LA CORTE DI APPELLO Riunita in camera di consiglio ha emesso la seguente ordinanza nella causa civile di contenzioso elettorale in grado di appello iscritta al n. 584 del ruolo generale contenzioso dell'anno 1991, posta in decisione all'udienza collegiale del 24 maggio 1991 e vertente tra Socciarelli Candido elettivamente domiciliatoto in Roma, via Giovanni Paisiello n. 55, presso lo studio del prof. avv. Franco Gaetano Scoca che lo rappresenta e difende, unitamente agli avv.ti Wilfredo Vitalone e Antonio Cochetti, come da delega a margine dell'atto di appello, appellante e Rosato Rosati, elettivamente domiciliato in Roma, piazza Borghese n. 3, presso lo studio del prof. avv. Giuseppe Guarino che lo rappresenta e difende come da delega a margine del controricorso appellato e con l'intervento del procuratore generale presso la Corte d'appello. Oggetto: contenzioso elettorale. Dichiarazione di ineleggibilita' a consigliere regionale. Rilevato che Candido Socciarelli ha proposto appello avverso la sentenza del tribunale di Roma - n. 8844 del 14/24 gennaio 1991 - con la quale, in accoglimento del ricorso di Rosato Rosati, e' stato dichiarato ineleggibile alla carica di consigliere regionale del Lazio. Considerato che l'ineleggibilita' e' stata ritenuta e dichiarata con riferimento all'art. 2, primo comma, n. 11 della legge 23 aprile 1981, n. 154 perche': a) l'uso nello stesso testo legislativo del termine "istituto" (consorzio o azienda) per definire una situazione di ineleggibilita', e di quello di "ente" (istituto o azienda) per definire una situazione di semplice incompatibilita' (art. 3, primo comma, n. 1), non avrebbe sostanzialmente alcuna rilevanza perche' entrambe le locuzioni (istituto ed ente) sarebbero riferibili a qualsiasi gruppo organizzato, volto al conseguimento di una finalita' o scopo concreto e determinato, indipendentemente dalla sua natura pubblica o privata e dal conferimento al medesimo della personalita' giuridica (Cass. 16 maggio 1972, n. 1479); b) l'ERSAL deve qualificarsi come ente "dipendente" dalla regione, in base a vari criteri essendo un tipico ente "strumentale", e non come ente soggetto alla "vigilanza" della regione, si da' determinare per gli amministratori la situazione di ineleggibilita' di cui al citato art. 2, primo comma n. 11, anzicche' quella di incompatibilita' di cui al successivo art. 3, primo comma, n. 1; c) il Socciarelli ha dato le dimissioni dalla carica soltanto il 17 maggio 1990, quindi oltre il giorno fissato per la presentazione della candidatura, ed anzi ha partecipato alla campagna elettorale del 6/7 maggio 1990 propagandando fra gli agricoltori la sua qualifica di membro del comitato esecutivo dell'Ersal, incorrendo nella causa di ineleggibilita' di cui al citato art. 2, primo comma n. 11 della legge 154/1981; Rilevato che il Socciarelli nel ricorso in appello, oltre a motivi di merito, ha eccepito l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, n. 11 della citata legge n. 154/1981, in riferimento agli articoli 3 e 51 della Costituzione, sotto un duplice profilo: per illogicita' e contraddittorieta' dell'intero testo legislativo e per l'esistenza al suo interno di elementi di incogruita' rispetto alla ratio degli istituti su cui e' fondata la disposizione stessa; deducendo, sotto il primo profilo, che nonostante l'intenzione del legislatore fosse quella di mettere ordine nel complesso settore, al fine di realizzare in concreto una disciplina organica per tutte le diverse ipotesi di ineleggilita' e incompatibilita' in conformita' del dettato costituzionale in materia di elettorato passivo, il testo legislativo approvato, come risulta dal tormentato iter normativo, e' stato il frutto evidente di una estema superficialita' e