IL TRIBUNALE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta a
 ruolo  il  26  giugno  1990  al  n.  10394  del  ruolo  affari civili
 contenziosi dell'anno 1990 al n. 1014 del ruolo della sezione, al  n.
 35 del ruolo del giudice istruttore, promossa da Frescobaldi Vittorio
 nella sua qualita' di proprietario della Azienda Agricola "Camperiti"
 (avv.  Francesco  Ghelli),  attore,  contro  il  Servizio  contributi
 agricoli  unificato  -   S.C.A.U.   in   persona   del   suo   legale
 rappresentante (avv. M. Bianco), convenuto.
    Con  citazione  notificata  il  25  giugno  1990  il sig. Vittorio
 Frescobaldi, nella sua qualita' di proprietario dell'azienda agricola
 denominata "Camperiti", conveniva avanti il tribunale di Firenze,  il
 Servizio  contributi agricoli unificati - S.C.A.U. in persona del suo
 legale rappresentante pro-tempore, con  sede  in  Roma,  per  sentire
 accogliere le seguenti conclusioni: "piaccia al tribunale di Firenze,
 preso  atto  della  sentenza  della Corte costituzionale n. 370/1985,
 dichiararsi che la stessa trova applicazione a tutti gli effetti  con
 riferimento  anche  alle  zone  svantaggiate di cui all'art. 15 della
 legge n. 984/1977 e conseguentemente anche ai terreni costituenti  la
 azienda  agricola  della parte istante, ubicati in zona svantaggiata,
 cosi'  come  deliberato  dal C.I.P.A.A.; dichiararsi l'applicabilita'
 degli effetti della sentenza della Corte costituzionale  n.  370/1985
 alla  zona  svantaggiata  e quindi a favore dei terreni della azienda
 agricola di cui  e'  titolare  la  parte  istante,  anche  in  virtu'
 dell'art. 13 della legge n. 537/1981. In subordine l'attore sollevava
 questione  di  illegittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge
 n.  537/1981,  per  violazione  degli  artt.  3  e  11  della   Carta
 costituzionale.
    L'attore  esponeva  di  essere  titolare  di  un'azienda  agricola
 costituita da terreni siti  in  comune  di  Pelago,  dichiarata  zona
 svantaggiata  ai  sensi  dell'art.  15  della  legge  n. 984/1977 del
 C.I.P.A.A., ma compresa nella comunita' montana del Mugello,  e  dopo
 aver  svolto  una  lunga  disquisizione  in ordine al contenuto della
 sentenza della Corte costituzionale  n.  370/1985,  che  prevedeva  i
 benefici  completi  per le zone dichiarate montane, e nulla prevedeva
 per le zone svantaggiate in agricoltura,  chiedeva  una  sentenza  di
 accertamento   in   relazione,  appunto,  alla  applicabilita'  della
 sentenza n. 370/1985 della  Corte  costituzionale,  anche  alle  zone
 svantaggiate,  e, ove non si ritenesse possibile, sollevava questione
 di costituzionalita'.
    Alla udienza, stabilita avanti il Giudice istruttore designato, si
 costituiva il  contraddittorio  e  mentre  l'attore  insisteva  nella
 domanda,  il  Servizio  contributi agricoli unificati, costituendosi,
 sollevava una serie di eccezioni e precisamente:
      1) la sussistenza della litis pendenza, in quanto  sussisterebbe
 causa identica davanti al giudice del lavoro di Firenze;
      2)   la   competenza   territoriale  e  funzionale  del  giudice
 ordinario, perche' sarebbe competente nel primo caso il tribunale  di
 Roma e nel secondo il giudice del lavoro di Firenze;
      3)  nel  merito,  la  infondatezza  della domanda, nonche' della
 ipotetica questione di legittimita' costituzionale.
    Dopo alcuni rinvii, le parti precisavano le conclusioni  e  queste
 precisate la causa passava in decisione.
    Il  collegio  rileva  che  in  relazione alle eccezioni sollevate,
 sembra doversi pregiudizialmente trattare la  questione  della  litis
 pendenza,  rispetto  alle  altre  per il suo carattere pubblicistico,
 conseguente al principio del ne bis in idem (Cassazione 3 marzo 1976,
 n. 417).
    L'eccezione di litis pendenza sollevata dallo S.C.A.U. non  appare
 fondata  e  va  rigettata. Oppone lo S.C.A.U. che la presente domanda
 radicata avanti il tribunale di Firenze, sarebbe, non solo sul  piano
 soggettivo,  ma anche sotto il profilo oggettivo eguale a quella gia'
 promossa avanti il pretore di Firenze in veste di giudice del  lavoro
 ed  attualmente  pendente  avanti la suprema Corte di cassazione, per
 non avere le parti prestato acquiescenza alle  decisioni  intervenute
 in quel giudizio.
    Secondo  la prevalente giurisprudenza la litis pendenza presuppone
 l'oggettiva identita' tra due cause contemporaneamente  pendenti,  la
 quale si determina in base al petitum e alla causa petendi e non gia'
 in  base  alle  questioni  di  fatto  o di diritto che debbono essere
 risolte dal giudice per pervenire alla decisione  della  controversia
 (Cass. 1› marzo 1976, n. 664).
    L'istituto  della  litis  pendenza tende ad impedire il simultaneo
 esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da
 parte di piu' giudici; cio' comporta che, ai fini  della  regiudicata
 gli  elementi  del  rapporto  processuale - personale, petitum, causa
 petendi - debbono essere identici in entrambi i giudizi.
    Orbene raffrontando il petitum della presente  domanda  giudiziale
 con  quella  che  ha  attivato  il  procedimento avanti la pretura di
 Firenze,  emerge  una  profonda  diversita'.  Infatti  nel   giudizio
 radicato  avanti la pretura di Firenze ed attualmente pendente avanti
 la suprema Corte di cassazione, si chiede la condanna dello  S.C.A.U.
 alla  restituzione  dei  contributi agricoli unificati che la azienda
 del Frescobaldi  ubicata  in  zona  difficile  avrebbe  indebitamente
 versato  per  effetto  della  sentenza  della Corte costituzionale n.
 370/1985.
