IL GIUDICE PER LE INDAGINI PRELIMINARI Letti gli atti del procedimento penale nei confronti dei signori Franco e Matteo Bettoni, iscritto nel registro delle notizie di reato in data 31 dicembre 1990; Rilevato che in data 20 giugno 1991 il p.m. ha richiesto l'archiviazione; Rilevato che con provvedimento in data 8 luglio 1991 questo magistrato ha restituito gli atti al p.m., disponendo l'espletamento di ulteriori indagini, espressamente specificate, e fissando per esso il termine di due mesi; Rilevato che il p.m. ha ora chiesto di chiarire se, attesa l'avvenuta scadenza dei termini per l'espletamento delle indagini, in epoca successiva alla richiesta di archiviazione ma precedente l'adozione del provvedimento di questo ufficio, il nuovo termine fissato comporti implicita proroga della scadenza dei termini, ex art. 406 del c.p.p.; O S S E R V A La richiesta del p.m. e' opportuna, perche' tale parte deve assicurarsi di procedere acquisendo elementi di prova poi legittimamente utilizzabili, e peraltro evidenzia una delle "assenze di disciplina" che purtroppo si vanno rilevando nella normativa afferente la conclusione della fase delle indagini preliminari. Il problema che deve essere affrontato e' quello del rapporto tra la soggezione delle indagini preliminari svolte dal pubblico ministero ad un termine (iniziale, intermedio e finale) ed a tassative modalita' procedurali per le sue eventuali proroghe, da un lato, e, dall'altro, il potere riconosciuto al giudice per le indagini preliminari di indicare con ordinanza al p.m. ulteriori indagini, ritenute necessarie, fissando il termine indispensabile per il loro compimento (potere che per il rito di tribunale e' attribuito dall'art. 409.4 del c.p.p. e per il rito pretorile e' riconosciuto dalla sentenza della Corte costituzionale n. 445 del 26 settembre-12 ottobre 1990). In altri termini ci si chiede se vi sia o meno relazione, ed eventualmente quale, tra il termine delle indagini per il p.m. ex artt. 405 e 406 del c.p.p. ed il termine fissato dal g.i.p. nell'esercizio del suo potere integrativo. La problematica e' particolarmente delicata perche' le implicazioni, che ciascuna delle soluzioni alternativamente prospettabili comporta, sono cosi' numerose da determinare continue scelte sistematiche, proprie invero del legislatore piu' che dell'inteprete. La prima soluzione possibile, quella di ritenere il giudice per indagini preliminari del tutto svincolato dai termini ordinari per le indagini (soluzione che pare indicata nell'ordinanza di rimessione degli atti alla Corte costituzionale del giudice per le indagini preliminari presso la pretura di Avellino, in data 22 aprile 1991, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 40, prima serie speciale, del 9 ottobre 1991, pag. 31) ha un grave inconveniente sistematico. Infatti, poiche' tra l'altro deve ritenersi fisiologicamente possibile che, in esito alle ulteriori indagini disposte dal g.i.p., si manifesti la necessita' di andare oltre quel termine (sia su istanza del p.m., sia a seguito di nuovo provvedimento di reiezione della rinnovata richiesta di archiviazione), tale soluzione comporterebbe che unico limite invalicabile per il termine fissato dal g.i.p. (inizialmente o con eventuali provvedimenti successivi) sia quello prescrizionale del reato in ordine al quale si procede. La seconda soluzione ipotizzabile, quella di ritenere anche il giudice vincolato ai termini ordinari per le indagini ( ex artt. 405 e 406 del c.p.p.), presenta altri, non meno gravi, inconvenienti. In primo luogo dovrebbero essere superate una serie di questioni interpretative, oltretutto non necessariamente correlate tra loro, che presuppongono una continua "creazione sistematica" che, come accennato, sembra propria non dell'interprete ma del legislatore. Si pensi, ad esempio, alle questioni: 1) della permanenza del potere integrativo del giudice anche quando il provvedimento debba essere preso dopo la scadenza naturale del primo termine (sia perche' lo stesso p.m. ha presentato la richiesta dopo tale scadenza, sia perche' - pur in presenza di tempestiva richiesta del p.m. - di fatto al momento in cui il fascicolo e' all'esame del giudice quel termine e' decorso, come nella fattispecie che ci occupa); 2) dell'eventuale efficacia retroattiva della decorrenza del termine fissato dal g.i.p. (si' da non avere soluzioni di continuita' nel decorso complessivo); 3) della applicabilita' o meno, in quanto compatibile, della normativa sulla proroga richiesta dal p.m.; in particolare la questione dell'avviso al sottoposto alle indagini. Il problema, che a giudizio di questo magistrato comunque non sorge nel rito di tribunale, giacche' l'interessato che riceva l'avviso della fissazione dell'udienza ex art. 409.2 del c.p.p., e' posto nelle condioni di prevedere la possibilita' di una "proroga implicita" o "d'ufficio" e di interloquire in merito, e' invece presente nel rito di pretura, dove non vi e' una udienza con la possibile partecipazione degli interessati. In questo rito occorrerebbe chiedersi se un qualche avviso dell'avvenuta proroga vada dato almeno al sottoposto alle