IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nella causa civile iscritta a ruolo il 26 giugno 1990 al n. 10394 del ruolo affari civili contenziosi dell'anno 1990 al n. 1014 del ruolo della sezione, al n. 35 del ruolo del giudice istruttore, promossa da Frescobaldi Vittorio nella sua qualita' di proprietario della Azienda Agricola "Camperiti" (avv. Francesco Ghelli), attore, contro il Servizio contributi agricoli unificato - S.C.A.U. in persona del suo legale rappresentante (avv. M. Bianco), convenuto. Con citazione notificata il 25 giugno 1990 il sig. Vittorio Frescobaldi, nella sua qualita' di proprietario dell'azienda agricola denominata "Camperiti", conveniva avanti il tribunale di Firenze, il Servizio contributi agricoli unificati - S.C.A.U. in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, con sede in Roma, per sentire accogliere le seguenti conclusioni: "piaccia al tribunale di Firenze, preso atto della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985, dichiararsi che la stessa trova applicazione a tutti gli effetti con riferimento anche alle zone svantaggiate di cui all'art. 15 della legge n. 984/1977 e conseguentemente anche ai terreni costituenti la azienda agricola della parte istante, ubicati in zona svantaggiata, cosi' come deliberato dal C.I.P.A.A.; dichiararsi l'applicabilita' degli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985 alla zona svantaggiata e quindi a favore dei terreni della azienda agricola di cui e' titolare la parte istante, anche in virtu' dell'art. 13 della legge n. 537/1981. In subordine l'attore sollevava questione di illegittimita' costituzionale dell'art. 13 della legge n. 537/1981, per violazione degli artt. 3 e 11 della Carta costituzionale. L'attore esponeva di essere titolare di un'azienda agricola costituita da terreni siti in comune di Pelago, dichiarata zona svantaggiata ai sensi dell'art. 15 della legge n. 984/1977 del C.I.P.A.A., ma compresa nella comunita' montana del Mugello, e dopo aver svolto una lunga disquisizione in ordine al contenuto della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985, che prevedeva i benefici completi per le zone dichiarate montane, e nulla prevedeva per le zone svantaggiate in agricoltura, chiedeva una sentenza di accertamento in relazione, appunto, alla applicabilita' della sentenza n. 370/1985 della Corte costituzionale, anche alle zone svantaggiate, e, ove non si ritenesse possibile, sollevava questione di costituzionalita'. Alla udienza, stabilita avanti il Giudice istruttore designato, si costituiva il contraddittorio e mentre l'attore insisteva nella domanda, il Servizio contributi agricoli unificati, costituendosi, sollevava una serie di eccezioni e precisamente: 1) la sussistenza della litis pendenza, in quanto sussisterebbe causa identica davanti al giudice del lavoro di Firenze; 2) la competenza territoriale e funzionale del giudice ordinario, perche' sarebbe competente nel primo caso il tribunale di Roma e nel secondo il giudice del lavoro di Firenze; 3) nel merito, la infondatezza della domanda, nonche' della ipotetica questione di legittimita' costituzionale. Dopo alcuni rinvii, le parti precisavano le conclusioni e queste precisate la causa passava in decisione. Il collegio rileva che in relazione alle eccezioni sollevate, sembra doversi pregiudizialmente trattare la questione della litis pendenza, rispetto alle altre per il suo carattere pubblicistico, conseguente al principio del ne bis in idem (Cassazione 3 marzo 1976, n. 417). L'eccezione di litis pendenza sollevata dallo S.C.A.U. non appare fondata e va rigettata. Oppone lo S.C.A.U. che la presente domanda radicata avanti il tribunale di Firenze, sarebbe, non solo sul piano soggettivo, ma anche sotto il profilo oggettivo eguale a quella gia' promossa avanti il pretore di Firenze in veste di giudice del lavoro ed attualmente pendente avanti la suprema Corte di cassazione, per non avere le parti prestato acquiescenza alle decisioni intervenute in quel giudizio. Secondo la prevalente giurisprudenza la litis pendenza presuppone l'oggettiva identita' tra due cause contemporaneamente pendenti, la quale si determina in base al petitum e alla causa petendi e non gia' in base alle questioni di fatto o di diritto che debbono essere risolte dal giudice per pervenire alla decisione della controversia (Cass. 1 marzo 1976, n. 664). L'istituto della litis pendenza tende ad impedire il simultaneo esercizio della funzione giurisdizionale sulla stessa controversia da parte di piu' giudici; cio' comporta che, ai fini della regiudicata gli elementi del rapporto processuale - personale, petitum, causa petendi - debbono essere identici in entrambi i giudizi. Orbene raffrontando il petitum della presente domanda giudiziale con quella che ha attivato il procedimento avanti la pretura di Firenze, emerge una profonda diversita'. Infatti nel giudizio radicato avanti la pretura di Firenze ed attualmente pendente avanti la suprema Corte di cassazione, si chiede la condanna dello S.C.A.U. alla restituzione dei contributi agricoli unificati che la azienda del Frescobaldi ubicata in zona difficile avrebbe indebitamente versato per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985. Si tratta di una tipica azione costitutiva di condanna che nulla ha in comune con il petitum che contraddistingue la domanda giudiziale introduttiva del presente giudizio. In quest'ultimo