Ricorso  della  regione  Lombardia, in persona del presidente della
 giunta regionale ing. Giuseppe Giovenzana, autorizzato  con  delibera
 della  giunta regionale n. 13171 del 26 settembre 1991, rappresentato
 e difeso dagli avv.ti prof.  Valerio  Onida  e  Gualtiero  Rueca,  ed
 elettivamente  domiciliato  presso  quest'ultimo in Roma, largo della
 Gancia, 1, come da delega a margine  del  presente  atto,  contro  il
 Presidente   del   Consiglio   dei   Ministri   pro-tempore,  per  la
 dichiarazione di illegittimita' costituzionale della legge 14  agosto
 1991,  n.  281  ("legge  quadro  in materia di animali di affezione e
 prevenzione  del  randagismo"), pubblicata nella "Gazzetta Ufficiale"
 n. 203 del 30 agosto 1991.
    La legge 14 agosto 1991,  n.  281  ("legge-quadro  in  materia  di
 animali  di  affezione  e prevenzione del randagismo") reca norme sul
 trattamento dei  cani  e  dei  gatti  di  proprieta',  prevedendo  il
 "controllo  della  popolazione  dei  cani  e  dei  gatti  mediante la
 limitazione delle nascite" (art. 2, primo comma), la  istituzione  di
 una  "anagrafe  canina"  (art.  3,  primo  comma),  e  la  custodia a
 pagamento dei cani in apposite strutture (art. 2, dodicesimo  comma);
 e  norme  sul  trattamento  dei  cani  "vaganti",  non  reclamati dal
 proprietario o dal detentore, e dei gatti "che vivono  in  liberta'",
 prevedendo  per  i  primi la cattura, il divieto di soppressione e la
 custodia e il  mantenimento  dei  canili  municipali  e  in  appositi
 "rifugi",  o  in  alternativa la cessione a privati (art. 2, secondo,
 quinto, sesto e undicesimo comma; art.  3,  secondo  comma;  art.  4,
 primo  comma), per i secondi la sterilizzazione e la riammissione nel
 loro gruppo, e la  gestione  di  "colonie  di  gatti  che  vivono  in
 liberta'" (art. 2, settimo, ottavo, nono e decimo comma).
    Si  prevedono  inoltre  programmi  regionali  di  prevenzione  del
 randagismo,  con  iniziative   di   informazione,   aggiornamento   e
 formazione (art. 3, terzo e quarto comma); l'indennizzo, a cura della
 regione,  degli  imprenditori  agricoli  per  le  perdite  di capi di
 bestiame causate da cani randagi o  inselvatichiti  (art.  3,  quinto
 comma);  un  sistema  di  sanzioni  a  presidio  degli obblighi e dei
 divieti posti dalla legge (art. 5); una nuova disciplina dell'imposta
 sui cani (artt. 6 e  7);  la  istituzione  di  un  fondo,  presso  il
 Ministero  della sanita', per l'attuazione della legge, ripartito fra
 le regioni e gli enti locali (art. 8 e art. 3, sesto comma).
    La legge, frutto di varie iniziative parlamentari (e approvata dal
 Parlamento senza alcuna consultazione delle  regioni),  si  ispira  a
 lodevoli  principi  di  protezione  degli  animali:  principi  che la
 regione ricorrente non solo non contesta, ma che essa  stessa  ha  da
 tempo  accolto  e  tradotto in una propria specifica legislazione. La
 legge regionale 8 settembre 1987, n. 30,  reca  appunto  norme  sulla
 "prevenzione  del  randagismo"  e sulla "tutela degli animali e della
 salute pubblica", norme  alle  quali  in  parte  si  e'  direttamente
 ispirato  lo  stesso  legislatore  nazionale con la legge n. 281/1991
 (cfr. ad es.  le  disposizioni  in  tema  di  anagrafe  canina  e  di
 tatuaggio  dei cani: art. 3, primo comma, della legge statale e artt.
 1 e 2 della legge  regionale;  o  quelle  in  tema  di  programmi  di
 informazione e formazione; art. 3, quarto comma, della legge statale,
 artt. 4 e 8 della legge regionale).
