IL TRIBUNALE DI SORVEGLIANZA Riunito in camera di consiglio per deliberare, in sede di rinvio dopo annullamento della Corte di cassazione, in merito al procedimento inerente all'istanza di riduzione di pena per liberazione anticipata, pervenuta presso la cancelleria dell'intestato tribunale di sorveglianza in data 6 giugno 1990, presentata dal condannato Giampaolo Giovanni, nato il 2 novembre 1955 a Locri (Reggio Calabria), domiciliato in Bovalino Marina (Reggio Calabria), via degli Oleandri, attualmente ristretto presso la casa circondariale di Firenze Sollicciano in espiazione della pena detentiva di trenta anni di reclusione, siccome inflitta, congiuntamente a quella pecuniaria di L. 1.200.000 di multa, dalla Corte di assise di appello di Torino con sentenza pronunziata in data 3 dicembre 1987, la quale acclarava la penale responsabilita' del prevenuto in ordine ai reati di concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione, in associazione per delinquere ed altro (Organo dell'esecuzione: procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Torino) (f.p.: 16 ottobre 2012); Letta l'istanza con cui Giampaolo Giovanni, meglio qualificato in epigrafe, chiedeva a questo collegio il riconoscimento del proprio diritto alla concessione di una riduzione di pena per liberazione anticipata, ai sensi e per gli effetti del disposto dell'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, commisurata all'intiero periodo detentivo sofferto; Esaminata l'ordinanza n. 294/1990 l.a. con cui, in data 28 febbraio 1991, questo tribunale di sorveglianza concedeva al prefato Giampaolo una riduzione di giorni 540 (cinquecentoquaranta) sulla pena in corso di esecuzione; Visto l'atto, depositato presso la cancelleria dell'intestato tribunale di sorveglianza in data 16 marzo 1991, con cui la procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona presentava ricorso per cassazione avverso la summenzionata ordinanza; Letta la sentenza n. 2891 con cui, in data 26 giugno - 25 luglio 1991, la prima sezione penale della Corte di cassazione accoglieva il ricorso proposto dalla procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona, provvedendo ad annullare con rinvio l'ordinanza n. 294/1990 l.a. del tribunale di sorveglianza di Ancona; In esito all'odierna udienza, svoltasi nel rispetto delle formalita' di rito, ed a scioglimento della riserva nel corso della stessa formulata; Ascoltati il p.g. ed il difensore d'ufficio del condannato, che concludevano come da separato verbale; CONSIDERA IN FATTO Tratto in arresto in data 17 ottobre 1984, siccome colpito da mandato di cattura n. 625/1983 r.m.c. emesso in data 29 ottobre 1983 dal giudice istruttore presso il tribunale di Torino, Giampaolo Giovanni, meglio qualificato in epigrafe, veniva condotto innanzi al giudizio della Corte di assise di Torino, prima sezione, la quale, in esito all'apprezzamento della penale responsabilita' del pervenuto in ordine ai reati di concorso in omicidio aggravato, in sequestro di persona a scopo di estorsione, in associazione per delinquere ed altro, lo condannava alla pena detentiva di anni 30 di reclusione, unitamente inflitta a quella pecuniaria di L. 1.200.000 di multa (v. estratto della cartella biografica contenente la posizione giuridica del condannato, in atti); il prefato dictum di condanna veniva impugnato mediante appello: il gravame veniva deciso, in data 3 dicembre 1987, dalla Corte di assise di appello di Torino, la quale confermava il verdetto emesso dai giudici di prime cure. La condanna diveniva irrevocabile in data 30 novembre 1988. Associato a vari istituti del circuito penitenziario nazionale (casa circondariale Novara, casa circondariale Torino "Le Vallette", casa circondariale Torino "Le Nuove", casa circondariale Palmi, casa di reclusione di Fossombrone, casa circondariale Firenze), il condannato avanzava una istanza intesa all'ottenimento di una riduzione di pena per la liberazione anticipata, commisurata al periodo detentivo sofferto dalla data di inizio dell'espiazione sino alla data di definizione dell'istanza stessa: la domanda venne discussa da questo tribunale di sorveglianza, essendo stata proposta dal detenuto durante il periodo di assegnazione ministeriale alla casa di reclusione di Fossombrone, all'udienza camerale del giorno 28 febbraio 1991 e trovo' accoglimento totale: il collegio, infatti, riconobbe la meritevolezza della condotta serbata dal Giampaolo per tutto il periodo detentivo sofferto dal 17 ottobre 1984, data di inizio della carcerazione, sino al 17 ottobre 1990, data di scadenza dell'ultimo semestre utilmente valutabile e, conseguentemente, accerto' il diritto del condannato all'ottenimento di una riduzione di giorni 540 sulla pena in corso di espiazione; alla formulazione del prefato giudizio si era pervenuti sulla scorta dell'apprezzamento della costanza del condannato nel serbare condotta regolare, nel partecipare all'attivita' rieducativa, nel mostrare disponibilita' al dialogo con gli operatori penitenziari (v. ordinanza n. 294/1990 l.a. resa in data 28 febbraio 1991 dal tribunale di sorveglianza di Ancona, in atti). Il giudizio che precede veniva, altresi', fondato sull'asserzione dell'irrilevanza, nella definizione dell'istanza intesa all'ottenimento di riduzione di pena per liberazione anticipata, delle pur acquisite informazioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Reggio Calabria (il quale asseriva l'attualita' di collegamenti del condannato con la criminalita' organizzata, affermando, testualmente: "L'interessato, infatti, mantiene tuttora legami con la cosca mafiosa capeggiata dai Nirta operante in San Luca", stante la non sussumibilita' del "beneficio" richiesto tra le misure alternative alla detenzione, alla stregua di un'irriducibile diversita' di natura giuridica tra il primo e questa ultime. L'ordinanza, depositata in data 5 marzo 1991, veniva comunicata alla procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona in data 8 marzo 1991: la prefata Procura Generale proponeva avverso il surrichiamato provvedimento tempestivo ricorso per cassazione, depositato presso la cancelleria dell'intestato tribunale di sorvaglianza in data 16 marzo 1991, mediante il quale veniva lamentata una duplice violazione di legge: in primis, veniva denunziata l'erronea applicazione del disposto dell'art. 4 - bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e succesive modificazioni, siccome introdotto nel corpus dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5 (successivamente non convertito in legge e reiterato con i dd.-ll. 13 marzo 1991, n. 76 e 13 maggio 1991, n. 152, quest'ultimo convertito con la legge 12 luglio 1991, n. 203), in quanto anche la riduzione di pena per liberazione anticipata doveva essere ricondotta al genus delle misure alternative, in ordine alle quali sussisteva l'obbligo di acquisizione delle informazioni del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica relativamente alla sussistenza di attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata od eversiva ed il conseguente dovere di valutazione delle informazioni stesse nell'ambito della processura di definizione delle istanze intese all'ottenimento del surrichiamato "beneficio"; secondariamente, veniva lamentata l'erronea applicazione dell'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e succesive modificazioni, laddove la valutazione espressa dal tribunale di sorveglianza si fondava esclusivamente sul rilievo della regolarita' custodiale del condannato (v. copia del ricorso per cassazione, in atti). La prima sezione penale della Corte di cassazione, con sentenza n. 2891, adottata nella camera di consiglio del 26 giugno 1991 e depositata in data 25 luglio 1991, accoglieva il ricorso proposto dalla procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona limitatamente al secondo motivo di impugnazione, annullando l'ordinanza impugnata e disponendo un nuovo giudizio di merito, effettuando dal tribunale di sorveglianza di Ancona; il ricorso della procura generale anconentana veniva, viceversa, dichiarato inammissibile in relazione al primo motivo di doglianza, siccome sopra esposto, sul rilievo che l'intervenuta decadenza, nelle more del giudizio di impugnazione, del decreto legge n. 5/1991, non convertito in legge tempestivamente, rendeva agli effetti prodotti dallo stesso provvedimento tamquam non essent, si' che l'annullamento richiesto alla stregua della violazione di disposizione normativa (l'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni), introdotta dal primo comma dell'art 1 del d.-l. n. 5/1991, non poteva essere pronunziato, trovando il principio generale secondo cui tempus regit actum un limite nella caducazione, con efficacia ex tunc, della disposizione disciplinante l'atto. Aggiungeva, peraltro, la Corte suprema che, laddove nelle more della definenda procedura di rinvio il legislatore avesse provveduto a convertire con apposita legge i successivi decreti legge, sostanzialmente ripropositivi delle disposizioni introdotte dal d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5, ed a regolamentare gli effetti prodotti dai primi provvedimenti decaduti, il collegio anconetano avrebbe dovuto tenere nel debito conto il novum jus (v. copia della sentenza n. 2891 resa in data 26 giugno-25 luglio 1991 dalla prima sezione penale della Corte di cassazione, in atti). Cio' stante, il presidente dell'intestato tribunale di sorveglianza, al ritorno degli atti dalla cassazione, provvedeva a fissare, per la discussione della fase di rinvio del procedimento, l'odierna udienza, nel corso della quale, verificata la ritualita' degli avvisi di procedimento in camera di consiglio, in esito all'esposizione compiuta dal giudice relatore, p.g. e difensore di ufficio concludevano come da separato verbale. Il tribunale si riservava OSSERVA IN DIRITTO Sciogliendo la surrichiamata riserva, opina questo collegio che risulti pregiudiziale alla risoluzione della presente causa sollevare d'ufficio eccezione di illegittimita' cosituzionale del disposto della prima parte del primo comma dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, siccome interpolato nell'originario corpus della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 maggio 1991 n. 152, convertito senza modifiche, relativamente alla normativa de qua agitur, con legge 12 luglio 1991, n. 203. Va premesso, a tal proposito, che, nonostante la Corte di cassazione, siccome ricordato nella parte narrativa del presente provvedimento, abbia dichiarato inammissibile il motivo del ricorso della procura generale della Repubblica presso la Corte di appello di Ancona relativo alla violazione del prefato art. 4- bis o.p., l'operativita' della normativa surrichiamata nell'ambito della presente processura discende da quanto asserito dalla stessa Corte suprema, la quale, testualmente, in chiusura di sentenza afferma: "va comunque precisato che ove, nelle more dell'adottata decisione, i decreti legislativi sopra indicati dovessero trovare conversione e/o indurre il legislatore a regolamentare i rapporti giuridici sorti sulla base degli stessi decreti, il giudice di rinvio dovra' tenere conto del novum ius". (v. sent. n. 2891 del 26 giugno-25 luglio 1991, presidente Sibilia, relatore Buogo, in atti). Orbene, in data 12 luglio 1991 veniva promulgata la legge n. 203, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale, serie generale, n. 162 della stessa data, il cui articolo unico testualmente recita: "Il decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, recante provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata e di trasparenza e buon andamento dell'attivita' amministrativa, e' convertito in legge con le modificazioni riportate in allegato alla presente legge. Restano validi gli atti ed i provvedimenti adottati e sono fatti salvi gli effetti prodotti ed i rapporti giuridici sorti sulla base dei decreti-legge 13 novembre 1990, n. 324, 12 gennaio 1991, n. 5, 13 marzo 1991, n. 76". E' facile constatare che la clausola inserita nel secondo comma dell'articolo unico della legge 12 luglio 1991, n. 203, integra la condizione indicata dalla suprema Corte nella sentenza n. 2891, del 26 giugno-25 luglio 1991 perche' in capo a questo collegio sorga l'obbligo di procedere agli adempimenti istruttori di cui al combinato disposto del primo e secondo comma dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni e di tenere in debito conto le risultanze degli stessi nella decisione dell'istanza intesa all'ottenimento di riduzione di pena per liberazione anticipata, presentata dal Giampaolo Giovanni. Deve ancora aggiungersi, a tal proposito, che l'obbligo di acquisizione delle informazioni inerenti alla sussistenza di collegamenti attuali del condannato con la criminalita' organizzata era stato, invero, adempiuto mediante la richiesta di note di riscontro alla prefettura di Reggio Calabria (organismo, all'epoca, competente in quanto avente giurisdizione sul luogo di abituale residenza del detenuto); cio' che era stato, viceversa, obliterato da parte del tribunale di sorveglianza di Ancona era l'obbligo di dar conto, nella motivazione dell'ordinanza impugnata ed annullata, della emergenze desumibili dalle suddette informazioni e di inferirne elementi di giudizio allo scopo di decidere sull'istanza di riduzione di pena per liberazione anticipata: orbene, in questa sede ed alla stregua di quanto statuito dalla suprema Corte con la sentenza di annullamento sopra richiamata, dalle risultanze prefate non potrebbe prescindersi al fine di definire il giudizio. Appare opportuno, giunti a tal punto della motivazione del presente provvedimento, chiarire le ragioni sottese all'orientamento esegetico adottato da questo collegio in relazione alle necessita' di procedere all'acquisizione delle informative del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica al fine di istruire le istanze intese all'ottenimento di riduzioni di pena per liberazione anticipata, presentate dai condannati per i particolari titoli delittuosi elencati dal primo comma dell'art. 4- bis o.p.; a tal fine si riporta integralmente la parte motiva di precedente provvedimento di questo collegio relativo alla cennata quaestio juris, risultante, a sua volta, dalla sovrapposizione di motivazioni di precedenti provvedimenti, adottati nella vigenza dei primi testi di decreto legge (il che spiega il riferimento ai diversi testi normativi): ..La normativa ora richiamata, nella versione recenziore di cui al primo comma dell'art. 1 della legge n. 203/1991, testualmente recita: "L'assegnazione al lavoro all'esterno, i permessi premio e le misure alternative alla detenzione previste dal capo VI possono essere concessi ai condannati per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'articolo 416- bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di cui agli articoli 416- bis e 630 del c.p. e dell'art. 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobrre 1990, n. 309, solo se sono stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva. Quando si tratta di condannati per i delitti di cui agli articoli 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale e all'art. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80, secondo comma, del predetto testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica n. 309, del 1990, i benefici suddetti possono essere concessi solo se non vi sono elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva". Gli appositi riscontri, atti a fondare, rispettivamente, il giudizio di assenza di collegamenti attuali con la malavita organizzata ovvero quello di insussistenza di elementi probatori circa l'attualita' degli stessi debbono essere acquisiti, alla stregua della disciplina prospettata dal successivo secondo comma del prefato art. 4- bis o.p., per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, competente in ordine al luogo di detenzione del condannato richiedente: si rammenti, a tal proposito che i precedenti testi di decreto legge prevedevano l'adizione, ai fini de quibus, del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in ordine al luogo di abituale residenza del condannato. Gia' nella vigenza dei precedenti testi di legge questo collegio si era espresso circa l'inopportunita' di ricondurre, sic et simpliciter, lo strumento trattamentale della liberazione anticipata (rectius: della riduzione di pena per liberazione anticipata) nell'ambito delle misure alternative alla detenzione, menzionate nel surrichiamato primo comma dell'art. 4- bis o.p., per far luogo alla concessione delle quali era richiesta l'adizione del competente comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, allo scopo sopra individuato (ordd. nn. 402/1990 l.a. - presidente Galassi, estensore Semeraro, cond. Pecorari - e 464/1990 l.a. - pres. Galassi, est. Semeraro, cond. Gerace - rispettivamente pronunziate in date 14 febbraio 1991 e 9 maggio 1991): ( ..) e' d'uopo premettere, in limine litis, una breve esposizione circa l'obbligatorieta', per la magistratura di sorveglianza, di adizione dell'istanza rappresentata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica allorche' si debba decidere il merito di istanze di riduzione di pena per liberazione anticipata, presentate, ai sensi e per gli effetti del disposto dell'art. 54 o.p., da condannati che debbano espiare pene inflitte per alcune delle fattispecie criminose individuate dalla disciplina recentemente introdotta dal primo comma dell'art. 4- bis o.p. ( ..): piu' precisamente, occorre vagliare la questio juris inerente la sussumibilita' dell'istituto giuridico di cui al prefato art. 54 o.p. tra le " ..misure alternative alla detenzione .." ai fini sopra indicati ( ..). E' opinione di questo tribunale, a tal proposito, che la riduzione di pena per liberazione anticipata, di cui al disposto dell'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, non possa essere sussunta nel novero delle " ..misure alternative alla detenzione ..", la cui concessione, allorche' richiesta dai condannati in espiazione di pena per i particolari titoli delittuosi di cui al primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 marzo 1991, n. 76, e' subordinata, ai sensi del combinato dettato dei commi 1 e 2 dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni ( ..) all'accertamento che " ..non vi sono elementi tali da far ritenere attuali collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva .." (accertamento esperendo mediante l'obbligatoria adizione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica competente in ordine al luogo di abituale residenza del condannato). ( ..) Orbene, tale normativa richiede alla magistratura di sorveglianza una particolare indagine, inerente la pericolosita' sociale dei detenuti condannati per qualificati titoli delittuosi (rectius: la sussistenza di attuali collegamenti con organizzazioni criminose comuni e/o politiche), al fine di procedere all'accoglimento di istanze rivolte all'ottenimento dei particolari "benefici" penitenziari, indicati nell'ambito della prefata normativa ( ..). La questio juris che, nell'ambito dell'odierna processura, appare di preliminare rilevanza si incentra sul quesito se la dizione generica del primo comma dell'art. 4- bis o.p., il quale opera un indistinto richiamo alle "misure alternative alla detenzione", possa essere riferita, altresi', all'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata e, conseguentemente, se, nell'eventualita' di richieste avanzate da detenuti condannati per i titoli delittuosi di cui al ridetto primo comma dell'art. 4- bis o.p. ed intese all'ottenimento di tale beneficio, occorra, comunque, acquisire il parere motivato del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica. Ritiene questo collegio di non poter condividere tale orientamento interpretativo: ( ..) la formula, di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p., ( .. ha ..) inteso operare un chiaro riferimento ad istituti caratterizzati da un minimo comun denominatore, costituito dalla natura giuridica di "misure alterna- tive alla detenzione", stricto sensu intese. La circostanza che l'obbligo di adizione dell'istanza rappresentata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza sia stato imposto, in relazione alle domande di liberazione condizionale, nell'ambito di separato art. della medesima normativa (art. 2 del d.-l. n. 5/1991) non puo' essere utilizzata, in chiave di ricostruzione esegetica, per inferirne la conclusione che il richiamo operato dall'art. 1 dello stesso decreto legge abbia esclusivo riferimento a quelle misure, definite quali alternative dal legislatore del 1975, a prescindere dalla loro effettiva natura giuridica: tale ( ..) tesi ( .. sostiene che ..) l'espresso richiamo alla liberazione condizionale in diverso loco della medesima normativa si sarebbe reso necessario a cagione dell'esclusione, dal novero delle misure disciplinate nel 1975, del prefato istituito, mentre, laddove il legislatore del 1991 avesse inteso far riferimento alla natura giuridica degli istituti, il richiamo stesso avrebbe costituito un superfetazione, alla stregua dell'accertata natura di misura alternativa alla detenzione, propria della liberazione condizionale. Ritiene, per converso, questo tribunale che l'opportunita' di disciplinare in senso analogo alle altre misure alternative alla detenzione anche la liberazione condizionale, sia pure nell'ambito di differente articolato, derivi proprio dall'attenta considerazione della natura giuridica dell'istituto de quo: costituisce argomento ormai noto la querelle, insorta tanto in ambito dottrinario, quanto in ambito giurisprudenziale, sulla natura giuridica della liberazione condizionale e della conseguente liberta' vigilata, sul quale vale la pena di soffermarsi, se non per il tempo necessario a rammentarlo. Basti soltanto sottolineare, in questa sede ed agli scopi che ne occupano, che neanche la Corte costituzionale, nella piu' recente pronunzia in materia di effetti della revoca della liberazione condizionale (sent. 17 - 25 maggio 1989, n. 282, presidente Saja, relatore Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale 1989, prima serie speciale, n. 22, pag. 13 e seguenti), con decisione apprezzata per la sua ponderazione dall'unanime dottrina, ha ritenuto opportuno dirimere il contrasto tra coloro che sostengono la natura di modalita' di esecuzione alternativa alla pena detentiva, propria della liberazione condizionale, e coloro che, viceversa, ne predicano la natura di istituto di carattere sospensivo probatorio (v. sentenza predetta, pagg. 15, 16 e 17). L'irrisolto nodo interpretativo, senz'altro ben noto al legislatore, ha costretto quest'ultimo all'espressa menzione della liberazione condizionale nell'ambito di un differente articolo di legge, proprio in virtu' dell'impossibilita', allo stato attuale dell'interpretazione dottrinaria e giurisprudenziale, di equiparare, sic et simpliciter, l'istituto di cui all'art. 176 del c.