    Si tratta di una tipica azione costitutiva di condanna  che  nulla
 ha   in  comune  con  il  petitum  che  contraddistingue  la  domanda
 giudiziale introduttiva del presente giudizio. In quest'ultimo  caso,
 infatti,   parte   attrice   ha  dato  corso  ad  un'azione  di  mero
 accertamento   (e   non   di   condanna    come    quella    radicata
 precedentemente),  volta  in primis a verificare l'ubicazione in zona
 svantaggiata, cosi' come  geograficamente  individuata  dall'attrice,
 con  conseguente  applicazione, non solo degli effetti della sentenza
 della Corte costituzionale n. 370/1985, ma anche di tutti i  benefici
 anche  sul  piano  previdenziale,  che  la legge riserva alle imprese
 agricole che operano in zone disagiate sul piano economico-sociale.
    Questo tipo  di  azione  non  e'  affatto  identica  a  quella  in
 precedenza  radicata  che  e'  diretta  ad ottenere in restituzione i
 contributi agricoli unificati versati a  far  tempo  dal  1981  dalla
 azienda del Frescobaldi che, sebbene ubicata in zona svantaggiata non
 sarebbe  tenuta  al  pagamento  di  tali oneri sociali, in dipendenza
 della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985.
    Ma  anche  sotto  il  profilo  della  causa  petendi  la  presente
 profondamente  diversa  da quella precedentemente esercitata. Infatti
 la causa petendi del giudizio precedentemente radicato va qualificata
 come tipica azione di indebito oggettivo di  cui  all'art.  2033  del
 cod.  civ., come peraltro precisato dalla suprema Corte di cassazione
 a sezioni unite (sentenza n. 4085/1989).
   Questi elementi non sono comuni alla presente  domanda  giudiziale,
 che vanta presupposti di diritto profondamente diversi e comunque non
 riconducibili alla condictio indebiti.
    Di  qui discende che non essendo identici in entrabi i giudizi, il
 petitum ovvero la  causa  petendi,  non  puo'  invocarsi,  sul  piano
 processuale,  la  litis  pendenza di cui all'art. 39 del c.p.c., che,
 invece, per la sua configurabilita' reclama una assoluta  coincidenza
 di    tutti    gli    elementi    del   rapporto   processuale,   che
 contraddistinguono i diversi procedimenti.
    Anche l'eccezione di nullita' dell'atto  di  citazione,  sollevata
 dallo  S.C.A.U.,  per  violazione dell'art. 163, n. 3, del c.p.c., si
 presenta non condivisibile e comunque persuasiva  sul  piano  logico-
 giuridico.
    E'  appena il caso di ricordare che con riferimento in particolare
 all'incertezza dell'oggetto  della  domanda,  occorre  che  essa  sia
 assoluta  e  che  non  sia  possibile individuare attraverso un esame
 complessivo dell'atto, quale sia il petitum (Cass. 10 giugno 1976, n.
 2125).
    Un  esame  complessivo  della  domanda giudiziale evidenzia che il
 petitum  e'  determinabile  nei  suoi  aspetti   e   connotati   piu'
 significativi  e qualificabili, talche' lo S.C.A.U. e' stato in grado
 di poter svolgere efficacemente la propria difesa sul piano tecnico.
    Il petitum della domanda giudiziale si sostanzia  nella  richiesta
 di  accertamento  della  collocazione  in  zona  disagiata  ai  sensi
 dell'art.  15  della  legge  n.  984/1977  dei  terreni   costituenti
 l'azienda agricola del Frescobaldi, che comporta l'applicazione di un
 regime  di  favore,  anche  sul  piano  previdenziale  delle  imprese
 agricole ivi insediate, secondo quanto dispone l'art. 13 della  legge
 n.  537/1981.  Laddove, invece, quest'ultima norma, che equipara agli
 effetti previdenziali, le zone montane  a  quelle  svantaggiate,  non
 consentisse  una  completa  omogeneita' di trattamento fra le stesse,
 rimanendo le aree disagiate insensibili agli effetti  della  sentenza
 della  Corte  costituzionale n. 254/1988 e dalla sentenza della Corte
 costituzionale n. 254/1988 e della sentenza della Corte di cassazione
 n. 5140/1990, allora deve  esaminarsi  la  fondatezza  o  meno  della
 questione  di  costituzionalita'  dell'art.  13 legge n. 537/1981 per
 violazione dell'art. 11 della Carta costituzionale.
    Non pare che cosi' articolata la domanda  giudiziale  contenga  un
 petitum  generico  ed interminabile ai sensi dell'art. 163, n. 3, del
 c.p.c. Diversa questione e' la ammissibilita' o la proponibilita'  di
 tale  azione,  che  nulla ha a che vedere, sul piano processuale, con
 l'indeterminatezza del  petitum,  prevista  come  causa  di  nullita'
 dell'atto di citazione.
    D'altra  parte  nel  nostro  ordinamento processuale e' pienamente
 ammissibile l'azione di accertamento, la quale diversamente da quella
 di  condanna,  ha  per  solo  presupposto  uno  stato  di  incertezza
 giuridica su un rapporto o su un fatto giuridicamente rilevante ed e'
 rivolta  a  conseguire, per mezzo del processo, la certezza giuridica
 su  di   esso,   con   il   valore   definitivo   ed   incontestabile
 dell'accertamento  giurisdizionale  (Cassazione  24  gennaio 1966, n.
 277).
    Orbene a questa situazione di incertezza, che governa  la  azienda
 agricola  del Frescobaldi si vuole porre fine, tramite l'accertamento
 giurisdizionale, verificando se l'equiparazione sancita dall'art.  13
 della  legge  n.  537/1981,  anche  ai  fini  previdenziali, fra zone
 montane  e  aree  svantaggiate  si  spinge  al  punto  di   applicare
 indistintamente gli effetti della sentenza della Corte costituzionale
 n.   370/1985,  ovvero,  in  difetto,  esaminando  la  compatibilita'
 costituzionale della norma in questione.
    Anche sotto questo profilo l'eccezione dello S.C.A.U. di  nullita'
 dell'atto  di  citazione  per violazione dell'art. 163 del c.p.c. non
 appare  fondata,  essendo   sufficientemente   determinato   l'editio
 actionis.
    Nella  comparsa  di costituzione e risposta lo S.C.A.U. eccepisce,
 pure,  l'incompetenza  territoriale  ovvero  per  materia  dell'adito
 tribunale,  dovendosi  devolvere  la controversia nel primo caso alla
 cognizione del tribunale di Roma, mentre  nella  seconda  ipotesi  al
 giudice del lavoro di questo tribunale.