caso, infatti, parte attrice ha dato corso ad un'azione di mero accertamento (e non di condanna come quella radicata precedentemente), volta in primis a verificare l'ubicazione in zona svantaggiata, cosi' come geograficamente individuata dall'attrice, con conseguente applicazione, non solo degli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985, ma anche di tutti i benefici anche sul piano previdenziale, che la legge riserva alle imprese agricole che operano in zone disagiate sul piano economico-sociale. Questo tipo di azione non e' affatto identica a quella in precedenza radicata che e' diretta ad ottenere in restituzione i contributi agricoli unificati versati a far tempo dal 1981 dalla azienda del Frescobaldi che, sebbene ubicata in zona svantaggiata non sarebbe tenuta al pagamento di tali oneri sociali, in dipendenza della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985. Ma anche sotto il profilo della causa petendi la presente profondamente diversa da quella precedentemente esercitata. Infatti la causa petendi del giudizio precedentemente radicato va qualificata come tipica azione di indebito oggettivo di cui all'art. 2033 del cod. civ., come peraltro precisato dalla suprema Corte di cassazione a sezioni unite (sentenza n. 4085/1989). Questi elementi non sono comuni alla presente domanda giudiziale, che vanta presupposti di diritto profondamente diversi e comunque non riconducibili alla condictio indebiti. Di qui discende che non essendo identici in entrabi i giudizi, il petitum ovvero la causa petendi, non puo' invocarsi, sul piano processuale, la litis pendenza di cui all'art. 39 del c.p.c., che, invece, per la sua configurabilita' reclama una assoluta coincidenza di tutti gli elementi del rapporto processuale, che contraddistinguono i diversi procedimenti. Anche l'eccezione di nullita' dell'atto di citazione, sollevata dallo S.C.A.U., per violazione dell'art. 163, n. 3, del c.p.c., si presenta non condivisibile e comunque persuasiva sul piano logico- giuridico. E' appena il caso di ricordare che con riferimento in particolare all'incertezza dell'oggetto della domanda, occorre che essa sia assoluta e che non sia possibile individuare attraverso un esame complessivo dell'atto, quale sia il petitum (Cass. 10 giugno 1976, n. 2125). Un esame complessivo della domanda giudiziale evidenzia che il petitum e' determinabile nei suoi aspetti e connotati piu' significativi e qualificabili, talche' lo S.C.A.U. e' stato in grado di poter svolgere efficacemente la propria difesa sul piano tecnico. Il petitum della domanda giudiziale si sostanzia nella richiesta di accertamento della collocazione in zona disagiata ai sensi dell'art. 15 della legge n. 984/1977 dei terreni costituenti l'azienda agricola del Frescobaldi, che comporta l'applicazione di un regime di favore, anche sul piano previdenziale delle imprese agricole ivi insediate, secondo quanto dispone l'art. 13 della legge n. 537/1981. Laddove, invece, quest'ultima norma, che equipara agli effetti previdenziali, le zone montane a quelle svantaggiate, non consentisse una completa omogeneita' di trattamento fra le stesse, rimanendo le aree disagiate insensibili agli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 254/1988 e dalla sentenza della Corte costituzionale n. 254/1988 e della sentenza della Corte di cassazione n. 5140/1990, allora deve esaminarsi la fondatezza o meno della questione di costituzionalita' dell'art. 13 legge n. 537/1981 per violazione dell'art. 11 della Carta costituzionale. Non pare che cosi' articolata la domanda giudiziale contenga un petitum generico ed interminabile ai sensi dell'art. 163, n. 3, del c.p.c. Diversa questione e' la ammissibilita' o la proponibilita' di tale azione, che nulla ha a che vedere, sul piano processuale, con l'indeterminatezza del petitum, prevista come causa di nullita' dell'atto di citazione. D'altra parte nel nostro ordinamento processuale e' pienamente ammissibile l'azione di accertamento, la quale diversamente da quella di condanna, ha per solo presupposto uno stato di incertezza giuridica su un rapporto o su un fatto giuridicamente rilevante ed e' rivolta a conseguire, per mezzo del processo, la certezza giuridica su di esso, con il valore definitivo ed incontestabile dell'accertamento giurisdizionale (Cassazione 24 gennaio 1966, n. 277). Orbene a questa situazione di incertezza, che governa la azienda agricola del Frescobaldi si vuole porre fine, tramite l'accertamento giurisdizionale, verificando se l'equiparazione sancita dall'art. 13 della legge n. 537/1981, anche ai fini previdenziali, fra zone montane e aree svantaggiate si spinge al punto di applicare indistintamente gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985, ovvero, in difetto, esaminando la compatibilita' costituzionale della norma in questione. Anche sotto questo profilo l'eccezione dello S.C.A.U. di nullita' dell'atto di citazione per violazione dell'art. 163 del c.p.c. non appare fondata, essendo sufficientemente determinato l'editio actionis. Nella comparsa di costituzione e risposta lo S.C.A.U. eccepisce, pure, l'incompetenza territoriale ovvero per materia dell'adito tribunale, dovendosi devolvere la controversia nel primo caso alla cognizione del tribunale di Roma, mentre nella seconda ipotesi al giudice del lavoro di questo tribunale. Pare al collegio che rispetto alle eccezioni processuali di incompetenza dell'adito