  pur  sapendo  che  proprio
 mancando quelle indagini indicate  -  e  che  nessun  altro  potrebbe
 svolgere  o  far  svolgere,  se  pure  esse  siano  ancora  utilmente
 praticabili -  il  risultato  processuale  non  potrebbe  che  essere
 assolutorio?  E' da intendere in quest'ultimo senso l'obbligatorieta'
 dell'azione penale voluta dalla Costituzione? E se  si  e'  impedito,
 con  l'introduzione  dell'art.  521  cpv. del c.p.p., che il p.m., in
 caso  di  inerzia,  potesse  divenire  l'arbitro  del  risultato  del
 processo  "situazione che risulterebbe perfettamente conseguente solo
 in un sistema  imperniato  sulla  disponibilita'  dell'azione  e  sul
 vincolo  alla  domanda"  (cosi'  Relazione,  art. 521 del c.p.p.) non
 sarebbe ancor piu' il p.m. arbitro  del  risultato  del  processo  in
 questo modo?).
   Si  prenda  in  considerazione  l'esempio  d'una  informativa della
 polizia giudiziaria dalla quale emerga che e' in corso  un  rilevante
 fenomeno  di  sospetto  inquinamento delle acque d'un fiume ad opera,
 presumibilmente,  d'una  azienda  posta,  insieme  ad  altra,   nelle
 vicinanze  del  fiume  stesso.  Il  p.m.  chede  l'archiviazione  del
 procedimento  instaurato  a  carico  del  titolare  di  tale  azienda
 sostenendo  l'infondatezza della notitia criminis.  Il giudice per le
 indagini preliminari, ravvisata  l'esigenza  di  ulteriori  indagini,
 rigetta la richiesta di archiviazione ed indica al p.m. di accertare,
 a  mezzo  u.s.l.  o  in  altro  modo, se vi sia stato superamento dei
 limiti tabellari di cui  alla  legge  c.d.  "Merli"  (ai  fini  della
 configurabilita'  del  reato p. e p. dall'art. 21, terzo comma, della
 legge n. 319/1976 ss.mm.). Il p.m. non svolge tali indagini e rinnova
 (se anche necessario) la richiesta di archiviazione.  A questo  punto
 che  puo'  fare  il  giudice  per  le  indagini preliminari?   Il suo
 controllo - posto a tutela dell'obbligatorieta' della azione penale -
 verrebbe meno. L'art. 112 della Costituzione  diverrebbe  vuota  for-
 mula.
    Il  giudice  per  le  indagini  preliminari infatti potrebbe, allo
 stato della legislazione, o  archiviare  gli  atti,  con  buona  pace
 dell'art.  112  della  Costituzione  (  ..  e  del fiume inquinato) -
 nonche'  dell'art.  101,  secondo  comma,  della  Costituzione,   che
 assoggetta  il  giudice solo alla legge e non anche all'inerzia d'una
 parte - o disporre  che  il  p.m.  formuli  l'imputazione:  ma  quale
 imputazione  si potrebbe far formulare in mancanza d'una indagine che
 evidenzi   l'eventuale   superamento  dei  limiti  tabellari  (e  che
 evidenzi, altresi', individuando il tipo di sostanze  inquinanti,  se
 il reasto sia attribuibile all'azienda incriminata o non piuttosto ad
 altra  azienda  posta  nelle  vicinanze  e  che scarichi nel medesimo
 fiume)?  E  poi,  quand'anche  fosse  stata  disposta   la   coattiva
 formulazione  dell'imputazione,  a qual fine cio' avverrebbe? Il pre-
 tore a dibattimento, se pur avesse sentore - per arte divinatoria, e'
 a ritenere - dell'esigenza che il giudice per le indagini preliminari
 rappresento' al p.m. di effettuare accertamenti sul  superamento  dei
 limiti  tabellari da parte dell'azienda incriminata, non potrebbe che
 pronunciare sentenza assolutoria, essendo peraltro  ormai  tardi  per
 verificare  se,  tanti  mesi  prima, si era verificata una ipotesi di
 inquinamento delle acque. A ben guardare, quindi, si sarebbe avuto in
 questo  caso  un  apparente  esercizio  dell'azione  penale  inutile,
 incostituzionale  e  pernicioso  per  la  funzionalita'  degli uffici
 giudiziari (trattandosi di uno di quei dibattimenti superflui che  il
 nuovo  codice  tanto  avversa), in contrasto quinsi - oltre che con i
 precetti costituzionali su evidenziati - con gli artt. 3 e  97  della
 Costituzione  (coerenza  e  ragionevolezza nelle scelte legislative e
 buon andamento della pubblica amministrazione).
    La  scelta  costituzionalmente   obbligata,   allo   stato   della
 legislazione,  non  puo' che essere la seguente, nessun'altra opzione
 esistendo: e' il giudice per  le  indagini  preliminari  stesso  che,
 nell'ipotesi di inadempimento da parte del p.m. dell'ordinanza con la
 quale  vengono  indicate  le ulteriori indagini da svolgere, puo' far
 espletare,  d'ufficio,  tali  indagini,  al  fine  di  acquisire  gli
 elementi   indispensabili  al  fine  di  valutare  se  accedere  alla
 richiesta di archiviazione formulata dal p.m. o invitare  il  p.m.  a
 disporre  la  citazione  a giudizio.   Allo stesso modo, peraltro, il
 giudice  per  le  indagini  preliminari  gia'  puo'  disporre,  anche
 d'ufficio e senza formalita' "accertamenti sulle condizioni di salute
 o  su  altre  condizioni o qualita' personali dell'imputato" nei casi
 previsti dall'art. 4-  ter  dell'art.  299  del  c.p.p.,  cosi'  come
 introdotto  dall'art.  14 del d.lgs. 14 gennaio 1991, n. 12.  Vero e'
 che in questo modo il giudice per le indagini preliminari assumerebbe
 un (limitato) potere inquisitorio,  ma  si  tratterebbe  invero  d'un
 potere  volto  unicamente all'acquisizione di elementi indispensabili
 al fine di consentirgli di esercitare con  pienezza  il  suo  compito
 principale,  cioe'  il  controllo  sull'operato  del  p.m.  a  tutela
 dell'obbligatorieta'  dell'azione  penale,  e  di   decidere   quindi
 adeguatamente  quale  provvedimento adottare in ordine alla richiesta
 di  archiviazione  proveniente  dalla  pubblica  accusa   (sempreche'
 quest'ultima sia rimasta inerte in ordine alla legittima richiesta di
 ulteriori  investigazioni  formulata  dal  giudice  per  le  indagini
 preliminari stesso).