approssimazione, tanto e' che la disposizione in esame, introdotta all'ultimo momento per designare un'ipotesi di ineleggibilita', usa la locuzione di "enti dipendenti" che e' troppo generica ed ambigua per poter soddisfare alle esigenze di certezza del diritto di elettorato passivo garantito dalla costituzione; deducendo, sotto il secondo profilo, che la disposizione de qua risulta illogica in relazione alla ratio dell'ineleggibilita' in quanto non e' sufficiente che l'ente di appartenza sia "dipendente" dall'ente interessato alla consultazione elettorale, ma occorre che anche la posizione del candidato sia tale in concreto, per il suo ruolo nell'ambito dell'ente dipendente e soprattutto per il ruolo dell'ente stesso, da poter influire sugli orientamenti degli elettori, cosa difficilmente ravvisavile nel caso di enti con compiti esclusivamente tecnici, come gli enti di sviluppo in agricoltura; Considerato che questa Corte, con ordinanza del 22 maggio 1991, nella causa tra Salvati Domenico e Gentile Giuseppe, ha gia' sollevato eccezione di legittimita' costituzionale dell'art. 2, primo comma, n. 11 della legge n. 154/1981 in riferimento all'art. 51 della Costituzione, osservando testualmente: che la disposizione citata, in quanto riferita agli enti "dipendenti" e' di contenuto estremamente generico ed improprio, tale da portare ad un ampliamento della nozione oltre ogni limite ed a rendere impossibile la distinzione tra enti dipendenti ed enti vigilati che, invece, il legislatore ha ritenuto di fondamentale rilievo, tanto da farne derivare, riguardo ai primi, la piu' grave situazione di ineleggibilita' e, riguardo ai secondi la situazione di incompatibilita'; che secondo la costante giurisprudenza della Corte costituzionale, le cause di ineleggibilita' sono di stretta interpretazione e devono essere contenute entro i limiti rigorosamente necessari al soddisfacimento delle esigenze di pubblico interesse, ricolleganti alla fusione elettorale cui sono di volta in volta preordinate, sicche', se l'art. 51 della Costituzione rimette alla legge di stabilire i requisiti di eleggibilita', i quali possono essere cosi' positivi come negativi od ostativi, e' fuor di dubbio che "proprio perche' questi ultimi, risolvendosi in cause di ineleggibilita', formono altrettante eccezioni al generale e fondamentale principio, enunciato in apertura dallo stesso art. 51, del libero accesso, in condizioni di uguaglianza, di tutti i cittadini alla cariche elettive, e' necessario che siano tipicizzati dalla legge con determinatezza e precisione sufficienti ad evitare, quanto piu' possibile, situazioni di persistente incertezza, troppo frequenti contestazioni, soluzioni giurisprudenziali contradditorie, che finirebbero per incrinare gravemente, in fatto, la proclamata capacita' elettorale passiva dei cittadini" (cfr. sentenza 28 novembre 1972, n. 166, nonche' le conformi nn. 46 e 108 del 1969; 38 e 189 del 1971, 58/1972, 171/1974, 43/1987, 235/1988 e 510/1989); che tale situazione e' perfettamente riscontrabile nella specie, giacche' la categoria degli enti dipendenti non e' tipicizzata con caratteri univoci, riconoscibili e definiti, tanto e' vero che anche la dottrina piu' qualificata, pur richiamando criteri astratti di differenziazione, distingue ora a seconda dell'intensita' dei poteri di controllo dell'ente vigilante, ora dell'ampiezza della sfera di autonomia dell'ente vigilato, ora del coordinamento dell'attivita' dell'uno con l'attivita' dell'altro, ora della titolarita' - esclusiva o concorrente o subordinata - del potere di scelta dei fini, delle priorita' e dei mezzi d'azione, ora del potere d'imprimere direttive e, quindi, di approvare il bilancio preventivo dell'ente e cioe' l'attivita' che questo si propone di svolgere, gli enti indipendenti dagli enti ausiliari e questi, a loro volta, dagli enti strumentali sulla base di enunciazioni empiriche e spesso svincolante dal dato concreto; che criteri univoci di valutazione del parametro di "dipendenza" non sono stati neppure espressi dalla giurisprudenza che si e' occupata della questione, giacche', nell'adottare la soluzione negativa, ora si e' privilegiata la circostanza dell'essere l'ente in questione destinatario di ordini e di "disciplina" da parte dell'ente sovraordinato (Cass. 17 marzo 1982, n. 1720); ora la circostanza che a quest'ultimo siano riservate attribuzioni in ordine alla scelta delle persone preposte alla sua organizzazione una costante e penetrante ingerenza nella gestione o quando l'azione dell'ente dipendente si riveli in qualche modo, sia pure lato sensu, riferibile all'ente sovraordinato (Cass. 19 ottobre 1984, n. 5524); ora si e' preteso il potere di quest'ultimo di incidere sul processo formativo della volonta' dell'ente sottordinato (Cass. 9 marzo 1988, n. 2356); ora, infine, se ne pretesa una "autonomia gestionale e finanziaria" (Cass. 21 aprile 1988, n. 3081); nell'adottare invece, la soluzione positiva, ora si e' apprezzata esclusivamente la circostanza dell'operare in materie attribuite alla competenza legislativa e amministrativa della regione (Cons. di Stato, sez. IV, 27-10-1981 n. 792; Cons. di Stato, sez. IV, 23 marzo 1979, n. 196); ora si e' dato rilievo all'esercizio in concreto di funzioni e servizi propri dell'ente sovraordinato (cass. 7 marzo 1990, n. 1808); ora, infine alla natura del contro esercitato dall'ente sottordinato (consiglio di Stato, sez. IV, 23 marzo 1979 n. 196; consiglio di Stato, sezione IV, 27 settembre 1979, n. 738) sminuendo, peraltro - e nella sostanza - la distinzione tra controllo in funzione di garanzia, estrinsecantesi, per lo piu', nel riscontro di legittimita' degli atti, e quello, invece, in funzione di indirizzo, nel quale il controllante elabora, almeno in parte, il parametro in base al quale emettere il giudizio e nel quale puo' venire in rilievo non tanto il momento del riscontro, quanto quello delle direttive; che ancora piu' incerti sono i dati legislativi, giacche', nella estrema scarsezza dei riferimenti normativi agli "enti dipendenti dalle regioni", l'unico riscontro e' costituito dall'art. 35 della legge 20 marzo 1975, n. 10 che, nell'epigrafe, richiama l'espressione e intende per tali gli "enti pubblici sottoposti al loro controllo o alla loro vigilanza" superando, in tal modo, la stessa contrapposizione tra enti dipendenti ed enti vigilati, sulla quale e' fondata invece la ratio degli artt. 2, primo comma, n. 11 e 3, primo comma, n. 1 della legge n. 154 del 1981 e lasciando, anzi, intendere che il rapporto di vigilanza e tutela costituisce il dato peculiare della posizione di dipendenza di un ente rispetto ad un altro; che di conseguenza, stante la genericita', polivalenza e mancanza di tipicizzazione della norma di riferimento, tale da determinare notevoli e fondate perplessita' circa il suo effettivo contenuto e da consentire errori di applicazione con l'inclusione, o, viceversa, con l'esclusione, di fattispecie che dovrebbero restare rispettivamente escluse, o al contrario, comprese nel dettato normativo, non ricorre neppure la situazione esaminata dalla Corte costituzionale nella sentenza del 28 maggio 1975, n. 129, riguardo alla quale, sul presupposto che "la faticosa elaborazione della dottrina e della giurisprudenza" ha fatto si' che i termini enti, istituti e aziende usati dal legislatore "esprimono concetti sufficientemente precisi per evitare erronee interpretazioni", ha ritenuto infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 15 n. 3 del d.P.R. 