tribunale sollevate dallo S.C.A.U., debba essere esaminata la eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata da parte attrice. E cio' in ossequio all'indirizzo giurisprudenziale della Corte costituzionale secondo cui "il giudice di merito puo' sollevare legittimamente la questione di costituzionalita' in limine litis, prima ancora di scendere all'esame della propria competenza sul merito" (Corte costituzionale 26 gennaio 1957, n. 30, n. 61/57). E' chiaro, infatti, che il giudice delle leggi per accertare la competenza per territorio ovvero rationae materiae dell'adito Tribunale, dovrebbe espletare indagini strettamente aderenti al merito della contestazione pendente. Cio' non e' consentito data la separazione fra il giudizio principale e quello sulla pregiudiziale di incostituzionalita', che si svolge davanti alla Corte costituzionale su un piano diverso per l'oggetto e per la finalita'. Queste considerazioni valgono altresi' per la eccezione di litis pendenza (in tal senso la Corte costituzionale n. 30/1957) e per quella di nullita' dell'atto di citazione del giudizio per violazione dell'art. 163, n. 3 del c.p.c. Passando dunque a trattare della questione di illegittimita' costituzionale sollevata nella domanda giudiziale, il collegio rileva che tale questione appare rilevante e non manifestatamente infondata. La rilevanza e fondatezza dell'eccezione di illegittimita' costituzionale, fonda il suo presupposto qualificante nella interpretazione ed applicazione dell'art. 13 della legge n. 537/1981 contenuta nella sentenza della Corte costituzionale n. 254/1989 da cui, poi, prende le mosse l'orientamento della suprema Corte di cassazione, allorche' ritiene insensibili le aree disagiate di cui all'art. 15 della legge n. 984/1977 agli effetti della decisione n. 370/1985 della stessa Corte costituzionale. Nell'esaminare la eccezione di illegittimita' costituzionale sollevata dalla parte istante, occorre lo spunto dal c.d. diritto vivente e cioe' come l'art. 13, ultimo comma, della legge 537/1981, viene interpretato in relazione alla sentenza della Corte costituzionale 30 dicembre 1985, n. 370, che ha dichiarato l'illegittimita' costituzionale degli artt. 7 e 8 della legge n. 41/1978 relativi ai territori montani, per non trovare applicazione anche per le zone agricole svantaggiate, individuate in base all'art. 15 della legge n. 984/1977. Secondo il pensiero della giurisprudenza della Cassazione (sezione lavoro 1 giugno 1990, n. 5140) la legge n. 984/1977 considerata (art. 15, lett. a), le zone collinari e montane nell'ottica dello sviluppo sull'economia agricola nazionale considerata nel suo complesso (art. 1) mediante formazione di piani nazionali (art. 4) adottata nel rispetto dei criteri indicati da un apposito organo (Comitato interministeriale per la politica agricola e alimentare: artt. 21 e 3) con una serie di provvidenze finanziarie dirette, attuate tramite le regioni e di agevolazioni fiscali (artt. 5 e 7), volte al conseguimento degli obiettivi specificatamente indicati (art. 10). In definitiva, oggetto della normativa non e' soltanto la montagna, ma lo sviluppo di tutta la economia agraria nazionale. D'altra parte anche la Corte costituzionale (sentenza n. 524 del 16 maggio 1989), chiamata a pronunciarsi sulla estensibilita' alle zone svantaggiate degli effetti della sentenza n. 370/1985, ha ritenuto che il sistema di interventi per le zone agricole svantaggiate riveste aspetti distintivi di originale connotazione, rientrante in un unicum normativo sufficientemente razionale per gli effetti che ne derivano, senza che possano su di esso automaticamente applicarsi differenti principi che propriamente attengono ai territori montani. Secondo la giurisprudenza, pertanto, l'equiparazione, ai fini contributivi, fra zone montane e quelle svantaggiate, sancita dall'art. 13 della legge n. 402/1981 non si spinge al punto di rendere applicabile alle aree disagiate gli effetti della sentenza della Corte costituzionale n. 370/85, che, ha dichiarato costituzionalmente illegittime le disposizioni che discriminavano per le imprese agricole l'insorgere dell'obbligazione contributiva in ragione del mero dato altimetrico di ubicazione dell'azienda (esenzione totale dal pagamento degli oneri sociali per le imprese agricole ubicate in zona montana al di sopra dei 700 metri; pagamento al 40% dei contributi agricoli unificati dovuti dalle aziende agricole che operano in zona montana ad altitudine inferiore ai 700 metri s.l.m.). La nuova situazione normativa, che si e' venuta a creare a seguito della sentenza n. 370/1985 della Corte costituzionale, comporta, secondo le indicazioni giurisprudenziali in precedenza evocate, un diverso regime di trattamento normativo fra zone montane e quelle svantaggiate, nonostante l'equiparazione fra le stesse introdotta dall'art. 13 della legge n. 402/1981. Infatti da un lato la sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985 eserciterebbe i suoi effetti unicamente a favore delle zone montane, con conseguente esenzione dal versamento dei contributi agricoli unificati per le aziende agricole ivi impegnate; dall'altro le zone svantaggiate resterebbero destinatarie di un regime normativo autonomo in materia previdenziale, nel senso che la disciplina dei contributi agricoli unificati continuerebbero a riconoscere alle aziende agricole ubicate ad una altitudine inferiore ai 700 metri