IL PRETORE
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel giudizio di opposizione a
 ordinanza  ingiunzione, segnato sotto il n. 219/88 r.g.a.c., promosso
 con ricorso depositato il 26 maggio 1988 da Palmitessa  Giuseppe  nei
 confronti  dell'ufficio  regionale  contenzioso  di  Foggia,  regione
 Puglia;
    Il   pretore,   sciogliendo   la  riserva  di  decidere  formulata
 all'udienza del 18 settembre 1991; esaminati gli atti di causa  e  le
 deduzioni svolte dalle parti;
                            RILEVA IN FATTO
    Con  ricorso ex artt. 22 e 23 della legge n. 689/81, depositato il
 26 maggio 1988, Palmitessa Giuseppe proponeva tempestiva  opposizione
 avverso  l'ordinanza-ingiunzione  n.  46/87/e.r.g., emessa in data 20
 aprile 1988, con la quale l'ufficio regionale contenzioso di  Foggia,
 regione  Puglia  gli  aveva  ingiunto  il pagamento della complessiva
 somma di L. 7.507.500, quale sanzione amministrativa  (maggiorata  di
 interessi  e spese) per l'infrazione di cui all'art. 4 del d.lgt.lgt.
 27 luglio 1945, n. 475, accertata  nei  suoi  confronti  in  data  17
 aprile  1987,  da  agenti del Corpo forestale dello Stato (comando di
 Manfredonia), per avere esso opponente "estirpato abusivamente n. 200
 piante di olivo su terreno di sua proprieta' in agro  del  comune  di
 Trinitapoli".
    A  sostegno  dell'opposizione  proposta  e sul presupposto che gli
 alberi effettivamente abbattuti erano nel numero di 105 e non gia' di
 200, il Palmitessa  eccepiva  la  nullita  dell'ordinanza-ingiunzione
 opposta  per  difetto  di  motivazione,  sul  rilievo  che  l'Ufficio
 regionale contenzioso non aveva dato contezza alcuna circa i  criteri
 seguiti  per  giungere  alla  determinazione  del  numero  di  alberi
 abbattuti e dell'entita' della sanzione irrogata.
    Invocava inoltre la scriminante dello stato di necessita'  di  cui
 all'art.  4  della legge n. 689/1981, rappresentando che, poiche' gli
 alberi di olivo erano divenuti irrimediabilmente improduttivi per  il
 pessimo  stato  vegetativo  in  cui  versavano, esso opponente si era
 visto costretto ad estirparli per  recuperare  la  produttivita'  del
 proprio  fondo,  unica  fonte  di  sostentamento per se' e per la sua
 famiglia.
    In subordine, chiedevano la riduzione dell'entita' della sanzione,
 apparendo la stessa oltremodo eccessiva.
    L'amministrazione  resistente,  dopo   aver   fatto   regolarmente
 pervenire   copia   degli   atti   afferenti   l'accertamento   e  la
 contestazione  dell'infrazione,  si  costituiva  in   giudizio,   con
 comparsa  depositata all'udienza del 21 settembre 1988, sostenendo la
 legittimita'  formale  e  sostanziale  dell'ordinanza-ingiunzione   e
 chiedendo il rigetto dell'opposizione ex adverso proposta.
    Ammesse  ed  espletate  alcune prove testimoniali dedotte da parte
 ricorrente, la causa veniva riservata per  la  decisione  all'udienza
 del 18 settembre 1991.
                          OSSERVA IN DIRITTO
    Il giudicante ritiene di dover sollevare d'ufficio la questione di
 legittimita'  costituzionale della disposizione di cui all'art. 4 del
 d.lgs.lgt. 27 luglio  1945,  n.  475,  il  cui  contenuto  si  rivela
 manifestamente   in   contrasto  con  diverse  norme-parametro  della
 Costituzione.
    La norma in esame recita testualmente: "Chiunque abbatte alberi di
 olivo senza averne ottenuta la preventiva autorizzazione, o nel  caso
 previsto dall'art. 3, non esegue il reimpianto con le modalita' e nel
 termine prescritti, e' punito con l'ammenda (ora sanzione pecuniaria,
 trattandosi  di  illecito  depenalizzato)  per  un  importo uguale al
 decuplo del valore delle piante abbattute, considerate pero' in piena
 produttivita',    da    stabilirsi    dall'Ispettorato    provinciale
 dell'agricoltura".
