ha pronunciato la seguente
                               ORDINANZA
 nei  giudizi  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 443, secondo
 comma, del codice  di  procedura  penale  promossi  con  le  seguenti
 ordinanze:
      1)  ordinanza  emessa il 19 aprile 1991 dalla Corte d'appello di
 Roma nel procedimento penale a carico di Beniamino Narduzzi, iscritta
 al n. 525 del registro ordinanze 1991  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale  della  Repubblica  n.  33, prima serie speciale, dell'anno
 1991;
      2)  ordinanza  emessa il 26 febbraio 1991 dal Pretore di Catania
 nei procedimenti penali riuniti a carico di Antonia Crimaldi ed altri
 iscritta al n. 588 del registro ordinanze  1991  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  39, prima serie speciale,
 dell'anno 1991;
      3) ordinanza emessa il 21 giugno 1991 dalla Corte di  cassazione
 sul  ricorso  proposto  da  Leonardo  Sanna  iscritta  al  n. 627 del
 registro ordinanze 1991 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1991;
    Visti  gli  atti  di  intervento  del Presidente del Consiglio dei
 ministri;
    Udito nella camera di consiglio del 18 dicembre  1991  il  Giudice
 relatore Enzo Cheli;
    Ritenuto  che  nel  processo  di  appello  avverso  la sentenza di
 condanna emessa a seguito di giudizio  abbreviato  dal  Tribunale  di
 Roma nei confronti di Beniamino Narduzzi, la Corte d'appello di Roma,
 con  ordinanza  del  19  aprile  1991  (R.O.  n.  525  del  1991), ha
 dichiarato rilevante e non manifestamente infondata - in  riferimento
 all'art.   3  della  Costituzione  -  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale dell'art. 443, secondo comma, del codice di  procedura
 penale, che detta limiti all'appello avverso le sentenze adottate con
 il  rito  abbreviato,  precludendo  all'imputato l'appello "contro le
 sentenze di  condanna  a  una  pena  che  comunque  non  deve  essere
 eseguita";
      che   nell'ordinanza   di  rinvio  si  evidenzia  come  il  rito
 abbreviato corrisponda ad una esigenza di sollecitudine  di  giudizio
 "comune,  oltre  che  ad  imputati  colpevoli, ad imputati che sono o
 vogliono essere riconosciuti innocenti";
      che pertanto, secondo il giudice remittente, la conclusione  del
 giudizio  abbreviato  con  una sentenza di condanna - anche se a pena
 soggetta a sospensione condizionale - da un lato delude l'aspettativa
 dell'imputato,  il  quale  fonda  la  propria  convinzione   di   non
 colpevolezza  su una valutazione degli elementi di giudizio acquisiti
 diversa da quella compiuta dalla sentenza  e,  dall'altro,  impedisce
 all'imputato   stesso  di  sperimentare  l'appello,  unico  mezzo  di
 impugnazione con cui possono essere dedotti motivi di  merito  ed  e'
 possibile ottenere una nuova valutazione degli elementi di giudizio;
      che  da  tale  situazione  deriverebbe  -  sempre  ad avviso del
 giudice a quo - una condizione ingiustificatamente deteriore per  gli
 imputati  con  pena  sospesa  rispetto  agli  imputati  che non hanno
 ricevuto quel beneficio;
      che nel giudizio dinanzi alla Corte ha  spiegato  intervento  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
 dichiarata infondata;
      che  nel  procedimento  a  carico  di  Antonia Crimaldi ed altri
 diciassette imputati del reato di cui  all'art.  20  della  legge  28
 febbraio  1985,  n.  47,  il Pretore di Catania, con ordinanza del 26
 febbraio 1991 (R.O. n. 588  del  1991),  ha  sollevato  questione  di
 legittimita'   costituzionale   -   in  relazione  all'art.  3  della
 Costituzione - dell'art. 443, secondo comma, del codice di  procedura
 penale  che  detta i limiti dell'appello avverso le sentenze adottate
 con   il   rito   abbreviato   escludendo   "il  diritto  di  appello
 dell'imputato avverso  la  sentenza  di  condanna  ad  una  pena  che
 comunque non deve essere eseguita";
      che  il giudice a quo ha riproposto integralmente la motivazione
 di una sua precedente ordinanza di  rimessione  del  12  giugno  1990
 (emessa  nello  stesso  procedimento  e  dichiarata  dalla Corte, con
 l'ordinanza  n.   566   del   28   dicembre   1990,   "manifestamente
 inammissibile"  perche'  "prematura"), denunciando il contrasto della
 norma impugnata con l'art. 3 della Costituzione;
      che nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del Consiglio dei ministri, rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura
 generale  dello  Stato,  chiedendo  che  la  questione sia dichiarata
 inammissibile e comunque infondata;
      che con ordinanza del 21 giugno 1991 (R.O. n. 627 del 1991),  la
 Corte  di  cassazione  ha  dichiarato  rilevante e non manifestamente
 infondata - in relazione all'art. 3 della Costituzione - la questione
 di legittimita' costituzionale  dell'art.  443,  secondo  comma,  del
 codice  di procedura penale, denunciando la ingiustificata disparita'
 di trattamento operata dalla disposizione impugnata  "tra  l'imputato
 che,  non  avendo goduto del beneficio della sospensione condizionale
 della pena, e' posto nella condizione di impugnare la sentenza con un
 gravame che gli consente di provocare  una  nuova  valutazione  delle
 prove a suo carico o della gravita' oggettiva e soggettiva del reato,
 in  funzione  della  misura della pena che e' stata a lui in concreto
 inflitta, e l'imputato che, solo perche' ha goduto di quel beneficio,
 e', invece, privato della possibilita' di quel gravame,  pur  essendo
 egualmente interessato alla assoluzione o ad una pena piu' mite";
      che nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
 del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
 generale dello Stato, chiedendo una pronuncia di infondatezza;
    Considerato  che  i  giudizi,  in  quanto  relativi  a   questioni
 identiche, vanno riuniti e decisi congiuntamente;
      che  questa  Corte,  con  la sentenza 23 luglio 1991, n. 363, ha
 gia'  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale   dell'art.   443,
 secondo  comma,  del  codice  di  procedura penale nella parte in cui
 stabilisce  che  l'imputato  non  puo'  proporre  appello  contro  le
 sentenze  di  condanna  ad  una  pena  che  comunque  non deve essere
 eseguita;
      che, pertanto, le  questioni  dedotte,  avendo  ad  oggetto  una
 disposizione  gia'  dichiarata costituzionalmente illegittima, devono
 essere dichiarate manifestamente inammissibili;
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi dinanzi
 alla Corte costituzionale;