IL PRETORE
    Nei procedimenti penali riuniti  nn.  673/1991  e  1118/1991  r.g.
 rispettivamente a carico di Santalucia Angela e Tinebra Lucia e Varni
 GianEmilio;
    Ritenuto  che  i p.m. ha sollevato preliminarmente la questione di
 costituzionalita'l  con  riferimento  agli  artt.  3   e   24   della
 Costituzione,  dell'art. 197, lettera b), del c.p.p. 1988 nella parte
 in cui lo stesso ammette che possano essere assunti come testimoni le
 persone imputate di un reato collegato a quello per  cui  si  procede
 nel  caso  previsto  dall'art.  371,  secondo  comma, lettera a), del
 c.p.p..
    Ritenuto che il p.m. cosi motivata la propria eccezione:  "con  il
 presente  atto si eccepisce l'illegittimita' costituzionale dell'art.
 197, primo comma, lettera b), per contrasto con  gli  artt.  3  e  24
 della  Costituzione  nella  parte  in  cui ammette che possano essere
 assunti come testimoni le persone imputate di un  reato  collegato  a
 quello  per  cui  si procede nel caso previsto dall'art. 371, secondo
 comma, lettera a), (parte finale).
    Questi  i fatti di causa. Santalucia e Tinebra sono stati tratti a
 giudizio per rispondere del reato di oltraggio in danno di Varni.  In
 procedimento  separato  Varni  e'  stato invece tratto a giudizio per
 rispondere del reato  di  ingiurie  commesse  nel  medesimo  contesto
 spazio-temporale  in  danno  di  Santalucia.  In ciascun dibattimento
 Santalucia/Tinebra  e  Varni  risultano  rispettivamente  imputati  e
 testimoni:  non  vi  e'  dubbio infatti che secondo l'art. 197 non e'
 incopatibile che una persona,  imputata  di  un  reato  commesso  nel
 medesimo  contesto in danno di altro soggetto, assuma nel processo in
 cui l'altra parte offesa e' invece imputata, l'ufficio di testimone.
    L'art. 197 infatti vieta l'assunzione come teste - tra l'altro per
 quello che ci interessa - solo  del  coimputato  dello  stesso  reato
 (conformemente  alla  precedente disciplina) o delle persone imputate
 di un reato connesso a norma dell'art. 12 del c.p.p. o  di  un  reato
 collegato a norma dell'art.  371, lettera b), del c.p.p.. Non prevede
 invece  il  caso  delle  persone  imputate di reati commessi in danno
 reciproco le une delle altre, come avviene nella fattispecie.  Questo
 p.m. ha presentato la lista testimoniale ex art. 468 del c.p.p. e ora
 dovrebbe  chiedere  come mezzo di prova anche l'esame testimoniale di
 Varni; all'inverso dovrebbe fare nel distinto procedimento penale. Da
 qui la rilevanza della questione che qui si propone.
    E'  indiscutibile  peraltro  che  non  si  possa   fare   a   meno
 dell'acquisizione  in  dibattimento delle dichiarazioni che sui fatti
 potrebbe rendere Varni: opinando diversamente, si  avrebbe  l'assurdo
 di  privare  in  anticipo il p.m. di una fonte di prova da sottoporre
 all'esame del giudice, in contrasto  oltre  tutto  con  il  principio
 dell'obbligatorieta' dell'azione penale che ha come corollario quello
 dell'esperimento  doveroso  di tutti i mezzi istruttori per accertare
 la verita'.
    Il problema che qui si intende sollevare allora  e'  il  seguente.
 Premessa  la  necessaria  audizione  della  persona imputata di reato
 commesso reciprocamente in danno di altri,  la  questione  e'  quella
 relativa  alla  tipologia del mezzo di prova da esperirsi, e cioe' se
 con acquisizione di testimonianza regolata dagli artt.  194  ss.  del
 c.p.p.  o con esame della parte ex art. 210 del c.p.p. primo e ultimo
 comma, che e'  la  forma  prevista  dal  codice  per  raccogliere  le
 dichiarazioni  rese  dalle  persone  indicate sopra ovvero coimputate
 dello stesso reato persone imputate di  un  reato  connesso  a  norma
 dell'art.  12  del  c.p.p.  o di un reato collegato a norma dell'art.
 371, lettera b), del c.p.p.
    Va qui ricordato che l'art. 12 del c.p.p. non prevede affatto  tra
 le  cause  di  connessione  di  procedimenti  l'ipotesi in questione,
 mentre questa e prevista tra le cause riunite dei processi. A  questo
 riguardo  tuttavia si rileva che, per il discorso che stiano facendo,
 non ha alcun rilievo  che  i  due  processi  siano  o  meno  riuniti:
 infatti,  anche  se  la  riunione venisse disposta, si verificherebbe
 ugualmente il fatto che gli stessi soggetti imputati  vadano  assunti
 anche   come   testimoni   a  carico  dell'altro.  Allo  stato  della
 legislazione non e' dunque possibile assumere con formalita'  diverse
 dalla  vera  e  propria  testimonianza  la  dichiarazione  del teste-
 imputato di reato collegato a norma  dell'art.  371,  secondo  comma,
 lettera a).