    Pare  al  collegio  che  rispetto  alle  eccezioni  processuali di
 incompetenza dell'adito tribunale  sollevate  dallo  S.C.A.U.,  debba
 essere   esaminata  la  eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
 sollevata da parte attrice.
    E  cio'  in  ossequio  all'indirizzo giurisprudenziale della Corte
 costituzionale secondo cui  "il  giudice  di  merito  puo'  sollevare
 legittimamente  la  questione  di  costituzionalita' in limine litis,
 prima ancora di  scendere  all'esame  della  propria  competenza  sul
 merito" (Corte costituzionale 26 gennaio 1957, n. 30, n. 61/57).
    E'  chiaro,  infatti,  che il giudice delle leggi per accertare la
 competenza  per  territorio  ovvero  rationae   materiae   dell'adito
 Tribunale,  dovrebbe  espletare  indagini  strettamente  aderenti  al
 merito della contestazione pendente. Cio' non e' consentito  data  la
 separazione  fra  il giudizio principale e quello sulla pregiudiziale
 di  incostituzionalita',   che   si   svolge   davanti   alla   Corte
 costituzionale su un piano diverso per l'oggetto e per la finalita'.
    Queste  considerazioni  valgono altresi' per la eccezione di litis
 pendenza (in tal senso la Corte  costituzionale  n.  30/1957)  e  per
 quella di nullita' dell'atto di citazione del giudizio per violazione
 dell'art. 163, n. 3 del c.p.c.
    Passando  dunque  a  trattare  della  questione  di illegittimita'
 costituzionale sollevata nella domanda giudiziale, il collegio rileva
 che tale questione appare rilevante e non manifestatamente infondata.
    La  rilevanza  e  fondatezza  dell'eccezione   di   illegittimita'
 costituzionale,   fonda   il   suo   presupposto  qualificante  nella
 interpretazione ed applicazione dell'art. 13 della legge n.  537/1981
 contenuta  nella  sentenza  della Corte costituzionale n. 254/1989 da
 cui, poi, prende le  mosse  l'orientamento  della  suprema  Corte  di
 cassazione,  allorche'  ritiene  insensibili le aree disagiate di cui
 all'art. 15 della legge n. 984/1977 agli effetti della  decisione  n.
 370/1985 della stessa Corte costituzionale.
    Nell'esaminare   la  eccezione  di  illegittimita'  costituzionale
 sollevata dalla parte istante, occorre lo  spunto  dal  c.d.  diritto
 vivente  e  cioe' come l'art. 13, ultimo comma, della legge 537/1981,
 viene  interpretato  in   relazione   alla   sentenza   della   Corte
 costituzionale   30   dicembre   1985,  n.  370,  che  ha  dichiarato
 l'illegittimita' costituzionale degli artt. 7  e  8  della  legge  n.
 41/1978  relativi  ai territori montani, per non trovare applicazione
 anche per le zone agricole svantaggiate, individuate in base all'art.
 15 della legge n. 984/1977. Secondo il pensiero della  giurisprudenza
 della Cassazione (sezione lavoro 1› giugno 1990, n. 5140) la legge n.
 984/1977  considerata (art. 15, lett. a), le zone collinari e montane
 nell'ottica   dello   sviluppo   sull'economia   agricola   nazionale
 considerata  nel  suo complesso (art. 1) mediante formazione di piani
 nazionali (art. 4) adottata nel rispetto dei criteri indicati  da  un
 apposito  organo (Comitato interministeriale per la politica agricola
 e alimentare: artt. 21 e 3) con una serie di provvidenze  finanziarie
 dirette,  attuate tramite le regioni e di agevolazioni fiscali (artt.
 5 e 7),  volte  al  conseguimento  degli  obiettivi  specificatamente
 indicati  (art.  10).  In  definitiva, oggetto della normativa non e'
 soltanto la montagna, ma lo sviluppo di  tutta  la  economia  agraria
 nazionale.
    D'altra  parte  anche la Corte costituzionale (sentenza n. 524 del
 16 maggio 1989), chiamata a pronunciarsi  sulla  estensibilita'  alle
 zone  svantaggiate  degli  effetti  della  sentenza  n.  370/1985, ha
 ritenuto  che  il  sistema  di  interventi  per  le   zone   agricole
 svantaggiate  riveste  aspetti  distintivi di originale connotazione,
 rientrante  in un unicum normativo sufficientemente razionale per gli
 effetti che ne derivano, senza che possano su di esso automaticamente
 applicarsi  differenti  principi  che   propriamente   attengono   ai
 territori montani.
    Secondo  la  giurisprudenza,  pertanto,  l'equiparazione,  ai fini
 contributivi,  fra  zone  montane  e  quelle  svantaggiate,   sancita
 dall'art.  13  della  legge  n.  402/1981  non  si spinge al punto di
 rendere applicabile alle aree disagiate gli  effetti  della  sentenza
 della   Corte   costituzionale   n.   370/85,   che,   ha  dichiarato
 costituzionalmente illegittime le disposizioni che discriminavano per
 le imprese agricole  l'insorgere  dell'obbligazione  contributiva  in
 ragione   del   mero  dato  altimetrico  di  ubicazione  dell'azienda
 (esenzione totale dal pagamento degli oneri sociali  per  le  imprese
 agricole ubicate in zona montana al di sopra dei 700 metri; pagamento
 al  40%  dei  contributi  agricoli  unificati  dovuti  dalle  aziende
 agricole che operano in zona montana ad altitudine inferiore  ai  700
 metri s.l.m.).
    La nuova situazione normativa, che si e' venuta a creare a seguito
 della  sentenza  n.  370/1985  della  Corte costituzionale, comporta,
 secondo le indicazioni giurisprudenziali in  precedenza  evocate,  un
 diverso  regime  di  trattamento  normativo fra zone montane e quelle
 svantaggiate, nonostante l'equiparazione  fra  le  stesse  introdotta
 dall'art. 13 della legge n. 402/1981.
    Infatti  da  un  lato  la  sentenza  della Corte costituzionale n.
 370/1985 eserciterebbe i suoi effetti unicamente a favore delle  zone
 montane,  con  conseguente  esenzione  dal  versamento dei contributi
 agricoli unificati per le aziende agricole ivi impegnate;  dall'altro
 le zone svantaggiate resterebbero destinatarie di un regime normativo
 autonomo  in  materia  previdenziale, nel senso che la disciplina dei
 contributi agricoli  unificati  continuerebbero  a  riconoscere  alle
 aziende  agricole  ubicate  ad  una altitudine inferiore ai 700 metri
 s.l.m. la riduzione  degli  oneri  sociali,  mentre  le  imprese  che
 operano  in  zona  svantaggiata  ad altitudine superiore ai 700 metri
 s.l.m.,  godrebbero   dell'esonero   dall'assolvimento   del   carico
 previdenziale, e cio' in virtu' dell'art. 13 della legge n. 402/1981.