16 maggio 1960, n. 570; che, per contro, sulla base della stessa sentenza deve ritenersi sussistente l'ipotesi di illegittimita' costituzionale, allorche' l'interprete, a fronte di una formulazione legislativa equivoca, non e' in grado, con l'ausilio dei comuni canoni ermeneutici, e alla luce dei principi costituzionali, di dare ad essa "contorni ancora piu' netti e maggiore consistenza alla molteplice varieta' dei casi che possano presentarsi nell'esperienza"; che, pertanto, nella obiettiva constatazione che non esiste una categoria tipicizzata di enti dipendenti, con caratteri riconoscibili e definiti ne' ad essa puo' pervenirsi in via interpretativa, deve rilevarsi che ricorrono innumerevoli gradazioni di autonomia o di dipendenza, a seconda della disciplina positiva dei molteplici aspetti della relazione tra ente sovraordinato, con la conseguenza che alla locuzione "enti dipendenti" di cui all'art. 2, primo comma, n. 11 della legge n. 154/1981 non puo' attribuirsi alcun significato tecnico e che essa appare troppo generica ed ambigua per poter soddisfare alle esigenze di garanzia del diritto di elettorato passivo assicurato dal'art. 51 della Costituzione e tale da prestarsi ad applicazioni difformi e, nella loro difformita', tutte plausibili o giustificabili; "che, alla stregua di quanto sin qui considerato, non appare, percio', manifestamente infondata la questione di legittimita' costituzionale - e ne va rimessa la risoluzione alla Corte costituzionale - dell'art. 2, primo comma, n. 11 della legge n. 154 del 1981, che prevede l'ineleggibilita' degli "amministratori e dipendenti con funzioni di rappresentanza o con poteri di organizzazione o coordinamento del personale di istituto, consorzio o azienda dipendente rispettivamente dalla regione, provincia o comune", per contrasto con l'art. 51 della Costituzione, in quanto, stante la genericita' della situazione di riferimento, non superabile in via interpretativa in modo certo e univoco, viene gravemente pregiudicato il diritto di libero accesso, in condizioni di eguaglianza, di tutti i cittadini alle cariche elettive"; Considerato che la questione di costituzionalita' va posta, quindi, anche in relazione al principio di legalita' affermato dall'art. 51 della Costituzione, che esige che il cittadino, nell'esercizio del diritto di elettorato passivo, deve sapere in ogni momento quali sono i requisiti richiesti, ed a tal fine e' necessario che la legge lo dica con precisione e chiarezza definendo in modo univoco e congruo le varie ipotesi; mentre, invece, la normativa in esame lascia il cittadino in una situazione di estrema "incertezza", anche perche' spesso non sa se si trova di fronte ad un caso di ineleggibilita' o di incompatibilita'; Ritenuto che il principio di legalita', espressamente costituzionalizzato in materia di esercizio di elettorato passivo dall'art. 51 della Costituzione, trattandosi dell'esplicazione di uno dei piu' importanti e fondamentali diritti democratici, evidenzia come la Costituzione intende particolarmente garantire i cittadini attraverso una normativa che dia la sicurezza giuridica delle consentite, libere determinazioni di scelta, per cui il legislatore, nello stabilire i requisiti per accedere alle cariche elettive, deve utilizzare concetti ben determinati, univoci e chiari (ovvero farsi carico di definirli) secondo le finalita' che intende perseguire; Rilevato che la questione di costituzionalita' e' rilevante ai fini della decisione, avendo il Socciarelli dato le dimissioni dalla carica di consigliere dell'ERSAL in data 17 maggio 1990, cessando di esercitare le funzioni nei termini di cui all'art. 6 ultimo comma della legge n. 154/1981, senza piu' porre in essere atti inerenti all'ufficio rivestito;