-p. alle misure alternative alla detenzione stricto sensu. Donde desumesi la piena controvertibilita' dell'argomentazione logica ( ..suddetta ..). Che, anzi, proprio la constatazione che il legislatore, allorche' ha inteso estendere gli oneri procedurali previsti per le misure al- ternative alla detenzione anche ad un istituto, la cui natura giuridica appare ancora oggi di incerta definizione, ha provveduto espressamente alla menzione dello stesso, addirittura in ambito testuale separato, induce a concludere che la locuzione " ..misure alternative alla detenzione ..." utilizzata nell'ambito del primo comma dell'art. 4- bis o.p., sopra mentovato, abbia una propria specificita' tecnica, nel senso che il legislatore abbia inteso operare un riferimento preciso solo e soltanto a quelle misure, introdotte per la prima volta, nell'ambito dell'ordinamento giuridico italiano, dalla legge di riforma penitenziaria del 1975 (e, successivamente, integrate nel 1986), che rivestano natura di vera e propria alternativa alla pena detentiva ordinaria. Orbene, e' noto, dal dibattito dottrinario che ha travagliato la penalistica italiana ed internazionale, risalente, addirittura, al periodo terminale del diciannovesimo secolo, ad epoca, id est, in cui, attraverso la formulazione dell'ormai classico paradosso di Von Liszt, venne individuata la necessita' di definire e giuridicizzare misure alternative alla pena detentiva breve ed ai suoi inevitabili correlati di stigmatizzazione e desocializzazione, che la misura alternativa alla detenzione costituisce una sorta di tertium genus tra la pena detentiva classica ed i cosiddetti sostitutivi penali: la misura alternativa alla detenzione, infatti, non implica una totale deprivazione della liberta' personale, ma una piu' o meno pregnante compressione della stessa, accompagnata da forme di assistenza risocializzatrice; alla pena detentiva classica, viceversa, le misure alternative si avvicinano, alla stregua del loro carattere di afflittivita', positivamente sanzionato, a tutt'oggi, da autorevoli interventi giurisprudenziali (v. sent. Corte costituzionale 15 ottobre 1987, n. 347, presidente Andrioli, relatore Spagnoli, in Gazzetta Ufficiale 1987, prima serie speciale, n. 46, pag. 50 e seguenti). Su tali conclusioni si e' attestata la dottrina unanime, anche in seguito agli interventi di autorevolissimi esponenti, sin dai tempi dell'introduzione della legge di riforma penitenziaria. Orbene, data tale premessa, secondo cui le misure alternative alla detenzione, stricto sensu intese, sono connotate da un coessenziale carico di afflittivita', appare chiaro come l'istituto, di cui all'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, non possa rettamente essere annoverato tra le misure alternative alla detenzione: concorde alla conclusione che precede e', altresi', autorevole dottrina, la quale, sin dall'epoca dell'entrata in vigore della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, sottolineo' l'improprieta' della collocazione sistematica della normativa concernente le riduzioni di pena per liberazione anticipata nell'ambito del capo ove trovansi disciplinate le misure alternative alla detenzione: cio' stante la natura giuridica dell'istituto prefato, il quale consiste non nella sostituzione di un trattamento "penale" ad altro tipo di trattamento (quello detentivo tradizionale), bensi' nella mera remissione di parte della pena detentiva stessa alla stregua della verificazione giudiziale dei parametri comportamentali delineati dal legislatore (positiva rispondenza agli interventi trattamentali). La natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata consiste nell'abbreviazione della durata della pena detentiva quale riconoscimento (sanzione positiva) dell'adozione, da parte del condannato, di provvedimenti normorientati: dalla lettera della legge emerge palesemente la pregnanza spiccatamente premiale dell'istituto, il quale consiste in un incentivo alla condivisione di metodiche trattamentali, orientate alla progressiva acquisizione di stadi rieducativi del soggetto. La ratio sottesa all'istituto de quo risulta chiaramente evincibilie dal tenore testuale dell'art. 54 o.p., il quale delinea per la riduzione di pena una finalita' pedagogica, desumibile dall'indicazione del semestre quale unita' di valutazione della condotta del condannato, operata in virtu' della recezione delle conclusioni delle piu' avvedute dottrine psico-pedagogiche (siccome riconoscituo, oggigiorno, anche dalla suprema Corte; v. cassazione, sezione prima, 15 marzo 1989, presidente Molinari, relatore Savoi Colombis, cond. comune, in cassazione pen. 1989, p. 2267, m. 1854): d'altro canto, lo stesso Ministro guardasigilli, nella relazione al disegno di legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, sottolineava le potenzialita' incentivanti dell'istituto nello stimolare il detenuto nello sforzo di adeguamento e di mantenimento di " ..una positiva tensione psicologica ..". La natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena per la liberazione anticipata, siccome poc'anzi delineata, fa si' che lo stesso non possa essere assimilato, sic et simpliciter, alle misure alternative alla detenzione, stricto sensu intese, dovendosi ravvisare nello stesso un istituto dalla spiccata valenza premiale, ispirato a parametri pedagogici di incentivazione all'adozione di comportamenti di retta progressione nell'acquisizione di mete di rieducazione: il riscontro rispetto al quale commisurare la valutazione giudiziale dovra' essere, pertanto, eminentemente fattuale, indipendentemente dal raggiungimento del fine dell'avvenuta rieducazione sociale del condannato; altrimenti opinando ( ..) si perverrebbe al risultato di sovrapporre l'istituto in disamina a quello della liberazione condizionale, in ordine al quale, viceversa, il legislatore richiede espressamente l'intervenuta emenda del reo. Il reinserimento sociale e' prospettato dal legislatore, nell'ambito della disciplina dell'istituto di cui all'art. 54 o.p., quale finalita' al cui raggiungimento sono orientati gli incentivi premiali intesi a stimolare l'adozione di comportamenti (carcerari e sociali) normorientati; d'altro canto, la conclusione che precede si consolida alla luce del recenziore orientamento esegetico, adottato dalla suprema Corte in materia di frazionabilita' del periodo detentivo soggetto alla valutazione giudiziale ai fini de quibus e di semestralizzazione della concessione delle riduzioni di pena (v. cassazione sezione prima, 15 marzo 1989, gia' citata; cassazione, sezione prima,19 aprile 1989, presidente Carnevale, relatore Pirozzi, cond. Ferro, in cassazione pen. 1990, pag. 1800, m. 1473; cassazione, sezione prima, 29 maggio 1989, Ognibene, in mass. uff. 1989, m. 181516; cassazione, sezione prima, 16 maggio 1989, Borsone, ivi 1989, m. 181914; cassazione, sezione prima, 27 dicembre 1989, n. 2914, presidente Aiello, relatore Buogo, cond. Bassi; cassazione, sezione prima, 18 gennaio 1990, n. 3192, presidente Carnevale, realtore Serianni, cond. Ierardi; cassazione, sezione prima, 13 aprile 1990, n. 758, presidente Molinari, relatore Pompa, cond. Carbone), il quale, secondo le considerazioni della piu' avveduta dottrina, implica una maggiore oggettivazione del giudizio proprio della magistratura di sorveglianza. Dunque, la natura giuridica dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata differisce da quella propria delle misure alternative alla detenzione stricto sensu intese, siccome delineata nell'ambito del vasto e risalente dibattito dottrinario sviluppatosi intorno alla stessa e secondo quanto riconosciuto, peraltro, dalla stessa Consulta (v. ord. 18 - 26 gennaio 1990 n. 35, presidente Saja, relatore Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale 1990, 1a serie speciale, n. 6, pag. 12 e seguenti): da cio' desumesi che la dizione utilizzata dal legislatore nell'ambito del primo comma dell'art. 4- bis o.p., siccome interpolato dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5, non puo' essere legittimamente estesa sino ad includere l'istituto di cui all'art. 54 o.p.: si rammenti, infatti, che si sono individuati, in precedente parte del presente provvedimento, i motivi secondo cui la formulazione "misure alterna- tive alla detenzione", adoperata nel comma sopra richiamato, deve intendersi utilizzata in senso proprio e non in senso atecnico ( ..): se cosi' e', discende da cio' in maniera conseguenziale che la riduzione di pena per liberazione anticipata non puo' essere inclusa nel novero delle misure alternative alla detenzione, neanche al limitato fine di osservare gli adempimenti istruttori imposti, per gli altri benefici, sicuramente sussumibili nel genus delle misure alternative stricto sensu, dal combinato disposto del primo e del secondo comma dell'art. 4- bis o.p. D'altro canto, si pensi alle conseguenze di carattere dommatico che l'accoglimento della tesi opposta a quella sostenuta nel presente provvedimento comporterebbe sulla natura giuridica dell'istituto de quo: si e' gia' avuta occasione di evidenziare la natura di incentivo di carattere pedagogico della riduzione di pena, intesa quale sanzione positiva atta a suscitare una tensione psicologica orientata all'adozione di comportamenti normorientati. La subordinazione della concessione della riduzione di pena per liberazione anticipata non piu' soltanto al riscontro di una positiva rispondenza agli interventi trattamentali operati dalle e'quipes di osservazione e trattamento, bensi' anche, in relazione ai detenuti condannati per le fattispecie delittuose richiamate dal primo comma dell'art. 4- bis o.p., all'acquisizione di motivato parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica circa la sussistenza attuale di collegamenti con la criminalita' organizzata finirebbe per privare l'istituto di cui si discute di qualsivoglia valenza incentivante e pedagogica: il legislatore, infatti, prefigura, in capo ai condannati per le fattispecie delittuose sopra richiamate, una vera e propria presunzione di pericolosita' sociale (rectius: di persistenza di collegamenti con organizzazioni criminali politiche e/o comuni); tale presumptio legis appare rivestire un carattere di relativita' (presumptio juris tantum), essendo suscettibile di superamento attraverso la prova contraria. Cio' non toglie che il condannato, il quale abbia osservato un comportamento rispettoso della disciplina carceraria ed adesivo alle modalita' trattamentali e si veda respingere un'istanza di riduzione di pena per liberazione anticipata per la mera assenza di una prova positiva di mancanza dei collegamenti con organizzazioni malavitose (pur non sussistendo una prova di attualita' dei predetti collegamenti) non provera' alcuno stimolo a perseverare nel mantenimento dei comportamenti suddetti: occorre, a tal proposito, porre mente alla considerazione che la formulazione adoperata dal legislatore appare chiara nel richiedere, ai fini del superamento della presunzione di pericolosita' sociale, che potremmo definire "qualificata", una prova positiva di assenza di collegamenti attuali con la malavita organizzata, non essendo sufficiente, agli scopi de quibus, la mera mancanza di prova dell'attualita' di connessioni. La peculiare difficolta' di reperimento della prefata prova positiva (la quale finisce, per tal via, nel trasformarsi in una vera e propria probatio diabolica), desumibile dalla considerazione che, eccezion fatta per alcune tipologie di criminalita' organizzata di tipo politico- ideologico,l'esperienza criminologica