    Se  questo  e' il quadro normativo cosi' come definito dalla Corte
 costituzionale (sentenza n. 259/1989) e  dalle  univoche  indicazioni
 giurisprudenziali di illegittimita', che ritengono non omologabile il
 regime  contributivo  n.  370/1985,  occorre  verificare la sua piena
 compatibilita' con i principii costituzionali.
    Preliminarmente occorre valutare la piena compatibilita' dell'art.
 13  della  legge  n.  402/1981,  nell'interpretazione  ed   eccezione
 definita  dalla giurisprudenza come sopra riassunta, con gli artt. 11
 e  3  della  Carta  costituzionale  non  si  appalesa  manifestamente
 infondata.
    La  direttiva  comunitaria  n.  75/268  ha  introdotto  una  piena
 equiparazione  fra  le  zone  di  montagna  e  quelle   svantaggiate,
 predisponendo   una  comune  normativa  di  favore,  atteso  che  "il
 preesistente  deterioramento  dei  redditi  agricoli  in  tali   zone
 rispetto   alle  altre  regioni  della  comunita'  e  l'esistenza  di
 condizioni di lavoro particolarmente difficili sono all'origine di un
 massiccio  esodo  agricolo  e  rurale,  che  alla  fine  si   traduce
 nell'abbandono  delle terre precedentemente coltivate e che, inoltre,
 mette a repentaglio la vitalita'  medesima  e  il  popolamento  delle
 zone,   la   cui   popolazione   dipende  essenzialmente  dall'ecomia
 agricola".
    Nella citata direttiva comunitaria si  precisa  inoltre  che  "gli
 svantaggi  naturali a carattere permanente esistenti in queste zone e
 dovuti soprattutto alla qualita' del  suolo,  alla  pendenza  e  alla
 brevita'  del  periodo  vegetativo,  possono essere superati soltanto
 effettuando operazioni il cui costo  sarebbe  esorbitante:  che  tali
 svantaggi  implicano  costi  di produzione elevati e impediscono alle
 aziende di beneficiare di un reddito analogo a quello  delle  aziende
 comparabili situate in altre regioni".
    Per  questo, al fine di preservare l'attivita' agricola necessaria
 per il mantenimento di un livello minimo  di  popolazione  o  per  la
 conservazione  dell'ambiente  naturale,  gli  Stati membri sono stati
 autorizzati ad istituire un regime particolare di aiuti, destinato ad
 incentivare l'attivita' agricola e  a  migliorare  il  reddito  degli
 agricoltori (art. 1 della direttiva comunitaria).
    Nella individuazione delle zone agricole svantaggiate la direttiva
 comunitaria ha fissato i seguenti criteri:
       a)  le  zone  di  montagna  sono  composte di comuni o parti di
 comuni che devono essere caratterizzati da una  notevole  limitazione
 delle possibilita' di utilizzazione delle terre e un notevole aumento
 dei costi di lavoro:
       a   causa   dell'esistenza   di   condizioni  climatiche  molto
 difficili, dovute all'altitudine, che  si  traducano  in  un  periodo
 vegetativo nettamente abbreviato;
       ovvero,  ad  una  altitudine inferiore, a causa dell'esistenza,
 nella maggior parte del  territorio,  di  forti  pendii  che  rendono
 impossibile  la  meccanizzazione  o richiedono l'impiego di materiale
 speciale assoi oneroso;
       ovvero, quando lo svantaggio derivante da  ciascuno  di  questi
 fattori  presi  separatamente  e'  meno  accentuato,  a  causa  della
 combinazione dei due fattori, purche' la loro  combinazione  comporti
 uno svantaggio equipollente a quello che deriva dalle situazioni con-
 siderate nei primi due trattini;
       b)  le  zone  svantaggiate  minacciate  di spopolamento e nelle
 quali e' necessario conservare l'ambiente naturale, sono composte  da
 territori   agricoli  omogenei  sotto  il  profilo  delle  condizioni
 naturali di produzione, che devono  rispondere  simultaneamente  alle
 seguenti caratteristiche:
       esistenza  di terre poco produttive, poco idonee alla coltura e
 all'intensificazione, le cui scarse potenzialita' non possono  essere
 migliorate  senza  costi  eccessivi  e  che  si  prestano soprattutto
 all'allevamento estensivo;
       a causa  della  scarsa  produttivita'  dell'ambiente  naturale,
 ottenimento  di risultati notevolmente inferiori alla media quanto ai
 principali  indici  che  caratterizzano   la   situazione   economica
 dell'agricoltura;
       scarsa  densita',  o  tendenza alla regressione demografica, di
 una  popolazione  dipendente  in  modo  preponderante  dall'attivita'
 agricola  e  la  cui  concentrazione  accelerata  comprometterebbe la
 vitalita' e il popolamento della zona medesima.
    Possono  essere  assimilate  alle  zone  svantaggiate  secondo  la
 normativa  comunitaria, limitate zone nelle quali ricorrono svantaggi
 specifici e nelle quali il mantenimento  dell'attivita'  agricola  e'
 necessario  per  assicurare la conservazione dell'ambiente naturale e
 la vocazione turistica o per motivi di protezione costiera.
    Criteri di ordine socio-economico, oltreche' naturali (difficolta'
 di  conduzione  del  terreno,  scarsa  resa  dello stesso, ecc.) sono
 posti, pertanto, alla base della normativa comunitaria, non solo  per
 individuare  le zone svantaggiate, ma anche per riservare alle stesse
 un  trattamento  di  favore,  per  consentire  all'agricoltura   (che
 rappresenta  in  tali  aree  la  componente  economica principale) di
 sopravvivere.
    Tali situazioni e problemi delle zone svantaggiate sono  comuni  a
 quelle  montane,  dove  -  anzi  -  i  ritardi  socio-economici  sono
 accentuati. per  questo  il  legislatore  comunitario  ha  avvertito,
 l'esigenza di non trattare in modo differenziato le zone svantaggiate
 e/o  quelle  montane,  essendo  comuni  i bisogni e le necessita' per
 l'agricoltura, la quale esige interventi coordinati ed  organici  sul
 piano  economico  e  finanziario per evitare il massiccio esodo delle
 popolazioni rurali alla ricerca di migliori condizioni di vita.