s.l.m. la riduzione degli oneri sociali, mentre le imprese che operano in zona svantaggiata ad altitudine superiore ai 700 metri s.l.m., godrebbero dell'esonero dall'assolvimento del carico previdenziale, e cio' in virtu' dell'art. 13 della legge n. 402/1981. Se questo e' il quadro normativo cosi' come definito dalla Corte costituzionale (sentenza n. 259/1989) e dalle univoche indicazioni giurisprudenziali di illegittimita', che ritengono non omologabile il regime contributivo n. 370/1985, occorre verificare la sua piena compatibilita' con i principii costituzionali. Preliminarmente occorre valutare la piena compatibilita' dell'art. 13 della legge n. 402/1981, nell'interpretazione ed eccezione definita dalla giurisprudenza come sopra riassunta, con gli artt. 11 e 3 della Carta costituzionale non si appalesa manifestamente infondata. La direttiva comunitaria n. 75/268 ha introdotto una piena equiparazione fra le zone di montagna e quelle svantaggiate, predisponendo una comune normativa di favore, atteso che "il preesistente deterioramento dei redditi agricoli in tali zone rispetto alle altre regioni della comunita' e l'esistenza di condizioni di lavoro particolarmente difficili sono all'origine di un massiccio esodo agricolo e rurale, che alla fine si traduce nell'abbandono delle terre precedentemente coltivate e che, inoltre, mette a repentaglio la vitalita' medesima e il popolamento delle zone, la cui popolazione dipende essenzialmente dall'ecomia agricola". Nella citata direttiva comunitaria si precisa inoltre che "gli svantaggi naturali a carattere permanente esistenti in queste zone e dovuti soprattutto alla qualita' del suolo, alla pendenza e alla brevita' del periodo vegetativo, possono essere superati soltanto effettuando operazioni il cui costo sarebbe esorbitante: che tali svantaggi implicano costi di produzione elevati e impediscono alle aziende di beneficiare di un reddito analogo a quello delle aziende comparabili situate in altre regioni". Per questo, al fine di preservare l'attivita' agricola necessaria per il mantenimento di un livello minimo di popolazione o per la conservazione dell'ambiente naturale, gli Stati membri sono stati autorizzati ad istituire un regime particolare di aiuti, destinato ad incentivare l'attivita' agricola e a migliorare il reddito degli agricoltori (art. 1 della direttiva comunitaria). Nella individuazione delle zone agricole svantaggiate la direttiva comunitaria ha fissato i seguenti criteri: a) le zone di montagna sono composte di comuni o parti di comuni che devono essere caratterizzati da una notevole limitazione delle possibilita' di utilizzazione delle terre e un notevole aumento dei costi di lavoro: a causa dell'esistenza di condizioni climatiche molto difficili, dovute all'altitudine, che si traducano in un periodo vegetativo nettamente abbreviato; ovvero, ad una altitudine inferiore, a causa dell'esistenza, nella maggior parte del territorio, di forti pendii che rendono impossibile la meccanizzazione o richiedono l'impiego di materiale speciale assoi oneroso; ovvero, quando lo svantaggio derivante da ciascuno di questi fattori presi separatamente e' meno accentuato, a causa della combinazione dei due fattori, purche' la loro combinazione comporti uno svantaggio equipollente a quello che deriva dalle situazioni con- siderate nei primi due trattini; b) le zone svantaggiate minacciate di spopolamento e nelle quali e' necessario conservare l'ambiente naturale, sono composte da territori agricoli omogenei sotto il profilo delle condizioni naturali di produzione, che devono rispondere simultaneamente alle seguenti caratteristiche: esistenza di terre poco produttive, poco idonee alla coltura e all'intensificazione, le cui scarse potenzialita' non possono essere migliorate senza costi eccessivi e che si prestano soprattutto all'allevamento estensivo; a causa della scarsa produttivita' dell'ambiente naturale, ottenimento di risultati notevolmente inferiori alla media quanto ai principali indici che caratterizzano la situazione economica dell'agricoltura; scarsa densita', o tendenza alla regressione demografica, di una popolazione dipendente in modo preponderante dall'attivita' agricola e la cui concentrazione accelerata comprometterebbe la vitalita' e il popolamento della zona medesima. Possono essere assimilate alle zone svantaggiate secondo la normativa comunitaria, limitate zone nelle quali ricorrono svantaggi specifici e nelle quali il mantenimento dell'attivita' agricola e' necessario per assicurare la conservazione dell'ambiente naturale e la vocazione turistica o per motivi di protezione costiera. Criteri di ordine socio-economico, oltreche' naturali (difficolta' di conduzione del terreno, scarsa resa dello stesso, ecc.) sono posti, pertanto, alla base della normativa comunitaria, non solo per individuare le zone svantaggiate, ma anche per riservare alle stesse un trattamento di favore, per consentire all'agricoltura (che rappresenta in tali aree la componente economica principale) di sopravvivere. Tali situazioni e problemi delle zone svantaggiate sono comuni a quelle montane, dove - anzi - i ritardi socio-economici sono accentuati. per questo il legislatore comunitario ha avvertito, l'esigenza di non trattare in modo differenziato le zone svantaggiate e/o quelle montane, essendo comuni i bisogni e le necessita' per l'agricoltura, la quale esige interventi coordinati ed