attesta la non congenialita' alle organizzazioni malavitose di riscontri (documentali e non) di intervenuto recesso dalle stesse, indurrebbe a svalutare pesantemente, sin quasi ad obliterarla del tutto, la valenza di incentivo pedagogico proprio della riduzione di pena per liberazione anticipata. Oltre tutto, si consideri che, stanti le sopra esposte conclusioni afferenti l'estrema difficolta' di reperimento di riscontri positivi di recisione di legami con organizzazioni criminose, maggiormente accresciute, per considerazioni di sin troppo evidente comprensione, in relazione a condannati ristretti in ambito penitenziario, magari da lungo periodo, gli elementi atti a consustanziare un parere, del tipo di quello richiesto dal legislatore nell'ambito dell'art. 4- bis o.p., non potrebbero che essere tratti dalla disamina del comportamento intramurario del detenuto: donde ricavasi la farraginosita' (e la sostanziale superfluita') di una procedura che preveda l'intervento, a tali limitati scopi, di un'autorita' statale esterna all'ambito penitenziario e preposta alla valutazione di riscontri eccentrici rispetto allo stesso. La sussunzione, sic et simpliciter, dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata nell'ambito delle misure alterna- tive avrebbe come proprio correlato la subordinazione della concessione delle riduzioni stesse, per i condannati per le fattispecie delittuose di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p., all'acquisizione di elementi di giudizio, atti a consustanziare positivamente una valutazione di inattualita' di collegamenti con organizzazioni criminali: a giudizio di questo collegio, il problema posto dall'interpretazione del disposto del richiamato primo comma dell'art. 4- bis o.p.( ..) e' strettamente ed ineludibilmente connesso a quello della natura giuridica dell'istituto della liberazione anticipata. Cio' opinando, si perviene alla conseguenziale conclusione che la summenzionata difficolta' di reperimento della prova positiva dell'assenza di collegamenti con la malavita organizzata implica un sostanziale svilimento del finalismo rieducativo della pena, proprio nel particolare momento (quello dell'esecuzione e del trattamento) in cui per unanime e risalente riconoscimento (v. la copiosa giurisprudenza della consulta in materia di finalita' della pena, sviluppatasi a partire dalla sentenza n. 12 del 1966 in poi), il predetto finalismo dovrebbe trovare il massimo dispiegamento operativo. L'introduzione di elementi di giudizio, improntati ad una tutela della finalita' di difesa sociale, sarebbe, di per se' stessa, pienamente lecita, in virtu' della coessenzialita' di detto carattere al momento punitivo, se non fosse per la preminente considerazione che la formulazione della presunzione di pericolosita' sociale "qualificata" e della necessita' di prova positiva di assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, nei termini in cui risultano prospettati nell'ambito del primo comma dell'art. 4- bis o.p., condurrebbero all'inevitabile conseguenza, laddove applicati anche all'istituto della riduzione di pena per la liberazione anticipata, di realizzare l'eventualita' di " ..privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilita' e sicurezza (difesa locale), sacrificando il singolo attraverso l'esemplarita' della sanzione ..", gia' saggiamente deprecata dal giudice di costituzionalita' delle leggi (v. Corte costituzionale, sentenza 26 giugno - 2 luglio 1990, n. 313, presidente Saja, relatore Gallo, in Gazzetta Ufficiale 1990, prima serie speciale, n. 27, pag. 15): il finalismo rieducativo, che la consulta, nella predetta pronunzia, ha indicato come carattere ontologicamente proprio della pena, in tutte le sue manifestazioni, dall'astratta comminatoria, all'irrogazione ed alla conseguente esecuzione, trova amplissimo ambito operativo nella fase del trattamento, di cui la liberazione anticipata costituisce peculiare strumento, con carattere di sanzione positiva della partecipazione ad esso del condannato, e l'introduzione di elementi di valutazione non intranei alla logica ed alle finalita' del suddetto trattamento (il parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica) produrrebbe l'ineludibile conseguenza di alterare la natura giuridica di quel particolare strumento - la riduzione di pena per liberazione anticipata - che la stessa consulta indica come coessenziale al trattamento penitenziario, alla sua logica ed alla sua finalita' (v. sent. 26 giugno - 2 luglio 1990, gia' citata, pag. 16). Ancora, si consideri che e' possibile rinvenire, nell'ambito del tenore letterale del decreto legge n. 5/1991, elementi testuali atti a corroborare la tesi che qui si sostiene: il secondo comma dell'art. 4- bis o.p., interpolato dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. n. 5/1991, nell'imporre l'obbligo della previa acquisizione del motivato parere del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, fa riferimento alle misure (alternative e trattamentali) indicate nel precedente primo comma mediante il termine "benefici". Il sesto comma del prefato art. 1 del d.-l. n. 5/1991 interpola, nell'ambito della normativa di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, l'art. 58-quater, la cui rubrica legis recita "divieto di concessione dei benefici": orbene, il primo comma del predetto art. 58-quater elenca i suddetti benefici escludendone tanto l'affidamento in prova in casi particolari, di cui all'art. 47- bis o.p., quanto la riduzione di pena per liberazione anticipata. La prima di tali esclusioni (rectius: mancate inclusioni) appare, peraltro, giustificata dalla volonta' di non precludere al condannato, che sia reso responsabile di condotta punibile ai sensi dell'art. 385 del c.p. ovvero di comportamento implicante la revoca di precedenti benefici, per un periodo rilevante (tre anni), l'adizione di un istituto improntato al tentativo (che, evidentemente, nel contemperamento di esigenze operato dal legislatore ha assunto particolare ed assorbente pregnanza) di reintegrare socialmente, previa apposita terapia riabilitativa, soggetti tossico od alcooldipendenti, laddove la seconda parte priva di qualsiasi giustificazione, che non sia quella dell'inutilita' di un'eclusione espressa, dovendosi ritenere l'istituto della riduzione di pena non incluso, per le ragioni sopra esposte, neanche nel novero di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p. D'altro canto, accogliendo le conclusioni che precedono, si avalla la considerazione che l'obbligo istruttorio imposto alla magistratura di sorveglianza dal secondo comma dell'art. 4- bis o.p. e' inteso a restringere l'ambito di operativita', nei confronti di soggetti condannati per fattispecie delittuose tali da destare un rilevante allarme sociale, di benefici che hanno come conseguenza, diretta e necessaria, l'acquisizione immediata di un ambito, sia pur in vario modo compresso, di liberta' personale, mentre tale conseguenza non si pone con caratteri di necessita' in ordine all'istituto di cui all'art. 54 o.p. ( ..). ( ..) si ponga mente alla considerazione che il parametro normativo, alla cui stregua valutare il comportamento del condannato ai fini de quibus, e' la partecipazione del detenuto all'attivita' rieducativa, sostanziantesi, secondo il testuale disposto dell'art. 94 del d.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 e successive modificazioni, nel particolare impegno dimostrato dal ristretto nel trarre profitto dalle opportunita' offertegli nel corso del trattamento, id est nell'atteggiamento manifestato nei confronti degli operatori penitenziari, nella qualita' dei rapporti intrattenuti con i condetenuti e con familiari, oltre che, ovviamente, nella spontanea e proficua adizione degli elementi del trattamento rieducativo (lavoro, istruzione, religione, etc.). Rebus sic stantibus, non si puo' non condividere l'orientamento predicato da autorevole dottrina, nonche', in ultima analisi, sotteso alla stessa giurisprudenza del giudice di legittimita' delle leggi (v. Corte costituzionale, sentenza 23-31 maggio 1990, n. 276, gia' citata), secondo cui il presupposto per la concessione (rectius, per il riconoscimento giudiziale del diritto alla concessione) della riduzione di pena per liberazione anticipata consiste in un dato squisitamente fattuale, il cui primo ed, in sostanza, pieno riscontro deve logicamente essere demandato agli operatori che quotidianamente, con profusione di impegno e sacrificio personale, nonche' di esperienza cognitiva e scientifica, hanno la possibilita' di osservare e studiare la rispondenza eventuale del condannato agli interventi trattamentali, id est agli operatori penitenziari. Ne' dicasi che siffattamente opinando ci si priva, volontariamente, di uno strumento cognitivo atto a vagliare, piu' oculatamente, il reale grado di rispondenza del detenuto all'opera di rieducazione: e' ben consapevole questo collegio che una regolare condotta intramuraria, la quale dissimuli, in realta', una permanenza del vincolo associativo con organizzazioni criminali od eversive, non possa correttamente essere qualificata come partecipazione all'attivita' trattamentale, si' da integrare il presupposto per il riconoscimento giudiziale del diritto alla concessione della riduzione di pena per liberazione anticipata. Gli e', peraltro, che dati di riscontro realmente attendibili circa la sussistenza dei predetti legami ben difficilmente potranno essere forniti, sol che alla circostanza si ponga mente per un giudizio sereno e disincantato, da organismi statuali estranei al sistema penitenziario, i quali, per loro composizione e competenza specifica, non possiedono gli elementi di giudizio piu' significativi, ai fini che ne occupano, id est i dati inerenti la condotta intramuraria del condannato; in realta' sara' sempre l'amministrazione penitenziaria, tramite i suoi organi periferici, deputati all'osservazione della condotta ed, in senso piu' lato, della personalita' del ristretto, a possedere un quadro d'insieme imprescindibile e di primaria rilevanza anche ai fini della valutazione della circostanza della sussistenza attuale di collegamenti con la criminalita' organizzata, siccome e', d'altro canto, dimostrato dalla particolare attenzione profusa dalla stessa amministrazione nel rilevare e segnalare alla magistratura di sorveglianza tutti quegli elementi di riscontro che, ai fini predetti, potrebbero rilevarsi significativi (rimesse di denaro sospette, necessita' od opportunita' di sottoporre a visto di controllo la corrispondenza epistolare del detenuto, natura e frequenza dei colloqui, natura e contenuto di colloqui telefonici, soggetti all'ascolto di personale penitenziario, eccezion fatta per quelli con i difensori, natura e qualita' della restante popolazione detenuta frequentata, etc.). Viceversa, assegnare, come desumesi dal testo normativo dell'art. 4- bis o.p.