    Tali interventi sono mirati,  sia  ad  elevare  le  condizioni  di
 benessere  economico  delle  popolazioni  rurali impegnate nelle zone
 svantaggiate e montane, sia a migliorare le strutture produttive.
    La direttiva comunitaria accomuna, pertanto, nella  disciplina  le
 zone  montane  e quelle svantaggiate, essendo identici i bisogni e le
 esigenze per il  mondo  rurale,  che  reclamano  un'azione  politica,
 amministrativa e economica comune.
    La  direttiva  comunitaria  n. 75/268 e' stata recepita nel nostro
 ordinamento positivo con legge 10 maggio 1976, n. 352.
    Alle  zone  svantaggiate,   come   individuate   dalla   normativa
 comunitaria  fa  pure  riferimento  la  deliberazione  del C.I.P.A.A.
 (Comitato interministeriale per la politica  agricola  e  alimentare)
 pubblicata  sul supplemento straordinario alla Gazzetta Ufficiale del
 20 ottobre 1980, n. 288, assunta in esecuzione  dell'art.  15,  della
 legge   n.   984/1977.   Quest'ultima   legge  ha  dettato  principii
 fondamentali di coordinamento degli interventi pubblici  nei  settori
 della utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani,
 sulla  base  di  una  piena  equiparazione  far  tali  zone  ritenute
 disagiate.
    Secondo il C.I.P.A.A. in attuazione della  legge  n.  991/1952  e,
 successivamente della legge n. 1102/1971, sono considerate montane le
 circoscrizioni  dei  comuni  situati  per  almeno  l'80%  della  loro
 superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine e  di  quelli  nei
 quali  il  dislivello  tra la quota altimetrica inferiore e superiore
 del territorio comunale non e' minore di  600  metri,  sempreche'  il
 reddito  imponibile  medio per ettaro censito non superi le L. 2.400.
 Possono essere pure inclusi i Comuni o le porzioni di  Comune,  anche
 non  limitrofi  ai  precedenti,  i  quali  pur  non  trovandosi nelle
 condizioni  precedentemente  ricordate,  presentano  pari  condizioni
 economico-agrarie,   con   particolare  riferimento  ai  comuni  gia'
 classificati montani nel catasto agrario.
    E' prevista anche l'inclusione fra territori montani  di  ambienti
 che,  connessi  sotto  il  profilo  idrogeologico o per altri aspetti
 rilevanti ai territori gia' classificati.
    In sostanza, soprattutto a norma della stessa legge n. 1102/1971 e
 in connessione coi suoi obiettivi, la montagna cessa di  essere  solo
 un  fatto  altimetrico  e  viene  piuttosto considerata come ambiente
 sociale ed economico con caratteri, necessita' ed utilita' proprii di
 situazioni  che  sono presenti quasi ovonque nelle zone ad altitudine
 elevata,  ma  che  possono  essere  anche  presenti  in  altre   zone
 assimilabili.
    Altra  delimitazione  - secondo il C.I.P.A.A. - e' quella indicata
 dalla direttiva CEE n. 268/75 a favore dell'agricoltura di montagna e
 di  talune  zone  svantaggiate,  recepita  con  legge  nazionale   n.
 352/1976.
    Le  zone agricole svantaggiate comprendono - secondo il C.I.P.A.A.
 -  zone  di  montagna  nelle  quali  l'attivita'   agricola   risulta
 necessaria  per  assicurare la conservazione dell'ambiente naturale e
 per rispondere ad esigenze turistiche, oltre ad altre zone in cui non
 sono assicurati il mantenimento di un livello minimo di popolazione e
 che, in ogni caso, siano caratterizzate da una  notevole  limitazione
 delle  possibilita'  di  utilizzazione  delle  terre e da un notevole
 aumento dei costi del lavoro.
    In sostanza, secondo il piano  agricolo  nazionale,  larghe  fasce
 collinari  dell'area  appenninica  e  delle  isole  presentano, nelle
 prospettive e nei problemi di sviluppo, maggiori legami ed  affinita'
 con le zone della montagna piuttosto che con quelle della pianura.
    Da quadro sopra esposto emerge in termini incontrovertibili che il
 piano   agricolo   nazionale,   nell'elaborazione  dei  programmi  di
 intervento per valorizzare le aree di montagna e di collina, dia  per
 scontata la comunanza di situazioni, che ha reso disagiate e depresse
 tali aree sul piano sociale ed economico.
    L'impiego programmatico del piano agricolo nazionale attraverso il
 C.I.P.A.A.,  e'  stato  quello  di assicurare uno sviluppo armonico e
 coerente delle aree montane e collinari che presentano comuni bisogni
 ed esigenze da affrontare.
    L'assimilazione fra zona montana e collinare contenuta  nel  piano
 agricolo  nazionale, approvato dal C.I.P.A.A., dimostra che l'art. 13
 della legge n. 537/1981, che estendeva alle zone svantaggiate il  re-
 gime  di  favore previsto sul piano contributivo per le zone montane,
 ha confermato quella tendenza di applicare  interventi  agevolati  in
 modo omogeneo.
    Infatti  si  e'  esteso il regime contributivo di favore riservato
 alle zone montane a quelle collinari, cosi'  come  individuate  dalla
 legge  n.  984/1977,  perequando entrambe le situazioni, in quanto in
 tali  casi  sono  riscontrabili  fenomeni  di   spopolamento   e   di
 conseguente dissesto.
    Tanto  il  piano  nazionale  elaborato  dal C.I.P.A.A. per le zone
 marginali di cui all'art. 51 della legge n. 984/1977,  quanto  l'art.
 13  della  legge  n. 537/1981, erano pienamente coerenti e funzionali
 alle direttive e prescrizioni comunitarie, volte a sostenere le  zone
 disagiate abbisognose di incisive politiche di intervento per evitare
 la  "deruralizzazione"  di  tali  aree, come aveva osservato la Corte
 costituzionale nella sentenza n. 370/1985.
    Sotto un altro profilo il rinvio operato con riguardo all'art.  15
 della  legge  n.  984/1977,  dall'art.  13  della  legge n. 537/1981,
 acquista un particolare significato. Infatti il richiamo all'art.  15
 della  legge  n.  984/1977  va  inteso nel senso che la delimitazione
 delle zone agricole svantaggiate,  quale  ambito  territoriale,  deve
 essere  effettuata  alla stregua degli indirizzi di politica agricola
 fissati dal C.I.P.A.A.
