IL TRIBUNALE
    Ha  emesso la seguente ordinanza nella causa civile di primo grado
 iscritta al n. 66198 del ruolo generale per  gli  affari  contenziosi
 dell'ano  1990  posta  in  deliberazione all'udienza collegiale del 6
 febbraio 1991 e vertente  tra  Nigeria  S.p.a.  in  liquidazione,  in
 persona del legale rappresentante, elettivamente domiciliata in Roma,
 via  L.  Mancinelli  n. 6, presso lo studio dell'avv. F. Naticchioni,
 che la rappresenta  e  difende  per  delega  a  margine  del  ricorso
 introduttivo,  ricorrente, e il condominio di largo Fermi n. 6, Roma,
 in   persona   del   suo   amministratore  in  carica,  elettivamente
 domiciliato in Roma, via Magna Grecia n.  84,  presso  l'avv.  Angelo
 Pinto,  dal  quale e' rappresentato e difeso per delega in calce alla
 copia notificata del ricorso, resistente, nonche' il fallimento della
 S.p.a. Nigeria in liquidazione, in persona del  curatore  in  carica,
 resistente contumace.
    Oggetto: impugnazione di credito ammesso.
    Il  tribunale  di Roma, con sentenza del 5 maggio 1990, dichiarava
 il fallimento della S.p.a. Nigeria, in liquidazione, su  ricorso  del
 condominio  di largo Fermi n.6, Roma, unico creditore istante, munito
 di sentenza della corte d'appello di Roma che  condannava  la  S.p.a.
 Nigeria  al risarcimento dei danni, in favore del condominio istante,
 nella misura di L. 60.000.000, oltre interessi e spese accessorie.
    Alla udienza di verifica del 3 ottobre 1990, alla quale il fallito
 non era presente, veniva depositata domanda di ammissione al  passivo
 soltanto  da  parte del menzionato condominio; il curatore dichiarava
 "di non avere elementi per  contestare  il  credito"  ed  il  giudice
 delegato ammetteva il cedito come da domanda.
    Con  ricorso  del  16  ottobre  1990,  depositato,  notificato  ed
 iscritto a ruolo nei termini, la fallita societa',  premesso  che  la
 sentenza  della  corte  d'appello  di Roma, sulla quale il condominio
 istnate fondava il suo credito, era stata impugnata con  ricorso  per
 cessazione,  pendente  al  momento  della dichiarazione di fallimento
 "proponeva opposizione all'ammissione del credito del  condominio  di
 largo C. Fermi n. 6, Roma, e" chiedeva che il tribunale lo escludesse
 ai sensi dell'art. 95, terzo comma, della l.f., o per qualsiasi altro
 motivo  di giustizia. Nell'ipotesi che il tribunale l'avesse ritenuta
 non  legittimata  alla  opposizione,  la  S.p.a.   Nigeria   eccepiva
 l'illegittimita'  costituzionale  degli  artt. 43 e 100 della l.f. in
 relazione agli artt. 24 e 113 della Costituzione.
    Il condominio convenuto si costituitva, eccependo, tra l'altro, il
 difetto di legittimazione della fallita, mentre il fallimento restava
 contumace.
    Tanto  premesso  in  ordine  ai  fatti  ed  allo  svolgimento  del
 processo,   il   tribunale   ritiene   non  manifestamente  infondata
 l'eccezione di  illegittimita'  costituzionale  dell'art.  100  della
 l.f., in relazione all'art. 24 della Costituzione.
    Il  collegio,  naturalmente,  non ignora che la questione e' stata
 decisa, in senso negativo, dalla Corte costituzionale con la sentenza
 n. 222/1984 e  che  la  questione  e'  stata  piu'  volte  dichiarata
 manifestamente  infondata  dalla Corte di cassazione (Cass. 14 maggio
 1981, n. 3172 e Cass. 21 gennaio 1985, n. 195). Tuttavia, a  sommesso
 avviso  del  collegio,  la  peculiarita'  della  presente fattispecie
 evidenzia un nuovo profilo di illegittimita' e consiglia  un  riesame
 della questione.