    Tuttavia  la  legge  statale,  ignorando in parte gli insegnamenti
 desumibili dall'esperienza di regioni, come la Lombardia, che da piu'
 tempo erano intervenute in materia,  da  un  lato  stabilisce  alcune
 norme  di  assai  dubbia  opportunita'  e praticabilita' (come quelle
 sulla sterilizzazione obbligatoria d'ufficio dei gatti che vivono  in
 liberta':  art.  2,  ottavo  comma);  dall'altro lato, e soprattutto,
 ignora le esigenze di una corretta impostazione  istituzionale  della
 disciplina  della  materia,  e  cioe', in concreto, di rispetto delle
 competenze  regionali  e  del  principio  costituzionale  che   vieta
 d'imporre alle regioni e agli enti locali nuovi oneri senza assegnare
 risorse corrispondenti adeguate.
    La  materia  trattata  dalla  legge  e'  certamente  di competenza
 regionale, come conferma la stessa sua intitolazione di legge-quadro,
 e come risulta dal fatto che essa concerne interventi nel campo della
 sanita'  pubblica,   della   polizia   veterinaria,   dell'assistenza
 zooiatria  e  della  zootecnia, gia' trasferiti alle Regioni ai sensi
 dell'art. 1, quarto comma, del d.P.R. 14  gennaio  1972,  n.  4  (sul
 passaggio  di tutte le funzioni "concernenti l'assistenza zooiatrica,
 ivi compresa l'istituzione, modifica e  soppressione  delle  condotte
 veterinarie,  nonche'  la costituzione di consorzi per il servizio di
 assistenza veterinaria"), dell'art. 27, primo comma,  lett.  l),  del
 d.P.R.  24  luglio  1977,  n.  616  (che  include  fra  le competenze
 trasferite alle regioni, fra  l'altro,  le  funzioni  in  materia  di
 "igiene   e  assistenza  veterinaria,  ivi  comprese  la  profilassi,
 l'ispezione, la pulizia e la vigilanza sugli animali"; e cfr.  anche,
 nello  stesso  d.P.R.  n. 616/1977, l'art. 66, primo e secondo comma,
 lett.  d),  sulle  funzioni  regionali  in   materia   di   attivita'
 zootecniche,  e  l'art.  83, che trasferisce alle regioni le funzioni
 concernenti gli interventi per la protezione  della  natura)  nonche'
 degli  artt.  11 e 15, terzo comma, lett. p), della legge 23 dicembre
 1978, n. 833.
    Per altro verso le attivita' disciplinate riguardano compiti  gia'
 prima  spettanti  agli  enti  locali  (cfr.  gli artt. 83 e segg. del
 regolamento di polizia veterinaria, approvato con d.P.R.  8  febbraio
 1954,  n.  320, sui compiti dei comuni in materia di profilassi della
 rabbia e di servizio di cattura e custodia di cani catturati).
    La legge n.  281/1991  non  disconosce,  in  linea  di  principio,
 l'esistenza di funzioni delle regioni e degli enti locali in materia:
 ma - e qui si palesano i vizi di costituzionalita' che la inficiano -
 lede l'autonomia regionale sotto tre profili:
       a)  la'  dove  disciplina  in  modo esasperatamente dettagliato
 alcuni aspetti  della  materia,  invadendo  l'ambito  della  potesta'
 normativa e della stessa discrezionalita' amministrativa regionali;
       b)  la'  dove  concreta  una  riappropriazione  allo  Stato  di
 funzioni amministrative e di risorse di pertinenza
 delle regioni;
       c) la' dove addossa alle regioni e alle strutture sanitarie  da
 queste  governate,  oltre  che  agli  enti locali, nuovi ingentissimi
 oneri,  prevedendo  per  converso  la  devoluzione   ad   essi,   per
 l'attuazione   della  legge,  di  risorse  assolutamente  inadeguate,
 violando cosi' il principio fondamentale di cui all'art.  81,  quarto
 comma, della Costituzione.