    In  tal  modo,  infatti,  si  evidenzia il regionevole intento del
 legislatore del 1981 di raccordare e di armonizzare  le  agevolazioni
 di cui trattasi con lo strumento (il piano agricolo nazionale) per il
 tramite del quale si realizza la programmazione nel settore agricolo.
    L'inciso   contenuto   nell'art.   13   della  legge  n.  537/1981
 "delimitate a sensi dell'art. 15 della legge  27  dicembre  1977,  n.
 984",  riferito  alle zone agricole svantaggiate introduce, ancorche'
 in via indiretta, il collegamento con gli indirizzi generali  la  cui
 fissazione  e'  demandata  al  C.I.P.A.A.; d'altra parte, il richiamo
 all'art. 15 della legge n. 984/1977 da parte dell'art. 13 della legge
 n. 537/1981, e' tale da potersi giustificare in funzione dell'intento
 del legislatore del 1981 di introdurre una  particolare  agevolazione
 contributiva  a  favore  dei  territori  di  collina  (oltre  che dei
 territori di montagna, considerati separatamente  e  specificatamente
 dall'art. 13).
    In  caso  contrario  non si comprenderebbe la ragione per la quale
 l'art. 13  della  legge  n.  537/1981  conferma  che,  oggetto  delle
 agevolazioni  contributive  sono  i  terreni  montani,  peraltro gia'
 interessati da questo beneficio con legge n. 41/1978.
    La ripetizione, invece, acquista un  suo  preciso  significato  in
 ragione  del  fatto  che  il  C.I.P.A.A.  aveva  individuato, a sensi
 dell'art. 15 della legge n. 984/1977, le zone di  intervento  per  la
 valorizzazione  delle  aree  marginali  in  agricoltura,  nelle  zone
 montane e collinari.
    Per questo il legislatore del 1981 precisa che le zone indicate  a
 sensi dell'art. 15 della legge n. 984/1977 sono da perequarsi ai fini
 contributivi, non riservando detto beneficio alle sole zone montane.
    Queste  ultime, secondo il piano agricolo nazionale, vengono a far
 parte di un piu' ampio contesto territoriale, comprensivo anche delle
 aree collinari, che essendo caratterizzate da un  imponente  fenomeno
 di  spopolamento e di degrado, venivano individuate unitariamente dal
 C.I.P.A.A. ai fini degli interventi economici.
    Aderire ad una apposita soluzione a quella prospettata,  significa
 non  solo  superare  il dettato normativo dell'art. 15 della legge n.
 984/1977, ma anche il chiaro contenuto normativo del  piano  agricolo
 nazionale.
    Infatti  il C.I.P.A.A. ha inteso ridisegnare le zone svantaggiate,
 utilizzando al riguardo, per individuare le zone di intervento, fonti
 preesistenti: in particolare la  disciplina  sulla  montagna,  quella
 contenuta  nella  legge  1›  maggio  1976, n. 352, con cui si e' data
 attuazione alla direttiva CEE n.  273/85  e  alle  leggi  sulle  aree
 depresse  (legge  n.  454/1961)  e  relativi  decreti ministeriali di
 attuazione.
    In  altri  termini  il  C.I.P.A.A.  non  ha   proceduto   ad   una
 classificazione  ex  novo  delle  zone  c.d.  disagiate, ma ha inteso
 regolare e disciplinare la materia cosi' complessa e  "stratificata",
 ridefinendo la nozione di area svantaggiata che ricomprende, oltre le
 zone  montane,  un  piu'  vasto  territorio, che esige un trattamento
 normativo ed economico unico.
    Secondo la "filosofia" della legge n.  984/1977  le  aree  montane
 costituiscono  una  componente  -  ancorche'  rilevante  - delle zone
 agricole svantaggiate, ma non un fattore a se' stante  da  trattarsi,
 ai  fini  del piano agricolo nazionale separatamente e disgiuntamente
 dalla collina.
    Per  questo  riservate  alle zone c.d. svantaggiate, formate dalle
 zone montane e collinari,  in  quanto  costituenti  un  tutt'uno,  un
 trattamento  contributivo  differenziato,  significa introdurre delle
 distinzioni che sia l'art. 15 della legge n.984/1977,  sia  il  piano
 agricolo  nazionale,  sia  per  le  direttive comunitarie non avevano
 ragion d'essere, talche' il  C.I.P.A.A.  aveva  individuato  in  modo
 unitario   le  aree  marginali  di  intervento  della  programmazione
 economica.
    Una interpretazione dell'art. 13 della legge n.  537/1981  tesa  a
 distinguere  il  trattamento  contributivo  fra zone montane e quelle
 svantaggiate, non coglie i profondi collegamenti che  sussistono  fra
 tale  norma  e quelle precedenti, di origine nazionale e comunitaria,
 che erano informate a realizzare obiettivi di piena equiparazione dei
 territori disagiati,  che  accusano  i  medesimi  ritardi  sul  piano
 sociale ed economico.
    L'art.  13  della legge n. 537/1981, infatti, incide profondamente
 nel senso tracciato dalla direttiva comunitaria sulla  necessita'  di
 procedere  ad  una  riduzione  del  costo  del  lavoro  che,  per  le
 particolari condizioni naturali del territorio delle zone  difficili,
 e' di ostacolo alla competitivita' delle imprese.
    Per   le   difficolta'  di  utilizzare  nelle  aree  disagiate  la
 meccanizzazione per la  conduzione  dei  terreni  agricoli  che,  fra
 l'altro,  presentano  forti  pendii,  le imprese agricole fanno largo
 ricorso alla mano d'opera salariata, i cui  oneri  sociali  divengono
 non facilmente tollerabili.
    L'art.  13  della  legge n. 537/1981 non poteva intodurre, dopo il
 recepimento delle direttive comunitarie e dopo l'approvazione del pi-
 ano agricolo nazionale che era in perfetta aderenza alle prescrizioni
 comunitarie,  alcuna  discriminazione,  in  ordine   al   trattamento
 contributivo fra zone montane e quelle collinari.
    Tale    distinzione   non   avrebbe   avuto   alcuna   ragionevole
 giustificazione, se si considera  che  le  scelte  comunitarie  e  di
 riflesso  quelle  nazionali,  erano  mirate  ad  assicurare  forme di
 sostegno in termini unitari e complessivi delle aree difficili.
