ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 3 febbraio 1982, n. 7 (Assistenza negli istituti psichiatrici privati) e degli artt. 5, secondo comma, lettera a), 11, secondo comma, 12, e 14, penultimo comma, della legge della Regione Lazio 14 luglio 1983, n. 49 (Organizzazione del servizio dipartimentale di salute mentale), promosso con ordinanza emessa il 22 gennaio 1991 dal Tribunale di Roma nel procedimento penale a carico di Panizzi Gabriele ed altri iscritta al n. 341 del registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1991; Visto l'atto di costituzione di Panizzi Gabriele ed altri, nonche' l'atto di intervento della Regione Lazio; Udito nell'udienza pubblica del 19 novembre 1991 il Giudice relatore Antonio Baldassarre; Uditi gli Avvocati Giuseppe Gianzi per Panizzi Gabriele ed altri e Giorgio Recchia per la Regione Lazio; Ritenuto in fatto 1. - Nel corso di un processo penale a carico di taluni membri della Giunta regionale del Lazio, chiamati a rispondere del reato di peculato per distrazione ai sensi del previgente art. 314 c.p. (la cui fattispecie e' confluita nel vigente art. 323 c.p., relativa all'abuso di ufficio in casi non preveduti specificamente dalla legge), il Tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 1 della legge della Regione Lazio 3 febbraio 1982, n. 7 (Assistenza negli istituti psichiatrici privati), e degli artt. 5, secondo comma, lettera a), 11, secondo comma, 12, e 14, penultimo comma, della legge della Regione Lazio 14 luglio 1983, n. 49 (Organizzazione del servizio dipartimentale di salute mentale), nella parte in cui consentono convenzioni con istituti privati, che svolgano esclusivamente attivita' psichiatrica, oltre il termine del 31 dicembre 1981, fissato dagli artt. 64, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), e 3 del decreto-legge 30 aprile 1981, n. 168 (Misure urgenti in materia di assistenza sanitaria), convertito nella legge 27 giugno 1981, n. 331. Premesso che la condotta degli imputati dovrebbe esser ritenuta delittuosa perche' in contrasto con il disposto delle leggi statali da ultimo citate, in forza del quale le convenzioni tra enti pubblici e istituti di cura privati svolgenti esclusivamente attivita' psichiatrica dovevano improrogabilmente risolversi entro il 31 dicembre 1981, il giudice a quo osserva che il contrasto con tali norme, piu' volte qualificate da questa Corte come principi fondamentali, da parte delle leggi regionali prima indicate, le quali protraggono le predette convenzioni oltre il termine del 31 dicembre 1981, impone che si sollevi questione di costituzionalita' delle menzionate leggi regionali. Tale questione, infatti, non potrebbe esser considerata priva di rilevanza, continua il giudice a quo, poiche', in base alla sentenza n. 148 del 1983 di questa Corte sul controllo di costituzionalita' delle norme penali di favore, la risoluzione della sollevata questione, pur se unitamente a tutti gli elementi oggettivi e soggettivi dei reati in esame, non potrebbe non influire sulla decisione del processo a quo, considerato che le leggi regionali in esame potrebbero essere ritenute derogative della disciplina statale, cosi' da ampliare la sfera di liceita' nell'attivita' dei pubblici ufficiali e da incidere, quindi, sul dispositivo della sentenza penale o, quantomeno, sulla formula di proscioglimento. 2. - Si sono costituite in giudizio le parti private per chiedere che la questione di costituzionalita' sia dichiarata irrilevante o, comunque, infondata. La difesa delle parti private osserva, in punto di rilevanza, che, qualunque possa essere l'esito del giudizio di costituzionalita', nessun abuso di ufficio potrebbe essere ritenuto a carico degli imputati, considerato che costoro hanno esercitato funzioni di membri della Giunta regionale del Lazio in adempimento e in esecuzione delle leggi regionali sospettate di incostituzionalita', dando, oltretutto, a queste ultime l'interpretazione che lo stesso giudice a quo riconosce come esatta e pertinente. Nessun valore di precedente, pertanto, potrebbe riconoscersi, sotto questo aspetto, alla sentenza n. 148 del 1983 di questa Corte. In ogni caso, continua la predetta difesa, la questione sollevata e' infondata, poiche' le leggi regionali, tenuto conto della particolare realta' del Lazio, caratterizzata dalla presenza di numerosi ostacoli pratici all'attuazione della riforma delle case di cura psichiatriche, contengono una disciplina transitoria, dettata dall'insufficienza delle strutture pubbliche esistenti e diretta al necessario adeguamento delle finalita' di assistenza psichiatrica presenti nella legge di riforma sanitaria alla reale situazione lo- cale. 3. - La Regione Lazio si e' costituita in giudizio solo formalmente, riservandosi ogni controdeduzione nei successivi atti difensivi. In prossimita' dell'udienza la Regione ha presentato una ampia memoria difensiva per chiedere che la questione sia dichiarata non fondata, sul presupposto che il valore costituzionale dell'assistenza ai malati, garantito dagli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione, verrebbe vulnerato ove i degenti delle case di cura private ne fossero espulsi senza un sicuro ricovero presso le istituzioni pubbliche. Cio' dovrebbe indurre a considerare ordinatorio il termine previsto nell'art. 64, come mostrerebbe anche la prassi di