ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 54, primo comma,
 della   legge   26   luglio  1975,  n.  354  (Norme  sull'ordinamento
 penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e  limitative
 della liberta'), sostituito dall'art. 18 della legge 10 ottobre 1986,
 n.  663  (Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla
 esecuzione delle  misure  privative  e  limitative  della  liberta'),
 promossi  con n. 4 ordinanze del Tribunale di sorveglianza di Palermo
 emesse il 9 e il 16 maggio, iscritte rispettivamente ai nn. 486, 487,
 567 e 568 del registro ordinanze 1991  e  pubblicate  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  nn.  28  e  38,  prima  serie speciale,
 dell'anno 1991;
    Visti gli atti di intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 4 dicembre 1991 il Giudice
 relatore Giuliano Vassalli;
    Ritenuto che il Tribunale di sorveglianza di Palermo, con  quattro
 ordinanze  di analogo contenuto pronunciate il 9 e il 16 maggio 1991,
 ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 27  e  111,  primo  comma,
 della  Costituzione,  questione  di  legittimita' dell'art. 54, primo
 comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354,  sostituito  dall'art.  18
 della  legge  10  ottobre 1986, n. 663, nella parte in cui stabilisce
 che ai fini  della  liberazione  anticipata  "e'  valutato  anche  il
 periodo  trascorso  in stato di custodia cautelare" nella forma degli
 arresti domiciliari (art. 284 c.p.p.);
      e che nei giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  Generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;
    Considerato  che  le ordinanze sollevano questioni analoghe, donde
 la riunione dei relativi giudizi;
      che questa Corte, chiamata a pronunciarsi su identica questione,
 nel dichiararne l'infondatezza, ha  statuito  (sentenza  n.  352  del
 1991)  che  spetta  "al giudice valutare se nel comportamento serbato
 dall'interessato  nel  corso  della  custodia  cautelare",  sia  essa
 attuata in sede carceraria che nella forma degli arresti domiciliari,
 "possano  essere  rinvenuti  quegli  elementi  che  la giurisprudenza
 indica come sintomatici della  evoluzione  della  personalita'  verso
 modelli   socialmente   validi,   del  ravvedimento  improntato  alla
 revisione delle motivazioni  che  avevano  indotto  il  condannato  a
 perseguire scelte criminali ed, infine, del progressivo abbandono dei
 disvalori  sui  quali  tali scelte si fondano"; sicche', accertata la
 ricorrenza di tali presupposti, "la riduzione di pena  si  giustifica
 quale  riconoscimento  della partecipazione all'opera rieducativa, la
 quale, anche se attuata "spontaneamente" ed al di fuori del  circuito
 penitenziario,   non  per  questo  cessa  di  essere  riguardata  dal
 legislatore    come    parametro    unitario    e     concettualmente
 indifferenziato,  alla  cui stregua la concessione del beneficio puo'
 concretamente   volgersi   a   soddisfare    la    funzione    tipica
 dell'istituto";
      che  il  principio di uguaglianza e quello sancito dall'art. 27,
 terzo comma, della Costituzione non  possono  pertanto  ritenersi  in
 alcun  modo  vulnerati  dalla disposizione oggetto di denuncia, posto
 che "i medesimi criteri di valutazione  e  gli  stessi  parametri  di
 riferimento   alla   cui   stregua  il  giudice  ritiene  provata  la
 partecipazione del condannato alle opportunita' offertegli nel  corso
 del trattamento penitenziario, devono valere anche agli effetti della
 omologa  delibazione  che  il  giudice  stesso e' chiamato a compiere
 circa la condotta mantenuta dall'interessato nel corso della custodia
 cautelare";
     che le considerazioni  dianzi  esposte  valgono,  a  fortiori,  a
 dissipare  il  dubbio,  sollevato  dal  Tribunale  di sorveglianza di
 Palermo nella ordinanza del 9 maggio 1991 (R.O. 567 del 1991), che la
 norma impugnata contrasti anche con l'art. 111,  primo  comma,  della
 Costituzione;
      e  che  pertanto,  non  adducendo  le  ordinanze  di  rimessione
 argomenti nuovi o diversi rispetto a quelli  esaminati  con  la  gia'
 citata   sentenza  n.  352  del  1991,  la  questione  proposta  deve
 dichiararsi manifestamente infondata;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale;