Ricorso per la regione Emilia-Romagna, in  persona  del  presidente
 della  giunta  regionale  pro-tempore Enrico Boselli, autorizzato con
 deliberazione della giunta regionale n. 5886 del  19  dicembre  1991,
 rappresentata   e  difesa,  come  da  mandato  a  margine,  dall'avv.
 Giandomenico Falcon di Padova, con domicilio eletto  in  Roma  presso
 l'avv.  Luigi  Manzi,  via  Confalonieri, 5, contro il Presidente del
 Consiglio  dei  Ministri  per  la  dichiarazione  di   illegittimita'
 costituzionale della legge 2 dicembre 1991, n. 390, Norme sul diritto
 agli  studi  universitari, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 291
 del 12 dicembre 1991, e precisamente delle seguenti disposizioni:
      art.  25,  primo  comma,  in  quanto  prescrive  una  necessaria
 cogestione  paritetica  delle  funzioni  amministrative tra regione e
 universita',  in  violazione  dell'art.  118,  primo   comma,   della
 Costituzione;
      art.   25,   primo   comma,   in  quanto  determina  un  forzoso
 accentramento della gestione in  capo  alla  regione,  in  violazione
 dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione;
      art.  21,  primo  comma,  in  quanto  assegna in "uso perpetuo e
 gratuito" anziche' in proprieta' i beni destinati esclusivamente alle
 funzioni  amministrative  regionali,  in  violazione  dell'art.  119,
 quarto comma, della Costituzione;
      art.  21,  secondo e quinto comma, in quanto con essi si dispone
 da un lato che "gli oneri di manutenzione ordinaria  e  straordinaria
 relativi  ai  beni  di  cui  al  primo  comma, nonche' ogni eventuale
 tributo, sono posti a carico delle regioni", dall'altro  che  qualora
 "per  qualsiasi  ragione",  venga meno la destinazione all'assistenza
 universitaria, i beni  stessi  dovranno  essere  "riconsegnati"  allo
 Stato,  con violazione dell'autonomia finanziaria garantita dall'art.
 119 della Costituzione;
      art. 18, quarto comma, in quanto pone a  carico  delle  regioni,
 senza  limitazione  alcuna,  gli oneri di manutenzione degli immobili
 realizzati con la partecipazione delle universita';
                               F A T T O
    Le funzioni amministrative in materia di assistenza  universitaria
 sono  state  trasferite  alle  regioni  a statuto ordinario, ai sensi
 dell'art. 117, primo comma, della Costituzione, dagli artt. 42  e  44
 del  d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. In attuazione di questo, il d.-l.
 31 ottobre 1979 (convertito con modificazioni nella legge 22 dicembre
 1979,  n.  642),  ha  trasferito  alle regioni i beni ed il personale
 delle opere universitarie.
    Sulla base del trasferimento, le  regioni  hanno  desciplinato  ed
 esercitato   le  relative  funzioni.  La  regine  Emilia-Romagna,  in
 particolare, ha disciplinato la materia  dapprima  con  la  legge  31
 gennaio  1983, n. 8, in seguito con la recente legge 19 ottobre 1990,
 n. 46, Nuove norme sul diritto allo studio universitario, attualmente
 vigente, entrata in vigore a seguito della sentenza di codesta ecc.ma
 Corte costituzionale n. 437/1990.
    Tale legge, perfezionando il sistema gia' instaurato  dalla  legge
 del  1983,  ha  delegato le funzioni amministrative ai comuni sede di
 universita' ed ha disposto che essi si  avvalgano  di  appositi  enti
 pubblici,   amministrati   da   un  consiglio  composto  in  modo  da
 rappresentare  le  istituzioni  e  le  categorie  interessate,  cioe'
 l'universita',  nei  suoi  docenti  e  nei  suoi studenti, e i comuni
 stessi (cfr. art. 25, secondo comma).
    In effetti  tali  enti,  che  pure  per  certi  aspetti  rimangono
 nell'orbita    regionale,   operano   fondamentalmente   in   stretto
 collegamento con i comuni sedi  di  ateneo,  in  linea  di  principio
 delegatari delle funzioni, e quasi quali strumenti di essi.
    La  nuova legge statale n. 390/1991 conferma la oramai consolidata
 titolarita' regionale della materia  -  in  modo  per  molti  aspetti
 corretto;  e  tuttavia,  dettando  nuovi principi organizzativi della
 materia con una disposizione stravagante - contenuta nel capo  sesto,
 Norme  finali ed essa stessa autodenominata "Norma finale" (e percio'
 al di fuori  del  capo  dedicato  agli  interventi  regionali  ed  ai
 relativi  principi)  -  determina  un assetto organizzativo basato in
 sostanza su una gestione  paritetica  tra  la  stessa  regione  e  le
 universita',  la  quale  contraddice  il  carattere  regionale  delle
 funzioni,  in  violazione   dell'art.   118,   primo   comma,   della
 Costituzione.
    Inoltre,  nel  nuovo  assetto  non  c'e'  piu' spazio per gli enti
 locali, cioe' per i comuni sedi di ateneo, il che si traduce  in  una
 violazione dell'art. 118, terzo comma, della Costituzione: e cio' sia
 in  assoluto, sia in relazione alla disciplina gia' data alla materia
 dalla regione Emilia-Romagna con  la  ricordata  legge  regionale  19
 ottobre 1990, n. 46.
    Lesivo  risulta  altresi'  il meccanismo introdotto dalla legge n.
 390/1991 per l'assegnazione alle regioni  dei  "beni  immobili  dello
 Stato  e  del materiale mobile di qualsiasi natura in essi esistente,
 destinati esclusivamente a servizi per la realizzazione  del  diritto
 agli studi universitari".
    In  effetti,  l'art.  21,  primo  comma,  prevede per tali beni la
 concessione in "uso perpetuo e gratuito" alle  regioni,  anziche'  in
 proprieta'.  Non  solo:  pur  rimanendo addossata alla regione stessa
 ogni spesa di manutenzione ordinaria e straordinaria ed ogni  tributo
 (secondo  comma), il quinto comma precisa che qualora, "per qualsiasi
 ragione", venga meno la destinazione all'assistenza universitaria,  i
 beni stessi dovranno essere "riconsegnati" allo Stato.
    Infine,  lesivo  risulta  anche l'art. 18, quarto comma, in quanto
 pone a carico delle regioni, senza limitazione alcuna, gli  oneri  di
 manutenzione  degli  immobili  realizzati con la partecipazione delle
 universita' nell'ambito  degli  stanziamenti  previsti  dalla  stessa
 disposizione,  in  assenza  di  qualunque garanzia circa la permaneza
 della destinazione e la gratuita' dell'uso.
                             D I R I T T O
    1. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, primo  comma,  in
 quanto, disciplinando il consiglio di amministrazione degli organismi
 di  gestione  e  la  nomina  del presidente, prescrive una necessaria
 cogestione paritetica delle funzioni  amministrative  tra  regione  e
 universita',   in   violazione  dell'art.  118,  primo  comma,  della
 Costituzione.
    Come detto in narrativa, la legge n.  390/1991  prescrive  che  le
 funzioni  amministrative  in  materia  di  assistenza  agli  studenti
 universitari siano esercitate da un apposito  organismo  di  gestione
 "il  cui  consiglio di amministrazione e' composto da un ugual numero
 di rappresentanti della regione e dell'universita'".
    Tale previsione contrasta con il disposto costituzionale sotto due
 distinti  profili.  In  primo  luogo,  e  fondamentalmente,   risulta
 evidente  il  contrasto con l'art. 118, primo comma, il quale assegna
 alle regioni  la  titolarita'  delle  funzioni  amministrative  nelle
 materie nelle quali esse hanno potesta' legislativa.
    Infatti,  se  la  titolarita'  della funzione amministrativa nella
 materia e' regionale  -  come  e'  indubitabile  alla  stregua  della
 legislazione  di  trasferimento  e della stessa legge n. 390/1991 qui
 contestata - non ne puo' essere legittimamente imposta una cogestione
 con altre amministrazioni o enti, sia pure a rilievo  costituzionale,
 quali sono le universita'.
    Beninteso,  la  regione  Emilia-Romagna  ha essa stessa per prima,
 nella   propria   legislazione   oltreche'   nella   propria   azione
 amministrativa,  voluto dare rilievo all'interesse evidente del quale
 in simile materia sono partecipi le  universita':  al  punto  che  la
 legge  regionale attualmente vigente, piu' volte ricordata, si ispira
 essa stessa ad un criterio corrispondente, sotto  questo  profilo,  a
 quello  imposto  dalla  legge  statale, prevedendo che i consiglio di
 amministrazione degli enti di gestione siano composti "per  meta'  da
 rappresentanti   del   consiglio   comunale  ..,  per  un  quarto  da
 rappresentanti degli studenti e per un quarto  da  docenti  designati
 dal  consiglio  d'amministrazione dell'universita'" (art. 25, secondo
 comma).
    Altro  e'  pero'  assumere   una   libera   scelta   di   politica
 istituzionale  (con la corrispondente facolta' di mutarla ove essa si
 rivelasse inadeguata), altro essere costretti a tale  scelta  da  una
 disposizione  di legislazione statale: e la regione, mentre e' libera
 di chiamare  le  componenti  istituzionali  locali  e  le  componenti
 universitarie  a  partecipare  all'esercizio  delle  proprie funzioni
 amministrative, non puo' essere costretta ad una simile scelta  senza
 una    sostanziale    espropriazione    della   propria   titolarita'
 costituzionale, assicurata dall'art. 118 della Costituzione.
    La lesione risulta tanto piu' evidente in quanto gli organismi  di
 (co)gestione  previsti  dall'art.  25 amministrano esclusivamente gli
 interventi delle regioni; mentre gli  interventi  delle  universita',
 disciplinati  al capo quarto, sono gestiti dalle universita' in piena
 autonomia  ed  indipendenza,  con  il   solo   generale   dovere   di
 collaborazione previsto dall'art. 3, quarto comma, della legge.
    In  effetti,  la  legge n. 390/1991 nella sua tessitura generale e
 fino alla norma finale concepisce gli interventi dei diversi  livelli
 e  soggetti  come  realta'  amministrativamente  autonome,  anche  se
 comunicanti: e proprio in tale  spirito  si  comprende  l'obbligo  di
 reciproca  collaborazione  posto  in  capo  sia alle regioni che alle
 universita'. La norma "finale" qui impugnata invece e' ispirata ad un
 disegno amministrativo tutto diverso, contraddittorio con  l'impianto
 generale  della legge, e contrastante, come detto, con la titolarita'
 regionale di quella parte di funzioni.
    Altrettanto illegittima poi, in quanto  espressione  dello  stesso
 disegno  di necessaria cogestione, e' la ulteriore disposizione dello
 stesso comma secondo  la  quale  il  Presidente  degli  organismi  di
 gestione e' nominato dalla regione "d'intesa con l'universita'".
    Anche  in  questo  caso,  infatti,  non puo' essere legittimamente
 imposto di acquisire il consenso - e non solo la consultazione  -  di
 soggetti che non sono titolari costituzionali della funzione.
    2.  -  Illegittimita' costituzionale dell'art. 25, primo comma, in
 quanto determina un forzoso accentramento della gestione in capo alla
 regione,  in   violazione   dell'art.   118,   terzo   comma,   della
 Costituzione.
    Inoltre,   i  nuovi  principi  organizzativi  della  materia  sono
 illegittimi sotto un distinto profilo, in  quanto  prevedono  che  le
 regioni  costituiscano  organismi  di  gestione  i  cui  consigli  di
 amministrazione sono necessariamente composti da rappresentanti della
 regione  (oltreche',  come  detto,  dell'universita'),   e   che   il
 presidente sia necessariamente nominato dalla regione.
    Tali disposizioni infatti - quanto meno se intese in modo rigido -
 precludono  illegittimamente  alla  regione  stessa  di decentrare la
 gestione dei servizi agli enti locali.
    Cio' pare confermato dal fatto che  anche  da  altre  disposizioni
 appare  evidente  l'emarginazione  dei  Comuni dall'organizzazione ed
 erogazione dei servizi di assistenza universitaria. Cosi'  l'art.  8,
 primo  comma,  prevede che le regioni possano assegnare il compito di
 "erogare" (ma in realta' assegnare" le borse di studio regionali alle
 universita',  ma  non  agli  enti  locali.  L'art.  10   prevede   un
 coordinamento  diretto  tra  regione  e  universita',  cui  rimangono
 assenti i comuni sede di ateneo.
    Piu' in generale, lo stesso art. 25, primo  comma,  sopra  citato,
 prevede  che  le  regioni  possano  "affidare mediante convenzione la
 gestione  degli  interventi  in  materia  di   diritto   agli   studi
 universitari  alle  universita'",  senza  menzionare affatto gli enti
 locali.
    E' evidente la  diversita'  di  siffatto  quadro  organizzativo  e
 funzionale  rispetto  a  quello  della  l.r. n. 46/1990, nel quale le
 funzioni erano in generale delegate ai comuni sede  di  ateneo  (art.
 22,  primo comma, ed in concreto gestite da un apposito ente pubblico
 locale, il cui consiglio di amministrazione era formato per meta'  di
 soggetti  designati  dal  consiglio  comunale  (er  l'altra  meta' da
 componenti universitarie).
    Ma soprattutto e' evidente il contrasto di questo assetto  con  la
 liberta'   (prima   ancora  che  il  dovere),  data  alle  regioni  e
 costituzionalmente  garantita,  di  esercitare  le  proprie  funzioni
 attraverso  gli  enti  locali,  secondo quanto previsto dall'art. 118
 della Costituzione, e ribadito in termini generali dall'art. 3  della
 recente legge sulle autonomie locali, n. 142/1990.
    Certamente  la  Regione  non nega in assoluto che possono esistere
 ragioni,  per  le  quali  lo   stesso   legislatore   statale   possa
 eventualmente    disporre   l'esercizio   di   determinate   funzioni
 amministrative in modo accentrato al  livello  regionale.  In  questo
 caso,  tuttavia,  una simile scelta non sarebbe ragionevole, dato che
 in  realta'  i  problemi   di   concreta   gestione   dell'assistenza
 universitaria   sono   per   loro  natura  concentrati  nella  citta'
 universitaria ed interagiscono con gli altri di  competenza  comunale
 (si   pensi  alle  mense),  e  non  hanno  necessariamente  carattere
 "unitario" regionale (secondo il requisito previsto per  le  funzioni
 che rimangano "regionali" dall'art. 3 della legge n. 142/1990).
    Comunque,  e  soprattutto,  nel caso concreto una simile scelta e'
 smentita dalla stessa legge qui contestata, dato  che  essa  prevede,
 come  sopra  detto,  che  l'organismo di gestione sia costituito "per
 ogni universita'": e dunque  in  forma  decentrata,  a  conferma  del
 carattere essenzialmente "locale" delle funzioni.
    Ma  se  tale  e'  il  carattere  delle  funzioni,  non puo' essere
 precluso alle regioni di esercitarle per delega  a  quei  comuni  che
 sono  -  accanto  all'universita'  - i principali soggetti coinvolti,
 anche se con cio', come detto sopra, la  regione  Emilia-Romagna  non
 intende  affatto  escludere  l'universita' dalla gestione, ma intende
 invece poter seguire il criterio  generale  delle  delega  agli  enti
 locali  delle funzioni regionali relative ai servizi pubblici locali,
 secondo  quanto  l'art.  118,  terzo   comma,   della   Costituzione,
 sicuramente consente.
    3.  -  Illegittimita'  costituzionale  dell'art.  21, primo comma,
 nonche' dell'art. 21, quinto comma.
    L'art. 21, primo comma prevede la concessione in "uso  perpetuo  e
 gratuito"  dei  "beni  immobili dello Stato e del materiale mobile di
 qualsiasi  natura  in  essi  esistente,  destinati  esclusivamente  a
 servizi per la realizzazione del diritto agli studi universitari".
    Senonche'  la formula della concessione in uso perpetuo e gratuito
 di beni che sono destinati esclusivamente  alla  funzione  trasferita
 alla  regione non solo e' assolutamente singolare - in relazione alla
 regola sempre seguita del trasferimento in proprieta' - ma  e'  anche
 priva di qualunque ragionevole giustificazione.
    Infatti,  se  tali  beni  sono  oggi  adibiti  esclusivamente alla
 funzione dell'assistenza universitaria, si puo' ben  dire  che  fanno
 corpo  con essa, nel senso che rappresentano le risorse materiali con
 le quali essa  gia'  oggi  viene  esercitata:  risorse  che,  dunque,
 debbono  seguire il medesimo regime di titolarita' piena che vale per
 la funzione. E' percioo', d'altronde, che l'art. 119, 4› comma, della
 Costituzione sancisce  che  la  regione  "ha  un  proprio  demanio  e
 patrimonio".
    L'irragionevolezza  e'  poi  aggravata  da quello che e', con ogni
 evidenza, la ragione per la quale il legislatore  ha  disposto  l'uso
 gratuito  e  non  il passaggio della proprieta': la prospettiva di un
 "recupero" dei beni stessi qualora, "per qualsiasi ragione",  venisse
 meno  la  destinazione  all'assistenza universitaria, nel qual caso i
 beni stessi dovrebbero essere "riconsegnati" allo Stato,  secondo  il
 disposto  del  quinto  comma.  Infatti,  una  simile disposizione non
 considera che comunque la regione  deve  far  fronte  alla  funzione,
 anche  con  beni diversi da quelli iniziali, ed irrigidisce l'uso dei
 beni al di la' del ragionevole, impedendo, ad esempio, che la  stessa
 regione destini all'assistenza universitaria un immobile piu' adatto,
 non potendo "recuperare" quello liberato.
    Non  vi  sono dunque ragioni per contrastare il principio generale
 del trasferimento al patrimonio regionale  delle  risorse  necessarie
 all'esercizio  della funzione, e la concessione in uso disposta viola
 l'art. 119 della Costituzione.
    Inoltre va affermato che, se anche la concessione in uso  perpetuo
 e gratuito anziche' in proprieta' si volesse considerare accettabile,
 rimangono  illegittime le disposizioni dell'art. 21, secondo e quinto
 comma, della legge n. 390/1991, in quanto con essi si dispone  da  un
 lato  che  "gli  oneri  di  manutenzione  ordinaria  e  straordinaria
 relativi ai beni di  cui  al  primo  comma,  nonche'  ogni  eventuale
 tributo,  sono  posti  a  carico  delle regioni", dall'altro che "per
 qualsiasi  ragione",  venga  meno  la   destinazione   all'assistenza
 universitaria,  i  beni  stessi  dovranno  essere "riconsegnati" allo
 Stato.
    E' infatti evidentemente iniquo, e viola  l'autonomia  finanziaria
 delle  regioni,  l'imporre  ad  esse  ogni spesa connessa ad un bene,
 senza neppure una garanzia minima di godimento del medesimo.
    Si noti che nei rapporti privati un simile regime e'  connesso  al
 diritto  di  enfiteusi,  nel  quale  infatti  ogni  spesa e' a carico
 dell'enfiteuta: ma per tale rapporto e' stabilito un  periodo  minimo
 di  venti  anni,  che costituisce comunque una garanzia di godimento,
 che qui manca.
    Sembra  dunque  chiaramente  affermabile   il   carattere   lesivo
 dell'apparente  beneficio  dell'"uso  perpetuo  e  gratuito",  che si
 traduce in un mero escamotage per evitare - come era sin  qui  sempre
 accaduto  all'atto del trasferimento di funzioni - il passaggio della
 proprieta'   dei   beni   stessi;   e   sembra   affermabile    anche
 l'irragionevolezza di una soluzione, per la quale la regione dovrebbe
 sopportare  ogni  spesa e costo, anche di straordinaria manutenzione,
 senza la stabilita' del godimento tipica della  proprieta',  ed  anzi
 sapendo   che  se  "per  qualsiasi  ragione"  dovesse  cessare  l'uso
 specifico,  ogni   spesa   andrebbe   perduta,   con   ingiustificato
 impoverimento della regione ed arricchimento dello Stato.
    4. - Illegittimita' costituzionale dell'art. 18, quarto comma.
    Infine  si  deve osservare in relazione all'art. 18, quarto comma,
 che non si comprende a quale titolo  possono  esser  posti  a  carico
 delle  regioni  "gli oneri di manutenzione" degli immobili realizzati
 con partecipazione delle universita' nell'ambito  degli  stanziamenti
 previsti  dalla  stessa  disposizione,  in  assenza  della proprieta'
 regionale ed anche, in questo caso di  qualunque  garanzia  circa  la
 permanenza della destinazione e la gratuita' dell'uso.
    Naturalmente,  il rilievo non avrebbe peso se si dovesse intendere
 che gli  immobili  di  cui  si  tratta,  realizzati  nel  quadro  dei
 programmi   regionali,   sono  di  proprieta'  regionale,  e  che  la
 partecipazione   dell'universita'    ha    carattere    eminentemente
 finanziario. Se cosi' fosse, tuttavia, la disposizione sugli oneri di
 manutenzione sarebbe assolutamente inutile, rientrandosi nella regola
 generale.