altre regioni e la stessa legislazione statale. Considerato in diritto 1. - Durante un processo penale a carico di taluni membri della Giunta regionale del Lazio, imputati di abuso innominato di ufficio (art. 323 c.p.), il Tribunale di Roma ha sollevato, con l'ordinanza indicata in epigrafe, questione di legittimita' costituzionale avverso l'art. 1 della legge della Regione Lazio 3 febbraio 1982, n. 7 (Assistenza negli istituti psichiatrici privati), e gli artt. 5, secondo comma, lettera a), 11, secondo comma, 12, e 14, penultimo comma, della legge della Regione Lazio 14 luglio 1983, n. 49 (Organizzazione del servizio dipartimentale di salute mentale), nella parte in cui consentono convenzioni con istituti privati, i quali svolgono esclusivamente attivita' psichiatrica, oltre il termine del 31 dicembre 1981, contenuto nell'art. 64, secondo comma, della legge 23 dicembre 1978, n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), come modificato dall'art. 3 del decreto-legge 30 aprile 1981, n. 168 (Misure urgenti in materia di assistenza sanitaria), convertito dalla legge 27 giugno 1981, n. 331. Le disposizioni impugnate, secondo il giudice a quo, nel porsi in contrasto con il predetto art. 64, violerebbero un principio fondamentale della materia sanitaria, che, ai sensi dell'art. 117 della Costituzione, costituisce un limite alla potesta' legislativa concorrente delle regioni. 2. - La questione e' inammissibile perche' irrilevante. Nell'argomentare in punto di rilevanza, il giudice a quo afferma che la condotta degli imputati dovrebbe essere considerata delittuosa in quanto si e' svolta in contrasto con l'art. 64 della legge n. 833 del 1978, come modificato dall'art. 3 del decreto-legge n. 168 del 1981, che contiene il principio fondamentale in base al quale le convenzioni tra enti pubblici e istituti di cura privati svolgenti esclusivamente attivita' psichiatrica dovevano risolversi improrogabilmente entro il 31 dicembre 1981. Ma, aggiunge lo stesso giudice, in contrasto con cio' si pongono le disposizioni di legge regionale impugnate, che ammettono proroghe a quel termine. Poiche', tuttavia, la disciplina ivi prevista violerebbe il limite della competenza legislativa regionale, costituito dal predetto principio fondamentale stabilito dalle leggi statali e sarebbe, quindi, viziata d'illegittimita' costituzionale, un'eventuale pronunzia di questa Corte sulla stessa potrebbe influenzare la risoluzione da dare al giudizio penale o, quantomeno, potrebbe incidere sulla formula di proscioglimento da adottare, nel senso che potrebbe avere la conseguenza di ampliare la sfera di liceita' penale relativa alle attivita' contestate ovvero di mutare i termini legali sulla base dei quali occorre valutare il comportamento degli imputati. Il ragionamento svolto dal giudice a quo non e' fondato. Al fine di accertare se la condotta degli imputati possa essere configurata come attivita' penalmente illecita, ascrivibile al reato di abuso innominato d'ufficio, non ha alcun rilievo l'eventualita' che la legge che questi dovevano applicare potesse essere ritenuta costituzionalmente illegittima. Dal momento che il dubbio di costituzionalita' sulla legge applicabile non autorizza, ne', tantomeno, obbliga i pubblici amministratori a sospendere l'applicazione della legge medesima o a disapplicarla, non puo' considerarsi penalmente rilevante un comportamento degli stessi amministratori posto in essere in conformita' di una legge che sia ritenuta, in ipotesi, costituzionalmente illegittima. Nel nostro ordinamento, infatti, nel caso che una disposizione legislativa sia sospettata d'illegittimita' costituzionale, soltanto il giudice ha il potere-dovere di sospenderne l'applicazione, proponendo, con ordinanza, alla Corte costituzionale la risoluzione della relativa questione, sempreche' quest'ultima, a norma dell'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, sia da esso considerata come "non manifestamente infondata" e "rilevante". In altri termini, con riferimento al caso di specie, non puo' imputarsi agli amministratori regionali di aver commesso un abuso per il fatto di aver applicato una legge regionale vigente ed efficace, anche se in ipotesi costituzionalmente illegittima perche' in contrasto con un principio fondamentale stabilito in materia dalla legislazione statale. Infatti, sulla base dei criteri attinenti alla ripartizione delle competenze legislative tra Stato e regioni e al conseguente rapporto tra le relative fonti normative, e' la legge regionale, di cui il giudice a quo contesta la costituzionalita', a dover esser considerata la legge applicabile. E', pertanto, nei confronti di quest'ultima che prende corpo, per gli amministratori regionali imputati, il dovere costituzionale della loro incontestabile soggezione alla legge. Sulla base delle considerazioni svolte, si deve, dunque, escludere che la questione di legittimita' costituzionale sollevata sia rilevante. Infatti, poiche' ai fini dell'accertamento della responsabilita' penale degli amministratori regionali imputati di abuso innominato di ufficio non puo' aver alcun rilievo la presunta illegittimita' costituzionale delle disposizioni di legge regionale impugnate, l'eventuale pronunzia di questa Corte non potrebbe esercitare alcuna influenza sul giudizio a quo, neppure con riguardo alla formula di proscioglimento.