( ..) primaria rilevanza, cui subordinare l'accertamento degli altri presupposti comportamentali, alle informazioni fornite da un organismo estraneo al sistema penitenziario, il quale, tra l'altro, il piu' delle volte, soprattutto nelle ipotesi di detenzioni protraentisi da lungo periodo, non potra' che fondare i propri giudizi sui comportamenti extramurari antecedenti all'instaurazione della carcerazione, appare decisamente incongruo in riferimento alla natura giuridica dell'istituto in disamina, laddove si ponga mentre agli orientementi della stessa consolidata giurisprudenza di legittimita', secondo cui, ai fini della liberazione anticipata, occorre aver riguardo al comportamento tenuto dal condannato all'interno degli istituti penitenziari, mentre rilevanza del tutto secondaria ed accessoria assumono i precedenti penali e giudiziari, ed, ancora, laddove l'istituto della liberazione condizionale si correla al sicuro ravvedimento del condannato, desunto dal suo comportamento globale, senza limitare l'osservazione alla sola condotta carceraria, quello della liberazione anticipata, invece, esige semplicemente la partecipazione all'opera di rieducazione, cioe', l'adesione, ancorche' attiva, a tutte le opportunita' risocializzanti che l'espiazione della pena offre, senza che cio' comporti necessariamente una revisione critica del passato e l'abbandono delle spinte criminali manifestate con la commissione del reato (v. cassazione, sezione prima, 7 luglio 1989, presidente Molinari, relatore Lapenna, cond. De Risi, in cassazione pen. 1990, pag. 1991, m. 1618; in senso sostanzialmente conforme, v. cassazione, sezione prima, 2 ottobre 1989, presidente Carnevale, relatore Del Vecchio, cond. De Gregori, in cassazione pen. 1990, pag. 2196, m. 1769). La Corte suprema sottolinea in maniera icastica la natura di premio per l'adozione di una condotta orientata verso una tensione di consentaneita' a parametri di adesione all'opera trattamentale ed al contempo di incentivazione verso il mantenimento di tale comportamento propria dell'istituto in disamina, la quale verrebbe inevitabilmente ridimensionata da un'interpretazione del disposto del primo comma del nuovo art. 4- bis o.p., che conducesse ad includere nel novero delle " ..misure alternative alla detenzione ..", alla stregua del rispetto del mero dato testuale (rectius, della mera classificazione operata dal legislatore nell'ambito dell'intitolazione di un capo della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, alla quale, certamente, non possono assegnarsi valore e dignita' superiori di quelle proprie di una semplice rubrica legis, la quale, secondo l'antico brocardo, non est lex), anche l'istituto della riduzione di pena per liberazione aticipata; viceversa, l'ambiguita' del dato testuale, che non menziona espressamente l'istituto prefato, operando un vago riferimento alle misure alterna- tive alla detenzione, induce a concludere che, nella necessita' di assegnare un significato concreto ed operativo al dato normativo in via esegetica, sia da preferire l'orientemento che, oltre il pur doveroso ossequio al mero tenore testuale della legge, si spinga sino ad indagare la reale natura giuridica degli istituti sottoposti a disamina, onde inferirne conseguenze relative alla disciplina ed agli effetti giuridici, secondo, d'altro canto, le piu' recenti indicazioni di metodo fornite dal giudice di legittimita' delle leggi (v. Corte costituzionale, sentenza 23 - 31 marzo 1988, n. 369, presidente Saja, relatore Dell'Andro, in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 15 del 13 aprile 1988, pagg. 11 e seguenti; Corte costituzionale, sentenza 17 - 25 maggio 1989, n. 282, in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, n. 22 del 31 maggio 1989, pagg. 13 e seguenti): cio' detto, appare conseguente concludere che l'accertata natura "premiale-incentivante" della riduzione di pena per liberazione anticipata, la quale non sostituisce al regime detentivo ordinario un regime allo stesso alternativo, bensi' consiste in una mera decurtazione di una parte della pena detentiva, alla stregua dell'accertamento giudiziale di dati parametri, non consente in inquadramento dommatico della stessa nell'ambito delle misure alter- native stricto sensu intese, alle quali si ritiene faccia riferimento il richiamo operato dal primo comma dell'art. 4- bis o.p.( ..) e che, pertanto, la concessione della stessa non possa essere subordinata all'acquisizione di dati di riscontro provenienti da autorita' statuali estranee al sistema penitenziario (siccome, viceversa, opportuno in ordine alle altre misure ed agli altri benefici menzionati, che, tutti, comportano, a differenza della liberazione anticipata, quale effetto immediato e necessario, il ripristino, sia pure temporaneo, di uno status libertatis, piu' o meno compresso), pena lo snaturamento dell'istituto stesso. Quanto precede trova conferma, altresi', nell'attenta disamina dei riscontri desumibili dallo stesso dato testuale: si ponga, infatti, mente alla considerazione che mentre il comma secondo dell'art. 4- bis o.p., nella versione fornitane dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 marzo 1991, n. 76, richiama gli strumenti trattamentali menzionati nel comma precedente mediante la formula " ..benefici di cui al primo comma ..", viceversa il quarto comma dell'art. 58-quater o.p., siccome interpolato nel corpo dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario dal sesto comma del prefato art. 1 del d.-l. n. 76/1991, nel chiaro intento di determinare differenziati limiti di pena per la fruizione di tutti gli strumenti del trattamento rieducativo e di tutte le misure alternative per i condannati in ordine alle particolari fattispecie delittuose sanzionate dagli artt. 289- bis e n. 630 del c.p., allorche' le stesse risultino aggravate dall'evento morte del sequestrato, adopera la testuale dizione: " ..non sono ammessi ad alcuno dei benefici previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 ..". Cio' induce a concludere che, allorche' la voluntas legis sia indirizzata verso il raggiungimento dell'obbiettivo di predisporre norme di disfavore nei confronti dei condannati per alcune particolari fattispecie delittuose di rilevante disvalore morale e sociale, tendenti a limitare l'adizione, da parte degli stessi, di tutte le particolari misure del trattamento rieducativo, previste dalla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario (ivi compresa, pertanto, la riduzione di pena per liberazione anticipata di cui all'art. 54 o.p.), si renda opportuno un espresso richiamo, formulato in termini espliciti ed inequivoci, alle misure disciplinate dalla legge n. 354/1975 e sucessive modificazioni, siccome avvenuto nel menzionato quarto comma dell'art. 58-quater o.p., mentre laddove il dato testuale non contenga riferimenti univoci e trasparenti alla totalita' degli istituti disciplinati dalla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario (come nel combinato disposto dei commi primo e secondo dell'art. 4- bis o.p.) l'opera di ricostruzione esegetica e di assegnazione di significato al riferimento normativo debba essere condotta alla stregua del rispetto di parametri che salvaguardino la reale natura giuridica degli istituti coinvolti nella disamina ( ..) il testo normativo, introdotto dal primo comma dell'art. 1 del d.-l. 13 maggio 1991, n. 152, convertito senza modificazioni nel vigente art. 1 della legge 12 luglio 1991, n. 203, apporta delle innovazioni rispetto alle precedenti dizioni: anzitutto, laddove il riferimento operato dal primo comma degli artt. 1 del d.-l. 12 gennaio 1991, n. 5 ed 1 d.-l. 13 marzo 1991, n. 76 era operato, genericamente, alle "misure alternative alla detenzione", oggi, l'art. 1 della legge 12 luglio 1991, n. 203 richiama, testualmente, le "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI" della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni. Si rammenti, a tal proposito, che la liberazione anticipata e' istituto espressamente disciplinato nell'ambito del prefato capo VI del titolo I della legge n. 354/1975. Tale innovazione legislativa induce a dubitare della riproponibilita', nel vigore della nuova disciplina, dell'orientamento esegetico sostenuto in epoca precedente da questo collegio, siccome sopra ricordato: a tal riguardo, ritiene questo tribunale di dover confermare le conclusioni gia' adottate ed esposte. E' vero, infatti, che, in maniera alquanto singolare, il legislatore sembra aver adottato la soluzione di tecnica redazionale prospettata da questo collegio nelle ordinanze surrichiamate, allorche' ha introdotto la nuova dizione compresa nel testo dell'art. 4- bis o.p., indicando, in maniera esplicita, le "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI" della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, laddove il testo previgente si limitava a richiamare le "misure alternative alla detenzione"; ma e', altresi', vero che la nuova formulazione letterale, adoperata dal legislatore del maggio 1991 non appare di portata e significativita' tali da indurre ad un revirement radicale rispetto alle conclusioni gia' adottate. Infatti, la dizione testuale continua a far riferimento alle misure alternative alla detenzione ed e' da presumere che il richiamo normativo sia rivolto alla nozione di "misure alternative" stricto sensu intese, siccome individuate dalla dottrina, oramai risalente, gia' menzionata nella parte motiva dei provvedimenti sopra integralmente riportati. Come gia' esposto, la riduzione di pena per liberazione anticipata costituisce particolare metodica trattamentale, ispirata ad una logica di chiara premialita' incentivante, eccentrica rispetto alla natura giuridica delle cd."misure alternative alla detenzione" stricto sensu, in quanto non sostituisce alla pena espiata nell'ordinaria forma carceraria un regime alternativo, connotato, al contempo, da afflittivita' minore rispetto alla detenzione ordinaria e dall'intervento degli organi di sostegno sociale, bensi' si limita a decurtare l'originaria sanzione, inflitta dal giudice della cognizione, in virtu' della rispondenza a parametri di partecipazione all'opera di rieducazione della condotta osservata dal condannato. Cio' dato, ricondurre l'istituto, di cui all'art. 54 o.p., nel novero delle misure alternative alla detenzione costituisce rilevante forzatura della natura giuridica dello stesso, oltre che, ovviamente, di quella delle misure alternative stricto sensu intese, siccome venutasi storicamente delineando, in virtu' di contributi dottrinari, legislativi e giurisprudenziali (a meno di non voler sostenere che l'unica alternativa alla detenzione e' ... l'assenza della stessa|). L'indicazione legislativa, pertanto, deve intendersi riferita alle misure alternative alla detenzione, disciplinate nell'ambito del capo VI del titolo I della legge di riforma dell'ordinamentopenitenziario, che rivestano natura giuridica di vere e proprie alternative alla pena detentiva tradizionale: a tal proposito, torna utile il richiamo, gia' operato nell'ambito della parte motiva dei provvedimenti sopra recepiti, all'autorevole dottrina sostenente l'improprieta' sistematica della collocazione dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata nell'ambito della partizione legislativa destinata a disciplinare le misure alternative alla detenzione. A cio' aggiungasi che lo stesso testo della legge 12 luglio 1991, n. 203, offre spunti che rafforzano le conclusioni che precedono tanto sul piano di criteri esegetici strettamente letterali, quanto alla stregua di parametri di interpretazione sistematica. Anzitutto, in relazione al primo ordine di strumenti ricostruttivi, deve sottolinearsi che, allorquando il legislatore ha inteso fare riferimento concreto alle singole misure alternative ha adoperato, in altra parte del decreto legge, una differente tecnica redazionale, procedendo ad una dettagliata elencazione, la quale prevede nominatim le singole misure interessate dalla medesima disciplina: si consideri, a tal proposito, quanto previsto dal primo comma dell'art. 58-quater o.p., siccome interpolato