LA CORTE DEI CONTI Ha emesso la seguente ordinanza n. 30/1991/ord. sui ricorsi in materia di pensione civile iscritti ai numeri 1109/C e 1323/C del registro di segreteria proposti da La Bruna Giuseppe, nato il 15 agosto 1912 a Buscemi (Siracusa), avverso il provvedimento pro. n. 343/89/349, sezione pensioni adottato dall'intendenza di finanza di Palermo in data 4 marzo 1989. Rappresentato il ricorrente dall'avvocato Tommaso Palermo per mandato conferito il 18 maggio 1989. Uditi alla pubblica udienza del 7 dicembre 1990 il relatore consigliere Mariano Grillo ed il pubblico ministero nella persona del viceprocuratore generale dott. Giovanni Coppola. Esaminati gli atti ed i documenti di causa. RITENUTO IN FATTO Il ricorrente signor dott. Giuseppe La Bruna - gia' dirigente superiore appartenente ai ruoli periferici del Ministero delle finanze e collocato a riposto dal 1º novembre 1976 - ha chiesto il riconoscimento del suo diritto alla riliquidazione del proprio trattamento pensionistico negato dall'amministrazione con provvedimento del 4 marzo 1989. Con due ricorsi distinti, ma con identico contenuto, depositato rispettivamente il 15 maggio 1989 ed il 3 agosto 1989, eccepisce il ricorrente che, sino alla data di entrata in vigore del d.P.R. 30 giugno 1972, n. 748, il legialstore aveva previsto un meccanismo costante di riliquidazione dei trattamenti pensionistici, che veniva disatteso pero' da tutta la legislazione successiva, a cominciare dalla legge 29 aprile 1976, n. 177, con ulteriore inasprimento della "disparita' retributiva della stessa categoria di pensionati" provvedendo, con l'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468, alla riliquidazione dei trattamenti pensionistici solo per i dirigenti cessati dal servizio posteriormente al 1º gennaio 1979. Ritiene, pertanto, il ricorrente che il predetto art. 3 sia "palesemente incostituzionale, in quanto viola gli art. 3, 36 e 38 della Costituzione" e che, pertanto, questa Corte possa, "in omaggio al principio interpretativo basato sulla ratio della norma, la quale, giusta le prevalente giurisprudenza della consulta", .. "deve adeguarsi ai principi costituzionali e consentire l'interpretazione estensiva de qua per non porsi, evidentemente, in contrasto con gli art. 3, 36 e 38 della Costituzione, accogliere i ricorsi e dichiarare l'applicabilita' dei benefici di cui all'art. 3 della legge n. 468/1987 anche ai dirigenti posti in quiescenza in epoca anteriore alla data predetta" e cioe' anteriormente al 1º gennaio 1979. In via subordinata chiede la sospensione del giudizio e la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale "per il dubbio di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468, nella parte in cui esclude dalla riliquidazione delle pensioni i dirigenti civili e militari dello Stato, ed il personale ad essi collegato ed equiparato cessato dal servizio con decorrenze anteriori al 1º gennaio 1979", fra i quali si trova il ricorrente, in relazione agli art. 3, 36 e 38 della Costituzione della Repubblica, sia per la palese "diversita' di disciplina in presenza di parita' di situazioni" sia per la "sproporzione ed inadeguatezza" del trattamento pensionistico, riservato al ricorrente, alle attuali esigenze di vita. Con istanza depositata il 6 luglio 1989 veniva chiesta la fissazione dell'udienza, con riferimento al primo ricorso al cui fascicolo viene aggregato quello del secondo ricorso. Nella pubblica udienza del 7 dicembre 1990 il procuratore generale chiede la riunione dei ricorsi per connessione oggettiva e soggettiva e conferma le domande formulate nelle conclusioni scritte sollevando questione di legittimita' costituzionale dell'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468, per contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione. CONSIDERATO IN DIRITTO Ai sensi dell'art. 273 del c.p.c., in quanto relativi alla medesima causa, i ricorsi vanno riuniti. Rileva la Sezione che il ricorrente chiede a questa Corte una "pronuncia relativa all'applicabilita' dei benefici di cui all'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468, anche ai dirigenti posti in quiescenza in epoca anteriore" alla data del 1º gennaio 1979, fissata dalla medesima disposizione normativa quale termine iniziale di individuazione dei destinatari ed "in conseguenza, il riconoscimento del diritto alla riliquidazione della propria pensione a far tempo dal 1º agosto 1987 sulla base dei miglioramenti economici concessi dall'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468". Il ricorrente richiede a questa Corte una decisione che l'ordinamento vigente non consente. Nel