    Sotto  il  primo profilo, vengono in considerazione soprattutto le
 disposizioni che la legge dedica al trattamento dei  cani  vaganti  e
 dei gatti che vivono in liberta'.
    Nulla   quaestio  circa  i  principi  concernenti  il  divieto  di
 destinare i cani catturati alla sperimentazione (art. 2, terzo comma:
 divieto gia' sancito del resto dalla direttiva CEE n. 86/609  del  24
 novembre  1986,  all'art.  19,  par. 4) o il divieto di maltrattare i
 gatti che vivono in liberta' (art. 2, settimo comma); come pure circa
 il divieto di abbandonare  gli  animali  custoditi  nelle  abitazioni
 (art. 5, primo comma).
    Ma  non  si  puo'  consentire  quanto  si pretende di stabilire il
 termine di tempo che deve trascorrere prima della eventuale  cessione
 a  privati  dei cani vaganti catturati (art. 2, quinto comma); quando
 la  sterilizzazione  dei  gatti  che  vivono  in  liberta'   non   e'
 configurata   come  un  intervento  da  effettuarsi  in  relazione  a
 specifiche circostanze ambientali e ad una valutazione concreta delle
 esigenze di tutela della  salute  pubblica,  ma  diviene  un  obbligo
 imposto senza limiti e senza condizioni all'autorita' sanitaria (art.
 2,  secondo  comma); quando si pretende di fissare in modo vincolante
 le modalita' di identificazione dei  cani,  attraverso  il  tatuaggio
 (art.  3,  primo comma: almeno se si intende tale norma nel senso che
 essa escluda la possibilita' di ricorrere a sistemi piu' moderni come
 il c.d. "tatuaggio elettronico" con microchips).
    Tali disposizioni travalicano  il  confine  dei  principi  che  il
 legislatore  statale  puo'  legittimamente  dettare,  per invadere il
 campo riservato al  legislatore  regionale  e  alla  discrezionalita'
 amministrativa  della  regione e delle autorita' sanitarie, impedendo
 un'azione adeguata alle concrete situazioni locali.
    L'art. 5  della  legge  prevede  una  serie  di  sanzioni  per  la
 violazione degli obblighi e dei divieti previsti dalla legge stessa.
    Ora,  si  puo'  forse  ammettere  che  l'introdurre  e l'applicare
 sanzioni per chi abbandona animali custoditi nelle abitazioni  (primo
 comma)  o  per  chiunque  fa  commercio  di  cani  o gatti al fine di
 sperimentazione  (secondo  comma),   (oltre   che   naturalmente   il
 disciplinare  le sanzioni penali: quinto comma) possa rientrare nella
 potesta' del legislatore statale.
    Ma la legge va oltre, stabilendo sanzioni anche per  comportamenti
 connessi  con  discipline che la legge stessa considera di competenza
 regionale  e  locale:  cosi'  al  secondo  comma   punisce   l'omessa
 iscrizione  del  cane  all'anagrafe  da  parte del proprietario; e al
 terzo comma l'omessa sottoposizione del cane al tatuaggio, sempre  da
 parte del proprietario.
    Si  tratta,  fra  l'altro,  di  sanzioni che vanno a sovrapporsi a
 quelle che per le medesime violazioni gia' prima prevedeva  la  legge
 regionale: infatti l'art. 10 della legge regionale n. 30/1987 punisce
 con  sanzioni  amministrative  pecuniarie  (in  misura,  nel massimo,
 superiore a quella ora prevista dalla legge  statale)  l'inosservanza
 delle  disposizioni  degli  artt.  1 e 2 (rispettivamente concernenti
 l'obbligo  di  denuncia  del  possesso,  del   trasferimento,   della
 scomparsa  o della morte del cane ai fini della tenuta dell'anagrafe,
 e  l'obbligo  di  contrassegnare   il   cane   con   il   numero   di
 riconoscimento); l'applicazione delle sanzioni e' attribuita all'ente
 gestore della unita' socio-sanitaria locale.
    Ora, l'art. 5 della legge statale, mentre non precisa a chi spetta
 l'applicazione delle sanzioni ivi previste, stabilisce al sesto comma
 che  "le  entrate  derivanti  dalle sanzioni amministrative di cui al
 primo, secondo, terzo e  quarto  comma  confluiscono  nel  fondo  per
 l'attuazione della .. legge", previsto dall'art. 8.
    Dunque  il  legislatore  statale  da  un lato si "appropria" della
 disciplina sanzionatoria, sovrapponendo le proprie norme a quelle del
 legislatore regionale, in materia di competenza di questo; dall'altro
 "statalizza", se non l'applicazione delle sanzioni,  quanto  meno  il
 gettito di queste, che dovrebbe, anziche' essere introitato, come per
 regola  generale,  dall'autorita'  competente  all'applicazione,  dal
 Ministero della sanita'.
    Sotto  entrambi questi profili l'art. 5 della legge appare percio'
 lesivo dell'autonomia della regione.
    In particolare,  sotto  il  profilo  finanziario,  mentre  non  e'
 nemmeno  chiaro  il meccanismo di "confluenza" nel fondo ministeriale
 del gettito delle sanzioni (non si capisce infatti  se  tale  gettito
 affluisca   all'entrata  del  bilancio  dello  Stato,  o  se  vada  a
 costituire una sorta di gestione statale fuori bilancio), la  lesione
 dell'autonomia  finanziaria  e di spesa della regione, realizzata con
 l'avvocazione di tale gettito allo Stato, non e'  ovviata  dal  fatto
 che  si prevede la ripartizione delle disponibilita' del fondo tra le
 regioni e le province autonome di Trento e Bolzano (art.  8,  secondo
 comma).  Infatti  tale riparto del fondo, che dovrebbe avvenire sulla
 base di criteri determinati dal Ministro della  sanita'  di  concerto
 con quello del tesoro (art. 8, secondo comma, citato), non ha nulla a
 che  fare  con  l'entita'  del  gettito delle sanzioni riscosso nelle
 singole regioni, e presuppone dunque pur sempre  l'appropriazione  di
 tale gettito da parte dello Stato.
    Il   profilo  forse  piu'  grave  di  illegittimita'  della  legge
 impugnata deriva da  cio',  che  essa  comporta  l'addossamento  alla
 regione  e alle strutture del servizio sanitario della regione, oltre
 che  agli  enti  locali,   di   nuovi   gravosissimi   oneri,   senza
 contemporaneamente  provvedere  adeguate  risorse:  con cio' violando
 l'art. 81, quarto comma, della Costituzione,  e  ledendo  l'autonomia
 finanziaria della regione.
    Le  disposizioni  della  legge, che impongono nuovi oneri, sono le
 seguenti:
       a) l'art. 1, primo comma, stabilisce che  "il  controllo  della
 popolazione  dei  cani  e  dei  gatti  mediante  la limitazione delle
 nascite viene effettuato, tenuto  conto  del  progresso  scientifico,
 presso   i  servizi  veterinari  delle  unita'  sanitarie  locali.  I
 proprietari e i detentori possono  ricorrere  a  proprie  spese  agli
 ambulatori  veterinari  autorizzati  delle  societa'  cinofile, delle
 societa' protettrici degli animali e di privati".
    E' ben noto che i servizi veterinari organizzati  nell'ambito  del
 servizio  sanitario  nazionale  non  espletano  compiti di assistenza
 curativa nei confronti degli animali di affezione, ma solo compiti di
 vigilanza veterinaria e  di  intervento  a  protezione  della  salute
 pubblica.
    In  altri  termini,  non  esiste  un principio, parallelo a quello
 stabilito invece per l'assistenza ai cittadini, per cui  il  servizio
 pubblico assiste, tanto meno gratuitamente, gli animali di affezione,
 su richiesta dei loro proprietari o detentori.
    La  struttura  e la dimensione dei servizi veterinari delle u.s.l.
 sono naturalmente adeguate a tali loro compiti.
    Ora, la legge  n.  281/1991  viene  a  modificare  radicalmente  i
 compiti  di  tali  servizi, imponendo loro prestazioni a favore degli
 animali di affezione, su richiesta dei proprietari o  detentori,  che
 fuoriescono completamente dalle funzioni fino ad oggi loro attribuite
 dalla legge.
    Per  di piu' tali prestazioni sono configurate come gratuite, come
 risulta implicitamente, oltre che  dal  silenzio  della  legge  circa
 eventuali  tariffe,  dalla  circostanza che solo nel caso di ricorso,
 volontario, ad ambulatori privati si specifica che  i  proprietari  o
 detentori possono farlo "a proprie spese".
    Non e' difficile rendersi conto dell'ingente onere organizzativo e
 finanziario  che  viene  a  gravare  sui  servizi veterinari pubblici
 imponendo loro il compito di provvedere  alla  sterilizzazione  degli
 animali  di affezione. Ne', fra l'altro, si comprende quale principio
 dovrebbe condurre a  prevedere  prestazioni  gratuite  a  favore  dei
 privati  possessori  di  cani  o  di gatti, configurando una sorta di
 sistema  di  assistenza  sanitaria  gratuita  per  gli   animali   di
 affezione.
    In  ogni  caso,  e  anche  a  prescindere  dalla  gratuita'  delle
 prestazioni,   l'organizzazione   dei   servizi    dovrebbe    essere
 necessariamente integrata, con oneri di gestione molto consistenti;
       b)  l'art. 1, secondo comma, della legge stabilisce che "i cani
 vaganti  ritrovati,  catturati  o  comunque  ricoverati   presso   le
 strutture  di  cui  al  primo  comma  dell'art. 4, non possono essere
 soppressi", salvo i casi di  cui  al  sesto  comma.  I  cani  vaganti
 catturati  devono  essere  restituiti  al  proprietario  o  detentore
 (quarto comma: e fin qui nulla  questio);  altrimenti  devono  essere
 tatuati,  e,  se  non reclamati entro sessanta giorni, possono essere
 "ceduti a privati  che  diano  garanzia  di  buon  trattamento  o  ad
 associazioni protezioniste, previo trattamento profilattico contro la
 rabbia,  l'echinococcosi  e  altre  malattie  trasmissibili"  (quinto
 comma); diversamente, non possono  essere  rimessi  in  liberta',  ma
 debbono  essere ospitati e mantenuti in appositi "rifugi per i cani",
 costituiti dai comuni singoli o associati o dalle  comunita'  montane
 (art.  4,  primo  comma),  che debbono "garantire buone condizioni di
 vita per i cani e il rispetto delle norme igienico-sanitarie" e  sono
 sottoposti  al  "controllo  sanitario  dei  servizi  veterinari delle
 unita' sanitarie locali" (art.   3, secondo  comma);  tali  strutture
 possono   anche  essere  gestite  dagli  enti  e  dalle  associazioni
 protezionistiche, ma sempre "sotto il controllo sanitario dei servizi
 veterinari delle unita' sanitarie locali" (art. 2, undicesimo comma).
 Le medesime strutture, oltre a potere tenere in custodia a  pagamento
 cani  di  proprieta',  "garantiscono  il servizio di pronto soccorso"
 (art. 2, dodicesimo comma). I servizi comunali e i servizi veterinari
 delle u.s.l. "si attengono, nel trattamento degli animali ricoverati,
 alle disposizioni di cui all'art. 2" (art. 4, secondo comma).
    L'art. 85 del regolamento di polizia  veterinaria,  approvato  con
 d.P.R.  8  febbraio  1954,  n.  320,  stabiliva che "i cani catturati
 perche' trovati vaganti senza la prescritta museruola  devono  essere
 sequestrati  nei  canili comunali per il periodo di tre giorni" e che
 "trascorsi i tre giorni senza che i legittimi possessori  li  abbiano
 reclamati  e  ritirati,  i  cani sequestrati devono essere uccisi con
 metodi eutanasici ovvero concessi ad istituti scientifici o ceduti  a
 privati che ne facciano richiesta".
    Ora,  la  nuova  legge  vieta  invece la soppressione dei cani non
 reclamati, e ne prevede, in alternativa alla cessione a privati  "che
 diano  garanzie di buon trattamento" o ad associazioni protezioniste,
 la custodia a tempo indeterminato negli appositi "rifugi".