organici sul piano economico e finanziario per evitare il massiccio esodo delle popolazioni rurali alla ricerca di migliori condizioni di vita. Tali interventi sono mirati, sia ad elevare le condizioni di benessere economico delle popolazioni rurali impegnate nelle zone svantaggiate e montane, sia a migliorare le strutture produttive. La direttiva comunitaria accomuna, pertanto, nella disciplina le zone montane e quelle svantaggiate, essendo identici i bisogni e le esigenze per il mondo rurale, che reclamano un'azione politica, amministrativa e economica comune. La direttiva comunitaria n. 75/268 e' stata recepita nel nostro ordinamento positivo con legge 10 maggio 1976, n. 352. Alle zone svantaggiate, come individuate dalla normativa comunitaria fa pure riferimento la deliberazione del C.I.P.A.A. (Comitato interministeriale per la politica agricola e alimentare) pubblicata sul supplemento straordinario alla Gazzetta Ufficiale del 20 ottobre 1980, n. 288, assunta in esecuzione dell'art. 15, della legge n. 984/1977. Quest'ultima legge ha dettato principii fondamentali di coordinamento degli interventi pubblici nei settori della utilizzazione e valorizzazione dei terreni collinari e montani, sulla base di una piena equiparazione far tali zone ritenute disagiate. Secondo il C.I.P.A.A. in attuazione della legge n. 991/1952 e, successivamente della legge n. 1102/1971, sono considerate montane le circoscrizioni dei comuni situati per almeno l'80% della loro superficie al di sopra dei 600 metri di altitudine e di quelli nei quali il dislivello tra la quota altimetrica inferiore e superiore del territorio comunale non e' minore di 600 metri, sempreche' il reddito imponibile medio per ettaro censito non superi le L. 2.400. Possono essere pure inclusi i Comuni o le porzioni di Comune, anche non limitrofi ai precedenti, i quali pur non trovandosi nelle condizioni precedentemente ricordate, presentano pari condizioni economico-agrarie, con particolare riferimento ai comuni gia' classificati montani nel catasto agrario. E' prevista anche l'inclusione fra territori montani di ambienti che, connessi sotto il profilo idrogeologico o per altri aspetti rilevanti ai territori gia' classificati. In sostanza, soprattutto a norma della stessa legge n. 1102/1971 e in connessione coi suoi obiettivi, la montagna cessa di essere solo un fatto altimetrico e viene piuttosto considerata come ambiente sociale ed economico con caratteri, necessita' ed utilita' proprii di situazioni che sono presenti quasi ovonque nelle zone ad altitudine elevata, ma che possono essere anche presenti in altre zone assimilabili. Altra delimitazione - secondo il C.I.P.A.A. - e' quella indicata dalla direttiva CEE n. 268/75 a favore dell'agricoltura di montagna e di talune zone svantaggiate, recepita con legge nazionale n. 352/1976. Le zone agricole svantaggiate comprendono - secondo il C.I.P.A.A. - zone di montagna nelle quali l'attivita' agricola risulta necessaria per assicurare la conservazione dell'ambiente naturale e per rispondere ad esigenze turistiche, oltre ad altre zone in cui non sono assicurati il mantenimento di un livello minimo di popolazione e che, in ogni caso, siano caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilita' di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento dei costi del lavoro. In sostanza, secondo il piano agricolo nazionale, larghe fasce collinari dell'area appenninica e delle isole presentano, nelle prospettive e nei problemi di sviluppo, maggiori legami ed affinita' con le zone della montagna piuttosto che con quelle della pianura. Da quadro sopra esposto emerge in termini incontrovertibili che il piano agricolo nazionale, nell'elaborazione dei programmi di intervento per valorizzare le aree di montagna e di collina, dia per scontata la comunanza di situazioni, che ha reso disagiate e depresse tali aree sul piano sociale ed economico. L'impiego programmatico del piano agricolo nazionale attraverso il C.I.P.A.A., e' stato quello di assicurare uno sviluppo armonico e coerente delle aree montane e collinari che presentano comuni bisogni ed esigenze da affrontare. L'assimilazione fra zona montana e collinare contenuta nel piano agricolo nazionale, approvato dal C.I.P.A.A., dimostra che l'art. 13 della legge n. 537/1981, che estendeva alle zone svantaggiate il re- gime di favore previsto sul piano contributivo per le zone montane, ha confermato quella tendenza di applicare interventi agevolati in modo omogeneo. Infatti si e' esteso il regime contributivo di favore riservato alle zone montane a quelle collinari, cosi' come individuate dalla legge n. 984/1977, perequando entrambe le situazioni, in quanto in tali casi sono riscontrabili fenomeni di spopolamento e di conseguente dissesto. Tanto il piano nazionale elaborato dal C.I.P.A.A. per le zone marginali di cui all'art. 51 della legge n. 984/1977, quanto l'art. 13 della legge n. 537/1981, erano pienamente coerenti e funzionali alle direttive e prescrizioni comunitarie, volte a sostenere le zone disagiate abbisognose di incisive politiche di intervento per evitare la "deruralizzazione" di tali aree, come aveva osservato la Corte costituzionale nella sentenza n. 370/1985. Sotto un altro profilo il rinvio operato con riguardo all'art. 15 della legge n. 984/1977, dall'art. 13 della legge n. 537/1981, acquista un particolare significato. Infatti il richiamo all'art. 15 della legge n. 984/1977 va inteso nel senso che la delimitazione delle zone agricole svantaggiate, quale ambito territoriale, deve essere effettuata alla stregua degli indirizzi di politica agricola fissati dal C.I.P.A.A. In tal modo, infatti, si evidenzia il regionevole intento del legislatore del 1981 di raccordare e di armonizzare le agevolazioni di cui trattasi con lo strumento (il piano agricolo nazionale) per il tramite del quale si realizza la programmazione nel settore agricolo. L'inciso contenuto nell'art. 13 della legge n. 537/1981 "delimitate a sensi dell'art. 