ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 260, secondo
 comma, del codice penale militare di  pace,  promosso  con  ordinanza
 emessa   il  4  aprile  1991  dal  Tribunale  militare  di  Bari  nel
 procedimento penale a carico di Tinelli Antonio, iscritta al  n.  388
 del  registro  ordinanze  1991  e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 6 novembre 1991 il Giudice
 relatore Francesco Paolo Casavola;
                           Ritenuto in fatto
    1.  -  Nel  corso  di  un  procedimento  penale  a  carico  di  un
 sottufficiale  dell'Arma  dei  Carabinieri,  imputato di diffamazione
 aggravata duplice, il Tribunale militare di  Bari,  rilevato  che  la
 richiesta  di  procedimento  -  necessaria  per la procedibilita' del
 reato - era stata proposta dal comandante del corpo che,  nella  spe-
 cie,  era  proprio uno dei due ufficiali diffamati, ha sollevato, con
 ordinanza emessa il 4 aprile 1991, in relazione agli  artt.  3  e  97
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art. 260, secondo comma, del codice  penale  militare  di  pace,
 nella  parte  in  cui consente, per i reati punibili su richiesta del
 comandante di corpo, che questi possa esercitare tale facolta'  anche
 quando egli stesso sia la persona offesa dal reato.
    Osserva   il   giudice   a  quo  come  la  richiesta  in  oggetto,
 rappresentando un giudizio (circa la convenienza ed opportunita'  del
 procedimento  penale  in  ordine  a fatti di scarsa rilevanza) che il
 comandante compie con riguardo non  solo  alle  circostanze  ed  alla
 personalita'  del soggetto attivo ma anche agli interessi di servizio
 e di coesione del corpo, si traduce in una decisione non motivata,  e
 quindi  insindacabile  da  parte  del  giudice.  Tale  attivita'  non
 potrebbe essere improntata a criteri  di  personale  disinteresse  ed
 imparzialita' quando quest'ultimo sia la persona offesa dal reato.
    La  mancanza  di estraneita' al fatto, propria di colui che compie
 questa delicata valutazione, renderebbe plausibile il sospetto che il
 comandante possa essere influenzato nel  giudizio  da  considerazioni
 private  e  personali,  con  conseguente  pregiudizio  di un corretto
 esercizio del pubblico  potere  e  violazione  del  precetto  di  cui
 all'art. 97 della Costituzione.
    Un  ulteriore  profilo  d'illegittimita'  sarebbe  poi ravvisabile
 nella  disparita'  di  trattamento  tra  soggetti,  autori  di  fatti
 identici,  ma  esposti  ad una piu' severa valutazione quando risulti
 offeso dal reato chi deve proporre la richiesta.
    2. - E' intervenuto il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
 rappresentato  e  difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha concluso
 per la declaratoria d'infondatezza  osservando  che,  nei  casi  come
 quello   in   esame,  "ragioni  d'opportunita',  se  non  addirittura
 l'astensione" da parte del comandante del corpo "faranno si'  che  la
 facolta' di richiesta sia devoluta ( ..) ad un'autorita' superiore".
                        Considerato in diritto
    1.  -  Il  Tribunale  militare  di  Bari dubita della legittimita'
 costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 97 della  Costituzione,
 dell'art.  260,  secondo  comma,  del  codice penale militare di pace
 nella parte  in  cui  consente  che  il  comandante  di  corpo  possa
 inoltrare  la  richiesta di procedimento, per i reati punibili con la
 reclusione militare non superiore a sei mesi, anche nel caso  in  cui
 egli stesso sia la persona offesa dal reato.
    L'esercizio   di   tale   facolta'  concreterebbe  violazione  del
 principio di buon andamento della P.A. per la probabile  mancanza  di
 imparzialita', nonche' del principio di eguaglianza per la disparita'
 di  trattamento che si verificherebbe rispetto a chi abbia commesso i
 medesimi fatti senza peraltro coinvolgere il proprio comandante.
    2. - La questione e' fondata.
    Questa Corte ha a suo tempo chiarito come nei reati  militari  sia
 sempre  insita  "un'offesa alla disciplina e al servizio, una lesione
 quindi  di  un  interesse  eminentemente  pubblico  che  non  tollera
 subordinazione all'interesse privato caratteristico della querela. Su
 questo  presupposto  si  e'  preferito  attribuire  al comandante del
 corpo,  con  l'istituto  della  richiesta   preveduto   dalla   norma
 impugnata,  una facolta' di scelta tra l'adozione di provvedimenti di
 natura  disciplinare  ed  il  ricorso  all'ordinaria  azione   penale
 considerando  che vi sono dei casi in cui, per la scarsa gravita' del
 reato, l'esercizio incondizionato dell'azione penale puo' causare  un
 pregiudizio  proporzionalmente  maggiore di quello prodotto dal reato
 stesso" (sent. n. 42 del 1975).
    Cio' posto, per quanto sia doveroso accreditare a chi esercita  il
 comando  doti  di imparzialita' e distacco anche in caso di personale
 coinvolgimento come parte lesa da un reato, non  puo'  obiettivamente
 escludersi   che   l'aver   subito  un'offesa  renda  piu'  difficile
 l'esercizio  della  scelta  circa  la  via  da  seguire  -  penale  o
 disciplinare - per punire l'autore della condotta.
    L'esigenza  che  colui  il  quale  deve  attivare la condizione di
 promovibilita' dell'azione penale sia il piu' possibile  estraneo  ai
 fatti  per cui si procede e' indispensabile corollario del combinarsi
 dei princip/' d'imparzialita' e di ragionevolezza.
    Cio' apparirebbe piu' evidente quando  fosse  la  norma  stessa  a
 fornire  la  soluzione razionale del caso in esame, nel senso, cioe',
 che la richiesta debba  obbligatoriamente  promanare  dal  comandante
 dell'ente  immediatamente superiore, secondo la terminologia adottata
 dal legislatore, ogni  volta  che  il  comandante  del  corpo  a  cui
 appartiene il militare colpevole della condotta ipotizzata come reato
 sia parte offesa dalla medesima.
    Il   soggetto   gerarchicamente  sovraordinato,  in  posizione  di
 terzieta', e' per definizione in grado  di  assicurare  cio'  che  il
 comandante  di  corpo  offeso  potrebbe, anche inconsapevolmente, non
 garantire. Nella valutazione soggettiva, infatti,  se  puo'  apparire
 trascurabile  un  danneggiamento  a  cosa mobile di speciale tenuita'
 (ipotesi  richiamata  espressamente  dalla  norma   impugnata),   non
 altrettanto  puo'  avvenire  quando  ad  essere  lesa  sia la propria
 reputazione: il rischio di una decisione,  quanto  meno  non  serena,
 sull'opportunita'  che  si  proceda  o  meno  penalmente,  renderebbe
 sospetta di non imparzialita' la tutela degli affermati interessi  di
 carattere pubblico.