ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 215 del codice
 penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 26 febbraio
 1991 dal Giudice per le  indagini  preliminari  presso  il  Tribunale
 militare  di  Palermo  nel  procedimento  penale  a carico di Fiorini
 Egisto ed altri, iscritta al n. 346 del  registro  ordinanze  1991  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 22, prima
 serie speciale, dell'anno 1991;
    Udito nella camera di consiglio del 6  novembre  1991  il  Giudice
 relatore Ugo Spagnoli;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso di un procedimento penale per fatti nei quali la
 pubblica accusa ravvisava ipotesi di peculato per distrazione  "pura"
 (uso  di  somme  destinate  alla  cassa corrente per scopi diversi da
 quelli prescritti), il Giudice per le indagini preliminari presso  il
 Tribunale militare di Palermo ha sollevato, in riferimento all'art. 3
 Cost., una questione di legittimita' costituzionale dell'art. 215 del
 cod.  pen.  mil.  di pace, limitatamente alla parte in cui prevede la
 punibilita' per chi "distrae a profitto proprio od altrui"  denaro  o
 altra cosa mobile appartenente all'Amministrazione militare.
    Il  giudice  rimettente  muove  dal  presupposto  dell'intervenuta
 abolizione, per effetto della legge 26 aprile 1990, n. 86 di  riforma
 dei    delitti    dei   pubblici   ufficiali   contro   la   pubblica
 amministrazione, dell'ipotesi di  peculato  per  distrazione  "pura",
 sicche'  la  relativa  condotta  non  risulta  oggi  punibile,  per i
 pubblici ufficiali civili, salvo che rientri nella  nuova  previsione
 del  peculato d'uso (art. 314, secondo comma, cod. pen., nuovo testo)
 ovvero  in  quella  residuale  dell'abuso  d'ufficio.  Non  essendosi
 disposto  nello stesso modo per il peculato militare, ne risulterebbe
 un'evidente disparita' di trattamento tra due condotte analoghe.
    Ad avviso del giudice a quo, ad una pronuncia  in  tal  senso  non
 sarebbe  di  ostacolo  il  rilievo  - formulato da questa Corte nella
 sentenza  n.  473  del  1990  in  riferimento  ad   analoga   censura
 concernente  il peculato d'uso - per cui "durante la fase transitoria
 (intercorrente  tra  la  dichiarazione   di   incostituzionalita'   e
 l'entrata  in  vigore  di  nuove  norme  in materia la cui emanazione
 spetta al legislatore) il pubblico ufficiale militare, per  l'ipotesi
 di  cui alla prima parte dell'art. 314 c.p. (che poi e' quella stessa
 dell'art. 215 c.p.m.p.), resterebbe esposto all'aumento  di  un  anno
 del  minimo della pena che non sarebbe piu', come ora, da due a dieci
 anni bensi' da 3 a dieci anni di reclusione. Effetto peggiorativo che
 la Corte non puo' determinare ....". Invero, nel caso  di  abolizione
 dell'ipotesi  di  peculato  per  distrazione, l'eventuale utilizzo di
 somme per fini diversi da quelli prestabiliti, da parte del  pubblico
 ufficiale  militare,  avrebbe  le  stesse  conseguenze  previste  per
 l'analoga condotta da parte del pubblico ufficiale civile e, cioe', o
 la mancanza di qualsiasi  responsabilita'  penale  ovvero  la  minore
 responsabilita' derivante dal reato di abuso di ufficio.
    2.  -  Il Presidente del Consiglio dei ministri non e' intervenuto
 nel giudizio.
                         Considerato in diritto
    1. - Muovendo dal presupposto che, con le "Modifiche  in  tema  di
 delitti  dei  pubblici  ufficiali contro la pubblica amministrazione"
 introdotte con la legge 26 aprile 1990, n. 86 e' stata, tra  l'altro,
 disposta,  con  l'art.  1, l'abolizione della figura del peculato per
 distrazione,  il  Giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale    militare    di   Palermo   dubita   della   legittimita'
 costituzionale dell'art. 215 del  codice  penale  militare  di  pace,
 limitatamente  all'ipotesi,  ivi  prevista, del peculato militare per
 distrazione (ovvero lo  distrae  a  profitto  proprio  o  di  altri),
 sostenendo  che la perdurante punibilita' delle condotte dei militari
 in essa incluse comporta, in danno  di  costoro,  una  disparita'  di
 trattamento  rispetto  alle  analoghe condotte dei pubblici ufficiali
 civili e contrasta  percio'  col  principio  di  uguaglianza  di  cui
 all'art. 3 Costituzione.
    2. - La questione e' fondata.