    E' da apprezzare, certamente, il principio cui il  legislatore  ha
 ispirato  la sua scelta. Ma non si puo' omettere di constatare che le
 nuove regole comportano da  parte  dell'amministrazione  attivita'  e
 prestazioni  del  tutto nuove - il mantenimento dei cani per sessanta
 giorni prima di poterli cedere ai privati richiedenti; la costruzione
 e la gestione dei rifugi per cani ove questi debbono essere mantenuti
 a  tempo  indeterminato  -  che  richiedono  non  solo  risorse   per
 investimenti, ma altresi' la disponibilita' di risorse e di personale
 per la gestione delle nuove strutture.
    Pur  tenendo  conto  del  fatto che i comuni fruiscono del gettito
 delle imposte sui cani (ridisciplinata dall'art.  6  della  legge  n.
 281/1991),  e'  certo  che  esso  non  basta  certo  a  finanziare la
 costruzione e la gestione dei rifugi  e  il  risanamento  dei  canili
 municipali  (posti  a  carico  dei  comuni  stessi  dall'art. 4 della
 legge): tanto e' vero che  la  medesima  legge  prevede  che  sia  la
 regione a erogare contributi per la realizzazione degli interventi di
 competenza  dei  comuni (art. 3, secondo e sesto comma; art. 4, primo
 comma).
    Si tratta di oneri (soprattutto quelli di gestione)  durevoli  nel
 tempo  e  particolarmente  pesanti  (si  pensi personale addetto alle
 nuove strutture).
    La regione e' a sua volta gravata di nuovi oneri, perche', come si
 e' detto, deve contribuire agli interventi di competenza dei comuni.
    Inoltre altri nuovi oneri gravano sulle strutture sanitarie  della
 regione:  infatti  i  servizi  veterinari  delle u.s.l. sono tenuti a
 provvedere al  tatuaggio  e  al  trattamento  profilattico  dei  cani
 vaganti  catturati  e  non reclamati (art. 2, quinto comma); e devono
 provvedere al controllo sanitario dei rifugi per cani (art. 2,  primo
 comma; art. 3, secondo comma; art. 4, secondo comma).
    L'obbligo, poi, di garantire, nelle strutture ove sono custoditi i
 cani  "il  servizio  di pronto soccorso" (art. 2, dodicesimo comma) -
 evidentemente a favore degli altri cani,  compresi  quelli  custoditi
 nelle  abitazioni  dei  privati  - concreta un'ulteriore attivita' di
 cura, estranea alle competenze precedentemente  proprie  dei  servizi
 veterinari pubblici, e assai costosa, riguardo alla quale valgono gli
 stessi  rilievi gia' mossi a proposito della sterilizzazione dei cani
 e dei gatti a richiesta dei proprietari.
    Ancora una volta si  addossa  alla  struttura  pubblica  un  onere
 "assistenziale"  in favore dei privati, relativamente agli animali di
 affezione da essi posseduti;
       c) la disposizione dell'art. 2, ottavo comma,  secondo  cui  "i
 gatti   che  vivono  in  liberta'  sono  sterilizzati  dall'autorita'
 sanitaria competente per territorio e  riammessi  nel  loro  gruppo",
 oltre a presentarsi di assai dubbia opportunita' nella sua rigidita',
 comporta per l'amministrazione sanitaria un onere gravosissimo, prima
 per  la  necessaria  identificazione degli animali, e poi per il loro
 trattamento sanitario.
    A cio' si aggiunge la eventualita' della gestione da  parte  degli
 enti  e  delle associazioni protezioniste, ma "d'intesa con le unita'
 sanitarie locali", di non megli definite "colonie di gatti che vivono
 in liberta'", in cui dovrebbero essere loro assicurate "la cura della
 salute e le condizioni  di  sopravvivenza":  compiti,  specie  questi
 ultimi,  che  comportano  nuovi  oneri  per  le  strutture  sanitaire
 pubbliche;
        d) l'istituzione dell'anagrafe canina "presso i  comuni  o  le
 unita'   sanitarie   locali"   e   la   previsione   dell'obbligo  di
 identificazione dei cani mediante tatuaggio  (art.  3,  primo  comma)
 comportano   a   loro   volta  oneri.  Ne'  conta  che  l'anagrafe  e
 l'identificazione, in Lombardia, fossero gia'  previste  dalla  legge
 regionale,  poiche'  altro e' un'attivita' che liberamente la regione
 decide di svolgere e di finanziare  con  le  proprie  risorse,  altro
 l'imposizione  di  questa medesima attivita' da parte del legislatore
 statale, senza provvista di adeguate risorse;
       e)  alle  regioni  si  impone  poi  direttamente  l'obbligo  di
 adottare e attuare un "programma di prevenzione del randagismo" (art.
 3,  terzo  comma),  che preveda interventi riguardanti "iniziative di
 informazione da svolgere  anche  in  ambiti  scolastici  al  fine  di
 conseguire  un  corretto rapporto di rispetto della vita animale e la
 difesa del suo habitat", nonche' "corsi di aggiornamento o formazione
 per il personale delle regioni, degli  enti  locali  e  delle  unita'
 sanitarie  locali  addette  ai  servizi  di  cui  alla presente legge
 nonche' per le guardie zoofile  volontarie  che  collaborano  con  le
 unita'  sanitarie  locali  e  con  gli  enti  locali" (art. 3, quarto
 comma).
    Sono evidenti gli oneri derivanti a carico della regione  da  tali
 disposizioni;
       d)  parimenti produce direttamente oneri a carico della regione
 l'obbligo, sancito dall'art. 3, quinto comma, "al fine di tutelare il
 patrimonio zootecnico", di indennizzare  "gli  imprenditori  agricoli
 per  le  perdite  di  capi  di  bestiame  causate  da  cani randagi o
 inselvatichiti,  accertate  dal  servizio   veterinario   dell'unita'
 sanitaria locale" (art. 3, quinto comma).
    All'onere  diretto  per  la  regione  relativo  agli indennizzi si
 aggiunge l'onere derivante a  carico  dei  servizi  veterinari  delle
 u.s.l. dall'obbligo dei relativi accertamenti.
    La  legge dunque, riassumendo, pone a carico diretto della regione
 (contributi per la realizzazione degli interventi di  competenza  dei
 comuni:  art. 3, secondo comma; formazione e attuazione del programma
 di  prevenzione  del  randagismo:  art.  3,  terzo  e  quarto  comma;
 indennizzo  agli  agricoltori:  art.  3,  quinto  comma; pone oneri a
 carico delle strutture sanitarie pubbliche, che gravano in definitiva
 sulla regione quanto al loro finanziamento (sterilizzazione dei  cani
 e  gatti  di proprieta': art. 2, primo comma; tatuaggio e trattamento
 profilattico dei  cani  vaganti  catturati:  art.  2,  quinto  comma;
 sterilizzazione  dei  gatti  che  vivono  in liberta': art. 2, ottavo
 comma; cura della saluta  nelle  "colonie  di  gatti  che  vivono  in
 liberta'":  art.  2, decimo comma; controllo sanitario dei rifugi per
 cani: art. 2, unidicesimo comma e art. 3, secondo comma;  servizi  di
 pronto  soccorso  per  cani:  art.  2,  dodicesimo comma; istituzione
 dell'anagrafe canina e tatuaggio dei cani: art. 3, primo comma;  pone
 oneri, infine, a carico dei comuni (risanamento dei canili comunali e
 costruzione  e  gestione di rifugi per cani: art. 3, secondo ccomma e
 art. 4.
    Ora, a fronte di questo complesso di oneri, alcuni dei quali molto
 gravosi, la legge, sul  piano  finanziario,  si  limita  a  istituire
 presso  il  Ministero  della  sanita'  un  fondo, la cui dotazione e'
 determinata in un miliardo per il 1991 e in due miliardi a  decorrere
 dal  1992  (art.  8,  primo  comma); vi si aggiunge il provento delle
 sanzioni (art. 5, sesto comma).
    Di tale  fondo,  una  somma  non  superiore  al  25%  puo'  essere
 destinata  dalla  regione  alla  realizzazione  degli  interventi  di
 propria competenza, mentre la restante parte e' assegnata  agli  enti
 locali  -  tra  i  quali  non  e'  chiaro  se sono comprese le unita'
 sanitarie locali - "per la realizzazione  degli  interventi  di  loro
 competenza" (art. 3, sesto comma; e cfr. anche art. 4, primo comma).
    Due   miliardi   all'anno  (piu'  gli  spiccioli  derivanti  dalle
 sanzioni) per tutto il territorio nazionale, rappresentano pero'  una
 goccia,  rispetto  all'entita'  degli oneri da affrontare; e la quota
 del 25% di spettanza della  regione  e'  ancora  piu'  clamorosamente
 insufficiente rispetto ai compiti nuovi ad essa addossati.
    Particolarmente  rilevanti  sono  gli  oneri  di  gestione, per il
 necessario  rafforzamento  dei  servizi  veterinari,  che  dovrebbero
 propriamente ristrutturarsi per far fronte a nuovi compiti, e valersi
 di nuovo personale.
    La  Costituzione  impone  al  legislatore,  quando dispone nuove o
 maggiori spese, di indicare i mezzi per farvi fronte (art. 81, quarto
 comma).
    Tale principio vale, pacificamente, anche quando  le  nuove  spese
 sono  determinate dal legislatore a carico del bilancio della regione
 o delle strutture (come le u.s.l.) da essa finanziate.
    L'art.  27  della  legge  5  agosto  1978,  n.   468,   stabilisce
 espressamente che le leggi che comportano oneri, anche sotto forma di
 minori  entrate,  a  carico  dei  bilanci degli enti del c.d. settore
 pubblico  allargato  (fra  cui  le  regioni)  "devono  contenere   la
 previsione  dell'onere  stesso  nonche' l'indicazione della copertura
 finanziaria riferita ai relativi bilanci, annuali e pluriennali".
    Piu' di recente l'art. 3, sesto comma, della legge 14 giugno 1990,
 n. 158, ha ribadito che "i provvedimenti statali che  direttamente  o
 indirettamente  comportino  nuove funzioni o ulteriori compiti per le
 regioni o modifichino quelli  esistenti  aggravandone  gli  oneri  di
 gestione, debbono indicare le risorse occorrenti per la loro adeguata
 copertura".
    Nulla  di  tutto  cio'  si  rinviene nella legge in esame. Nessuna
 stima  degli  oneri;  un   finanziamento   ridicolamente   inadeguato
 all'entita'  dei  compiti  nuovi  e  degli  obblighi  direttamente  e
 indirettamente forieri di oneri  finanziari,  posti  a  carico  della
 regione  e  delle strutture sanitarie; nessuna considerazione per gli
 oneri di gestione derivanti dalla necessita' di adeguare le strutture
 ai nuovi compiti e alle nuove funzioni.
    La   legge   n.   281/1991   costituisce   un   cospicuo   esempio
 dell'atteggiamento  di  un  legislatore statale "spensierato", che in
 nome  delle  migliori  intenzioni  proclama  nuovi  compiti  e  nuovi
 obblighi  per  la  pubblica  amministrazione,  senza  preoccuparsi di
 definire rigorosamente fattibilita' e costi  degli  interventi  e  di
 calcolare  le  conseguenze  finanziarie della legge. "Spensieratezza"
 che pero' nella specie si traduce in aggravio diretto e indiretto per
 le finanze delle regioni, alle quali viene promessa, in cambio,  solo
 una  quota  di  un  minuscolo  fondo, la cui sproporzione rispetto ai
 costi aggiuntivi e' palese, e potrebbe in ogni caso essere facilmente
 comprovata attracerso opportuni adempimenti istruttori.
    In tal modo si viola il precetto costituzionale sulla copertura  e
 si  lede  l'autonomia  finanziaria e di spesa della regione, la quale
 sarebbe costretta a destinare ai nuovi compiti risorse proprie,  gia'
 destinate e gia' impegnate per l'adempimento delle sue funzioni.