IL PRETORE Ha pronunciato e pubblicato, dandone lettura in udienza, la seguente ordinanza nel procedimento penale contro: 1) Pedditzi Gianfranco, nato a Marcalagonis il 29 settembre 1971; 2) Gallus Cesare, nato a Cagliari il 7 luglio 1970; 3) Podda Massimiliano, nato a Settimo S. Pietro il 26 novembre 1972, imputati del delitto di cui agli artt. 110, 624, 625, n. 2, 5 e 7 del c.p. perche', in concorso tra loro e con i minorenni Pedditzi Domenico e Mereu Davide, al fine di trarne profitto, si impossessavano dell'autoveicolo Fiat Uno tg. CA/454699 che sottraevano dalla pubblica via dove Pilato Angelina lo deteneva esposto per necessita' e consuetudine alla pubblica fede, previa violenza sulle cose (manomissione blocco accensione e serrature portiere). In Cagliari tra l'8 ed il 9 settembre 1991; Ritenuto che all'odierna udienza dibattimentale ufficiali di polizia giudiziaria hanno presentato al nostro cospetto certi Pedditzi Gianfranco, Gallus Cesare e Podda Massimiliano, arrestati nella flagranza del delitto specificato in epigrafe, che l'arresto e' stato convalidato e che, come richiesto dal pubblico ministero, non sono state applicate misure coercitive; O S S E R V A Ai sensi della disposizione di carattere generale contenuta nell'art. 121 del decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, il pubblico ministero, anche prima di presentare (o far presentare dalla polizia giudiziaria, cfr. art. 163 del d.lgs. cit.) l'arrestato davanti al giudice, ha sempre l'obbligo di valutare la sussistenza oppure non dei requisiti che potrebbero per legge importare l'applicazione di misure coercitive. In particolare, in caso di stima negativa, non puo' egli promuovere il giudizio direttissimo tipico, ma ha il dovere di disporre l'immediata liberazione dell'arrestato e di procedere con le forme ordinarie (cfr. art. 121, secondo comma, citato). Nessuna norma, invece, prevede che la mancata applicazione di misure coercitive da parte del giudice comunque adi'to con le forme del procedimento direttissimo comporti la trasformazione del rito con restituzione degli atti al pubblico ministero. Infatti, secondo l'opinione della dottrina e, da ultimo, anche della Corte di cassazione (C.c. 19 aprile 1991, Corpino+1, in motivazione) per la celebrazione del giudizio speciale e' necessaria, ma anche sufficiente, la sola convalida dell'arresto, come si ricava dal combinato disposto del quinto e sesto comma dell'art. 566 del codice, nei quali e' appunto soltanto statuito che "se l'arresto e' convalidato .. si procede immediatamente al giudizio" e, se non lo e' "il pretore restituisce gli atti al pubblico ministero". Nel vigente sistema, quindi, da un lato, la legge impone al pubblico ministero di adire il pretore designato per la celebrazione dei giudizi direttissimi solo se ricorra (anche) il presupposto della applicabilita' di misure coercitive, e, dall'altro, non pone rimedio alcuno alla violazione di tale limite da parte del medesimo pubblico ministero perche' il giudizio speciale, una volta instaurato, deve comunque essere proseguito non soltanto nell'ipotesi in cui il giudice accerti che quel presupposto non era in realta' sussistente, ma eziandio nel caso - peraltro non infrequente nella pratica - in cui la stessa pubblica accusa neppure chieda l'adozione di misure cautelari. A parere di questo pretore, la norma da ultimo citata, cosi' interpretata - e non si vede come potrebbe esserlo diversamente -, e' di pubblica legittimita' costituzionale, con riferimento all'art. 25, primo comma, della Carta, nella parte in cui appunto non impone al pretore, anche nel caso di mancata adozione di provvedimenti restrittivi, di rendere gli atti al pubblico ministero perche' proceda con le forme ordinarie. Infatti, l'incontrollabilita', sotto il profilo della scelta del rito, della preventiva valutazione del pubblico ministero circa l'applicabilita' di misure