    Va  premesso  che  l'abolizione  della  figura  del  peculato  per
 distrazione non ha affatto significato decriminalizzazione  di  tutte
 le  condotte  che nella stessa venivano ricomprese, dato che molte di
 esse - come emerge dai lavori preparatori della legge n. 86 del  1990
 ed  e'  stato  rilevato dalla dottrina - rientrano oggi nella nuova e
 piu' ampia figura del  delitto  di  abuso  d'ufficio  introdotta  con
 l'art.  13  di  detta  legge, che ha sostituito l'art. 323 del codice
 penale.  E'  noto,  infatti,  -  a  prescindere   da   piu'   sottili
 precisazioni,   che   non   interessano   in   questa   sede   -  che
 sull'individuazione   della   "distrazione"   penalmente    rilevante
 coesistevano  due opzioni interpretative: ritenendosi, talora, che vi
 rientrasse anche la illegittima destinazione della cosa per finalita'
 bensi' proprie della pubblica amministrazione ma non corrispondenti a
 quelle imposte dalla  disciplina  amministrativa;  talaltra,  che  vi
 fossero  ricompresi  solo  i casi di destinazione indebita di risorse
 pubbliche al di fuori dei fini  istituzionali  dell'ente.  In  questa
 seconda  ipotesi  la  "distrazione",  in  quanto comporta un'illecita
 utilizzazione dei poteri di ufficio (e quindi un "abuso")  e  mira  a
 procurare   all'agente   o   a   terzi  un  vantaggio  (o  un  danno)
 qualificabile come "ingiusto", integra - secondo la piu'  accreditata
 dottrina  - il delitto configurato nel nuovo testo dell'art. 323 cod.
 pen.:  sicche'  e'  solo  con  riguardo  alla   prima   ipotesi,   di
 destinazione  interna  alle  finalita'  istituzionali  dell'ente, che
 l'abolitio criminis puo' dirsi verificata.
    Sotto altro profilo, poi, i fatti di  uso  momentaneo  della  cosa
 appartenente   alla  pubblica  amministrazione,  segui'to  dalla  sua
 immediata  restituzione,  che  talora   venivano   qualificati   come
 "distrazione"  pur  se  implicanti una temporanea appropriazione, non
 hanno perduto  rilevanza  penale,  dato  che  rientrano  nell'ipotesi
 attenuata  di  peculato prevista nel secondo comma del novellato art.
 314 cod. pen.
    3. - Poiche' l'ordinanza di  rimessione  muove  da  considerazioni
 analoghe,  la questione sollevata s'incentra nella mancata estensione
 al peculato militare della suesposta  delimitazione  dell'area  della
 punibilita' delle condotte prima rientranti nel peculato comune.
    Questa Corte, nella sentenza n. 473 del 1990, ha gia' ritenuto non
 essere  conforme  a  razionalita'  che le modifiche introdotte per il
 peculato comune con la legge n. 86 del 1990 non siano state estese al
 peculato militare. E cio',  nella  considerazione  -  gia'  espressa,
 proprio a proposito del peculato per distrazione, nella sentenza n. 4
 del  1974  -  della  "sostanziale  identita' della fattispecie di cui
 all'art. 314 c. p. (vecchio testo) con quella  di  cui  all'art.  215
 c.p.m.p.".   I  due  reati,  infatti,  "hanno  in  comune  l'elemento
 materiale e l'elemento psicologico. Identico  e',  infatti,  il  loro
 contenuto,  in  entrambi offensivo dello stesso bene che si e' voluto
 proteggere: denaro e cose mobili appartenenti allo  Stato;"  identica
 altresi',   la  condotta  tipica  delle  due  fattispecie  criminose,
 "concretantesi nell'appropriazione o distrazione di beni da parte  di
 soggetti  attivi aventi una specifica qualifica (pubblico ufficiale o
 incaricato di pubblico servizio e  militare  incaricato  di  funzioni
 amministrative  o di comando)". Ne' una valutazione diversa delle due
 fattispecie puo' essere  desunta  da  "particolari  ragioni  inerenti
 all'amministrazione  militare": anzi, quella del peculato militare e'
 stata dal legislatore considerata meno grave, dato che  e'  per  esso
 comminata una sanzione che, nel minimo "e' inferiore di ben un anno a
 quella prevista per il peculato comune".
    Nel  caso  in  esame,  d'altra  parte,  all'omogeneizzazione della
 disciplina non ostano le ragioni che, in occasione della sentenza  n.
 473  del  1990,  hanno precluso l'accoglimento della questione allora
 sollevata, concernente la mancata introduzione, anche  nell'art.  215
 cod.  pen.  mil.  di  pace, dell'ipotesi attenuata del peculato d'uso
 contenuta nel nuovo testo dell'art. 314 cod. pen. La caducazione,  in
 forza  della  declaratoria  di  illegittimita'  costituzionale, della
 norma incriminatrice speciale del peculato militare  per  distrazione
 comporta  infatti  non un vuoto di disciplina, ne' una non consentita
 introduzione  di  nuove   fattispecie   incriminatrici,   bensi'   la
 regolamentazione   disposta   dall'art.   16   cod.   pen.,  e  cioe'
 l'applicazione delle norme del  codice  penale  comune  alle  materie
 regolate  da  leggi penali speciali - quali il codice penale militare
 di pace - in  quanto,  come  nel  caso,  non  sia  da  queste  (piu')
 stabilito altrimenti. Di conseguenza, le condotte dei militari dianzi
 punite  a  titolo  di  peculato  militare  per distrazione resteranno
 punibili se ed in  quanto  integrino  le  fattispecie  descritte  nei
 novellati  artt.  314,  secondo  comma  e  323 cod. pen.; altrimenti,
 resteranno non punibili al pari  delle  corrispondenti  condotte  dei
 pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio civili, con cio'
 eliminandosi    la   denunciata,   ingiustificabile   disparita'   di
 trattamento.