IL PRETORE
    Ha  pronunciato  la  seguente ordinanza emessa dal pretore giudice
 dell'esecuzione riguardo alla esecuzione  della  sentenza  penale  n.
 17/1991  pronunziata  dal  pretore  della  sezione  di Acireale il 15
 febbraio 1991 contro Paratore Pietro nato a  Belpasso  il  12  luglio
 1955  ivi  residente  via III trav. n. 97, condannato alla pena di un
 mese di arresto e di L. 50.000 di ammenda, con i benefici  di  legge,
 nonche' al pagamento delle spese processuali.
                         M O T I V A Z I O N E
    Con  decreto  di citazione notificato il 13 novembre 1990 Paratore
 Pietro, imputato di contravvenzione all'art.  68,  quarto  comma  del
 codice stradale, fu rinviato a giudizio per l'udienza del 15 febbraio
 1991.  Il  Paratore  successivamente  alla  notifica  del  decreto di
 citazione presento' domanda di oblazione che fu accolta  dal  g.i.p.,
 che  con sentenza del 24 gennaio 1991 dichiaro' non luogo a procedere
 essendo il reato estinto per oblazione.
    Tale sentenza fu notificata  al  Paratore,  a  mani  della  moglie
 convivente, in data 12 febbaio 1991.
    Nella  data  fissata per il dibattimento cioe' il 15 febbraio 1991
 l'imputato non si presento' ne' fece  presente  che  era  stata  gia'
 accolta  la sua domanda di oblazione, e neppure il p.m. fece presente
 questa   decisiva   circostanza,   sconosciuta,   al   pretore    del
 dibattimento.
    In esito al dibattimento il Paratore fu condannato alla pena di un
 mese di arresto e di L. 50.000 di ammenda coi benefici di legge.
    Tale  sentenza  fu  notificata  all'imputato  contumace in data 21
 febbraio 1991 a mani della moglie convivente.
    In data 12 aprile 1991 il condannato presentava l'istanza in  atti
 colla quale chiedeva:
       a)  dichiararsi  la non esecutivita' della sentenza di condanna
 (art. 670, n. 3, del c.p.p.);
       b) in subordine la rimessione in termini (670, n. 3,  175,  del
 c.p.p.)   per   la   proposizione  dell'impugnazione,  che  proponeva
 contestualmente.
    Il p.m. esprimeva parere favorevole alla rimessione in termini per
 l'impugnazione.
    Ad avviso di questo  giudice  dell'Esecuzione  nessuna  delle  due
 domande puo' essere accolta.
    Non la domanda di dichiarazione di non esecutivita' della sentenza
 di   condanna,  perche'  la  sentenza  e'  esecutiva,  essendo  stata
 regolarmente  notificata   all'imputato   a   cura   del   messo   di
 conciliazione  di  Belpasso  delegato dal v.p.o. di quella sezione, e
 non essendo stata impugnata dall'imputato nel termine previsto  dalla
 legge (art. 648, n. 2, del c.p.p.).
    E neppure la domanda di rimessione in termini, per la proposizione
 dell'impugnazione,  non  sussistendone i presupposti (di cui all'art.
 175 del c.p.p.).
    Infatti il plico contenente la sentenza fu consegnato alla  moglie
 del Paratore (convivente) in data 21 febbraio 1991.
    Da  questa  data  alla  data  di  presentazione  della  domanda di
 remissione in termini (e contestuale impugnazione) sono trascorsi ben
 cinquanta giorni, di contro ai quindici previsti  per  l'impugnazione
 (art. 585 del c.p.p.).
    Non  e'  stato  debotto  (ne'  sussiste)  caso  fortuito  o  forza
 maggiore, ne' l'imputato ha provato (come suo onere,  secondo  l'art.
 175,  n.  2, del c.p.p.) di non avere avuto tempestiva conoscenza del
 provvedimento di condanna, essendo al contrario  presumibile  che  la
 moglie (convivente) gli abbia consegnato il plico o comunque lo abbia
 reso partecipe della avvenuta consegna.
    Il  Paratore  ha  semplicemente  asserito  (ma  non ha provato) di
 essere stato assente da casa nel periodo utile per  l'impugnazione  e
 fino  a  dieci  giorni  prima  della  presentazione  dell'istanza  di
 rimessione in termini, cosi' da  non  avere  avuto  conoscenza  della
 notifica della sentenza.
    Siamo  quindi  al di fuori del campo di applicazione sia dell'art.
 670 sia dell'art. 175 del c.p.p., dovendo il "conflitto" tra  le  due
 sentenza  (quella  di  non  luogo  a procedere per oblazione e quella
 successiva di condanna a seguito di giudizio) risolversi in base alle
 disposizioni  contenute  nell'art.  669  del  c.p.p.,   dettate   per
 risolvere  i  casi  in  cui non sia stato applicato (come nel caso in
 esame) il principio del ne bis in idem (649 del c.p.p.).