    Nella direttiva comunitaria si rimarca che  nelle  zone  disagiate
 unitariamente   considerate   gli   svantaggi   naturali  a  carttere
 permanente esistenti e dovuti soprattutto alla  qualita'  del  suolo,
 alla  pendenza e alla brevita' del periodo vegetativo, possono essere
 superati  soltanto  effettuando  operazioni  il  cui  costo   sarebbe
 esorbitante.
    Tali   svantaggi   implicano   costi   di  produzione  elevati  ed
 impediscono alle aziende di  beneficiare  di  un  reddito  analogo  a
 quello delle aziende situate in altre regioni.
    Di  qui  scaturisce  l'incongruenza  dell'art.  13  della legge n.
 537/1981 nella interpretazione fatta propria dal diritto vivente  fra
 il  sistema  comunitario e quello nazionale, in quanto non si pone in
 sintonia con precise ed univoche scelte tese ad allineare il  sistema
 dei benefici delle zone montane con quelle delle aree avantaggiate.
    Questo  contrasto fra la disciplina positiva e quella comunitaria,
 peraltro, recepita nel nostro ordinamento positivo, viola  l'art.  11
 della  Corte  costituzionale,  che  sancisce il principio della piena
 integrazione del nostro ordinamento positivo in  quello  comunitario,
 che non ha adottato criteri discriminatori in materia di benefici.
    Il  quadro  di riferimento comunitario sulle zone svantaggiate, ha
 condizionato gli orientamenti e comunque gli  interventi  legislativi
 degli  Stati  membri,  impegnati  ad  elaborare programmi coerenti ed
 adeguati alla linea tracciata in materia a livello comunitario.
    Le direttive comunitarie, a differenza dei regolamenti, non  hanno
 di  regola  efficacia  normativa  diretta,  in  quanto  si  rivolgono
 generalmente agli Stati, ai quali richiedono l'adozione, entro  certi
 limiti, di provvedimenti legislativi, regolamentari o amministrativi,
 per   il   conseguimento   di  determinati  obiettivi  comuni  (Corte
 costituzionale n. 163/1977).
    Se  si  muove  dalla  premessa  che  l'adempimento  degli  impegni
 internazionali   dello   Stato   sia  un  obbligo  costituzionalmente
 garantito nell'ordinamento italiano, e' possibile anche attribuire in
 generale alle direttive comunitarie una serie  di  effetti  immediati
 nell'ordinamento  interno,  paragonabili  a  quelli  del regolamento:
 un'efficacia passiva che si esprimerebbe nella sia inderogabilita' da
 parte di leggi successive che, se  incompatibili  andrebbero  invali-
 date.
    Le  indicazioni  comunitarie,  quanto  mai  precise  in materia di
 equiparazione, ai fini del trattamento normativo, fra zone montane  e
 zone   svantaggiate   e   confermate  dalla  successiva  legislazione
 nazionale (art. 15 della legge n. 984/1977  e  del  successivo  piano
 agricolo nazionale), sarebbero inevitabilmente frustrate e vanificate
 dall'art.   13   della   legge   n.  537/1981  che,  invece,  secondo
 l'interpretazione giurisprudenziale, non conserverebbe questo  regime
 di perequazione.
    Infatti  il  regime di esenzione delle zone montane dai contributi
 agricoli  unificati  per   effetto   della   sentenza   della   Corte
 costituzionale  n.  370/1985,  che  aveva  escluso discriminazioni di
 ordine altrimetrico nell'assolvimento degli  oneri  sociali,  non  e'
 stato  ripetuto  per  le zone svantaggiate nonostante l'art. 13 della
 legge n. 537/1981.
    Queste  ultime,  pertanto,  continuerebbero   a   godere   di   un
 trattamento  diversificato sul piano previdenziale rispetto alle zone
 montane.
    Il  mantenere  questa  diversita'  contraddice   le   prescrizioni
 comunitarie  e soprattutto ritarda la piena equiparazione fra le zone
 disagiate difficili, cosi' come voluto dal legislatore comunitario.
    Per questo l'art. 13 della legge n. 537/1981 solleva  problemi  di
 costituzionalita'    in    relazione    all'art.   11   della   Carta
 costituzionale,  per  aver  disatteso  non  solo   gli   orientamenti
 legislativi  nazionali  in  precedenza  affermati,  ma soprattutto le
 prescrizioni comunitarie.
    Ma quand'anche l'art. 13 della legge n.  402/1981  fosse  conforme
 all'art. 11 della Carta costituzionale e segnatamente delle direttive
 comunitarie  in materia di aree disagiate, lo stesso non pare reggere
 il confronto costituzionale con l'art. 3 della Carta  costituzionale,
 per la diversita' di trattamento riservato alle imprese ubicate oltre
 i  700  metri  rispetto  a quelle ubicate al di sotto di tale livello
 altimetrico.
    L'unico criterio che scrimina il  trattamento  e'  infatti  quello
 altimetrico  gia'  ritenuto  insufficiente dalla Corte costituzionale
 nella    sentenza    n.    370/1985     che     aveva     pronunciato
 l'incostituzionalita' degli artt. 7 e 8 della legge n. 991/1952.
    L'art.  13  del d.-l. n. 402/1981, che disciplina la materia delle
 agevolazioni contributive per  le  imprese  delle  zone  svantaggiate
 espressamente  stabilisce:  "a  decorrere  dal  1›  gennaio  1981  le
 agevolazioni contributive previste .. dagli artt. 7, ultimo comma,  e
 8,  primo  comma,  del  d.-l. 23 dicembre 1977, n. 942, convertito in
 legge con modificazioni dalla legge 27  febbraio  1978,  n.  541,  si
 applicano  alle  aziende  situate  nei  territori  montani  di cui al
 decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre  1973,  n.  601,
 nonche'   nelle  zone  agricole  svantaggiate,  delimitate  ai  sensi
 dell'art. 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984".
    L'agevolazione prevista dall'ultimo comma dell'art. 7  citato  era
 l'esenzione  del  pagamento  dei contributi agricoli unificati per le
 aziende con terreni oltre i metri 700 mentre l'agevolazione  prevista
 dall'art.  8  era  la  riduzione  del 40% dei detti contributi per le
 aziende con fondi ad altitudine inferiore.