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984", riferito alle zone agricole svantaggiate introduce, ancorche' in via indiretta, il collegamento con gli indirizzi generali la cui fissazione e' demandata al C.I.P.A.A.; d'altra parte, il richiamo all'art. 15 della legge n. 984/1977 da parte dell'art. 13 della legge n. 537/1981, e' tale da potersi giustificare in funzione dell'intento del legislatore del 1981 di introdurre una particolare agevolazione contributiva a favore dei territori di collina (oltre che dei territori di montagna, considerati separatamente e specificatamente dall'art. 13). In caso contrario non si comprenderebbe la ragione per la quale l'art. 13 della legge n. 537/1981 conferma che, oggetto delle agevolazioni contributive sono i terreni montani, peraltro gia' interessati da questo beneficio con legge n. 41/1978. La ripetizione, invece, acquista un suo preciso significato in ragione del fatto che il C.I.P.A.A. aveva individuato, a sensi dell'art. 15 della legge n. 984/1977, le zone di intervento per la valorizzazione delle aree marginali in agricoltura, nelle zone montane e collinari. Per questo il legislatore del 1981 precisa che le zone indicate a sensi dell'art. 15 della legge n. 984/1977 sono da perequarsi ai fini contributivi, non riservando detto beneficio alle sole zone montane. Queste ultime, secondo il piano agricolo nazionale, vengono a far parte di un piu' ampio contesto territoriale, comprensivo anche delle aree collinari, che essendo caratterizzate da un imponente fenomeno di spopolamento e di degrado, venivano individuate unitariamente dal C.I.P.A.A. ai fini degli interventi economici. Aderire ad una apposita soluzione a quella prospettata, significa non solo superare il dettato normativo dell'art. 15 della legge n. 984/1977, ma anche il chiaro contenuto normativo del piano agricolo nazionale. Infatti il C.I.P.A.A. ha inteso ridisegnare le zone svantaggiate, utilizzando al riguardo, per individuare le zone di intervento, fonti preesistenti: in particolare la disciplina sulla montagna, quella contenuta nella legge 1 maggio 1976, n. 352, con cui si e' data attuazione alla direttiva CEE n. 273/85 e alle leggi sulle aree depresse (legge n. 454/1961) e relativi decreti ministeriali di attuazione. In altri termini il C.I.P.A.A. non ha proceduto ad una classificazione ex novo delle zone c.d. disagiate, ma ha inteso regolare e disciplinare la materia cosi' complessa e "stratificata", ridefinendo la nozione di area svantaggiata che ricomprende, oltre le zone montane, un piu' vasto territorio, che esige un trattamento normativo ed economico unico. Secondo la "filosofia" della legge n. 984/1977 le aree montane costituiscono una componente - ancorche' rilevante - delle zone agricole svantaggiate, ma non un fattore a se' stante da trattarsi, ai fini del piano agricolo nazionale separatamente e disgiuntamente dalla collina. Per questo riservate alle zone c.d. svantaggiate, formate dalle zone montane e collinari, in quanto costituenti un tutt'uno, un trattamento contributivo differenziato, significa introdurre delle distinzioni che sia l'art. 15 della legge n.984/1977, sia il piano agricolo nazionale, sia per le direttive comunitarie non avevano ragion d'essere, talche' il C.I.P.A.A. aveva individuato in modo unitario le aree marginali di intervento della programmazione economica. Una interpretazione dell'art. 13 della legge n. 537/1981 tesa a distinguere il trattamento contributivo fra zone montane e quelle svantaggiate, non coglie i profondi collegamenti che sussistono fra tale norma e quelle precedenti, di origine nazionale e comunitaria, che erano informate a realizzare obiettivi di piena equiparazione dei territori disagiati, che accusano i medesimi ritardi sul piano sociale ed economico. L'art. 13 della legge n. 537/1981, infatti, incide profondamente nel senso tracciato dalla direttiva comunitaria sulla necessita' di procedere ad una riduzione del costo del lavoro che, per le particolari condizioni naturali del territorio delle zone difficili, e' di ostacolo alla competitivita' delle imprese. Per le difficolta' di utilizzare nelle aree disagiate la meccanizzazione per la conduzione dei terreni agricoli che, fra l'altro, presentano forti pendii, le imprese agricole fanno largo ricorso alla mano d'opera salariata, i cui oneri sociali divengono non facilmente tollerabili. L'art. 13 della legge n. 537/1981 non poteva intodurre, dopo il recepimento delle direttive comunitarie e dopo l'approvazione del pi- ano agricolo nazionale che era in perfetta aderenza alle prescrizioni comunitarie, alcuna discriminazione, in ordine al trattamento contributivo fra zone montane e quelle collinari. Tale distinzione non avrebbe avuto alcuna ragionevole giustificazione, se si considera che le scelte comunitarie e di riflesso quelle nazionali, erano mirate