coercitive, puo' determinare la indiscriminata sottrazione dell'imputato sia al suo giusto giudice del procedimento incidentale di convalida (che e' il giudice per le indagini preliminari, ai sensi del secondo comma dell'art. 121 cit.) sia a quello del dibattimento (designabile ai sensi dell'art. 160 del d.lgs. cit.), e, al limite, permette che l'esercizio di un potere- dovere legittimo possa trasformarsi in abuso e la discrezionalita' in arbitrio. Costante e' invece la giurisprudenza di codesta Corte nell'affermare che le stime del pubblico ministero destinate ad influire sulla scelta del rito devono essere normalmente soggette al controllo del giudice proprio per rendere il loro esercizio non incompatibile con il canone della predeterminazione sancito nel primo comma dell'art. 25 della Costituzione (cfr., per tutte, le sentenze n. 177/1968; n. 40/1971; n. 123/1971; n. 209/1971; cfr., altresi', Cass. sez. unite 28 novembre 1981, Emiliani). Ne' sembra dubitabile che il principio postulato e ribadito nelle succitate sentenze sia perfettamente in armonia anche con le specifiche posizioni assegnate nel nuovo sistema istituzionale al pubblico ministero ed al giudice, le quali non consentono che la prospettazione del primo - parte che propone una domanda e che deve percio' primariamente provare i requisiti formali di ammissibilita' della stessa - possa avere una "forza" addirittura superiore a quella della volonta' della legge, come dichiarata dal secondo che, invece, imparzialmente decide non solo sul merito della pretesa, ma anche sui relativi suoi presupposti procedurali (cfr. da ultimo, con specifico riferimento alla spettanza in capo al giudice del dovere di controllare i presupposti sui quali si fonda la scelta del rito operata dal pubblico ministero, Corte costituzionale 22 maggio-6 giugno 1991, quart'ultimo cpv. della motivazione). E' inoltre da porre in risalto che l'accoglimento della dedotta questione non creerebbe affatto una situazione finora sconosciuta all'ordinamento processuale, ma, anzi, porrebbe l'attuale sistema in continuita' con l'ultima evoluzione di quello precedente, il cui art. 505, come novellato dalla legge 27 luglio 1984, n. 397, appunto prevedeza che si dovesse procedere immediatamente al giudizio direttissimo solo "se l'arresto e' convalidato ed il pretore non ritiene di disporre che l'imputato sia posto in liberta'". Si potrebbe anzi addirittura sostenere che la disposizione contenuta nell'art. 121, primo comma, delle vigenti disposizioni di attuazione rappresenti un ulteriore perfezionamento di quel meccanismo sotto il profilo garantista. Con essa, infatti, non solo l'alternativa tra la liberazione e l'immediato giudizio di cui all'abrogato art. 505 e' stata ribadita ed anzi estesa anche al procedimento davanti al tribunale ed alla corte d'assise, ma addirittura la soluzione della alternativa stessa e' stata anticipata alla fase del primo, necessario contatto dell'arrestato all'autorita' giuridiaria (cfr. artt. 386 del cod. e 163 att. cit.). E' tuttavia evidente che tale piu' incisiva guarentigia di liberta' risulta invano prevista, se poi, attraverso il meccanismo dell'insindacabilita' dell'opinione del pubblico ministero, lo stato di custodia puo' sempre essere impunemente mantenuto ed il procedimento speciale promosso e coltivato anche fuori del suo proprio ambito istituzionale e, quindi, piu' o meno con consapevolezza, anche utilizzato per il perseguimento di non controllabili obiettivi atipici, taluni dei quali, magari, come la sottrazione dell'imputato al giudice naturale - e, quindi, al "giusto processo" -, non necessariamente condivisibili neppure in linea teorica. La rilevanza della questione sta, infine, in cio', che dalla sua soluzione dipenderanno le modalita', con le forme comuni, oppure con quelle del rito speciale, secondo le quali dovra' svilupparsi l'ulteriore corso del presente procedimento.