    L'autorizzazione menzionata e' quella prevista dall'art. 2  stesso
 d.lgs.lgt.  (come sostituito dall'art. 71 del d.P.R.  10 giugno 1955,
 n. 987), che viene rilasciata, su richiesta  dell'interessato  e  ove
 sussistano   le  condizioni  previste,  dalla  Camera  di  commercio,
 industria ed agricoltura, con deliberazione della giunta camerale.
    Orbene,  esaminando  partitamente  le  questioni  di  legittimita'
 costituzionale che pone l'art. 4 cit., si osserva quanto segue.
    1.  -  E'  evidente anzitutto il palese contrasto con il principio
 della riserva assoluta di legge sancito dall'art. 25, secondo  comma,
 della  Costituzione  in  materia di determinazione dell'entita' della
 sanzione  da  irrogarsi   per   la   commissione   di   un   illecito
 amministrativo,  quale  quello contemplato dall'art. 4 del d.lgs.lgt.
 in esame.
    Ed invero, il legislatore dopo avere descritto in maniera puntuale
 la condotta vietata (e quindi il precetto), per  quanto  riguarda  il
 profilo    sanzionatorio   si   e'   rimesso   sostanzialmente   alle
 determinazioni, non  gia'  di  una  autorita'  amministrativa  avente
 potesta'  di  normazione  secondaria  (che  porrebbe  in ogni caso la
 questione  della  legittimita'  costituzionale   della   norma),   ma
 addirittura  ad  un  organo  periferico dell'amministrazione centrale
 dello Stato, quale  e'  l'ispettorato  provinciale  dell'agricoltura,
 avente  mere  funzioni  ispettive  che, per quanto riguarda i compiti
 assegnategli dalla norma in esame, si risolvono nell'adozione  di  un
 atto amministrativo (di apprezzamento) volto a stabilire, senza alcun
 criterio  pre-determinato  della  legge e mediante una valutazione di
 circostanze suscettibili di vario  apprezzamento,  il  "valore  delle
 piante abbattute, considerate pero' in piena produttivita'".
    Trattasi a ben vedere di un atto di mera discrezionalita' tecnica,
 preordinato  all'emanazione  di  un  provvedimento  irrogativo di una
 sanzione amministrativa, e dal quale si definisce per  far  dipendere
 l'entita' della sanzione medesima.
    Non  v'e' dubbio pertanto che si sia in presenza di una violazione
 della riserva assoluta di legge sancita in subiecta materia dall'art.
 25, secondo comma, della Costituzione.
    Del resto, ritiene questo giudicante che i dubbi che pure si erano
 affacciati in passato circa l'estensibilita'  del  principio  di  cui
 all'art. 25, secondo comma, della Costituzione al campo dell'illecito
 amministrativo debbano ritenersi ormai superati.
    E  cio' sia per la sostanziale equiparazione tra l'illecito penale
 e l'illecito amministrativo compiuta dalla legge 24 novembre 1981, n.
 689, che ha mutato numerosi istituti dal diritto penale (quali quelli
 dell'elemento soggettivo, del concorso di  persone,  dei  criteri  di
 determinazione  della  sanzione,  delle  cause  di  esclusione  della
 responsabilita', ecc.), sia per l'inequivocabile tenore  dell'art.  1
 della  legge citata, il quale nello statuire che "nessuno puo' essere
 assoggettato a sanzioni amministrative se non in forza di  una  legge
 che  sia  entrata in vigore prima della commissione della violazione"
 rende  manifesto  l'intento  del  legislatore  di  ricondurre   anche
 l'illecito  amministrativo  nell'alveo  del  principio  di  legalita'
 contemplato dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione.
    2.  -  Quand'anche  si  volesse  ritenere che la sanzione prevista
 dall'art. 4 del d.lgs.lgt.  n.  475/1645  abbia  natura  riparatoria-
 recuperatoria  e non afflittiva, si impingerebbe nella illegittimita'
 costituzionale della norma, sotto altro profilo, per contrasto con il
 principio stabilito dall'art. 23 della Costituzione che  prevede  che
 "nessuna  prestazione personale o patrimoniale puo' essere imposta se
 non in base alla legge"; principio che sebbene contenga  una  riserva
 relativa  di legge (secondo l'opinione piu' accreditata) non consente
 certo che la  determinazione  della  sanzione  (rectius:  prestazione
 patrimoniale)   possa  essere  affidata  ad  un  atto  amministrativo
 meramente discrezionale, senza che nel contempo una norma con  valore
 di  legge  fissi,  con  sufficente  determinatezza,  dei  criteri  di
 riferimento.