ritenere, infatti, che questo giudice "in omaggio al principio interpretativo basato sulla ratio della norma" debba "adeguarsi ai principi costituzionali e consentire l'interpretazione estensiva de qua per non porsi, evidentemente, in contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Carta costituzionale", propone una inammissibile violazione, da un lato, delle disposizioni sulla legge in generale, indicando lo strumento ermeneutico quale mezzo di interpretazione estensiva da utilizzarsi oltre i limiti previsti dall'art. 12, primo comma, delle preleggi; dall'altro, dei precetti costituzionali, sostanzialmente chiedendo alla Corte di sostituirsi al legislatore modificando i termini dell'art. 3 della citata legge n. 468/1987 per evitarne cosi' il contrasto con gli artt. 3, 36 e 38 della Costituzione della Repubblica, riesumando quella forma di controllo diffuso e incidenter tantum venuto a cessare con l'inizio dell'attivita' della Corte costituzionale, cui il controllo di legittimita' delle leggi e' affidato in via esclusiva dall'art. 134 della Costituzione. Tanto premesso, tuttavia, ponendosi questione di applicazione di legge, per la quale il sindacato della Corte costituzionale puo' e deve essere esercitato, questo giudice non puo' esimersi dall'esaminare il dubbio di legittimita' costituzionale che, con riferimento al medesimo art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468, viene prospettato negli stessi termini dal ricorrente e dal procuratore generale. La rilevanza della questione appare, peraltro, in re ipsa ai fini della decisione nel merito, perche' dall'esito della stessa dipende l'esito della pretesa del ricorrente sul punto dell'applicazione nei suoi confronti dei benefici previsti dall'art. 3 della legge 14 novembre 1987, n. 468. Tanto piu' che la questione viene prospettata con motivi diversi da quelli per i quali su casi analoghi la stessa Corte costituzionale ne ha dichiarato l'inammissibilita', dato che non viene posta questione di estensione al trattamento di quiescenza delle maggiorazioni accordate per quello di attivita', ne' si fa questione di rideterminazione della base pensionabile, con riferimento al trattamento economico raggiunto successivamente, a parita' di qualifica, dai dirigenti in servizio, ma piu' linearmente di perequazione a favore di alcuni pensionati con esclusione di altri pur appartenenti alla medesima categoria. Sicche' la pronunzia della Corte costituzionale appare di influenza determinante sulle decisioni da assumersi da questo giudice. Non resta, quindi, che condurre quell'esame diretto ad accertare se il denunciato vizio di incostituzionalita' sia o non manifestamente infondato al fine di rimettere il giudizio alla Corte costituzionale. Osserva la sezione che in effetti sin dall'entrata in vigore della legge 29 aprile 1976, n. 177, il meccanismo di riliquidazione delle pensioni e' stato operato dal legislatore limitandone i benefici alle cessazioni dal servizio intervenute oltre una certa data. Criterio mantenuto successivamente, ivi compresa la legge 14 novembre 1987, n. 468, il cui art. 3 incorre nelle censure del ricorrente e della procura generale, in quanto esclude dai benefici ivi previsti i pensionati cessati dal servizio anteriormente al 1º gennaio 1979. Occorre, pertanto, verificare se, fermo restando il collegamento all'ultima retribuzione percepita, tale criterio di perequazione delle pensioni sia conforme al principio di proporzionalita' alla quantita' e qualita' del lavoro prestato, nonche' al principio di ragionevolezza ed eguaglianza. Principi che, come gia' considerato in precedente ordinanza (21 febbraio 1990) da questa sezione, non puo' dubitarsi possono ricevere un rilevante vulnus da una normativa che ripartisca le risorse disponibili, per la perequazione dei trattamenti di quiescenza, privilegiando le pensioni liquidate in tempi piu' recenti ed accentuando in tal modo, tra queste e le liquidazioni piu' remote, il divario gia' necessariamente connesso al mutato potere di acquisto della moneta ed alla piu' alta base pensionabile derivante dall'incremento retributivo di attivita'. Sembra, infatti, rispondere ad equita' e ragionevolezza l'opposto criterio che attribuisca alle liquidazioni piu' remote un piu' alto indice di perequazione. Con l'art. 3 del d.-l. 16 settembre 1987, n. 379, convertito nella legge 14 novembre 1987, n. 468, invece, viene disposta la riliquidazione delle pensioni dei dipendenti dello Stato, ma solo se cessati dal servizio con decorrenza successiva al 1º gennaio 1979 e con esclusione, quindi, delle liquidazioni per cessazioni dal servizio precedenti e piu' remote. La riliquidazione in base a detta disposizione va effettuata con riferimento allo stipendio e retribuzione di attivita' derivanti e determinati rispettivamente e progressivamente da diverse disposizioni di legge (legge 20 novembre 1982, n. 869, di conversione del d.