    Si rileva per inciso che questo problema e' un derivato tipico del
 nuovo  c.p.p.  perche',  essendosi  ridotti  i casi di connessione di
 procedimenti rispetto a quelli previsti dall'art. 45  del  precedente
 codice  di  rito,  si  sono anche automaticamente ridotti, rispetto a
 quanto  previsto  dagli  artt.  348  e 448- bis e 450- bis del c.p.p.
 precedente, i casi in cui veniva disposto il libero interrogatorio di
 imputato-teste.
    Orbene, tutto cio' a parere di questo  f.m.  e'  incostituzionale.
 invero,   non  sono  oggi  affatto  mutate  le  ragioni  che  avevano
 consigliato il legislatore del 1930 ad istituire una  presunzione  di
 inattendibilita'  relativa  per  coloro che fossero imputati di reati
 commessi in danno reciproco gli uni degli altri. E' evidente  infatti
 che  ciascuno  di tali soggetti non e' estraneo alla lite e come tale
 e' protatore di interessi particolari che ne minano la credibilita'.
    Giustamente  il  codice  precedente  aveva  stabilito  che  quelle
 persone  potessero  essere sentite con formalita' che sono una via di
 mezzo tra l'esame dell'imputato e  la  deposizione  del  teste:  cio'
 infatti   e'   al   tempo   stesso   garanzia   di   non   rinunciare
 pregiudizialmente a nessuno  apporto  probatorio,  ma  anche  di  non
 attribuire   alla  prova  ricavabile  da  quelle  persone  un  valore
 equivalente (almeno sul piano astratto)  a  quello  di  un  qualsiasi
 altro testimone effettivamente non interessato alla causa.
    Quelle  stesse  ragioni pertanto dovrebbere giustificare anche nel
 nuovo codice processuale un'identica disciplina per lo stesso caso.
    Ne' vale obiettare che la persona imputata di reato  collegato  ex
 art.  371,  secondo  comma,  lettera a), stante il suo coinvolgimento
 personale, sara' valutata dal  giudice  con  particolare  e  rigorosa
 cautela:  invero,  il  giudice fara' sicuramente bene ad agire in tal
 modo, ma altro e' auspicare il vaglio prudente delle  prove  ai  fini
 del  libero  convincimento,  altro e' il qualificare gia' in anticipo
 una fonte di prova come "sospetta" e circondarla percio' di  speciali
 cautele  che  permettano di scongiurare rischi di strumentalizzazione
 che permettano  di  scongiurare  rischi  di  strumentalizzazione  del
 processo penale a fini personali.
    Basti   infatti   osservare   che   con   l'attuale  normativa  la
 dichiarazione resa sotto "giuramento" ( ex art. 497 del c.p.p.) dalla
 persona  imputata  di  reato  collegato  ha  un'efficacia  probatoria
 superiore  a quella resa dall'imputato e quindi in un processo in cui
 essa fosse la sola fonte di prova a carico la  decisione  ne  sarebbe
 sensibilmente condizionata.
    Orbene, avviandoci alla conclusione, va posta in seria discussione
 la  ragionevolezza del principio dal quale deriva un pari trattamento
 tra persone che si trovano  in  situazione  disomogenea:  la  mancata
 inclusione  nell'art.  197 del c.p.p. delle persone imputate di reato
 collegato come sopra definito comporta infatti la loro  equiparazione
 alle  altre  persone che non hanno alcun coinvolgimento nella vicenda
 per cui si procede. Da cio'  a  parere  del  f.m.  deriva  una  grave
 compromissione del diritto di difesa di ciascun imputato a carico del
 quale  viene  acquisita  come  prova d'accusa non solo la (eventuale)
 testimonianza di un soggetto  realmente  indifferente,  ma  anche  (e
 magari  solo)  la  testimonianza  di  un soggetto che e' portatore in
 causa di un interesse contrario all'accertamento della  verita'  come
 potrebbe  essere  il  caso  qui'  esaminato. Su queste basi allora va
 sollevata la questione di legittimita' costituzionale.
    Ritenuto che si tratta pacificamente di  reati  commessi  da  piu'
 persone in danno reciproco le une delle altre.
    Ritenuto che le ragioni addotte dal p.m. e condivise dai difensori
 appaiono  convincenti, essendo evidente l'identita' sostanziale delle
 situazioni previste dalle lettere a) e b) del secondo comma dell'art.
 371 del c.p.p. ai  fini  della  posizione  dei  soggetti  chiamati  a
 deporre  come  testimoni  e  non,  come  appare  conforme ai principi
 costituzionali di uguaglianza  e  di  eguale  possibiita'  di  tutela
 giurisdizionale  (artt.  3  e  28  della  Costituzione),  in veste di
 imputati di reati comunque connessi.
    Considerato che la questione  sollevata  e'  sen'altro  rilevante,
 posto  che  le  disposizioni o le dichirazioni degli imputati nei due
 procedimenti riuniti  dovrebbero  incidere  in  modo  decisivo  sulla
 situazione probatoria.