    Non e' infatti concepibile che  in  qualche  modo  il  p.m.  possa
 essere "forzato" a svolgere delle indagini che pure il giudice per le
 indagini preliminari reputi indispensabili (e cio' nell'esercizio del
 potre  attribuitogli  a  tutela  dell'art. 112 della Costituzione) ed
 allora nessun'altra possibilita' esiste che  quella  di  far  si  che
 quegli  elementi  vengano acquisiti dall'organo stesso che li ritiene
 indispensabili.  Ne' in cio' si vede  una  "riedizione"  del  giudice
 istruttore:  e'  il codice stesso invero ad attribuire al giudice per
 le indagini preliminari una funzione ibrida, il che deriva dal  fatto
 che  non  si  e' voluto (ne' si sarebbe potuto) ritagliare al p.m. di
 pretura  una  sfera  d'incontrollata  liberta'   e   discrezionalita'
 nell'esercizio  dell'azione  penale. Non sembra affatto quindi che in
 questo  modo  verrebbe  "reintrodotto"  il  giudice  istruttore,   ma
 semplicemente  -  il  che  forse  puo'  non  piacere  a qualcuno - si
 verrebbe  a  disegnare  una  figura  di  giudice  per   le   indagini
 preliminari  che  possa  effettivamente  ed  efficacemente assicurare
 anche in pretura un puntuale  controllo  dell'obbligatorio  esercizio
 dell'azione penale.
    In  considerazione  di  quanto  sopra,  si  ritiene  pertanto  non
 manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale,
 per  contrasto  con  l'art.  112  della  Costituzione   (obbligatorio
 esercizio  dell'azione  penale  da  parte  del p.m.), con l'art. 101,
 secondo comma, della Costituzione (soggezione dei giudici  solo  alla
 legge,  e  non  anche  al p.m.), con l'art. 3 della Costituzione (che
 impone coerenza e ragionevolezza nelle  scelte  legislative)  nonche'
 con  l'art.  97,  primo comma, della Costituzione (che impone il buon
 andamento e la  funzionalita'  dell'amministrazione),  dell'art.  554
 cpv.  del  c.p.p.  -  come  risultante a seguito della sentenza della
 Corte costituzionale n. 445/1990 - nella parte  in  cui  non  prevede
 che,  in caso di inadempimento del p.m. all'ordinanza con la quale il
 giudice  per  le  indagini  preliminari  ha  indicato  le   ulteriori
 indagini,  il  giudice per le indagini preliminari stesso, ove reputi
 dette indagini ancora indispensabili, effettua le  stesse  d'ufficio,
 disponendo  all'esito  l'archiviazione  ovvero disponendo che il p.m.
 formuli l'imputazione.
    Il sistema risultante da tutte le argomentazioni che procedono  e'
 da   considerarsi  l'unico  che  consenta  una  ristrutturazione  del
 rapporto p.m.-giudice per le indagini  preliminari,  in  pretura,  in
 ambiti  conformi  al dettato costituzionale.   La citata questione e'
 altresi' rilevante.  Questo  giudice,  infatti,  aveva  rigettato  la
 richiesta  di  archiviazione  del p.m.   formulata il 7 gennaio 1991,
 indicando ulteriori  indagini  da  svolgere  e  fissando  il  termine
 indispoensabile  per  il  loro  compimento.  Il  p.m.   non ha svolto
 affatto tali ulteriori  indagini  (ed  il  ricorso  proposto  avverso
 l'ordinanza  di  questo  giudice per le indagini preliminari e' stato
 rigettato dalla Corte di cassazione  con  sentenza  depositata  il  4
 maggio  1991).  In  data  11  lugio  1991  il  p.m. ha "rinnovato" la
 richiesta di archiviazione del 7 gennaio  1991.  Il  giudice  per  le
 indagini  preliminari  deve  pertanto  (anche indipendentemente dalla
 nuova  e  superflua  richiesta  di   archiviazione)   provvedere   e,
 reputandosi    tuttora    indispensabili    le   ulteriori   indagini
 originariamente indicate (ma non espletate) e  non  potendo  peraltro
 invitare  il p.m. a formulare comunque l'imputazione (che, in difetto
 delle indagini indicate,  porterebbe  ad  un  superfluo  dibattimento
 sicuramente  assolutorio  se  pure  potesse  concretamente  ritenersi
 enucleabile allo stato degli atti ed in mancanza delle indagini indi-
 cate, un capo d'imputazione ragionevole), e' giocoforza ritenere  che
 dalla   risoluzione   della  prospettata  questione  di  legittimita'
 costituzionale dipende l'emanando provvedimento di questo giudice per
 le indagini preliminari.