    Nel  caso  in  esame  si verificano le seguenti circostanze: 1) la
 fallita societa', come risulta dalla relazione del curatore agli atti
 del fallimento, non ha debiti diversi da quello, contestato, verso il
 condominio di largo Fermi; 2) la fallita societa' non possiede alcuna
 attivita', con la conseguenza che dall'accertamento  del  credito  di
 cui al punto precedente consegue automaticamente l'accertamento dello
 stato  di  insolvenza;  3)  la  fallita  societa',  come dalla stessa
 dedotto in questa sede e come risulta dal fascicolo fallimentare,  ha
 proposto opposizione alla dichiarazione di fallimento, contestando la
 sussistenza  dello stato di insolvenza ed affermando, in particolare,
 di non avere alcun debito nei confronti del condominio istante.
    In tale situazione, tenuto conto, alla stregua del diritto vivente
 (Cass. 8 febbraio 1969, n.  427  e  Cass.  9  aprile  1970,  n.  971,
 entrambe  con specifico riferimento alla preclusione, per il fallito,
 della  possibilita'  di  contestare,  in  sede  di  opposizione  alla
 dichiarazione   di  fallimento,  i  crediti  risultanti  dallo  stato
 passivo; nonche' Cass. 14 maggio 1981, n. 3172  e  Cass.  21  gennaio
 1985,   n.  195,  entrambe  sopra  citate),  dalla  sicura  efficacia
 endofallimentare dell'accertamento del passivo effettuato in sede  di
 verifica  dei  crediti,  appare  chiaro che, ove non si ammettesse la
 legittimazione del fallito alla impugnazione del credito  ammesso,  e
 tanto dovrebbe conseguire alla applicazione dell'art. 100 della l.f.,
 l'opposizione    alla    dichiarazione    di    fallimento    sarebbe
 definitivamente  pregiudicata  dalla  ammissione  del   credito   qui
 impugnata.  In  proposito,  il  collegio ritiene che la ricerca di un
 piu' soddisfacente equlibrio, all'interno delle procedure concorsuali
 "anche nella prospettiva di una migliore tutela della condizione  del
 fallito"  (Corte  costituzionale  n. 222/1984 cit.), divenga non piu'
 solo auspicabile, ma necessaria per garantire il  diritto  di  difesa
 del fallito ogni qualvolta l'accertamento del credito sia, come nella
 fattispecie,   immediatamente   e   direttamente   decisivo  ai  fini
 dell'accertamento  dello  stato  di  insolvenza.  Tale  aspetto   del
 problema,  del  resto,  e'  estraneo alle fattispecie esaminate dalla
 Corte di cassazione, che,  dichiarando  la  questione  manifestamente
 infondata,  ha  posto  l'accento  sulla efficacia esclusivamente endo
 fallimentare dei provvedimenti  resi  in  materia  di  ammissione  di
 crediti al passivo e sulla conseguente possibilita' per il fallito di
 successivi  controlli  sulle pretese dei creditori. Nel caso in esame
 e'  evidente  che  i  successivi  controlli  ed   anche   l'eventuale
 favorevole  esito  del  ricorso  per  cassazione  non avrebbero alcun
 effetto  ai  fini  dell'accertamento  dello  stato   di   insolvenza,
 vincolato ai risultati dello stato passivo.
    E'  il  caso  di  osservare  che  la lesione del diritto di difesa
 prende  corpo  nella  mancata   legittimazione   del   fallito   alla
 impugnazione,  con conseguente rilevanza nel presente giudizio, e non
 nella  efficacia  endofallimentare  dell'accertamento  del   passivo.
 Premesso che, ove la violazione del diritto di difesa fosse ravvisata
 nella  efficacia  endofallimentare  dell'accertamento del passivo, la
 questione non sarebbe rilevante in  questa  sede  e  potrebbe  essere
 sollevata  solo  nel  giudizio  di  opposizione  a  dichiarazione  di
 fallimento, il collegio ritiene non prospettabile  in  tal  senso  il
 problema,   giacche'   l'efficacia  endofallimentare  e'  logicamente
 funzionale alle esigenze della procedura,  non  potendosi  ipotizzare
 uno  stato  passivo (non impugnato e divenuto) definitivo che non sia
 conforme alla sentenza che accerta la sussistenza o meno dello  stato
 di insolvenza.