indagini (certo non la notifica del provvedimento del giudice che, se correttamente motivato, dovrebbe contenere le concrete indicazioni istruttorie) e se, addirittura, il giudice non possa adottare la implicita proroga se non previamente manifestando ai soggetti procedimentali (ma, come?) la sue intenzione, per consentire loro di esprimersi sul punto. Per completezza espositiva, va precisato che a giudizio di questo magistrato anche volendo configurare il contenuto dell'ordinanza espressione del potere integrativo del g.i.p. in termini di proroga implicita, nessun avviso dovrebbe essere dato al sottoposto alle indagini, ne' prima ne' dopo l'adozione del provvedimento. Infatti la ratio del previo avviso, stando anche alle relazioni accompagnatorie, non pare essere quella dell'informazione in ordine alla pendenza del procedimento dopo i primi sei mesi, bensi' quella di consentire agli interessati di interloquire in ordine ad una richiesta del p.m. Si puo' quindi sostenere che, in un procedimento ispirato al principio della "massima semplificazione", non solo in assenza di una richiesta del p.m. ma addirittura in presenza di una contraria manifestazione di volonta' della parte pubblica, la valutazione effettuata d'ufficio dal giudice (momento giurisdizionale sottratto alla disponibilita' e alla volonta' delle parti) non richieda quale presupposto legittimante l'interlocuzione degli interessati al procedimento. Ma, in secondo luogo, la seconda soluzione, quella di ritenere anche il giudice vincolato ai termini per le indagini posti negli artt. 405 e 406 del c.p.p., anche se fossero superate le questioni ora accennate, determinerebbe un inconveniente insuperabile (ed una soluzione di interpretazione ricostruttiva, per essere accolta deve essere sistematicamente ineccepibile): nel caso di richiesta di archiviazione alla scadenza della ultima proroga possibile (ai sensi dell'art. 407 del c.p.p.), il giudice per le indagini preliminari rimarrebbe spossessato del potere di reiezione con integrazione probatoria, che invece l'art. 554 del c.p.p. ora gli attribuisce, senza limitazioni. Vi e' una terza soluzione possibile, che appare a questo magistrato sistematicamente corretta e rispondente ai principi ispiratori del nuovo codice. Deve essere premesso che i termini di cui all'art. 407 del c.p.p. non sono termini di una nuova prescrizione generalizzata: ove sia motivatamente necessario proseguire le indagini, anche per lo stesso fatto e nei confronti dei medesimi soggetti, decorsi i termini di cui all'art. 407 del c.p.p. le indagini possono essere riaperte, con una nuova iscrizione, ai sensi dell'art. 414 del c.p.p. Se si condivide questa impostazione (il legislatore ha invero separato la problematica della durata delle indagini, senza alcun limite temporale che quello prescrizionale proprio di ciascun reato, dalla problematica della durata del singolo procedimento, identificato da uno specifico numero), diviene manifestamente contrastante con i principi costituzionali una limitazione non giustificata del potere di controllo e impulso del giudice determinata dal decorso dei termini di cui agli artt. 405 e 407 del c.p.p. Orbene, la soluzione idonea per risolvere il problema di cui si discute e sistematicamente piu' in linea con i principi ispiratori del nuovo codice appare la declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 414 del c.p.p., nella parte in cui non consente al giudice per le indagini preliminari, richiesto di un'archiviazione che non condivida, di ordinare la riapertura delle indagini con una conseguente nuova iscrizione, a norma dell'art. 335, se siano scaduti i termini di cui agli artt. 405 e 407 del c.p.p. Le norme della Costituzione, che possono essere indicate quali parametri per il giudizio di costituzionalita' sembrano essere quelle di cui agli artt. 3 (diversa disciplina del potere d'integrazione ex art. 554, prima e dopo la scadenza dei termini ex artt. 405 e 407 del c.p.p., non rispondente ad una diversita' di problematiche e situazioni giuridiche); 97 e 112 (se e' vero che secondo l'autorevole giurisprudenza della Corte costituzionale il principio dell'obbligatorieta' dell'esercizio dell'azione penale ha riguardo prevalentemente al momento dell'inizio di tale azione, appare evidente che nel caso concreto norme che vogliono garantire il controllo di tale esercizio, anche secondo principi di buon andamento dell'amministrazione della giustizia, quale e' quella ex art. 554 dopo l'intervento della Corte, rimangono vanificate senza che cio' dipenda dal consapevole bilanciamento con altri principi costituzionalmente tutelabili). La rilevanza della questione nel presente procedimento e' evidente. Ove la Corte accogliesse la proposta eccezione, questo giudice, revocando la propria ordinanza in data 8 luglio 1991, potrebbe archiviare il procedimento e contestualmente ordinare al p.m. di aprire altro procedimento per espletare le indagini ulteriori che sono necessarie (sussistendo quindi indubbiamente l'esigenza di "nuove investigazioni"). Debbono essere adottati i provvedimenti conseguenziali ordinatori, di cui al dispositivo.