ad assicurare forme di sostegno in termini unitari e complessivi delle aree difficili. Nella direttiva comunitaria si rimarca che nelle zone disagiate unitariamente considerate gli svantaggi naturali a carttere permanente esistenti e dovuti soprattutto alla qualita' del suolo, alla pendenza e alla brevita' del periodo vegetativo, possono essere superati soltanto effettuando operazioni il cui costo sarebbe esorbitante. Tali svantaggi implicano costi di produzione elevati ed impediscono alle aziende di beneficiare di un reddito analogo a quello delle aziende situate in altre regioni. Di qui scaturisce l'incongruenza dell'art. 13 della legge n. 537/1981 nella interpretazione fatta propria dal diritto vivente fra il sistema comunitario e quello nazionale, in quanto non si pone in sintonia con precise ed univoche scelte tese ad allineare il sistema dei benefici delle zone montane con quelle delle aree avantaggiate. Questo contrasto fra la disciplina positiva e quella comunitaria, peraltro, recepita nel nostro ordinamento positivo, viola l'art. 11 della Corte costituzionale, che sancisce il principio della piena integrazione del nostro ordinamento positivo in quello comunitario, che non ha adottato criteri discriminatori in materia di benefici. Il quadro di riferimento comunitario sulle zone svantaggiate, ha condizionato gli orientamenti e comunque gli interventi legislativi degli Stati membri, impegnati ad elaborare programmi coerenti ed adeguati alla linea tracciata in materia a livello comunitario. Le direttive comunitarie, a differenza dei regolamenti, non hanno di regola efficacia normativa diretta, in quanto si rivolgono generalmente agli Stati, ai quali richiedono l'adozione, entro certi limiti, di provvedimenti legislativi, regolamentari o amministrativi, per il conseguimento di determinati obiettivi comuni (Corte costituzionale n. 163/1977). Se si muove dalla premessa che l'adempimento degli impegni internazionali dello Stato sia un obbligo costituzionalmente garantito nell'ordinamento italiano, e' possibile anche attribuire in generale alle direttive comunitarie una serie di effetti immediati nell'ordinamento interno, paragonabili a quelli del regolamento: un'efficacia passiva che si esprimerebbe nella sia inderogabilita' da parte di leggi successive che, se incompatibili andrebbero invali- date. Le indicazioni comunitarie, quanto mai precise in materia di equiparazione, ai fini del trattamento normativo, fra zone montane e zone svantaggiate e confermate dalla successiva legislazione nazionale (art. 15 della legge n. 984/1977 e del successivo piano agricolo nazionale), sarebbero inevitabilmente frustrate e vanificate dall'art. 13 della legge n. 537/1981 che, invece, secondo l'interpretazione giurisprudenziale, non conserverebbe questo regime di perequazione. Infatti il regime di esenzione delle zone montane dai contributi agricoli unificati per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 370/1985, che aveva escluso discriminazioni di ordine altrimetrico nell'assolvimento degli oneri sociali, non e' stato ripetuto per le zone svantaggiate nonostante l'art. 13 della legge n. 537/1981. Queste ultime, pertanto, continuerebbero a godere di un trattamento diversificato sul piano previdenziale rispetto alle zone montane. Il mantenere questa diversita' contraddice le prescrizioni comunitarie e soprattutto ritarda la piena equiparazione fra le zone disagiate difficili, cosi' come voluto dal legislatore comunitario. Per questo l'art. 13 della legge n. 537/1981 solleva problemi di costituzionalita' in relazione all'art. 11 della Carta costituzionale, per aver disatteso non solo gli orientamenti legislativi nazionali in precedenza affermati, ma soprattutto le prescrizioni comunitarie. Ma quand'anche l'art. 13 della legge n. 402/1981 fosse conforme all'art. 11 della Carta costituzionale e segnatamente delle direttive comunitarie in materia di aree disagiate, lo stesso non pare reggere il confronto costituzionale con l'art. 3 della Carta costituzionale, per la diversita' di trattamento riservato alle imprese ubicate oltre i 700 metri rispetto a quelle ubicate al di sotto di tale livello altimetrico. L'unico criterio che scrimina il trattamento e' infatti quello altimetrico gia' ritenuto insufficiente dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 370/1985 che aveva pronunciato l'incostituzionalita' degli artt. 7 e 8 della legge n. 991/1952. L'art. 13 del d.-l. n. 402/1981, che disciplina la materia delle agevolazioni contributive per le imprese delle zone svantaggiate espressamente stabilisce: "a decorrere dal 1 gennaio 1981 le agevolazioni contributive previste .. dagli artt. 7, ultimo comma, e 8, primo comma, del d.-l. 23 dicembre 1977, n. 942, convertito in legge con modificazioni dalla legge 27 febbraio 1978, n. 541, si applicano alle aziende situate nei territori montani di cui al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 601, nonche' nelle zone agricole svantaggiate, delimitate ai sensi dell'art. 