    La decisione n. 222 della Corte costituzionale, pur con l'auspicio
 sopra ricordato, ha ritenuto che il diritto di difesa del fallito sia
 insufficientemente  garantito  dalla  partecipazione del fallito alla
 fase sommaria della verificazione, che consentirebbe allo  stesso  di
 rappresentare  le  sue  ragioni.  Tale  partecipazione,  tuttavia, ad
 avviso del collegio, e'  idonea  alle  esigenze  di  difesa  solo  in
 relazione  ai  rapporti  processuali  rispetto ai quali il fallito ha
 perso  la  legittimazione (art. 43 della l.f.) e nei limiti in cui la
 perdita  di  legittimazione  sia  funzionale  alle   esigenze   della
 procedura,  come si vengono concretamente a configurare nelle fasi di
 accertamento del passivo, di accertamento,  recupero  e  liquidazione
 dell'attivo  nonche' di ripartizione di quest'ultimo tra i creditori.
 Oltre tale limite, quando, in particolare, l'accertamento del passivo
 ha immediati e diretti riflessi  in  ordine  a  rapporti  processuali
 civili, come l'opposizione alla dichiarazione di fallimento, rispetto
 ai  quali  il  fallito  ha  ovvia  legittimazione,  ovvero rispetto a
 rapporti processuali penali, come  quelli  conseguenti  ad  eventuali
 imputazioni  di  bancarotta,  la mera audizione del fallito non offre
 sufficiente tutela giurisdizionale dei suoi diritti in relazione alla
 decisione che puo' essere assunta dal giudice delegato.
    Pertanto, quando  l'accertamento  del  passivo  non  ha  efficacia
 limitata   ai   fini   delle   operazioni   procedurali   ed  investe
 l'accertamento di uno dei  presupposti  del  fallimento,  quando,  in
 particolare,   la   pronunzia   del  giudice  delegato  ha  efficacia
 preclusiva anche in giudizio nel quale il  fallito  conserva  la  sua
 legittimazione,  appare  fortemente  lesiva  del diritto alla difesa,
 garantito  dall'art.  24  della  Costituzione,   l'esclusione   della
 legittimazione  del  fallito alla impugnazione dei crediti ammessi al
 passivo dal  giudice  delegato.  Sotto  tale  profilo,  pertanto,  e'
 irrilevante,  ad  avviso  del collegio, la circostanza che il fallito
 non sia comparso all'udienza di verificazione del passivo, in  quanto
 cio'  che  conta  e'  il  fatto  che lo stesso non possa impugnare un
 provvedimento che ha effetti preclusivi in un  giudizio  rispetto  al
 quale ha conservato la legittimazione.
    Il  collegio  e'  consapevole  che  l'estensione  al fallito della
 legittimazione alla impugnazione ex  art.  100  della  l.f.  potrebbe
 comportare  gravi  rischi  per  la  funzionalita' della procedura, in
 considerazione   di   possibili   strumentalizzazioni,    quali    la
 proliferazione  di impugnazioni tese esclusivamente al rallentarne il
 corso. Tali  inconvenienti,  tuttavia,  se  possono  consigliare,  in
 ipotesi,  al  legislatore  la  ricerca  di una diversa soluzione, non
 posono esimere il tribunale dal  rimettere  l'esame  della  questione
 alla  Corte  costituzionale.  In  proposito,  peraltro,  il  collegio
 ritiene che la portata degli inconvenienti debba essere valutata  con
 riferimento  ai  presupposti  in  presenza dei quali l'esclusione del
 fallito dalla legittimazione alla impugnazione prevista dall'art. 100
 fallimentare viene ritenuta da  questo  tribunale  in  contrasto  con
 l'art. 24 della Costituzione. In particolare, sotto tale profilo, as-
 sume  rilievo  la  concreta  pregiudizialita'  dell'accertamento  del
 credito impugnato dal fallito rispetto  al  giudizio  di  opposizione
 alla dichiarazione di fallimento.
    Per quanto sopra esposto, il collegio, ritenuta non manifestamente
 infondata  la  questione di legittimita' costituzionale dell'art. 100
 della  l.f.,  nella  parte  in  cui  non  prevede  la  legittimazione
 all'impugnazione  da  parte  del  fallito,  quando l'accertamento del
 credito abbia carattere pregiudiziale rispetto alla opposizione  alla
 dichiarazione di fallimento proposta dallo stesso fallito, dispone la
 trasmissione  degli  atti  alla  Corte  costituzionale  e sospende il
 giudizio.