nel corpus dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario dal sesto comma dell'art. 1 della legge 12 luglio 1991, n. 203, che introduce un divieto di concessione di alcuni particolari strumenti trattamentali (permessi premiali, assegnazione al lavoro extramurario) e di alcune misure al- ternative alla detenzione (affidamento in prova al servizio sociale esclusivamente nei casi previsti dall'art. 47 o.p., detenzione domiciliare e semiliberta') per i condannati in relazione ai particolari titoli delittuosi di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p., che abbiano posto in essere una condotta punibile ai sensi e per gli effetti del disposto dell'art. 385 del c.p.: orbene, tale norma provvede ad indicare nominatim i singoli "benefici" cui deve applicarsi la particolare regolamentazione dalla stessa introdotta, costituendo chiaro indice dell'intenzione del legislatore di operare riferimenti precisi alla natura giuridica degli istituti disciplinati. Il mero richiamo alle misure alternative alla detenzione, infatti, non sarebbe stato pertinente, poiche' avrebbe comportato la conseguenza di includere nel novero anche l'affidamento in casi particolari, previsto dall'art. 47- bis o.p., laddove l'intendimento del legislatore era chiaramente orientato nel senso di escludere dalla normativa, ispirata a criteri di draconiano rigore, soggetti particolarmente bisognosi di terapie atte a soddisfare le esigenze poste dalla tossicomania e da peculiari sociopatie, si' che si e' reso necessario ricorrere ad una tecnica redazionale che provvedesse all'elencazione delle singole misure interessate dalla nuova disciplina. Cio' induce a ritenere che, laddove per qualsivoglia motivo, il legislatore avesse voluto equiparare la disciplina delle misure alternative stricto sensu intese e della riduzione di pena per liberazione anticipata avrebbe provveduto a contemplare espressamente l'istituto di cui all'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni accanto alla dizione "misure alternative alla detenzione", la quale, come gia' detto, non puo' ritenersi, sic et simpliciter, comprensiva anche della liberazione anticipata. Quanto precede viene ulteriormente corroborato da una considerazione di ordine sistematico, tale da assumere rilevanza assorbente rispetto a qualsiasi altro apprezzamento: in particolare, il quarto comma dell'art. 58-quater o.p., sopra richiamato, nella versione introdotta dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, testualmente recita: "I condannati per i delitti di cui agli artt. 289- bis e 630 del c.p. che abbiano cagionato la morte del sequestrato non sono ammessi ad alcuno dei benefici indicati nel primo comma dell'art. 4- bis se non abbiano effettivamente espiato almeno due terzi della pena irrogata o, nel caso dell'ergastolo, almeno ventisei anni". Orbene, laddove il testo del prefato quarto comma dell'art. 58-quater, nella versione previgente, estendeva il divieto di fruizione, per i condannati in relazione ai particolari titoli delittuosi sopra richiamati, in maniera onnicomprensiva (" ..I condannati per i delitti ( ..) non sono ammessi ad alcuno dei benefici previsti dalla legge 26 luglio 1975, n. 354, come modificata dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 .."), la dizione normativa novellata si limita a richiamare i benefici di cui al precedente art. 4- bis o.p., con cio' introducendo elementi di maggiore armonia sistematica ed eliminando, al contempo, pericoli di distorsioni ap- plicative e di snaturamenti giuridici. Si ponga, infatti, mente alla considerazione che il richiamo operato nell'ambito del d.-l. 13 marzo 1991, n. 76 ( " ..non sono ammessi ad alcuno dei benefici ..") determinava l'esclusione dalla fruizione della riduzione di pena per liberazione anticipata, senza dubbio alcuno sussumibile nella formulazione all'epoca adoperata dal legislatore, dei condannati per le particolari fattispecie delittuose considerate dal quarto comma dell'art. 58-quater o.p. sino all'espiazione effettiva dei due terzi della pena inflitta ovvero, trattandosi di ergastolani, di ventisei anni di pena detentiva. Tali tetti di ammissibilita' erano, singolarmente, concidenti con quello stabilito dal secondo comma dell'art. 2 del d.-l. n. 76/1991 in materia di concedibilita' della liberazione condizionale ai condannati per i delitti di cui al primo comma dell'art. 4- bis o.p.: orbene, il limite dei due terzi della pena detentiva temporanea, statuito, in materia di ammissione alla liberazione condizionale, dalla prefata normativa in relazione ai condannati per le particolari fattispecie contemplate dall'art. 4- bis primo comma, o.p. risultava, senza alcun dubbio, applicabile anche ai soggetti condannati per i reati di cui al quarto comma dell'art. 58-quater o.p., costituendo questi un cerchio concentrico di minori dimensioni rispetto ai primi. Si consideri, pertanto, l'elemento di confusione sistematica (davvero di non poco momento) derivante dalla surrichiamata disciplina: la riduzione di pena per liberazione anticipata, infatti, veniva trasformata, per effetto della normativa prefata, in istituto il cui momento di fruibilita' veniva, per i condannati in ordine alla fattispecie criminose espressamente previste dal quarto comma dell'art. 58-quater o.p., astrattamente a coincidere con quello di ammissibilita' di un'eventuale istanza di liberazione condizionale, con conseguente annullamento della necessaria progressione tratttamentale: si sarebbe, in teoria, potuta verificare l'eventualita' di ammissione di un condannato, in espiazione di pene detentive inflitte in relazione a fattispecie di rilevante disvalore sociale, al "beneficio" maggiore, senza la preventiva, propedeutica fruizione dei passaggi trattamentali intermedi, di portata ed efficacia necessariamente minore (permessi premiali, ammissione al lavoro extramurario, ma anche, necessariamente, riduzione di pena per liberazione anticipata). La distonia di tali conseguenze con un'interpretazione ed un'applicazione corrette del sistema della riforma penitenziaria, nella parte inerente i principi del trattamento rieducativo, appare in tutta evidenza, siccome anche la paradossalita' delle stesse: l'istituto della liberazione anticipata sarebbe venuto, per tal via, ad essere appiattito, quanto meno in relazione ad una determinata fascia di condannati, su quello della liberazione condizionale, contrariamente a quanto sostenuto dalla stessa giurisprudenza di leggittimita' (v. cassazione, sezione prima, 7 luglio 1989, presidente Molinari, relatore Lapenna, cond. De Risi, in cassazione pen. 1990, pag. 1991, m. 1618; in senso sostanzialmente conforme, v. cassazione, sezione prima, 2 ottobre 1989, presidente Carnevale, relatore Del Vecchio, cond. De Gregori, in cassazione pen. 1990, pag. 2196, m. 1769). Oltretutto, l'impossibilita' di concedere riduzioni di pena per liberazione anticipata se non dopo l'espiazione effettiva di due terzi della pena detentiva temporanea ovvero di ventisei anni, per gli ergastolani, colliderebbe con i canoni pedagogici che hanno recentemente imposto, quale corretta metodica trattamentale, la frazionabilita' dei periodi detentivi valutandi ai fini de quibus: la fruibilita' di riduzioni di pena se non dopo l'espiazione effettiva di due terzi della pena detentiva temporanea inflitta ovvero di ventisei anni, in caso di irrogazione dell'ergastolo, allontanando nel tempo la prospettiva di un concreto riconoscimento degli sforzi adattativi del detenuto costituirebbe fonte di reale disincentivazione dello stesso al mantenimento di una condotta sostanzialmente adesiva ai parametri di condivisione delle metodiche e delle finalita' trattamentali, secondo quanto statuito, in epoca recenziore dalla stessa giurisprudenza di legittimita' (v. cassazione, sezione prima, 15 marzo 1989, gia' citata; cassazione, sezione prima, 19 aprile 1989, presidente Carnevale, relatore Pirozzi, cond. Ferro, in cassazione pen. 1990, pag. 1800, m. 1473; cassazione, sezione prima, 29 maggio 1989, Ognibene, in massimo uffiicio 1989, m. 181516; cassazione, sezione prima, 16 maggio 1989, Borsone, ivi 1989, m. 181914; cassazione, sezione prima, 27 dicembre 1989, n. 2914, presidente Aiello, relatore Buogo, cond. Bassi; cassazione, sezione prima, 18 gennaio 1990, n. 3192, presidente Carnevale, relatore Serianni, cond. Ierardi; cassazione, sezione prima, 13 aprile 1990, n. 758, presidente Molinari, relatore Pompa, cond. Carbone). Viceversa, il testo novellato del quarto comma dell'art. 58-quater o.p., operante un mero richiamo ai benefici menzionati nel primo comma dell'art. 4- bis o.p., anch'esso novellato, elimina le predette conseguenze, esclusivamente laddove il prefato primo comma dell'art. 4- bis o.p. venga interpretato nel senso di escludere dalla sua sfera di operativita' l'istituto di cui all'art. 54 o.p., siccome sostenuto da questo collegio. L'orientamento esegetico propugnato, infatti, ove intende il richiamo operato dal primo comma dell'art. 4- bis o.p. effettuato alle misure alternative alla detenzione stricto sensu, con conseguente eccezione della riduzione di pena per liberazione anticipata, consente di evitare la produzione di effetti confliggenti con i principi del trattamento rieducativo e della sua progressione, siccome poc'anzi delineati, i quali, peraltro, sarebbero destinati a riprodursi alla stregua di un'esegesi che avesse il fine ultimo ed il risultato di includere anche la riduzione di pena per liberazione anticipata tra le "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI", menzionate dal primo comma dell'art. 4- bis o.p.. La tesi interpretativa che si osteggia, oltre tutto, produrrebbe l'ulteriore conseguenza di precludere in maniera assai drastica, per un rilevantissimo periodo di tempo dell'esecuzione (due terzi della pena detentiva temporanea ovvero ventisei anni per gli ergastolani) la fruizione dei piu' qualificanti strumenti trattamentali (tra cui anche, e soprattutto, la riduzione di pena per liberazione anticipata) ad una fascia di condannati, che si vedrebbero ulteriormente scriminati rispetto agli altri: tale effetto appare in contrasto tanto con il parametro fornito dal terzo comma dell'art. 27 della Castituzione, inerente la tensione della pena verso il fine della rieducazione del condannato, che, per tale via, verrebbe compresso in maniera tale da restare quasi completamente conculcato, quanto con il paremetro di cui al secondo comma dell'art. 3 della Costituzione, poiche' la disparita' di trattamento tra condannati sembra di tale portata da non poter essere giustificata, se non con estrema difficolta', alla stregua del disvalore sociale della fattispecie criminose sanzionate. Il fondamentale criterio esegetico che impone all'interprete del diritto di salvaguardare, tra diversi possibili orientamenti ricostruttivi della voluntas legis, quello maggiormente consentaneo ai valori costituzionalmente tutelati impone, pertanto, di mantenere ferma, anche nella vigenza della legge 12 luglio 1991, n. 203, la tesi gia' precedentemente adottata da questo collegio, siccome sopra esposta, secondo cui la riduzione di pena per liberazione anticipata non deve essere annoverata tra le "misure alternative alla detenzione previste dal capo VI" della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, menzionate dal primo comma dell'art. 4- bis o.p., interpolato dal primo comma dell'art. 1 della legge n. 203/1991, si che, onde far luogo alla concessione della stessa, non appare necessario adire il competente comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, al fine di acquisirne elementi di giudizio inerenti l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata od eversiva". Sin qui questo tribunale di sorveglianza in precedenti pronunzie sull'argomento. La Corte di cassazione, mediante la sentenza n. 2891 resa in data 26 giugno-25 luglio 1991, sembra, viceversa, aver accolto la tesi contraria a quella sopra esposta, enunciata dalla procura generale della Repubblica presso la stessa Corte di cassazione, secondo cui la formula testuale dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni opera un diretto ed inequivoco riferimento a tutti i "benefici" contemplati nel capo VI del titolo primo della legge suddetta, ivi inclusa la riduzione di pena per liberazione anticipata: quest'ultimo istituto, ai fini che ne occupano, deve senz'altro essere incluso tra quelli menzionati dal primo comma dell'art. 4- bis o.p. in forza del canone ermeneutico ricavabile dal primo comma dell'art. 12 delle disposizioni prel. del c.c., secondo cui nell'interpretazione della legge l'operatore del diritto non puo' alla stessa attribuire altro significato che quello fatto palese dalla lettera della medesima; in assenza di ambivalenze del testo normativo, dunque, come si verificherebbe secondo la procura generale della Repubblica presso la Corte di cassazione (e, quindi, secondo la stessa Corte suprema) nella fattispecie in disamina, non avrebbe ragion d'essere il ricorso a parametri ermeneutici quali il canone sistematico e quello inteso al vaglio della natura guiridica degli istituti disciplinati. Cio' stante, anche in relazione alle istanze intese all'ottenimento di riduzioni di pena per liberazione anticipata, presentate dai condannati per le fattispecie delittuose individuate dal primo comma dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, sussiste l'obbligo per la magistratura di sorveglianza di procedere all'acquisizione di informazioni sulla sussistenza di collegamenti attuali del richiedente con la criminalita' organizzata od eversiva, fornite per il tramite dei competenti comitati provinciali per l'ordine e la sicurezza pubblica, ed alla conseguente valutazione delle stesse in ambito di definizione delle istanze predette. Orbene, i profili di illegittimita' costituzionale della normativa in disamina sono rilevabili proprio in relazione ai canoni di valutazione delle suddette informazioni che il legislatore ha prospettato nell'ambito della disciplina di cui al prefato art. 4- bis o.p.. Si rammenti, infatti, che la norma richiamata individua due diverse categorie di detenuti: la prima e' costituita dai condannati per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, per delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416- bis del c.p. ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di cui agli artt. 416- bis e 630 del c.p. e all'art. 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, la seconda dai condannati per i delitti di cui agli artt. 575, 628, terzo comma, 629, secondo comma, del codice penale e all'art. 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell'art. 80, secondo comma, del predetto testo unico, approvato con decreto del Presidente della Repubblica, n. 309 del 1990. Nei confronti dei condannati rientranti nel novero della prima delle suindicate categorie il legislatore statuisce che le particolari misure trattamentali individuate dallo stesso prima comma dell'art. 4- bis o.p. sono concedibili " ...solo se sono stati acquisiti elementi tali da escludere l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva". Viceversa, gli stessi "benefici" possono essere concessi ai condannati di cui alla seconda delle suenunziate categorie: " ..solo se non vi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con la criminalita' organizzata o eversiva". Orbene, dall'esposizione della materia e' dato arguire che in capo ai condannati della prima categoria, siccome sopra individuata, il legislatore ha posto una vera e propria presunzione di pericolosita' sociale qualificata (rectius, di attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata od eversiva), la quale puo' essere superata, ai fini dell'ammissione alla fruizione dei particolari strumenti trattamentali indicati dal primo comma dell'art. 4- bis o.p., soltanto mediante il reperimento di concreti elementi di giudizio che consentano di comprovare in termini positivi l'assenza dei prefati collegamenti. Diversa appare la situazione dei condannati rientranti nella seconda delle surrichiamate categorie, nei cui confronti il legislatore, al di la' della statuizione di qualsivoglia presunzione, sembra aver semplicemente indicato un ulteriore thema probandi alla magistratura di sorveglianza: quest'ultima, infatti, nel vagliare la partecipazione all'opera di rieducazione, i progressi intervenuti nel corso della stessa, la regolare condotta intramuraria del condannato dovra' attendere ad una valutazione intesa a verificare l'assenza di strumentalita' dei suddetti requisiti, siccome desumibile dalla presenza di dissimulati collegamenti con la criminalita' organizzata od eversiva. La disciplina prospettata dal legislatore opera un rilevante discrimine tra le due categorie sopra enunziate: la semplice mancanza di elementi di riscontro circa l'ipotesi di presenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, infatti, potrebbe in teoria, in presenza, id est, degli altri presupposti e requisiti individuati dalla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, essere sufficiente all'accoglimento delle istanze presentate dai condannati di cui alla seconda delle suddete categorie, mentre altrettanto non puo' dirsi per i condannati di cui alla prima categoria, nei cui confronti, si rammenti, sussiste l'obbligo di acquisizione di positivi elementi atti a comprovare l'assenza dei collegamenti sopra richiamati. La particolare difficolta' di acquisizione dei prefati elementi di riscontro (prova positiva dell'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata), di cui si e' fatto cenno in altra parte del presente provvedimento, tale da configurare una vera e propria probatio diabolica, produce un effetto, a giudizio di questo collegio, di depotenziamento della sfera di operativita' delle operativita' delle oppurtunita' risocializzatrici offerte a tutti i condannati dalla legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, tale da indurre all'apprezzamento di un profilo di contrasto della normativa in disamina con il precetto posto dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, secondo cui la pena deve tendere al reinserimento sociale del reo. Si ponga, infatti, mente alla considerazione che il primo comma dell'art. 4- bis o.p. preclude, nell'eventualita' di mancanza di elementi di riscontro atti a provare in termini positivi l'assenza di collegamenti con la criminalita' organizzata, l'accesso a tutti i piu' pregnanti strumenti di trattamento penitenziario, i quali implichino contatti con l'ambito extrapenitenziario ovvero diminuzioni del quantum di pena da espiare (permessi premiali, lavoro all'esterno, misure alternative alla detenzione, liberazione condizionale - art. 2 del d.-l. n. 152/1991), limitando, nei confronti dei soggetti individuati dalla prima parte del primo comma del prefato art. 4- bis o.p., il trattamento rieducativo alla sola offerta degli strumenti e delle opportunita' intramurarie, la cui reale efficacia a fini rieducativi (o, quanto meno, desocializzanti) ha destato perplessita' nella dottrina penalistica e criminologica sin dai tempi risalenti (quanto meno dall'epoca di insorgenza del problema dell'individuazione di sanzioni alternative alla pena detentiva tradizionale). L'esperienza quotidiana dei tribuanli di sorveglianza insegna che nella stragrande maggioranza dei casi la richiesta di informazioni circa l'attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata sortisce l'acquisizione di risposte attestanti l'impossibilita' di reperimento di elementi atti a consustanziare l'ipotesi di tali collegamenti (del tipo: "allo stato attuale non si hanno elementi per escludere che il condannato sia collegato con la criminalita' organizzata") ovvero, nella migliore delle ipotesi, asserenti in maniera apodittica, id est priva dell'indicazione di concreti riscontri, il collegamento con ben determinate organizzazioni criminali: ai fini che ne occupano, per vero, informative del primo tipo risultano sufficienti ad indurre ad un rigetto delle istanze di accesso agli strumenti trattamentali sopra richiamati, proposte dai condannati individuati dalla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p. Appare in tutta evidenza l'effetto di disincentivazione alla cooperazione al semplice trattamento intramurario, la cui efficacia risocializzatrice viene, per tal via, ad essere compromessa in maniera pressoche' totale: si ponga ancora mente alla natura di stimolo incentivante alla condivisione di metodiche e tematiche trattamentali proprie dell'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata gia' menzionata in altra parte del presente provvedimento. Alle osservazioni che precedono potra' obiettarsi che il legislatore, nell'ambito della propria discrezionalita', e' libero di introdurre normative che abbiano lo scopo di rinsaldare la natura general preventiva della sanzione penale e la funzione di difesa sociale della pena detentiva: cio' appare di indubbia incontrovertibilita', ma si rivela, altresi', necessario spingere il vaglio della normativa ordinaria sino al punto di constatare l'eventualita' di obliterazione, da parte della stessa, della funzione rieducativa della pena, che' il completo sacrificio della stessa, a vantaggio delle altre funzioni sopra ricordate, appare in conflitto con il disposto dell'art. 27 terzo comma della Costituzione. Vero e' che, secondo le statuizioni della consulta, la pena detentiva appare rivestire una natura polifunzionale (v. Corte costituzionale 2-4 aprile 1985, n. 102, presidente Elia, relatore Saja, Marzucchi, Roberti, Cristelli, in cassazione pen. 1985, pag. 1322 e segg.; Corte costituzionale 8-25 maggio 1985, n. 169, presidente Rohersen, relatore Paladin, Branchesi, in cassazione pen. 1985, pag. 1779 e seguenti), ma la corrente esegetica che, in ossequio alla finalita' plurisatisfattiva della sanzione penale, interpreta il precetto costituzionale in maniera tale da limitarne l'ambito di operativita' alla sola sfera del trattamento penitenziario appare smentito da recente pronunzia della Corte costituzionale (Corte costituzionale, sentenza 26 giugno - 2 luglio 1990, n. 313, presidente Saja, relatore Gallo, Milano, Voraldo, Quartarone, in Gazzetta Ufficiale, prima serie speciale, 4 luglio 1990, n. 27, pag. 9 e seg.), secondo cui: " ..incidendo la pena sui diritti di chi vi e' sottoposto, non puo' negarsi che, indipendentemente da una considerazione retributiva, essa abbia necessariamente anche caratteri in qualche misura afflittivi. Cosi' come e' vero che alla sua natura ineriscano caratteri di difesa sociale, e anche di prevenzione generale per quella certa intimidazione che esercita sul calcolo utilitaristico di colui che delinque. Ma, per una parte (afflittivita', retributivita'), si tratta di profili che riflettono quelle condizioni minime, senza le quali la pena cesserebbe di essere tale. Per altra parte, poi (reintegrazione, intimidazione, difesa sociale), si tratta bensi' di valori che hanno un fondamento costituzionale, ma non tale da autorizzare il pregiudizio