-l. 27 novembre 1982, n. 681, legge 17 aprile 1984, n. 79, legge 8 marzo 1985, n. 72, di conversione del d.-l. 11 gennaio 1985, n. 2; legge 11 luglio 1986, n. 341, di conversione del d.-l. 10 maggio 1986, n. 154). Tali norme si riferiscono a benefici di attivita', che vengono estesi a liquidazioni relative a cessazioni dal servizio precedenti la loro introduzione, purche' non anteriori al 1º gennaio 1979, e determinate percio' sulla base di retribuzioni non fruite in periodo di attivita', perche' introdotte in data successiva a quella di cessazione dal servizio. Questo criterio ha consentito un opportuno avvicinamento tra trattamenti di quiescenza e trattamenti di attivita', ma e' l'esclusione delle liquidazioni precedenti al 1º gennaio 1979, e quindi delle pensioni piu' abbisognevoli di adeguamento, che sembra in contrasto col principio di ragionevolezza ed eguaglianza (art. 3 della Costituzione), in relazione al principio della proporzionalita' tra retribuzione differita e lavoro prestato (art. 36 della Costituzione). Se puo' essere ritenuto conforme alla Costituzione il diverso trattamento di quiescenza tra personale collocato a riposo in epoche diverse, in quanto determinato con riferimento a diverso trattamento di attivita', non appare ragionevole privilegiare alcuni rispetto ad altri, pur essendo tutti nella stessa situazione in quanto non fruenti, in attivita', della retribuzione ora presa a base della riliquidazione quale mezzo di adeguamento perequativo. Tanto meno appare ragionevole la discriminazione perche' accentua ed ingrandisce il divario tra pensioni piu' remote e pensioni piu' recenti, con violazione, quindi, di quello stesso principio di gradualita' nel quale la stessa Corte costituzionale (sentenza n. 173/1986) ha ravvisato l'esercizio di discrezionalita' legislativa finalizzata alla realizzazione del principio di eguaglianza e ragionevolezza (ordinanza n. 520 del 30 novembre 1989). Con riferimento alle norme richiamate, risulta evidente, infatti, come non solo "il legislatore non ha realizzato il programma, prefissosi nel 1976, di collegare, il trattamento di quiescenza agli incrementi del trattamento del personale in attivita' di servizio" (Corte costituzionale n. 501/1988), ma ha sempre piu' accentuato il divario tra trattamenti pensionistici piu' remoti e trattamenti pensionistici piu' recenti, ancorche' riferiti a identiche situazioni di qualifica ed anzianita'. E cio', in un primo momento, attraverso l'applicazione di uno stesso criterio di perequazione, inspiegabilmente decrescente rispetto ai vari periodi di cessazione dal servizio, privilegiando le liquidazioni piu' recenti, e piu' di recente con l'art. 3 della legge 468/1987, con l'inspiegabile totale esclusione di quelle piu' remote. Se con riferimento all'art. 36 della Costituzione "il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantita' e qualita' del suo lavoro ed in ogni caso sufficiente ad assicurare a se' e alla famiglia un'esistenza libera e dignitosa"; se tale principio costituzionale non puo' trovare applicazione disgiunta dai principi di ragionevolezza ed uguaglianza di cui all'art. 3 della stessa Costituzione; se, infine, tali requisiti non devono sussistere soltanto al momento del collocamento a riposo, ma vanno costantemente assicurati anche nel prosiequo, in relazione ai mutamenti del potere di acquisto della moneta (Corte costituzionale n. 26/1980 e n. 173/1986), non si evidenzia alcun ragionevole motivo per differenziare in senso negativo le pensioni connesse a cessazioni dal servizio piu' remote rispetto a quelle piu' recenti, quanto meno in sede di adeguamento perequativo, e sembra equo, ragionevole e conforme ai principi costituzionali, che le pensioni piu' remote, e percio' meno adeguate al potere d'acquisto della moneta (Corte costituzionale n. 26/1980 e n. 173/1986), fruiscano, in misura percentuale, di maggiore, o almeno pari, rivalutazione, in ossequio proprio a quella "gradualita' imposta da scelte di politica sociale ed economica" cui piu' volte la Corte costituzionale si e' richiamata. Sotto tale profilo non appare manifestamente infondata la proposta censura di incostituzionalita' della norma sopra richiamata. La questione e' altresi' rilevante per la definizione del giudizio dovendosi decidere sulla quantificazione del trattamento pensionistico allo stato spettante al ricorrente.