IL PRETORE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa n. 3432/1990 promossa da Livoti Giuseppe col proc. dom. avv. Garlatti, contro l'I.N.A.I.L. col proc. dom. avv. Polliere sciogliendo la riserva che precede osserva quanto segue. Il ricorrente chiede la condanna dell'I.N.A.I.L. a corrispondere la rendita vitalizia con gli interessi e la rivalutazione ai sensi e per gli effetti dell'art. 429 del c.p.c. applicabile nella specie alle prestazioni previdenziali a seguito della sentenza Corte costituzionale n. 156/1991. Ritiene pero' il giudicante di sollevare di ufficio la eccezione di incostituzionalita' del predetto art. 429, terzo comma, del c.p.c. per violazione del principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione. Il pretore prende lo spunto dalla stessa sentenza citata n. 156/1991 la quale ha dato atto della eccezione di incostituzionalita', sollevata dallo stesso I.N.A.I.L. casualmente, aggiungendo peraltro di non poterla esaminare in quella sede evidentemente perche' non proposta nelle forme di rito. Questa volta il pretore intende prospettarla formalmente. Essa e' rilevante in quanto il giudizio non puo' essere concluso senza prima stabilire se la norma invocata sia legittima o meno ed appare altresi' fondata per i motivi che seguono. Come e' noto la Corte costituzionale considera due profili: la irrazionalita' e la irragionevolezza (vedi in particolare sentenza n. 429/1990). Il pretore intende far valere entrambi i profili. 1. - Innanzitutto l'art. 429, terzo comma, del c.p.c. suscita sospetti di illegittimita' costituzionale in relazione all'art. 3 della Costituzione considerata l'esorbitanza della tutela ora accordata ai crediti di lavoro dal cumulo irrazionale di due strumenti di copertura della inflazione, che invece dovrebbero essere alternativi. Per effetto della legge 26 novembre 1990, n. 353, il saggio degli interessi legali e' stato elevato al 10% annuo, il che significa che ai crediti di lavoro e alle prestazioni previdenziali compete in caso di ritardo del pagamento una maggiorazione del 16% attualmente (stante l'attuale livello dell'inflazione al 6%). Se prima della legge n. 353/1990 una maggiorazione dell'11% (quando l'interesse legale era attestato sul 5%) poteva trovare qualche giustificazione, ora che come si diceva l'interesse e' stato elevato al 10% tale giustificazione non sembra piu' rinvenirsi rispetto alle normali condizioni del mercato mobiliare. E' noto ifatti che il danno che gli interessi e la rivalutazione tendono a coprire ai sensi dell'art. 429 citato per il ritardo del pagamento si identifica con il guadagno che non puo' conseguire il creditore per la mancata disponibilita' della somma dovuta. Egli invero se ne avesse avuto la predetta disponibilita' l'avrebbe potuta investire realizzando un reddito che nell'attuale situazione del mercato al piu' puo' ammontare al 10%. E poiche' gli interessi legali ormai coprono l'area del predetto danno non dovrebbe restare spazio per l'ulteriore risarcimento rappresentato dalla svalutazione monetaria. Persistere nel riconoscere al creditore ex art. 429 la rivalutazione monetaria in questo contesto significa attribuire un trattamento senza titolo, in quanto l'eccedenza non puo' piu' considerarsi risarcimento di un danno che non sussiste. 2. - Secondariamente la norma contenuta nel menzionato art. 429 e' ingiustificatamente discriminatrice. La irragionevolezza della eccezione disposta a favore dei crediti di lavoro e delle prestazioni previdenziali potra' dunque essere addetta a fondamento di una questione di legittimita' costituzionale del predetto art. 429 rivolta ad ottenere il ripristino della normativa generale ritenuta ingiustificatamente derogata da quella particolare. Si potrebbe obbiettare che la giustificazione del diverso trattamento consisterebbe nella necessita' di porre una remora alla resistenza ed agli ingiustificati ritardi dei datori di lavoro nell'adempimento delle loro obbligazioni (arieggiando la sentenza n. 162/1977 della Corte costituzionale). Si deve pero' ritenere che questa giustificazione sia ormai venuta meno alla luce della successiva sentenza della Corte costituzionale n. 156/1991 che ha esteso la normativa dell'art. 429, terzo comma, del c.p.c. alle prestazioni previdenziali ove sicuramente non vi e' modo di riscontrare la resistenza e gli ingiustificati ritardi dei datori di lavoro di cui sopra. Anzi venuta meno questa ratio e considerazione la uguale natura retributiva dei crediti dei dipendenti degli enti pubblici non economici dovrebbe pure estendersi agli stessi il predetto art. 429 del c.p.c. cosi' superandosi la precedente sentenza n. 43/1977 della stessa Corte. Pero' ad avviso del pretore la soluzione dovrebbe essere piuttosto quella di ridurre nei limiti della regola generale consacrata nell'art. 1224 del c.c. come interpretata dalla Corte di cassazione n. 5299/1989 la portata della norma contenuta nell'art. 429 del c.p.c. Invero la natura retributiva dei crediti di lavoro e delle prestazioni previdenziali non sembra giustificare il trattamento deteriore fatto ai datori di lavoro ed enti previdenziali rispetto ai debitori comuni che tra l'altro hanno forza contrattuale pari o anche superiore (vedi compagnie di assicurazione). D'altra parte altra possibilita' tecnica non sussiste avendo la stessa Corte costituzionale sempre nella citata sentenza n. 427/1990 avvertito che il principio di eguaglianza non puo' fondare un incidente di costituzionalita' diretto ad ottenere l'estensione della norma particolare che, in quanto derogatoria rispetto alla regola desumibile dal sistema normativo, si rivela insuscettibile di estensione ad altri casi. In conclusione ad avviso del pretore la penalizzazione del datore di lavoro e dell'ente previdenziale non ha ragione d'essere e reciprocamente il trattamento previlegiato dei debitori comuni non trova giustificazione nel sistema costituzionale.