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984". L'agevolazione prevista dall'ultimo comma dell'art. 7 citato era l'esenzione del pagamento dei contributi agricoli unificati per le aziende con terreni oltre i metri 700 mentre l'agevolazione prevista dall'art. 8 era la riduzione del 40% dei detti contributi per le aziende con fondi ad altitudine inferiore. Una prima lettura delle norme si richiamate in conseguenza del rinvio agli artt. 7 e 8 della legge n. 942/1977, fa supporre che sia nei territori montani che nelle zone svantaggiate, operino aziende agricole con terreni ubicati al di sotto e al di sopra dei 700 mt. Le disposizioni che regolano la montagna sono contenute nella legge n. 991/1952. Dispone l'art. 1 della legge 25 luglio 1952, n. 991 (modificato dalla legge 4 marzo 1953, n. 175, ed espressamente richiamato dall'art. 3 della legge 3 dicembre 1971, n. 1102, contenente nuove norme sullo sviluppo della montagna, legge richiamata dalla legge 10 maggio 1976, n. 352) che sono considerati territori montani i comuni censuari situati per almeno l'80% della loro superficie oltre i mt 600 di altitudine e quelli dei comuni che tra la quota altimetrica inferiore a quella superiore abbiano un dislivello di almeno mt 600. Come si vede residuano dei terreni che, pur essendo ubicati oltre i 700 metri o per non essere l'intero agro comunale ubicato per almeno l'80% oltre i mt 600 o per non avere un dislivello tra le quote inferiore o superiore di almeno mt 600 non possono essere classificati montani e non possono pertanto godere degli interventi, agevolazioni e benefici dettati per lo sviluppo dei territori montani. Nelle zone svantaggiate ricadono (art. 15 della legge 27 dicembre 1977, n. 984) terreni di collina e di montagna. Alla stregua di tale normativa emerge che non solo nei territori montani, ma anche nelle zone svantaggiate sono ipotizzabili ed esistono aziende agricole con terreni ubicati oltre i mt 700 ed aziende agricole con terreni ubicati sotto i mt 700. Ora, nelle zone svantaggiate per il rinvio (o la serie di rinvii) operato dall'art. 13 del d.-l. n. 402/1989, almeno sino alla pubblicazione della sentenza n. 370/1985 della Corte costituzionale, le aziende agricole con terreni ad altitudine superiore ai mt 700 godevano dell'esenzione contributiva mentre le aziende con terreni ad altitudine inferiore beneficiava non solo delle riduzioni. La disparita' di trattamento in tema in agevolazioni sul pagamento dei contributi agricoli unificati in agricoltura, fondata esclusivamente sul criterio altrimetrico, appare, pertanto, viziata di incostituzionalita' a sensi degli artt. 3 e 42 della Costituzione per le ragioni svolte dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 370/1985. La Corte costituzionale, nella sentenza n. 370/1985 ebbe ad affermare un principio di carattere generale che puo' trovare applicazione in materia di aree disagiate. Il giudice delle leggi in quell'occasione preciso' che non poteva negarsi che fosse intimamente contradditorio da un lato tener conto del reddito imponibile che non superi le L. 2.400 (art. 1 della legge n. 657/1957), della poverta' dei territori, del loro "degradamento fisico" e "grave dissesto economico" (artt. 4 e 14 della legge n. 991/1952), delle "condizioni di disagio derivanti dall'ambiente montano", del "grado di dissesto idrogeologico" delle condizioni economico-sociali, delle aree depresse artt. 2 e 5 della legge n. 1102/1971) ai fini del riconoscimento di tutte le numerose provvidenze e agevolazioni previste dalla legislazione in materia di territori montani (artt. da 2 a 8 della legge n. 991/1952 e legge n. 1102/1971) e, dall'altro, negare a quegli elementi ogni rilevanza, allorche' un territorio, pur montano, sia sito ad una altitudine inferiore ai 700 metri. Orbene, questa situazione si registra simmetricamente anche nelle zone svantaggiate di cui all'art. 15 della legge n. 984/1977. Infatti, appare contraddittorio affermare, da un lato, che nelle zone svantaggiate si assiste a terre poco produttive, poco idonee alla coltura e all'intensificazione, le cui scarse potenzialita' non possono essere migliorate senza costi eccessivi e che si prestano soprattutto all'allevamento estensivo, ovvero ad un ambiente naturale scarsamente produttivo e che registra una tendenza alla regressione demografica (direttiva comunitaria n. 75/268), ovvero come assume il piano agricolo nazionale elaborato e approvato in esecuzione della legge n. 984/1977, che le zone disagiate (come ad esempio larghe fasce collinari dell'area appenninica e delle isole) sono caratterizzate da una notevole limitazione delle possibilita' di utilizzazione delle terre e da un notevole aumento dei costi del lavoro, ovvero della necessita' di incisive politiche di intervento per evitare la deruralizzazione di tali aree; e, dall'altro, negare a quegli elementi allorche' un territorio, pur se ubicato in zona svantaggiata, sia sito ad una altitudine inferiore ai 700 metri. Come si e' in precedenza dimostrato, le zone svantaggiate possono ricomprendere territori ubicati al di sopra dei 700 metri, quando gli stessi non presentano le tipiche caratteristiche per essere qualificati, sul piano normativo, come zona montana. L'azienda di cui e' titolare la parte istante e' ubicata in zona disagiata, ubicata al di sotto dei 700 metri e quindi dall'adozione dei criteri meramente altimetrico per discriminare il pagamento dei contributi agricoli unificati, appare irragionevole a sensi dell'art. 3 della Carta costituzionale. L'irragionevolezza e' tanto piu' manifesta nella fattispecie se si considera che l'azienda agricola della parte istante, pur essendo classificata come zona svantaggiata, e' compresa nella comunita' montana del Mugello; cioe' in una regione che presenta i tipici connotati delle aree montane.