della finalita' rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell'istituto della pena. Se la finalizzazione venisse orientata verso quei diversi caratteri, anziche' al principio rieducativo, si correrebbe il rischio di strumentalizzare l'individuo per fini generali di politica criminale (prevenzione generale) o di privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilita' e sicurezza (difesa sociale), sacrificando il singolo attraverso l'esemplarita' della sanzione. E' per questo che, in uno Stato evoluto, la finalita' rieducativa non puo' essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stesse della pena". L'esperienza successiva ha, infatti, dimostrato che la necessita' costituzionale che la pena debba "tendere" a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualita' essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l'accompagnano da quando nasce, nell'astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue. Cio' che il verbo "tendere" vuole significare e' soltanto la presa d'atto della divaricazione che nella prassi puo' verificarsi tra quella finalita' e l'adesione di fatto del destinatario al processo di rieducazione; com'e' dimostrato dall'istituto che fa corrispondere benefici di decurtazione della pena ogni qualvolta, e nei limiti temporali, in cui quell'adesione concretamente si manifesti (liberazione anticipata). Se la finalita' rieducativa venisse limitata alla sola fase esecutiva, rischierebbe grave compromissione ogni qualvolta specie e durata della sanzione non fossero state calibrate (ne' in sede normativa ne' in quella applicativa) alle necessita' rieducative del soggetto". La lunga citazione e' apparsa necessaria non quale sfoggio di pedanteria, bensi' onde operare un richamo alla forte ed autorevolissima sottolineatura della funzione della sanzione penale, vieppiu' necessaria in un'epoca, come quella presente, caratterizzata da appannamento e da confusione circa la riflessione sugli scopi della pena detentiva e da prese di posizione dettate non da rigore scientifico, ma, apparentemente, dalla necessita' di operare scelte di politica criminale dettate dall'esigenza del momento. Orbene, quanto statuito dalla consulta appare sufficiente a far dubitare della legittimita' della disciplina di cui alla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p. per contrasto con il precetto del terzo comma dell'art. 27 della Costituzione: la subordinazione della concessione di un istituto quale la riduzione di pena per liberazione anticipata all'acquisizione di prove positive dell'assenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, la creazione in capo ai soggetti indicati dalla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p. di una presunzione di attualita' dei prefati collegamenti si risolve in una presunzione di impraticabilita', nei confronti dei predetti soggetti, di uno tra i piu' pregnanti tra gli strumenti del trattamento penitenziario, la cui concessione, peraltro, non appare piu', alla stregua della novella di cui all'art. 18 della legge 10 ottobre 1986, n. 663, dicrezionale, sibbene doverosa (fatta sempre salva la necessita' di accertare giudizialmente la sussistenza dei presupposti di legge) (v. Corte costituzionale, 23-31 maggio 1990, n. 276, presidente Saja, relatore Gallo, Calore ed altro, in cassazione pen. 1991, m. 2, pag. 4 e seguenti). Siffattamente operando si perviene ad una svalutazione della finalita' rieducativa della pena proprio nel momento rispetto al quale la stessa appare, anche secondo i sostenitori della teoria che si potrebbe definire "minimalista", maggiormente connaturata, id est quello dell'esecuzione e del trattamento penitenziario. Non si nasconde questo collegio la trista realta' della sussistenza di condannati che, strumentalmente agendo al fine di conseguire alleggerimenti della posizione espiatoria, simulano una condotta osservante dei canoni di partecipazione all'attivita' trattamentale, dissimulando, viceversa, connessioni con pericolose organizzazioni criminali: allo scopo, peraltro, di evitare che siffatti soggetti beneficino dell'ammissione agli strumenti trattamentali ed alle misure alternative appare adeguata una disciplina tal quale quella predisposta dal legislatore del 1991 nei confronti della seconda delle due categorie di detenuti sopra richiamate ed individuata dalla seconda parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p., della cui legittimita' costituzionale non si dubita: sembra cioe', sufficiente indicare un particolare iter istruttorio alla magistratura di sorveglianza, svincolando il giudizio della stessa da rigidi automatismi e permettendo la ricerca e la valutazione di concreti elementi di riscontro atti a comprovare in positivo la presenza di legami con la criminalita' organizzata od eversiva. Viceversa, la statuizione di una presunzione qualificata di attualita' dei predetti collegamenti, superabile soltanto mediante la acquisizione, peraltro di quasi impossibile verificazione pratica, siccome sopra ricordato, di positivi elementi dell'assenza dei gia' piu' volte menzionati collegamenti con la criminalita' organizzata appare escogitazione legislativa tale da svilire il trattamento penitenziario dei soggetti sopra individuati sino al punto di obliterare la funzione rieducativa dello stesso, la cui massima esplicazione, secondo quanto asserito dalla stessa consulta (v. Corte costituzionale, sentenza 26 giugno - 2 luglio 1990, n. 313, gia' citata), si manifesta nell'istituto disciplinato dall'art. 54 della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni. Appare opportuno ricordare, a tal proposito, che, nella vigenza dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, in epoca, cioe', antecedente alle modifiche apportate dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663, la sussistenza di preclusioni alla fruibilita' di misure alternative quali l'affidamento in prova al sevizio sociale e la semiliberta' (derivanti dalla presenza di dichiarazioni di recidiva ovvero dalla commissione di particolari delitti) venne giudicata non completamente confliggente con il precetto di cui al terzo comma dell'art. 27 della Costituzione proprio in virtu' della possibilita' di adizione di altri strumenti del trattamento penitenziario: si rammenti che la possibilita' di ammissione alla prestazione di mansioni lavorative all'esterno dell'istituto di pena non ha mai preveduto, sino al luglio 1991, la sussistenza di titoli di reato ostativi alla stessa e che la previsione normativa che stabiliva che il detenuto condannato per determinate fattispecie delittuose non potesse adire l'istituto della riduzione di pena per liberazione anticipata venne abrogata mediante la legge 12 gennaio 1977, n. 1, la quale, peraltro, introdusse rilevanti restrizioni ad altri istituti dell'originaria legge di riforma dell'ordinamento penitenziario, essendo stata promulgata in un momento storico caratterizzato da particolare sfavore nei confronti degli istituti del trattamento rieducativo. Orbene, la prima parte del primo comma dell'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni, mediante la prefigurazione in capo ai soggetti in essa individuati (condannati per delitti commessi per finalita' di terrorismo o di eversione dell'ordinamento costituzionale, per i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 416- bis del c.p. ovvero al fine di agevolare l'attivita' delle associazioni previste dallo stesso articolo, nonche' per i delitti di cui agli artt. 416- bis e 630 del c.p. e all'art. 74 del testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e delle sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309) di una presunzione qualificata di attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata, superabile soltanto attraverso la prova positiva di assenza dei collegamenti stessi, peraltro di assai difficile (ove non impossibilie) acquisizione, pone un ostacolo alla fruizione di uno tra i piu' pregnanti strumenti del trattamento penitenziario, quale la riduzione di pena per liberazione anticipata, si' da svilire la finalita' rieducativa della sanzione penale, sin quasi ad una totale obliterazione, in un momento particolarmente connesso alla finalita' stessa, come quello dell'esecuzione e del trattamento: da cio' desumesi un vulnus del precetto statuito dal terzo comma dell'art. 27 della Costituzione, tale da indurre questo collegio ad apprezzare la necessita' di procedere ad una rimessione degli atti alla Corte costituzionale. Ancora, aggiungasi che la disciplina predisposta dall'art. 4- bis della legge 26 luglio 1975, n. 354 e successive modificazioni appare confliggere anche con il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione: invero, non si rinviene alcuna ragionevole giustificazione della disparita' trattamentale riservata ai soggetti indicati dalla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p. rispetto a quelli individuati dalla seconda parte del medesimo comma, i quali potrebbero risultare penalmente responsabili di delitti di non minore efferatezza e disvalore sociale (si pensi alla situazione dell'autore di un omicidio premeditato, magari plurimo, in comparazione a quella del correo di sequestro di persona a scopo di estorsione, che abbia svolto, nell'ambito dell'organizzazione criminosa, mansioni di secondaria importanza) e, comunque, fruire di un trattamento piu' favorevole, poiche' nei loro confronti si rende, allo stato, necessaria l'acquisizione della prova della presenza di collegamenti attuali con la criminalita' organizzata, tramite il reperimento di elementi di riscontro dettagliati (v. art. 4- bis, secondo comma, o.p.), si' che la mera assenza degli stessi non varrebbe, come per i soggetti di cui alla prima parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p., a consustanziare una pronunzia di reiezione delle istanze intese all'ottenimento dei "benefici" della legge di riforma dell'ordinamento penitenziario. Cio' detto in relazione alla non manifesta infondatezza della questione di legittimita' costituzionale, occorre sottolineare gli elementi sottesi al giudizio di rilevanza della stessa nella procedura presente: basti, a tale scopo, riflettere che le informazioni acquisite per il tramite del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica di Reggio Calabria (v. nota n. 235/1991/ gab. redatta in data 14 febbraio 1991 dalla prefettura di Reggio Calabria, in atti) asseriscono, in maniera, invero, apodittica la presenza di collegamenti del Giampaolo con la cosca capeggiata dalla famiglia dei Nirta, operante in San Luca, senza peraltro fornire elementi di riscontro a fondamento dell'affermazione. Stante la presunzione di attualita' di collegamenti con la criminalita' organizzata gravante in capo ai soggetti sopra individuati (quindi anche in capo al Giampaolo Giovanni, condannato, si rammenti, per concorso in sequestro di persona a scopo di estorsione) l'informativa predetta appare sufficiente allo scopo di consustanziare una pronunzia di reiezione dell'istanza intesa all'ottenimento di una riduzione di pena per liberazione anticipata, senza, invero, rendere necessari ulteriori, piu' approfonditi accertamenti circa l'effettiva sussistenza dei denunziati collegamenti (la quale, va da se', escluderebbe l'apprezzamento di un'adesione alle tematiche trattamentali), siccome sarebbe, viceversa, opportuno laddove la disciplina legislativa fosse analoga a quella prevista per i soggetti individuati nella seconda parte del primo comma dell'art. 4- bis o.p..