    3. - Per altro verso si prospetta anche, nella norma in esame, una
 violazione del principio di  eguaglianza  di  cui  all'art.  3  della
 Costituzione,   dovendosi   evidenziare   come   una   determinazione
 dell'entita'  della  sanzione  operata  in  un  ambito   territoriale
 circoscritto   a  quello  della  provincia  puo'  dare  vita  ad  una
 ingiustificata, iniqua ed  irragionevole  disparita'  di  trattamento
 riguardo  a  situazioni  sostanzialmente  identiche,  sol che ciascun
 ispettorato provinciale dell'agricoltura adotti criteri  diversi  per
 la valutazione del valore delle piante abbattute.
    4.  -  La questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4 del
 d.lgs.lgt. 27 luglio 1945, n. 475, deve essere posta,  infine,  anche
 con  riguardo  all'art.  111,  primo  comma,  della  Costituzione che
 sancisce  l'obbligo  della  motivazione  per  tutti  i  provvedimenti
 giurisdizionali.  Ed  infatti,  il  giudice,  nel  caso  in cui venga
 chiamato, come nella fattispecie in esame, a  operare  una  riduzione
 della sanzione irrogata, alla stregua dei criteri stabiliti dall'art.
 11  della legge n. 689/1981 (gravita' della violazione, comportamento
 dell'agente successivo alla  violazione,  personalita'  e  condizioni
 economiche  del  trasgressore),  non puo' sorreggere il suo eventuale
 provvedimento di accoglmento con  alcuna  convincente  e  ragionevole
 motivazione,   in  quanto  il  meccanismo  sanzionatorio  contemplato
 dall'art. 4 del d.lgs.lgt. n. 475/1945  e'  rigidamente  ancorato  al
 solo "valore delle piante" e quindi alla gravita' dell'evento dannoso
 (espressa  in  termini  monetari)  ed  inoltre  non prevede un limite
 minimo ed un limite massimo della sanzione, entro i quali far uso del
 potere di commisurazione della sanzione alla  concreta  gravita'  del
 fatto.
    Alla  luce delle considerazioni innanzi svolte, deve ritenersi non
 manifestamente infondata la questione di legittimita'  costituzionale
 dell'art. 4 del d.lgs.lgt. n. 475/1945, in riferimento agli artt. 25,
 secondo  comma,  23,  3  e  111, primo comma, della Costituzione, con
 conseguente sospensione del giudizio in corso e rimessione degli atti
 alla Corte costituzionale.
    In punto di  rilevanza,  si  osserva  primariamente  che,  secondo
 l'orientamento  prevalente  ed ampiamente condivisibile della suprema
 Corte, nel giudizio di opposizione ex artt. 22 e 23  della  legge  n.
 689/1981,   il   pretore  ha  il  potere-dovere,  anche  d'ufficio  e
 indipendentemente  da  una  specifica  richiesta  dell'opponente,  di
 riscontrare  la conformita' a legge dell'ordinanza-ingiunzione (cass.
 n. 6219/1985) e di sindacare il provvedimento  sia  da  un  punto  di
 vista  sostanziale  (sussistenza  dei  fatti contestati, ricorrerenza
 dell'infrazione, congruita' della sanzione), sia da un punto di vista
 formale,  potendo  annullare o riformare il provvedimento per vizi di
 forma e di competenza (cass. 13 luglio  1990,  n.  7621).  A  seguito
 dell'opposizione  si  ha dunque un effetto totalmente devolutivo, nel
 senso  che  la  cognizione  non  si  limita  ai   motivi   denunziati
 dall'opponente  (cass.  14  dicembre 1987, n. 9262; cass. 19 dicembre
 1989, n. 5721).
    Ne  consegue  che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale
 innanzi  sollevate  sono  rilevanti  ai fini della decisione, sia per
 provvedere in merito  alla  richiesta  di  riduzione  della  sanzione
 avanzata    dall'opponente,    sia   perche',   piu'   in   generale,
 l'accoglimento  dell'opposizione  proposta  appare   indissolutamente
 legato  all'esito  del  giudizio  di costituzionalita' della norma in
 questione, alla quale ultima il giudicante deve  fare  in  ogni  caso
 riferimento per emettere la decisione.