    L'art. 669,  mentre  risolve  il  "conflitto"  tra  piu'  sentenze
 dibattimentali  o  tra piu' sentenze istruttorie in base al principio
 del favor rei (considerato come ancor piu' favorevole per  l'imputato
 del  principio  del  ne  bis  in  idem),  invece  quando si tratta di
 "conflitto"  tra  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  e  sentenza
 pronunziata  a  giudizio  (o decreto penale) da sic et simpliciter la
 prevalenza alla  sentenza  pronunziata  in  giudizio  (o  al  decreto
 penale); disapplicando entrambi i principi suddetti.
    La  prevalenza della sentenza pronunziata a seguito di giudizio e'
 fondata sulla presunzione che nel  giudizio  si  possa  accertare  la
 verita'  meglio  che  nelle  indagini preliminari, e sul fatto che la
 sentenza di non luogo a procedere  e'  revocabile  e  che  quindi  la
 sentenza  pronunziata  nel  giudizio abbia implicitamente revocato la
 sentenza di non luogo a procedere.
    Senonche' cio' presuppone che il giudice (del giudizio) sia  stato
 in  grado  di valutare le circostanze gia' valutate dal giudice delle
 indagini preliminari e sia andato in contrario avviso.
    L'automatica prevalenza della sentenza pronunziata a  seguito  del
 giudizio (sancita dall'ultimo comma dell'art. 669 del c.p.p.) diventa
 invece  ingiustificabile,  quando  il  giudice del giudizio (come nel
 caso in esame) non abbia avuto conoscenza della sentenza di non luogo
 a procedere e delle sue motivazioni e pertanto non abbia potuto (come
 imponeva l'art. 129 del c.p.p.)  dichiararsi  non  doversi  procedere
 contro  l'imputato  per  avvenuta  oblazione  (confermando  cosi'  la
 precedente pronunzia  del  g.i.p.)  ovvero  dichiararsi  non  doversi
 procedere  ai sensi dell'art. 649 del c.p.p. (ove il principio del ne
 bis in idem sia ritenuto applicabile anche alle sentenze istruttorie,
 come la giurisprudenza prevalente riteneva riguardo all'art.  90  del
 precedente c.p.p.).
    Se  l'imputato  avesse  presentato domanda di oblazione al giudice
 del dibattimento e fosse stato  da  questo  prosciolto  con  sentenza
 dibattimentale,  alla  successiva  sentenza  di  condanna non sarebbe
 stata data la prevalenza; invece poiche'  l'imputato  e'  stato  piu'
 diligente e ha presentato domanda di oblazione al g.i.p., e da questi
 prosciolto  con  sentenza  di  non  luogo  a procedere, la prevalenza
 (secondo l'art. 669 del c.p.p.) deve essere accordata alla successiva
 sentenza di condanna, emessa perche'  l'ufficio  ignorava  l'avvenuta
 oblazione.
    Non  e'  chi  non  veda che dallo stesso presupposto (l'oblazione)
 nascono conseguenze diverse  a  seconda  che  l'oblazione  sia  stata
 accolta  con  sentenza  dal g.i.p. o dal giudice in fase di giudizio,
 circostanze estrinseche che nulla tolgono o aggiungono al  fatto  che
 il reato, a seguito dell'oblazione, si era estinto.
    In  realta'  non c'e' ragione per derogare anche in questo caso al
 principio del favor rei, che informa tutto il procedimento  penale  e
 le altre disposizioni contenute nell'art. 669 del c.p.p.
   La  disparita'  di  trattamento,  che  nell'art.  669 del c.p.p. e'
 riservata da un lato al caso in cui debbano essere comparate tra loro
 piu' sentenze dello stesso tipo (di condanna o di  proscioglimento  o
 di  non luogo a procedere: art. 669, n. 1, e 7, del c.p.p.) e al caso
 in cui debbano essere comparate sentenze di tipo diverso (sentenza di
 proscioglimento e sentenza di condanna: art. 669, n. 8,  del  c.p.p.)
 ma  emesse  entrambe in fase di giudizio - tutti casi in cui la legge
 da' prevalenza a quella piu' favorevole per l'imputato  o  da  questo
 ritenuta  piu'  favorevole  -  e  dall'altro  lato  al caso in cui la
 comparazione riguardi sentenze di tipo diverso e/o emesse in fasi di-
 verse (sentenza di non luogo a procedere e  sentenza  pronunziata  in
 giudizio  o  decreto  penale)  -  caso  in cui la prevalenza, secondo
 l'art. 669, ultimo comma, deve essere data alla  sentenza  emessa  in
 giudizio  o  al  decreto penale, in base a un criterio formalistico e
 non piu' in base al principio del favor rei;
    Tale  disparita'  di  trattamento  sembra  ingiustificata  sia  in
 generale  sia  a  maggior  ragione  nel  caso  in esame (nel quale il
 "conflitto" riguarda una  sentenza  di  non  luogo  a  procedere  per
 estinzione del reato per oblazione e una sentenza di condanna, emessa
 solo   perche'   il  giudice  del  dibattimento  ignorava  l'avvenuta
 oblazione).
    Si ritene quindi  non  manifestamente  infondata  e  rilevante  la
 questione  di  costituzionalita'  dell'art.  669,  ultimo  comma, del
 c.p.p. per violazione dell'art. 3 della Costituzione.