    Una prima lettura delle norme si  richiamate  in  conseguenza  del
 rinvio  agli artt. 7 e 8 della legge n. 942/1977, fa supporre che sia
 nei territori montani che nelle zone  svantaggiate,  operino  aziende
 agricole con terreni ubicati al di sotto e al di sopra dei 700 mt.
    Le  disposizioni  che  regolano  la  montagna sono contenute nella
 legge n. 991/1952. Dispone l'art. 1 della legge 25  luglio  1952,  n.
 991  (modificato  dalla  legge 4 marzo 1953, n. 175, ed espressamente
 richiamato  dall'art.  3  della  legge  3  dicembre  1971,  n.  1102,
 contenente   nuove   norme   sullo  sviluppo  della  montagna,  legge
 richiamata dalla legge 10 maggio 1976, n. 352) che  sono  considerati
 territori  montani  i  comuni censuari situati per almeno l'80% della
 loro superficie oltre i mt 600 di altitudine e quelli dei comuni  che
 tra  la  quota  altimetrica  inferiore  a quella superiore abbiano un
 dislivello di almeno mt 600.
    Come si vede residuano dei terreni che, pur essendo ubicati  oltre
 i  700  metri  o  per  non  essere l'intero agro comunale ubicato per
 almeno l'80% oltre i mt 600 o per non  avere  un  dislivello  tra  le
 quote  inferiore  o  superiore  di  almeno  mt 600 non possono essere
 classificati montani e non possono pertanto godere degli  interventi,
 agevolazioni  e  benefici  dettati  per  lo  sviluppo  dei  territori
 montani.
    Nelle zone svantaggiate ricadono (art. 15 della legge 27  dicembre
 1977, n. 984) terreni di collina e di montagna.
    Alla  stregua  di tale normativa emerge che non solo nei territori
 montani, ma  anche  nelle  zone  svantaggiate  sono  ipotizzabili  ed
 esistono  aziende  agricole  con  terreni  ubicati  oltre i mt 700 ed
 aziende agricole con terreni ubicati sotto i mt 700.
    Ora, nelle zone svantaggiate per il rinvio (o la serie di  rinvii)
 operato  dall'art.  13  del  d.-l.  n.  402/1989,  almeno  sino  alla
 pubblicazione della sentenza n. 370/1985 della Corte  costituzionale,
 le  aziende  agricole  con  terreni ad altitudine superiore ai mt 700
 godevano dell'esenzione contributiva mentre le aziende con terreni ad
 altitudine inferiore beneficiava non solo delle riduzioni.
    La disparita' di trattamento in tema in agevolazioni sul pagamento
 dei   contributi   agricoli   unificati   in   agricoltura,   fondata
 esclusivamente  sul  criterio altrimetrico, appare, pertanto, viziata
 di incostituzionalita' a sensi degli artt. 3 e 42 della  Costituzione
 per  le  ragioni  svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n.
 370/1985.
    La  Corte  costituzionale,  nella  sentenza  n.  370/1985  ebbe ad
 affermare  un  principio  di  carattere  generale  che  puo'  trovare
 applicazione in materia di aree disagiate.
    Il  giudice delle leggi in quell'occasione preciso' che non poteva
 negarsi che fosse intimamente contradditorio da un lato  tener  conto
 del reddito imponibile che non superi le L. 2.400 (art. 1 della legge
 n.  657/1957),  della  poverta' dei territori, del loro "degradamento
 fisico" e "grave dissesto economico" (artt. 4 e  14  della  legge  n.
 991/1952),  delle  "condizioni  di  disagio  derivanti  dall'ambiente
 montano", del "grado  di  dissesto  idrogeologico"  delle  condizioni
 economico-sociali,  delle  aree  depresse  artt. 2 e 5 della legge n.
 1102/1971)  ai  fini  del  riconoscimento  di   tutte   le   numerose
 provvidenze  e agevolazioni previste dalla legislazione in materia di
 territori montani (artt. da 2 a 8 della legge n. 991/1952 e legge  n.
 1102/1971)  e,  dall'altro,  negare a quegli elementi ogni rilevanza,
 allorche' un territorio, pur montano,  sia  sito  ad  una  altitudine
 inferiore ai 700 metri.
    Orbene,  questa situazione si registra simmetricamente anche nelle
 zone svantaggiate di cui all'art. 15 della legge n. 984/1977.
    Infatti, appare contraddittorio affermare, da un lato,  che  nelle
 zone  svantaggiate  si  assiste  a terre poco produttive, poco idonee
 alla coltura e all'intensificazione, le cui scarse potenzialita'  non
 possono  essere  migliorate  senza  costi eccessivi e che si prestano
 soprattutto all'allevamento estensivo, ovvero ad un ambiente naturale
 scarsamente produttivo e che registra una tendenza  alla  regressione
 demografica  (direttiva comunitaria n. 75/268), ovvero come assume il
 piano agricolo nazionale elaborato e approvato  in  esecuzione  della
 legge  n.  984/1977,  che  le  zone disagiate (come ad esempio larghe
 fasce  collinari  dell'area   appenninica   e   delle   isole)   sono
 caratterizzate  da  una  notevole  limitazione  delle possibilita' di
 utilizzazione delle terre e da un  notevole  aumento  dei  costi  del
 lavoro,  ovvero  della necessita' di incisive politiche di intervento
 per evitare la deruralizzazione di tali aree; e, dall'altro, negare a
 quegli elementi allorche' un  territorio,  pur  se  ubicato  in  zona
 svantaggiata, sia sito ad una altitudine inferiore ai 700 metri.
    Come  si e' in precedenza dimostrato, le zone svantaggiate possono
 ricomprendere territori ubicati al di sopra dei 700 metri, quando gli
 stessi  non  presentano  le  tipiche   caratteristiche   per   essere
 qualificati, sul piano normativo, come zona montana.
    L'azienda  di  cui e' titolare la parte istante e' ubicata in zona
 disagiata, ubicata al di sotto dei 700 metri e  quindi  dall'adozione
 dei  criteri  meramente altimetrico per discriminare il pagamento dei
 contributi agricoli unificati, appare irragionevole a sensi dell'art.
 3 della Carta costituzionale.
    L'irragionevolezza e' tanto piu' manifesta nella fattispecie se si
 considera che l'azienda agricola della  parte  istante,  pur  essendo
 classificata  come  zona  svantaggiata,  e'  compresa nella comunita'
 montana del Mugello; cioe' in  una  regione  che  presenta  i  tipici
 connotati delle aree montane.